Quella
disperata corsa sul catrame
La drammatica testimonianza
di Marcelo Pelaez ustionato alle mani e alle caviglie: “Era
un fiume rovente, dopo il boato volevo solo fuggire”
di CATERINA CANTORI
ANCONA - "Cosa ho pensato in
quel momento? Solo a correre. Più forte possibile". Racconta
l'inferno vissuto poche ore prima da un letto della sala
emergenza del pronto soccorso dell'ospedale regionale con lo
sguardo che riflette la paura vissuta e il sollievo per lo
scampato pericolo. Alcune tracce di bitume sul volto
sembrano voler raccontare una storia fatta di lavoro e
terrore. Una storia vissuta soltanto poche ore prima.
Marcello Pelaez, 32 anni, di origine argentina ma residente
ad Angeli di Rosora, dipendente della cooperativa Caf, aveva
appena terminato di effettuare il carico di bitume nel suo
camion quando ha sentito lo scoppio che annunciava le
drammatiche ore che sarebbero seguite. Dietro al suo
autocarro c'era quello di Nicola Cilli, 36 anni,
l'autotrasportatore che ha riportato ustioni di varia
gravità su quasi il 40% del corpo e le cui condizioni hanno
reso necessario il trasferimento al centro grandi ustioni
dell’ospedale civile di Padova dove è ricoverato in prognosi
riservata.
"Mentre effettuavo il carico
avevo visto che Cilli era dietro di me - racconta Marcello
-. Poi l'ho rivisto sulla barella mentre lo stavano
caricando per portarlo all'ospedale. Ricordo che sul posto,
oltre me e Cilli, c'erano altri tre o quattro
autotrasportatori e un paio di operai dell'Api". Le ustioni
alle mani e alle caviglie riportate dall'argentino
testimoniano la fuga disperata tra il fiume di bitume che
aveva invaso la zona dove gli autotrasportatori stavano
facendo il rifornimento. Una corsa per allontanarsi il più
possibile da un luogo che poteva trasformarsi in una
trappola di fuoco. "Avevo terminato di caricare il bitume e
stavo effettuando la manovra di retromarcia quando ho
sentito un piccolo scoppio. Sono sceso dall'abitacolo per
vedere cosa fosse accaduto o se avevo urtato qualcosa.
Invece dietro di me era tutto a posto - racconta Marcello -.
In un attimo il bitume ha cosparso la zona e allora ho
capito che era successo qualcosa di strano. Mi sono messo a
correre e anche gli altri colleghi che erano lì sono
scappati. Mentre fuggivo sono scivolato cadendo a terra e
procurandomi le ustioni. Anche se il bitume non è
infiammabile viene comunque tenuto ad una temperatura di 180
gradi. Mentre mi allontanavo per arrivare alla Statale ho
sentito un altro boato più forte del primo e ho visto che
alle mie spalle si alzava una colonna di fumo e fiamme.
Temevo che potesse esplodere uno dei serbatoi più grandi. E'
vero che se fosse accaduto non ci sarebbe stato comunque
scampo ma sul momento il mio unico pensiero è stato quello
di allontanarmi il più possibile da quell'inferno. Quando si
è in una raffineria non sai mai quello che può accadere e
come può evolvere la situazione". Paerez, che è in Italia da
tre anni e dal gennaio scorso lavora per la cooperativa Caf,
si trova ora ricoverato nel reparto di clinica
dermatologica. |