RASSEGNA STAMPA 18.05.2004

 

MESSAGGERO
Incendio all’Api, troppi ritardi nel sequestro del deposito 52

di GIAMPAOLO MILZI

Quando il botto e l'incendio all'Api bruciarono le vite delle tute blu Mario Gandolfi e Ettore Giuliani i sistemi di sicurezza erano migliorabili ma a norma di legge. Ma i vigili del fuoco, dopo i primi interventi di quel 25 agosto 1999 in raffineria, pur in buona fede, presero un granchio: accentrarono l'attenzione sulla sala pompe del serbatoio 209, perché lì, in area Sif, si erano sviluppate le fiamme, e l'unica linea in cui era in atto in quel momento un trasferimento di carburante al deposito nazionale era quella del 209; solo dopo due giorni - visto che per domare il rogo fu risolutiva la chiusura da parte degli operai di valvole di tubazioni a mare della ferrovia (e non in zona a monte, a centinaia di metri di distanza) si capì che le cause erano legate al deposito 52 e alla sua linea. E' il succo della deposizione di ieri in Tribunale dall'ing. Dino Poggiali, all'epoca vicecomandante dei vigili del fuoco. Il testimone ha risposto sulla relazione da lui stesa il 27 agosto a proposito del suo operato di direzione dei pompieri sul posto; e ha illustrato il verbale delle dichiarazioni rese in procura il 10 giugno 2002. Il summit tra il pm e Poggiali del 27 agosto portò al sequestro della Sif e dei serbatoi di quella zona. «Solo 20 giorni dopo - ha detto il pm Tedeschini a margine del processo - quando era tardi per fini investigativi, capimmo che avremmo dovuto sequestrare il resto, il deposito 52 (da cui, si scoprì, era in corso il trasferimento di benzina verde al nazionale legato al disastro, ndr.)». Un ritardo spiegabile, forse, con un'altra affermazione di Poggiali in aula: «Quando cercai coi responsabili degli impianti di focalizzare gli elementi che avevano contribuito all'incendio non ci dettero indicazioni nel senso del 52». Una mancata collaborazione iniziale dell'Api con gli inquirenti? Il pm non ha mai chiuso il fascicolo d'inchiesta aperto a carico di ignoti su questo nodo. Ma in udienza l'avvocato difensore Vettori ha criticato «il continuo ritornare della pubblica accusa sul punto: è chiaro che l'azienda ha sempre collaborato al massimo». Il processo riprende domani.

Polita: «Rifondazione non merita risposta»

Caso Turbogas

di V.L.

JESI «Rifondazione comunista non merita nessun tipo di risposta». E’ gelida la reazione dell'ex sindaco Marco Polita di fronte all'accusa che il Prc gli ha rivolto. Sulla vicenda Turbogas, infatti, secondo Rifondazione «i Ds sapevano che gli impianti in Vallesina sarebbero stati tre, ma favorirono gli interessi della Sadam-Edison a scapito della salute dei cittadini». Per Polita sono accuse infondate: «Rifondazione - continua infatti l'ex primo cittadino - non fa osservazioni serie, è un attacco puramente gratuito. Non ritenendo serie queste accuse, non ho intenzione di commentarle. Avrei replicato a contestazioni più ponderate e costruttive, ma non è questo il caso». Nei giorni scorsi Rc è tornata sulla vicenda che allora provocò l'uscita dalla maggioranza proprio di Rc e dei Verdi, che assieme ai militanti del centro sociale Tnt organizzarono l'Assemblea permanente contro la Turbogas.

 
CORRIERE ADRIATICO
Rogo all'Api, l'abbaglio sui sigilli

Il serbatoio incriminato non era nell'area sequestrata. Il vice comandante dei vigili del fuoco Poggiali: "Non riuscimmo a capire subito quale linea alimentasse le fiamme"

Solo alcuni giorni dopo l'incendio scoppiato il 25 agosto '99 all'Api i vigili del fuoco riuscirono a capire qual' era la linea che alimentava le fiamme, tanto che il serbatoio 52 (quello da cui proveniva il carburante) non fu compreso nell'area posta sotto sequestro dal pm Cristina Tedeschini. La circostanza è emersa dalla testimonianza dell'ex vice-comandante dei vigili del fuoco di Ancona Dino Poggiali, nel processo che vede sei persone - tra i quali l'ex direttore della raffineria Giovanni Saronne, quello attuale Franco Bellucci, allora capo servizio operativo dello stabilimento - accusate di omicidio colposo plurimo per la morte dei due operai Ettore Giulian e Mario Gandolfi. "Quando arrivai, poco dopo la squadra di soccorso - ha detto Poggiali - erano circa le sei e l'incendio era ancora preoccupante per dimensioni e sviluppo. Verso le 8 - ha continuato il testimone - le fiamme iniziarono a calare: solo in una ricostruzione a posteriori riuscimmo a capire che lo spegnimento era correlato alla chiusura, da parte di operai, di valvole e tubazioni che stavano a monte dello stabilimento". Su presunte omissioni o comportamenti di ostacolo alle indagini il pm aveva a suo tempo aperto un fascicolo contro ignoti. Il giudice monocratico Vincenzo Capezza ha ammesso, tra gli altri documenti, l'acquisizione dei verbali resi da Poggiali al sostituto procuratore della Repubblica Cristina Tedeschini nel giugno 2002. "In un primo momento - ha detto Poggiali che coordinò l' intervento d'emergenza - focalizzammo la nostra attenzione sull' ipotesi che il carburante arrivasse dal serbatoio 209 (più vicino al luogo dell'esplosione ndr) ma poi notammo che la portata dello sversamento lo escludeva". D'altra parte, ha aggiunto Poggiali, "il serbatoio 52 si trovava invece a circa 70 metri dall'area posta sotto sequestro". Rispondendo ad una domanda della parte civile sullo stato delle attrezzature di sicurezza, Poggiali ha operato una distinzione. Sugli impianti, ha detto di "non essere in grado di descriverne lo stato poiché la loro gestione, anche durante l' incendio, spettava a personale della raffineria". Quanto alle apparecchiature antincendio, una di quelle che portavano acqua e schiuma "era danneggiata", ipotizzando però "che ciò fosse dovuto alla precedente esplosione". Sulle prescrizioni date all'Api, una settimana dopo il rogo, dal comitato tecnico regionale di prevenzione incendi - riguardanti, ad esempio, nuovi meccanismi di chiusura automatica e non manuale delle valvole, di rilevazione di fughe di gas o liquidi infiammabili, riorganizzazione della squadra antincendio - Poggiali ha precisato che "non c' era al momento dei fatti, e ancora non c' è, una legge specifica che imponesse quel tipo di misure. Le indicazioni erano state date solo per la preoccupazione che il fatto potesse ripetersi".

Margherita e Rc Ancora gelo

La pace non funziona

di MARINA MINELLI

FALCONARA - "E' offensivo che la Margherita dica di accettare eventualmente solo un nostro appoggio esterno". Secondo Massimo Marcelli Flori capo gruppo comunale di Rifondazione Comunista, impegnato da qualche settimana insieme ad altri esponenti del suo partito, nella verifica di un possibile avvicinamento con la giunta Carletti, la posizione della Margherita (che ieri sera non ha preso parte all'incontro tra partiti della maggioranza maggioranza e Rc) rende sicuramente "tutto molto più difficile". Quindi nonostante le ampie schiarite fra Ds falconaresi e Rifondazione che, dopo l'incontro del disgelo svoltosi nei giorni scorsi, anche lunedì scorso si sono visti per affrontare alcuni grandi temi, i tempi sembrano dilatarsi. "E' assurdo chiederci un appoggio tecnico - afferma Marcelli Flori - perché in effetti è quanto già avviene da anni, noi non siamo mai stati aprioristicamente contro le decisioni di Carletti, tanto è vero che abbiamo votato a favore del Prg". La Margherita, che attraverso il coordinatore cittadino (e presidente del consiglio comunale) Marco Salustri, parla di "decisioni affrettate", fa sapere di "non ritenere opportuno l'incontro con tutta la maggioranza compresa Rifondazione" in quanto prima non c'è mai stato modo di discutere della cosa con gli stessi partiti della coalizione di giunta. "Avremmo preferito una verifica interna alla maggioranza - spiega Salustri - per avviare un percorso di confronto. Noi non sappiamo in effetti cosa sia cambiato nel frattempo perché Rifondazione Comunista fino ad ora ha visto solo i Ds i quali non ci hanno mai riferito ufficialmente nulla, ma la maggioranza non è fatta solo dai Ds. Ci sembra sia il momento per dare un po' di serietà alla politica". E di Rc nella giunta di centro-sinistra gli uomini della Margherita non vogliono sentir parlare almeno fino al 2006.

Dossi artificiali in via Marconi

La via che conduce al quartiere Stadio è pericolosa: 50 mila euro per correre ai ripari

di MARINA MINELLI

FALCONARA - Costerà poco meno di 50 mila euro e verrà realizzato dal Cam un intervento per la regolamentazione del traffico e la limitazione della velocità lungo via Marconi nel quartiere Case Unrra-Stadio. La giunta comunale di Falconara infatti ha approvato la scorsa settimana il progetto per la realizzazione di dossi artificiali a protezione dei passaggi pedonali. Gli attraversamenti da adeguare sono quattro a partire dall'intersezione con via Aeroporto all'altezza della mensa centralizzata, fino all'incrocio di via Stadio, all'altezza del Consorzio. Tutti i dossi saranno realizzati in conglomerato bituminoso, mentre la zona degli attraversamenti pedonali, sarà evidenziata con vernice rossa e le rampe saranno verniciate con strisce di colore giallo a segnalazione del dislivello presente. Tre passaggi pedonali saranno dotati di lampeggianti di colore giallo con funzionamento notturno, mentre quello all'altezza del bar "Orologio" verrà servito da un impianto semaforico con chiamata. All'origine della scelta compiuta dall'Amministrazione unitamente al Comando di Polizia Municipale, informa una nota ufficiale, "c'è la necessità di limitare la velocità per garantire al massimo la sicurezza dei pedoni" come da tempo richiesto da tutti i residenti in un quartiere che negli anni si è sviluppato sui due lati di via Marconi. L'alternativa poteva essere il semaforo "intelligente" ovvero l'apparecchio munito di radar che, registrando a distanza la velocità eccessiva della vettura, poteva far scattare il rosso. Il Comune ha voluto optare per la prima soluzione preferendo i rallentamenti all'interruzione, seppur momentanea, della viabilità. Sempre per quanto concerne il miglioramento delle strade sono in corso lavori per la messa in sicurezza di carreggiate e sedi stradali in molte zone della città. In via Bixio (nel tratto compreso fra le vie XX Settembre e Roma) ed in via Rosselli (nel tratto compreso fra le vie Amendola e IV Novembre) i lavori per il rifacimento del manto stradale, sempre effettuati a cura del Cam, si sono conclusi rispettivamente il 14 ed il 15 maggio e sono in fase di avvio in altri quartieri falconaresi.

Le frecciate di Balestra

"Per la Turbogas jesina si è percorsa la migliore strada possibile Essere additato come un servo della Sadam mi dà molto fastidio" Centrali in Vallesina, strali del capogruppo Ds contro Rc e Regione

di CLAUDIA ANTOLINI

Riesplode la polemica sulla concentrazione di centrali in Vallesina, dopo l'annuncio da parte dell'Enel di voler rendere operative per le emergenze quella di Camerata Picena. Ad attizzare di nuovo la miccia è il capogruppo dei Ds jesini. Ad Antonio Balestra non sono piaciute affatto, in sostanza, le dichiarazioni del gruppo cittadino di Rifondazione, pronto a ricordare (come ha fatto con una nota) la sua battaglia contro la Turbogas fino ad uscire dall'allora maggioranza. A quanto pare, insomma, la questione della concentrazione nel nostro territorio di ben tre centrali elettriche crea maretta all'interno della coalizione di governo ancora oggi. "Penso di non essere tra quelli che erano schierati a favore della centrale di Jesi - afferma Balestra - credo anzi di esserne stato uno dei più acerrimi oppositori. Ma l'essere additato da qualche partito politico come un servo della Sadam mi dà un senso di fastidio. E poi da chi?". La risposta la dà sempre il capogruppo: "Da chi si è opposto perché in fondo preferiva alzare le bandiere piuttosto che ammettere che quella strada che il Comune di Jesi ha praticato era l'unica possibile, l'unica che permetteva di limitare i danni di quella centrale, l'unica che ha ottenuto qualche risultato tangibile". La questione, ovviamente, è quella della concessione dell'autorizzazione all'Edison Sadam per la costruzione della nuova Turbogas, quando primo cittadino era Marco Polita. Balestra però ricorda come "altre strade non c'erano. Le possibilità erano due: avere il primo progetto, scartato più volte, o quello che è stato approvato. Nel ricorso che l'azienda aveva fatto, il Comune sarebbe uscito sconfitto e allora il Consorzio avrebbe avuto le mani libere. E non si poteva tentare neppure il referendum proposto per bloccare la centrale (di cui ero il primo firmatario) perché era stato bocciato dalla giustizia amministrativa". Il numero uno della Quercia in Consiglio chiama poi in causa tutto il partito quando scrive che "Polita non era solo all'interno dei Democratici di sinistra. Anzi tanti compagni, tra cui il sottoscritto, lo hanno sostenuto nella sua lotta. C'ero anch'io tra quelli che lo accompagnarono a Roma per la prima sentenza del Consiglio di Stato, sempre in prima fila per il bene dei cittadini. Ma poi non è colpa dei Ds di Jesi se non c'erano altre strade se non quella di approvare la centrale". Ed ecco Balestra che non si fa problemi a puntare il dito proprio contro la Regione, amministrata da un governo di centrosinistra. "Abbiamo fatto di tutto, ma in assenza di un Piano energetico regionale - osserva - in assenza di enti sovracomunali che bloccassero la strada, il Comune non poteva fare di più. Ora tocca a loro bloccare la centrale di Camerata Picena. Dopo essersi impegnati più volte a parole, lo facciano e non scarichino su altri quello che dovevano fare loro: ossia programmare e controllare".

 
RESTO DEL CARLINO
«Centrale di picco» L'Enel spegne il caso di Camerata Picena

Nessun rischio di inquinamento

di Sergio Federici

JESI - L'Enel mette fine alla polemica sull'impianto di Camerata Picena. Dopo i tanti discorsi politici dei giorni scorsi, dopo gli allarmi lanciati sulla riattivazione della centrale turbogas, ecco farsi largo la voce dell'azienda. E lo fa in maniera ufficiale, attraverso una nota: «Camerata Picena rimane un impianto turbogas e conserva la sua specifica attitudine che è quella di rispondere in breve tempo alla richiesta di potenza e di energia che si può manifestare sulla rete elettrica italiana. E' quindi una risorsa strategica per gli interventi rapidi, insostituibile nel suo ruolo come gli altri impianti dello stesso tipo che sono dei presidi anti-blackout». Tutto chiaro? Beh, se per caso fosse sfuggito qualcosa, ecco il rincalzo: «Gli investimenti per il riavvio di questo impianto, assieme a quelli ubicati a: Campomarino e Larino-Campobasso, Maddaloni-Caserta, Carpi-Modena, Giugliano-Napoli, Montalto-Viterbo e Alessandria, erano stati deliberati dal CdA del 2 luglio 2003, dopo aver preso atto della situazione del settore elettrico italiano e al fine di costituire una potenza di riserva da utilizzare nei momenti di emergenza (indicativamente 100 ore l'anno)». Il che tradotto in giorni, significa accenderla cinque giorni l'anno. Insomma, un lasso di tempo molto ristretto, che difficilmente potrebbe arrecare gravi danni. Ma quel che conta e che si tratta di potenza da utilizzare solo nei momenti di emergenza. E quanto avevano chiesto gli amministratori locali per circoscrivere al massimo l'attività della centrale di Camerata. Ed e quanto l'Enel promette. Con la speranza che si ponga termine al dibattito sulla centrale turbogas: un confronto che ha visto Rifondazione comunista puntare il dito sulle scelte fatte da Marco Polita quando era a capo dell'esecutivo jesino. All'ex primo cittadino i neo comu-nisti non hanno risparmiato critiche sull''impatto ambientale che provocano questi siti. Un argomento delicato su cui l'Enel vuol tranquillizzare I'opinione pubblica: «La centrale turbogas Enel di Camerata Picena per produrre energia elettrica utilizza metano ed è perfettamente ambientalizzata tanto da essere stata definita un impianto modello, dal punto di vista ambientale, per il fatto di trovarsi all'interno di un bosco esteso circa 20 ettari, piantumato da Enel in occasione della costruzione della centrale, dove nel corso dei decenni si sono insediate varie specie animali e soprattutto una grande varietà di uccelli». Come dire che da questo punto di vista, il sito ha le carte in regola.

 
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