Raffineria
Api in fiamme, un morto e tre feriti
Ore da incubo a Falconara
Marittima. La vittima è un autotrasportatore che stava
caricando bitume
di Lorenzo Moroni
FALCONARA (Ancona) – Un
camionista di 49 anni, padre di due figli, deceduto e tre
suoi colleghi rimasti feriti, di cui uno in gravissime
condizioni. È pesante il bilancio dell'ennesimo grave
incidente accaduto all'interno della raffineria Api di
Falconara Marittima, un colosso della raffinazione, ma allo
stesso tempo compreso tra le 463 industrie italiane inserite
nell'inventario del Ministero dell'Ambiente sugli
stabilimenti suscettibili di causare incidenti rilevanti.
Impianto per il quale, tra l'altro, è stata prolungata la
concessione fino al 2020 non senza polemiche, e che è
ricompreso tra i tremila obiettivi sensibili per i rischi di
attentati terroristici. Ieri mattina, tra le 7,20 e le 7,30,
si è ripetuto in parte quanto accaduto il 25 agosto di
cinque anni fa, quando un altro tragico incidente provocò la
morte di due operai. Questa volta l'incendio si è sviluppato
nell'area utilizzata per il passaggio del bitume dai
serbatoi dell'Api alle autocisterne, dove ci sono dieci
serbatoi tra cui uno di gasolio tutti collegati. Gli
autotrasportatori avevano appena iniziato le operazioni di
carico quando un'errata manovra di un mezzo oppure
l'esplosione di un serbatoio vuoto ma saturo di gas hanno
innescato l'incendio. Un altro serbatoio contenente 500
metri cubi di bitume si è spaccato in due e la sostanza
fuoriuscita, a una temperatura di 180 gradi, ha investito
gli operai. In tre sono riusciti a fuggire mentre Sebastiano
Parisse, originario dell'Abruzzo ma residente a Porto
Potenza Picena (Macerata), non ce l'ha fatta. Il cadavere
dell'uomo è stato scoperto nel pomeriggio, poco dopo le 14,
all'interno del bacino di contenimento del serbatoio
imploso, coperto da schiumogeno e acqua. Nicola Cilli, 36
anni, è stato invece ricoverato in gravi condizioni nel
centro per i grandi ustionati dell'ospedale di Padova, con
bruciature sul 40% del corpo. È in prognosi riservata. È
stato visto fuggire dall'incendio completamente ricoperto di
bitume. Meno gravi le condizioni di Marcelo Pelaez, 32 anni,
originario dell'Argentina ma residente nelle Marche, che ne
avrà per dieci giorni, e di Mauro Cameruccio, 50 anni,
subito dimesso. La dinamica dell'incidente non è ancora
chiara. I sostituti procuratori Irene Bilotta e Cristina
Tedeschini (già titolare dell'inchiesta sull'incidente di
cinque anni fa) hanno disposto il sequestro dell'area, di
alcuni computer e di documenti relativi alle movimentazioni
di bitume, interrogando fino a tarda sera diversi testimoni.
La raffineria non si sbilancia sulle cause e ha annunciato
un'indagine interna. Parisse, comunque, era considerato un
autotrasportatore esperto che da cinque anni eseguiva
operazioni come quella in cui ha perso la vita. Era sposato
e aveva due figli, uno di 25 e uno di 19 anni. L'incendio è
stato domato in due ore e non ha interessato altri serbatoi.
Il piano di emergenza è scattato immediatamente e secondo le
autorità ha funzionato: fino a metà mattinata è rimasta
interrotta la circolazione dei treni e sono stati chiusi gli
accessi a Falconara della strada litoranea Flaminia e della
statale 16. Il vicino aeroporto non è stato chiuso ma gli
aerei, anziché da mare, sono atterrati da terra. Molte
famiglie residenti nei quartieri limitrofi sono fuggite da
casa, spaventate da alcune esplosioni udite e dalla colonna
di fumo nero che ha coperto il cielo. Fumo non tossico,
secondo gli accertamenti eseguiti, ma irritante, che il
vento ha provveduto a disperdere nel giro di qualche ora.
Chissà se Sebastiano Parisse l'aveva vista quella scritta
che una mano anonima ha tracciato sui muri della casetta ai
bordi della statale 16: «Chiudete l'Api, voglio vivere». E
chissà, se l'aveva vista, cosa ne pensava, lui che manteneva
la famiglia trasportando il bitume dell'Api di Falconara.
Chissà se aveva mai pensato che un giorno sarebbe potuto
morire dentro il perimetro di quel mostro industriale, come
purtroppo è accaduto alle 7,15 di ieri mattina. Come
purtroppo era accaduto nel 1999 a Ettore Giulian e Mario
Gandolfi, i due tecnici della raffineria dell'Anonima
petroli italiana, morti tra le fiamme per impedire che un
incendio diventasse una catastrofe. O come sarebbe potuto
capitare ad Andrea Giannoni, rimasto gravemente ustionato
nel 2001, sorte identica a quella toccata ieri a Nicola
Cilli, uno dei feriti nell'esplosione. Tre morti in cinque
anni, e una paura che da decenni attanaglia i trentamila
abitanti di Falconara ammassati in venticinque chilometri
quadrati. L'incubo di una Seveso marchigiana li attende a
ogni risveglio. Quella scritta anonima contro la bomba
ecologica porta la firma di ognuno di loro. Ma è lì anche a
testimoniare che nulla possono contro i sotterfugi e gli
opportunismi dei partiti. La gente chiede che l'impianto –
un'area di 70 ettari, 3,9 milioni di tonnellate di petrolio
lavorato, quasi 500 dipendenti, 2000 occupati nell'indotto –
venga dismesso? Il governo risponde rinnovando la
concessione fino al 2020. È successo nel 1998, epoca
ulivista; con Regione Marche e Provincia di Ancona,
governate allora come oggi dal centrosinistra, a
destreggiarsi tra falsi imbarazzi e concreti consensi.
«Bisogna revocare subito la concessione», tuona ora il
sindaco diessino di Falconara Marittima, Giancarlo Carletti,
uno che all'Api ci ha lavorato e ha «visto morire molti
compagni di lavoro». Lui lo diceva anche nel '99, per poi
ammettere che bisogna però «fare i conti con il sindacato e
il partito». |