RASSEGNA STAMPA 09.09.2004

 

GAZZETTA DEL SUD
Raffineria Api in fiamme, un morto e tre feriti

Ore da incubo a Falconara Marittima. La vittima è un autotrasportatore che stava caricando bitume

di Lorenzo Moroni

FALCONARA (Ancona) – Un camionista di 49 anni, padre di due figli, deceduto e tre suoi colleghi rimasti feriti, di cui uno in gravissime condizioni. È pesante il bilancio dell'ennesimo grave incidente accaduto all'interno della raffineria Api di Falconara Marittima, un colosso della raffinazione, ma allo stesso tempo compreso tra le 463 industrie italiane inserite nell'inventario del Ministero dell'Ambiente sugli stabilimenti suscettibili di causare incidenti rilevanti. Impianto per il quale, tra l'altro, è stata prolungata la concessione fino al 2020 non senza polemiche, e che è ricompreso tra i tremila obiettivi sensibili per i rischi di attentati terroristici. Ieri mattina, tra le 7,20 e le 7,30, si è ripetuto in parte quanto accaduto il 25 agosto di cinque anni fa, quando un altro tragico incidente provocò la morte di due operai. Questa volta l'incendio si è sviluppato nell'area utilizzata per il passaggio del bitume dai serbatoi dell'Api alle autocisterne, dove ci sono dieci serbatoi tra cui uno di gasolio tutti collegati. Gli autotrasportatori avevano appena iniziato le operazioni di carico quando un'errata manovra di un mezzo oppure l'esplosione di un serbatoio vuoto ma saturo di gas hanno innescato l'incendio. Un altro serbatoio contenente 500 metri cubi di bitume si è spaccato in due e la sostanza fuoriuscita, a una temperatura di 180 gradi, ha investito gli operai. In tre sono riusciti a fuggire mentre Sebastiano Parisse, originario dell'Abruzzo ma residente a Porto Potenza Picena (Macerata), non ce l'ha fatta. Il cadavere dell'uomo è stato scoperto nel pomeriggio, poco dopo le 14, all'interno del bacino di contenimento del serbatoio imploso, coperto da schiumogeno e acqua. Nicola Cilli, 36 anni, è stato invece ricoverato in gravi condizioni nel centro per i grandi ustionati dell'ospedale di Padova, con bruciature sul 40% del corpo. È in prognosi riservata. È stato visto fuggire dall'incendio completamente ricoperto di bitume. Meno gravi le condizioni di Marcelo Pelaez, 32 anni, originario dell'Argentina ma residente nelle Marche, che ne avrà per dieci giorni, e di Mauro Cameruccio, 50 anni, subito dimesso. La dinamica dell'incidente non è ancora chiara. I sostituti procuratori Irene Bilotta e Cristina Tedeschini (già titolare dell'inchiesta sull'incidente di cinque anni fa) hanno disposto il sequestro dell'area, di alcuni computer e di documenti relativi alle movimentazioni di bitume, interrogando fino a tarda sera diversi testimoni. La raffineria non si sbilancia sulle cause e ha annunciato un'indagine interna. Parisse, comunque, era considerato un autotrasportatore esperto che da cinque anni eseguiva operazioni come quella in cui ha perso la vita. Era sposato e aveva due figli, uno di 25 e uno di 19 anni. L'incendio è stato domato in due ore e non ha interessato altri serbatoi. Il piano di emergenza è scattato immediatamente e secondo le autorità ha funzionato: fino a metà mattinata è rimasta interrotta la circolazione dei treni e sono stati chiusi gli accessi a Falconara della strada litoranea Flaminia e della statale 16. Il vicino aeroporto non è stato chiuso ma gli aerei, anziché da mare, sono atterrati da terra. Molte famiglie residenti nei quartieri limitrofi sono fuggite da casa, spaventate da alcune esplosioni udite e dalla colonna di fumo nero che ha coperto il cielo. Fumo non tossico, secondo gli accertamenti eseguiti, ma irritante, che il vento ha provveduto a disperdere nel giro di qualche ora. Chissà se Sebastiano Parisse l'aveva vista quella scritta che una mano anonima ha tracciato sui muri della casetta ai bordi della statale 16: «Chiudete l'Api, voglio vivere». E chissà, se l'aveva vista, cosa ne pensava, lui che manteneva la famiglia trasportando il bitume dell'Api di Falconara. Chissà se aveva mai pensato che un giorno sarebbe potuto morire dentro il perimetro di quel mostro industriale, come purtroppo è accaduto alle 7,15 di ieri mattina. Come purtroppo era accaduto nel 1999 a Ettore Giulian e Mario Gandolfi, i due tecnici della raffineria dell'Anonima petroli italiana, morti tra le fiamme per impedire che un incendio diventasse una catastrofe. O come sarebbe potuto capitare ad Andrea Giannoni, rimasto gravemente ustionato nel 2001, sorte identica a quella toccata ieri a Nicola Cilli, uno dei feriti nell'esplosione. Tre morti in cinque anni, e una paura che da decenni attanaglia i trentamila abitanti di Falconara ammassati in venticinque chilometri quadrati. L'incubo di una Seveso marchigiana li attende a ogni risveglio. Quella scritta anonima contro la bomba ecologica porta la firma di ognuno di loro. Ma è lì anche a testimoniare che nulla possono contro i sotterfugi e gli opportunismi dei partiti. La gente chiede che l'impianto – un'area di 70 ettari, 3,9 milioni di tonnellate di petrolio lavorato, quasi 500 dipendenti, 2000 occupati nell'indotto – venga dismesso? Il governo risponde rinnovando la concessione fino al 2020. È successo nel 1998, epoca ulivista; con Regione Marche e Provincia di Ancona, governate allora come oggi dal centrosinistra, a destreggiarsi tra falsi imbarazzi e concreti consensi. «Bisogna revocare subito la concessione», tuona ora il sindaco diessino di Falconara Marittima, Giancarlo Carletti, uno che all'Api ci ha lavorato e ha «visto morire molti compagni di lavoro». Lui lo diceva anche nel '99, per poi ammettere che bisogna però «fare i conti con il sindacato e il partito».

 
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