RASSEGNA STAMPA 09.09.2004

 

CORRIERE ADRIATICO
Quella disperata corsa sul catrame

La drammatica testimonianza di Marcelo Pelaez ustionato alle mani e alle caviglie: “Era un fiume rovente, dopo il boato volevo solo fuggire”

di CATERINA CANTORI

ANCONA - "Cosa ho pensato in quel momento? Solo a correre. Più forte possibile". Racconta l'inferno vissuto poche ore prima da un letto della sala emergenza del pronto soccorso dell'ospedale regionale con lo sguardo che riflette la paura vissuta e il sollievo per lo scampato pericolo. Alcune tracce di bitume sul volto sembrano voler raccontare una storia fatta di lavoro e terrore. Una storia vissuta soltanto poche ore prima. Marcello Pelaez, 32 anni, di origine argentina ma residente ad Angeli di Rosora, dipendente della cooperativa Caf, aveva appena terminato di effettuare il carico di bitume nel suo camion quando ha sentito lo scoppio che annunciava le drammatiche ore che sarebbero seguite. Dietro al suo autocarro c'era quello di Nicola Cilli, 36 anni, l'autotrasportatore che ha riportato ustioni di varia gravità su quasi il 40% del corpo e le cui condizioni hanno reso necessario il trasferimento al centro grandi ustioni dell’ospedale civile di Padova dove è ricoverato in prognosi riservata.

"Mentre effettuavo il carico avevo visto che Cilli era dietro di me - racconta Marcello -. Poi l'ho rivisto sulla barella mentre lo stavano caricando per portarlo all'ospedale. Ricordo che sul posto, oltre me e Cilli, c'erano altri tre o quattro autotrasportatori e un paio di operai dell'Api". Le ustioni alle mani e alle caviglie riportate dall'argentino testimoniano la fuga disperata tra il fiume di bitume che aveva invaso la zona dove gli autotrasportatori stavano facendo il rifornimento. Una corsa per allontanarsi il più possibile da un luogo che poteva trasformarsi in una trappola di fuoco. "Avevo terminato di caricare il bitume e stavo effettuando la manovra di retromarcia quando ho sentito un piccolo scoppio. Sono sceso dall'abitacolo per vedere cosa fosse accaduto o se avevo urtato qualcosa. Invece dietro di me era tutto a posto - racconta Marcello -. In un attimo il bitume ha cosparso la zona e allora ho capito che era successo qualcosa di strano. Mi sono messo a correre e anche gli altri colleghi che erano lì sono scappati. Mentre fuggivo sono scivolato cadendo a terra e procurandomi le ustioni. Anche se il bitume non è infiammabile viene comunque tenuto ad una temperatura di 180 gradi. Mentre mi allontanavo per arrivare alla Statale ho sentito un altro boato più forte del primo e ho visto che alle mie spalle si alzava una colonna di fumo e fiamme. Temevo che potesse esplodere uno dei serbatoi più grandi. E' vero che se fosse accaduto non ci sarebbe stato comunque scampo ma sul momento il mio unico pensiero è stato quello di allontanarmi il più possibile da quell'inferno. Quando si è in una raffineria non sai mai quello che può accadere e come può evolvere la situazione". Paerez, che è in Italia da tre anni e dal gennaio scorso lavora per la cooperativa Caf, si trova ora ricoverato nel reparto di clinica dermatologica.

 
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