Incendio all’Api, troppi
ritardi nel sequestro del deposito 52
di GIAMPAOLO MILZI
Quando il botto e l'incendio
all'Api bruciarono le vite delle tute blu Mario Gandolfi e
Ettore Giuliani i sistemi di sicurezza erano migliorabili ma
a norma di legge. Ma i vigili del fuoco, dopo i primi
interventi di quel 25 agosto 1999 in raffineria, pur in
buona fede, presero un granchio: accentrarono l'attenzione
sulla sala pompe del serbatoio 209, perché lì, in area Sif,
si erano sviluppate le fiamme, e l'unica linea in cui era in
atto in quel momento un trasferimento di carburante al
deposito nazionale era quella del 209; solo dopo due giorni
- visto che per domare il rogo fu risolutiva la chiusura da
parte degli operai di valvole di tubazioni a mare della
ferrovia (e non in zona a monte, a centinaia di metri di
distanza) si capì che le cause erano legate al deposito 52 e
alla sua linea. E' il succo della deposizione di ieri in
Tribunale dall'ing. Dino Poggiali, all'epoca vicecomandante
dei vigili del fuoco. Il testimone ha risposto sulla
relazione da lui stesa il 27 agosto a proposito del suo
operato di direzione dei pompieri sul posto; e ha illustrato
il verbale delle dichiarazioni rese in procura il 10 giugno
2002. Il summit tra il pm e Poggiali del 27 agosto portò al
sequestro della Sif e dei serbatoi di quella zona. «Solo 20
giorni dopo - ha detto il pm Tedeschini a margine del
processo - quando era tardi per fini investigativi, capimmo
che avremmo dovuto sequestrare il resto, il deposito 52 (da
cui, si scoprì, era in corso il trasferimento di benzina
verde al nazionale legato al disastro, ndr.)». Un ritardo
spiegabile, forse, con un'altra affermazione di Poggiali in
aula: «Quando cercai coi responsabili degli impianti di
focalizzare gli elementi che avevano contribuito
all'incendio non ci dettero indicazioni nel senso del 52».
Una mancata collaborazione iniziale dell'Api con gli
inquirenti? Il pm non ha mai chiuso il fascicolo d'inchiesta
aperto a carico di ignoti su questo nodo. Ma in udienza
l'avvocato difensore Vettori ha criticato «il continuo
ritornare della pubblica accusa sul punto: è chiaro che
l'azienda ha sempre collaborato al massimo». Il processo
riprende domani.
Polita: «Rifondazione non
merita risposta»
Caso Turbogas
di V.L.
JESI «Rifondazione comunista
non merita nessun tipo di risposta». E’ gelida la reazione
dell'ex sindaco Marco Polita di fronte all'accusa che il Prc
gli ha rivolto. Sulla vicenda Turbogas, infatti, secondo
Rifondazione «i Ds sapevano che gli impianti in Vallesina
sarebbero stati tre, ma favorirono gli interessi della
Sadam-Edison a scapito della salute dei cittadini». Per
Polita sono accuse infondate: «Rifondazione - continua
infatti l'ex primo cittadino - non fa osservazioni serie, è
un attacco puramente gratuito. Non ritenendo serie queste
accuse, non ho intenzione di commentarle. Avrei replicato a
contestazioni più ponderate e costruttive, ma non è questo
il caso». Nei giorni scorsi Rc è tornata sulla vicenda che
allora provocò l'uscita dalla maggioranza proprio di Rc e
dei Verdi, che assieme ai militanti del centro sociale Tnt
organizzarono l'Assemblea permanente contro la Turbogas.
|
Rogo all'Api, l'abbaglio sui
sigilli Il
serbatoio incriminato non era nell'area sequestrata. Il vice
comandante dei vigili del fuoco Poggiali: "Non riuscimmo a
capire subito quale linea alimentasse le fiamme"
Solo alcuni giorni dopo
l'incendio scoppiato il 25 agosto '99 all'Api i vigili del
fuoco riuscirono a capire qual' era la linea che alimentava
le fiamme, tanto che il serbatoio 52 (quello da cui
proveniva il carburante) non fu compreso nell'area posta
sotto sequestro dal pm Cristina Tedeschini. La circostanza è
emersa dalla testimonianza dell'ex vice-comandante dei
vigili del fuoco di Ancona Dino Poggiali, nel processo che
vede sei persone - tra i quali l'ex direttore della
raffineria Giovanni Saronne, quello attuale Franco Bellucci,
allora capo servizio operativo dello stabilimento - accusate
di omicidio colposo plurimo per la morte dei due operai
Ettore Giulian e Mario Gandolfi. "Quando arrivai, poco dopo
la squadra di soccorso - ha detto Poggiali - erano circa le
sei e l'incendio era ancora preoccupante per dimensioni e
sviluppo. Verso le 8 - ha continuato il testimone - le
fiamme iniziarono a calare: solo in una ricostruzione a
posteriori riuscimmo a capire che lo spegnimento era
correlato alla chiusura, da parte di operai, di valvole e
tubazioni che stavano a monte dello stabilimento". Su
presunte omissioni o comportamenti di ostacolo alle indagini
il pm aveva a suo tempo aperto un fascicolo contro ignoti.
Il giudice monocratico Vincenzo Capezza ha ammesso, tra gli
altri documenti, l'acquisizione dei verbali resi da Poggiali
al sostituto procuratore della Repubblica Cristina
Tedeschini nel giugno 2002. "In un primo momento - ha detto
Poggiali che coordinò l' intervento d'emergenza -
focalizzammo la nostra attenzione sull' ipotesi che il
carburante arrivasse dal serbatoio 209 (più vicino al luogo
dell'esplosione ndr) ma poi notammo che la portata dello
sversamento lo escludeva". D'altra parte, ha aggiunto
Poggiali, "il serbatoio 52 si trovava invece a circa 70
metri dall'area posta sotto sequestro". Rispondendo ad una
domanda della parte civile sullo stato delle attrezzature di
sicurezza, Poggiali ha operato una distinzione. Sugli
impianti, ha detto di "non essere in grado di descriverne lo
stato poiché la loro gestione, anche durante l' incendio,
spettava a personale della raffineria". Quanto alle
apparecchiature antincendio, una di quelle che portavano
acqua e schiuma "era danneggiata", ipotizzando però "che ciò
fosse dovuto alla precedente esplosione". Sulle prescrizioni
date all'Api, una settimana dopo il rogo, dal comitato
tecnico regionale di prevenzione incendi - riguardanti, ad
esempio, nuovi meccanismi di chiusura automatica e non
manuale delle valvole, di rilevazione di fughe di gas o
liquidi infiammabili, riorganizzazione della squadra
antincendio - Poggiali ha precisato che "non c' era al
momento dei fatti, e ancora non c' è, una legge specifica
che imponesse quel tipo di misure. Le indicazioni erano
state date solo per la preoccupazione che il fatto potesse
ripetersi".
Margherita e Rc Ancora
gelo
La pace non funziona
di MARINA MINELLI
FALCONARA - "E' offensivo che
la Margherita dica di accettare eventualmente solo un nostro
appoggio esterno". Secondo Massimo Marcelli Flori capo
gruppo comunale di Rifondazione Comunista, impegnato da
qualche settimana insieme ad altri esponenti del suo
partito, nella verifica di un possibile avvicinamento con la
giunta Carletti, la posizione della Margherita (che ieri
sera non ha preso parte all'incontro tra partiti della
maggioranza maggioranza e Rc) rende sicuramente "tutto molto
più difficile". Quindi nonostante le ampie schiarite fra Ds
falconaresi e Rifondazione che, dopo l'incontro del disgelo
svoltosi nei giorni scorsi, anche lunedì scorso si sono
visti per affrontare alcuni grandi temi, i tempi sembrano
dilatarsi. "E' assurdo chiederci un appoggio tecnico -
afferma Marcelli Flori - perché in effetti è quanto già
avviene da anni, noi non siamo mai stati aprioristicamente
contro le decisioni di Carletti, tanto è vero che abbiamo
votato a favore del Prg". La Margherita, che attraverso il
coordinatore cittadino (e presidente del consiglio comunale)
Marco Salustri, parla di "decisioni affrettate", fa sapere
di "non ritenere opportuno l'incontro con tutta la
maggioranza compresa Rifondazione" in quanto prima non c'è
mai stato modo di discutere della cosa con gli stessi
partiti della coalizione di giunta. "Avremmo preferito una
verifica interna alla maggioranza - spiega Salustri - per
avviare un percorso di confronto. Noi non sappiamo in
effetti cosa sia cambiato nel frattempo perché Rifondazione
Comunista fino ad ora ha visto solo i Ds i quali non ci
hanno mai riferito ufficialmente nulla, ma la maggioranza
non è fatta solo dai Ds. Ci sembra sia il momento per dare
un po' di serietà alla politica". E di Rc nella giunta di
centro-sinistra gli uomini della Margherita non vogliono
sentir parlare almeno fino al 2006.
Dossi artificiali in via
Marconi
La via che conduce al
quartiere Stadio è pericolosa: 50 mila euro per correre ai
ripari
di MARINA MINELLI
FALCONARA - Costerà poco meno
di 50 mila euro e verrà realizzato dal Cam un intervento per
la regolamentazione del traffico e la limitazione della
velocità lungo via Marconi nel quartiere Case Unrra-Stadio.
La giunta comunale di Falconara infatti ha approvato la
scorsa settimana il progetto per la realizzazione di dossi
artificiali a protezione dei passaggi pedonali. Gli
attraversamenti da adeguare sono quattro a partire
dall'intersezione con via Aeroporto all'altezza della mensa
centralizzata, fino all'incrocio di via Stadio, all'altezza
del Consorzio. Tutti i dossi saranno realizzati in
conglomerato bituminoso, mentre la zona degli
attraversamenti pedonali, sarà evidenziata con vernice rossa
e le rampe saranno verniciate con strisce di colore giallo a
segnalazione del dislivello presente. Tre passaggi pedonali
saranno dotati di lampeggianti di colore giallo con
funzionamento notturno, mentre quello all'altezza del bar
"Orologio" verrà servito da un impianto semaforico con
chiamata. All'origine della scelta compiuta
dall'Amministrazione unitamente al Comando di Polizia
Municipale, informa una nota ufficiale, "c'è la necessità di
limitare la velocità per garantire al massimo la sicurezza
dei pedoni" come da tempo richiesto da tutti i residenti in
un quartiere che negli anni si è sviluppato sui due lati di
via Marconi. L'alternativa poteva essere il semaforo
"intelligente" ovvero l'apparecchio munito di radar che,
registrando a distanza la velocità eccessiva della vettura,
poteva far scattare il rosso. Il Comune ha voluto optare per
la prima soluzione preferendo i rallentamenti
all'interruzione, seppur momentanea, della viabilità. Sempre
per quanto concerne il miglioramento delle strade sono in
corso lavori per la messa in sicurezza di carreggiate e sedi
stradali in molte zone della città. In via Bixio (nel tratto
compreso fra le vie XX Settembre e Roma) ed in via Rosselli
(nel tratto compreso fra le vie Amendola e IV Novembre) i
lavori per il rifacimento del manto stradale, sempre
effettuati a cura del Cam, si sono conclusi rispettivamente
il 14 ed il 15 maggio e sono in fase di avvio in altri
quartieri falconaresi.
Le frecciate di Balestra
"Per la Turbogas jesina si è
percorsa la migliore strada possibile Essere additato come
un servo della Sadam mi dà molto fastidio" Centrali in
Vallesina, strali del capogruppo Ds contro Rc e Regione
di CLAUDIA ANTOLINI
Riesplode la polemica sulla
concentrazione di centrali in Vallesina, dopo l'annuncio da
parte dell'Enel di voler rendere operative per le emergenze
quella di Camerata Picena. Ad attizzare di nuovo la miccia è
il capogruppo dei Ds jesini. Ad Antonio Balestra non sono
piaciute affatto, in sostanza, le dichiarazioni del gruppo
cittadino di Rifondazione, pronto a ricordare (come ha fatto
con una nota) la sua battaglia contro la Turbogas fino ad
uscire dall'allora maggioranza. A quanto pare, insomma, la
questione della concentrazione nel nostro territorio di ben
tre centrali elettriche crea maretta all'interno della
coalizione di governo ancora oggi. "Penso di non essere tra
quelli che erano schierati a favore della centrale di Jesi -
afferma Balestra - credo anzi di esserne stato uno dei più
acerrimi oppositori. Ma l'essere additato da qualche partito
politico come un servo della Sadam mi dà un senso di
fastidio. E poi da chi?". La risposta la dà sempre il
capogruppo: "Da chi si è opposto perché in fondo preferiva
alzare le bandiere piuttosto che ammettere che quella strada
che il Comune di Jesi ha praticato era l'unica possibile,
l'unica che permetteva di limitare i danni di quella
centrale, l'unica che ha ottenuto qualche risultato
tangibile". La questione, ovviamente, è quella della
concessione dell'autorizzazione all'Edison Sadam per la
costruzione della nuova Turbogas, quando primo cittadino era
Marco Polita. Balestra però ricorda come "altre strade non
c'erano. Le possibilità erano due: avere il primo progetto,
scartato più volte, o quello che è stato approvato. Nel
ricorso che l'azienda aveva fatto, il Comune sarebbe uscito
sconfitto e allora il Consorzio avrebbe avuto le mani
libere. E non si poteva tentare neppure il referendum
proposto per bloccare la centrale (di cui ero il primo
firmatario) perché era stato bocciato dalla giustizia
amministrativa". Il numero uno della Quercia in Consiglio
chiama poi in causa tutto il partito quando scrive che
"Polita non era solo all'interno dei Democratici di
sinistra. Anzi tanti compagni, tra cui il sottoscritto, lo
hanno sostenuto nella sua lotta. C'ero anch'io tra quelli
che lo accompagnarono a Roma per la prima sentenza del
Consiglio di Stato, sempre in prima fila per il bene dei
cittadini. Ma poi non è colpa dei Ds di Jesi se non c'erano
altre strade se non quella di approvare la centrale". Ed
ecco Balestra che non si fa problemi a puntare il dito
proprio contro la Regione, amministrata da un governo di
centrosinistra. "Abbiamo fatto di tutto, ma in assenza di un
Piano energetico regionale - osserva - in assenza di enti
sovracomunali che bloccassero la strada, il Comune non
poteva fare di più. Ora tocca a loro bloccare la centrale di
Camerata Picena. Dopo essersi impegnati più volte a parole,
lo facciano e non scarichino su altri quello che dovevano
fare loro: ossia programmare e controllare". |
«Centrale di picco» L'Enel
spegne il caso di Camerata Picena
Nessun rischio di inquinamento
di Sergio Federici
JESI - L'Enel mette fine alla
polemica sull'impianto di Camerata Picena. Dopo i tanti
discorsi politici dei giorni scorsi, dopo gli allarmi
lanciati sulla riattivazione della centrale turbogas, ecco
farsi largo la voce dell'azienda. E lo fa in maniera
ufficiale, attraverso una nota: «Camerata Picena rimane un
impianto turbogas e conserva la sua specifica attitudine che
è quella di rispondere in breve tempo alla richiesta di
potenza e di energia che si può manifestare sulla rete
elettrica italiana. E' quindi una risorsa strategica per gli
interventi rapidi, insostituibile nel suo ruolo come gli
altri impianti dello stesso tipo che sono dei presidi
anti-blackout». Tutto chiaro? Beh, se per caso fosse
sfuggito qualcosa, ecco il rincalzo: «Gli investimenti per
il riavvio di questo impianto, assieme a quelli ubicati a:
Campomarino e Larino-Campobasso, Maddaloni-Caserta,
Carpi-Modena, Giugliano-Napoli, Montalto-Viterbo e
Alessandria, erano stati deliberati dal CdA del 2 luglio
2003, dopo aver preso atto della situazione del settore
elettrico italiano e al fine di costituire una potenza di
riserva da utilizzare nei momenti di emergenza
(indicativamente 100 ore l'anno)». Il che tradotto in
giorni, significa accenderla cinque giorni l'anno. Insomma,
un lasso di tempo molto ristretto, che difficilmente
potrebbe arrecare gravi danni. Ma quel che conta e che si
tratta di potenza da utilizzare solo nei momenti di
emergenza. E quanto avevano chiesto gli amministratori
locali per circoscrivere al massimo l'attività della
centrale di Camerata. Ed e quanto l'Enel promette. Con la
speranza che si ponga termine al dibattito sulla centrale
turbogas: un confronto che ha visto Rifondazione comunista
puntare il dito sulle scelte fatte da Marco Polita quando
era a capo dell'esecutivo jesino. All'ex primo cittadino i
neo comu-nisti non hanno risparmiato critiche sull''impatto
ambientale che provocano questi siti. Un argomento delicato
su cui l'Enel vuol tranquillizzare I'opinione pubblica: «La
centrale turbogas Enel di Camerata Picena per produrre
energia elettrica utilizza metano ed è perfettamente
ambientalizzata tanto da essere stata definita un impianto
modello, dal punto di vista ambientale, per il fatto di
trovarsi all'interno di un bosco esteso circa 20 ettari,
piantumato da Enel in occasione della costruzione della
centrale, dove nel corso dei decenni si sono insediate varie
specie animali e soprattutto una grande varietà di uccelli».
Come dire che da questo punto di vista, il sito ha le carte
in regola. |