“In quella
trappola non ci torno più”
Gli autotrasportatori
sgomenti. Rabbia, tristezza e cordoglio per il collega morto
di MARINA MINELLI
FALCONARA - “Io lì dentro non
ci vado più, è una trappola, se succede qualcosa non c’è via
di scampo e in situazioni normali non esistono protezioni di
alcun tipo né dalle esalazioni, né dagli schizzi bollenti”.
I colleghi di Sebastiano Parisse, il camionista morto
nell’incidente, sono tutti riuniti in un angolo del piazzale
del Caf, hanno voglia di raccontare la loro verità, un po’
meno di presentarsi con nome e cognome. “Non è cattiveria –
dice uno di loro – ma solo desiderio di proteggere il nostro
lavoro”.
Però la ricostruzione dei
fatti è precisa e dettagliata: la lunga fila delle
autobotti, almeno otto o nove che verso le 7 di ieri
aspettavano il turno per fare il carico, una serie di
piccoli scoppi, il rumore assordante, poi subito il fumo e
le fiamme che avvolgono tutto e tutti e la fuga anche
scavalcando i cancelli per mettersi in salvo il più in
fretta possibile. “Ero l’ultimo della fila – spiega
Alessandro di Martinsicuro – e sono riuscito a passare dalle
uscite di emergenza, adesso aspetto la visita della Finanza
per la verifica della mia situazione ed l’attestazione che
il mio mezzo è vuoto. E’ la prassi”.
I camionisti proseguono
parlando di “fiamme partite da terra, non da sopra e subito
alte decine di metri in mezzo alla lunga fila di serbatoi
del bitume”, del fumo che in un attimo ha oscurato il cielo
rendendo difficile, se non impossibile qualsiasi manovra.
Paura, rabbia, tristezza, si mescolano e si confondono nelle
prime ore dopo il disastro, quando i feriti ufficiali sono
tre e del quarto uomo coinvolto si sono perse le tracce, ma
in ogni caso per i colleghi di Parisse c’è la certezza quasi
assoluta che non si è trattato di un errore, di una
malaugurata svista al momento del carico.
“Sono sicuro al 95 % che
l’errore non è stato dell’autotrasportatore – assicura uno
dei colleghi che conosceva bene Sebastiano Parisse definito
‘lavoratore serio e prudente’ – chi fa questo lavoro è super
specializzato, ci sono quelli che caricano la benzina, altri
il gas, altri ancora il bitume, quindi ognuno sa bene come,
e con quali cautele, deve trattare il prodotto perché è lui
stesso ad infilare il tubo e a controllare il livello
raggiunto, gli operai dell’Api, uno o due, stanno lì solo a
verificare che tutto sia regolare. Per me le fiamme sono
partite dall’impianto, non dal mezzo”.
Camionisti e padroncini
piuttosto mettono l’accento sulla questione sicurezza che in
quella zona “è carente”. “L’area del bitume – affermano – è
la stessa di 30 anni fa, i più anziani lo sanno bene e
l’hanno fatto notare; dopo l’incidente del ’99 ci sono stati
ammodernamenti nella parte del gasolio, ma lì niente, non ci
va mai nessuno a dare un’occhiata e il risultato è questo”.
Su questo, peraltro, ci sono
pareri non concordi. “Mi pare che in questi anni - spiega
infatti un altro camionista - l'Api abbia fatto passi in
avanti nella sicurezza. Per quello che riguarda la gran
parte dei carichi il controllo è computerizzato quindi se
c'è qualcosa che non va si ferma il sistema. Circa il
personale c'è rigore nel rispetto delle normative
sull'abbigliamento e se uno 'sgarra' non viene neanche fatto
entrare. Le garanzie ci sono e tra l'altro tra chi carica
gli unici ad essere, diciamo così, vicini ai materiali sono
quelli che 'fanno' il bitume perché è il meno pericoloso.
Invece…”. |