RASSEGNA STAMPA 09.09.2004

 

CORRIERE ADRIATICO
“In quella trappola non ci torno più”

Gli autotrasportatori sgomenti. Rabbia, tristezza e cordoglio per il collega morto

di MARINA MINELLI

FALCONARA - “Io lì dentro non ci vado più, è una trappola, se succede qualcosa non c’è via di scampo e in situazioni normali non esistono protezioni di alcun tipo né dalle esalazioni, né dagli schizzi bollenti”. I colleghi di Sebastiano Parisse, il camionista morto nell’incidente, sono tutti riuniti in un angolo del piazzale del Caf, hanno voglia di raccontare la loro verità, un po’ meno di presentarsi con nome e cognome. “Non è cattiveria – dice uno di loro – ma solo desiderio di proteggere il nostro lavoro”.

Però la ricostruzione dei fatti è precisa e dettagliata: la lunga fila delle autobotti, almeno otto o nove che verso le 7 di ieri aspettavano il turno per fare il carico, una serie di piccoli scoppi, il rumore assordante, poi subito il fumo e le fiamme che avvolgono tutto e tutti e la fuga anche scavalcando i cancelli per mettersi in salvo il più in fretta possibile. “Ero l’ultimo della fila – spiega Alessandro di Martinsicuro – e sono riuscito a passare dalle uscite di emergenza, adesso aspetto la visita della Finanza per la verifica della mia situazione ed l’attestazione che il mio mezzo è vuoto. E’ la prassi”.

I camionisti proseguono parlando di “fiamme partite da terra, non da sopra e subito alte decine di metri in mezzo alla lunga fila di serbatoi del bitume”, del fumo che in un attimo ha oscurato il cielo rendendo difficile, se non impossibile qualsiasi manovra. Paura, rabbia, tristezza, si mescolano e si confondono nelle prime ore dopo il disastro, quando i feriti ufficiali sono tre e del quarto uomo coinvolto si sono perse le tracce, ma in ogni caso per i colleghi di Parisse c’è la certezza quasi assoluta che non si è trattato di un errore, di una malaugurata svista al momento del carico.

“Sono sicuro al 95 % che l’errore non è stato dell’autotrasportatore – assicura uno dei colleghi che conosceva bene Sebastiano Parisse definito ‘lavoratore serio e prudente’ – chi fa questo lavoro è super specializzato, ci sono quelli che caricano la benzina, altri il gas, altri ancora il bitume, quindi ognuno sa bene come, e con quali cautele, deve trattare il prodotto perché è lui stesso ad infilare il tubo e a controllare il livello raggiunto, gli operai dell’Api, uno o due, stanno lì solo a verificare che tutto sia regolare. Per me le fiamme sono partite dall’impianto, non dal mezzo”.

Camionisti e padroncini piuttosto mettono l’accento sulla questione sicurezza che in quella zona “è carente”. “L’area del bitume – affermano – è la stessa di 30 anni fa, i più anziani lo sanno bene e l’hanno fatto notare; dopo l’incidente del ’99 ci sono stati ammodernamenti nella parte del gasolio, ma lì niente, non ci va mai nessuno a dare un’occhiata e il risultato è questo”.

Su questo, peraltro, ci sono pareri non concordi. “Mi pare che in questi anni - spiega infatti un altro camionista - l'Api abbia fatto passi in avanti nella sicurezza. Per quello che riguarda la gran parte dei carichi il controllo è computerizzato quindi se c'è qualcosa che non va si ferma il sistema. Circa il personale c'è rigore nel rispetto delle normative sull'abbigliamento e se uno 'sgarra' non viene neanche fatto entrare. Le garanzie ci sono e tra l'altro tra chi carica gli unici ad essere, diciamo così, vicini ai materiali sono quelli che 'fanno' il bitume perché è il meno pericoloso. Invece…”.

 
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