Il giallo
del serbatoio esploso
Un residuo di vapori potrebbe
aver innescato l’incendio. La procura sequestra il Parco
bitumi
di LORENZO SCONOCCHINI
ANCONA - Incendio, lesioni e
omicidio colposo. Sono queste al momento le ipotesi di reato
indicate nel fascicolo aperto dalla procura della Repubblica
sul rogo all’Api. La magistratura dorica s’è mossa di scatto
spostando di buon mattino all’intero della raffineria un
pool di investigatori guidato dal procuratore capo Vincenzo
Luzi. Con lui c’erano i pm Irene Bilotta, sostituto di turno
ieri in procura, e Cristina Tedeschini, utilissima per
l’esperienza acquisita indagando sull’incendio dell’agosto
’99 costato la vita a due tecnici. Prima mossa: il sequestro
dell’area interessata dall’incidente e dei computer del
centro di controllo, una sala comandi attiva in un bunker
dove passano tutte le informazioni sui flussi di materiali e
i livelli dei serbatoi di stoccaggio.
Indagando sul rogo del 25
agosto ’99, il pm Tedeschini ebbe il sospetto di essere
stata depistata nelle fasi iniziali dell’inchiesta, quando
gli accertamenti si concentrarono per alcuni giorni su un
impianto distante settanta metri da quello in cui s’era
verificata la fuoriuscita di benzina, con il risultato che
il serbatoio 52 (quello da cui proveniva il carburante) non
fu compreso nell’area sequestrata sin dall’inizio. Così ieri
i dirigenti dell’Api hanno temuto misure drastiche da parte
dei pm, come il sequestro dell’intera raffineria. “Abbiamo
messo a disposizione della magistratura - s’affrettava a
spiegare nel pomeriggio l’amministratore delegato Franco
Brunetti - tutti i documenti richiestici, cartacei e
soprattutto elettronici, dato che tutte le operazioni sono
sotto la supervisione dei computer del centro di controllo.
Noi mettiamo a disposizione tutto il sito produttivo, ma è
auspicabile che i giudici si limitino al sequestro della
sola area interessata dall’incidente”. Il timore di un
blocco totale del petrolchimico svaniva in serata, quando il
pm Irene Bilotta rilasciava una breve dichiarazione: “Posso
dire solo che non abbiamo proceduto al sequestro dell’intero
sito”. In effetti i sigilli apposti ieri dai carabinieri
riguardano soltanto il cosiddetto Parco bitume, un’area di
circa 400 mq che racchiude dieci serbatoi, nove per il
bitume e uno destinato al gasolio, e i relativi impianti.
Luzi, Bilotta e Tedschini si sono dedicati a lungo agli
interrogatori di testimoni o persone informate sui fatti,
dipendenti della raffineria e camionisti, proseguiti fino a
sera avanzata all’interno della raffineria
Ma cos’è accaduto ieri poco
dopo le sette? Un’ipotesi circolata subito negli ambienti
delle squadre di soccorso, smentita poi dall’Api, accennava
a un possibile effetto-domino innescato dall’esplosione di
un serbatoio di bitume vuoto, forse dovuta al vapore
residuo. Il serbatoio, collassando, avrebbe danneggiato il
deposito accanto facendo fuoriuscire bitume semi-liquido a
temperatura altissima, che avrebbe preso fuoco. Nell’area di
carico c’erano tre autobotti pronte per il rifornimento, e
quattro operai intenti al carico su uno degli automezzi. Una
ricostruzione che differisce da quella fornita in conferenza
stampa dall’Api, secondo cui sarebbe stata una delle
autobotti a entrare in contatto con il sistema di carico del
bitume, innescando il collasso del contenitore vuoto e il
danneggiamento di quello pieno. Anche se così fosse,
resterebbero gli interrogativi sui sistemi di prevenzione e
sicurezza, se davvero basta una manovra sbagliata per
scatenare il putiferio in una raffineria.
Dell’inchiesta s’interessa
anche la politica. Ieri Fausto Franceschetti, capogruppo Ds
in consiglio regionale, ha chiesto che la magistratura
faccia “al più presto chiarezza sul gravissimo evento”.
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