RASSEGNA STAMPA 17.02.2004

 

IL MESSAGGERO
Dati ambientali, inchiesta a Falconara

Ditte esterne all’Api nel mirino di carabinieri e Arpam su delega della Procura

di GIAMPAOLO MILZI

FALCONARA - Ambiente ancora nel mirino degli investigatori a Falconara. Un'informazione di garanzia, perquisizioni, sequestri di documenti, atti e dossier informatici, controlli, monitoraggi e analisi di laboratorio: è un'indagine delicatissima e in pieno corso quella che vede impegnati i Noe dei carabinieri e l'Arpam su delega del procuratore capo della Repubblica Vincenzo Luzi. Al centro dell'inchiesta, il modo in cui negli ultimi due anni la "Remedia spa" e altre due aziende specializzate, tutte di Milano, hanno condotto per conto dell'Api (che al momento risulta comunque estranea all’inchiesta) la fase di messa in sicurezza per il contenimento dell'inquinamento, funzionale alla successiva bonifica, del sito di raffinazione petrolifera falconarese, compreso nella "lista nera" nazionale di quelli industriali ad alto rischio. In base a questi dati, secondo l’ipotesi dell’inchiesta giudiziaria, i dati truccati sarebero volti a legittimare un risanamento verde più sfumato e al risparmio di quanto imporrebbero le esigenze di sicurezza pubblica. Nell'avviso di garanzia consegnato al rappresentante legale della "Remedia" si ipotizzano due filoni di illeciti penali connessi: la manipolazione dei "dati di campo" che indicano la reale situazione di contaminazione dell'area superficiale e sotterranea dello stabilimento (falso in atto pubblico); il mancato rispetto delle procedure di legge sull'attuazione delle fasi funzionali al pieno ritorno dall'emergenza alla normalità ambientale (art. 51 bis del Decreto Ronchi). E si sospetta che dietro un'anomala operatività del pool di ditte alle quali è stata appaltata la pre-bonifica ci possa essere una "interessata" regia. Da qui l'entità dei sequestri operati dal Noe alla presenza dei legali della parti indagate: nelle tre aziende incaricate della messa in sicurezza e del risanamento (la sede amministrativa di Milano, quella d'appoggio di Senigallia e quella logistica dentro la raffineria, per quanto riguarda la "Remedia") e presso lo stabilimento e la direzione Api di Falconara. I Noe hanno prelevato ovunque computer con file e dischetti, cartelle zeppe di dati, decine di carteggi, note e report sullo stato di inquinamento; acquisite molte delle comunicazioni che l'Api - "autodenunciatasi" il 15/6/2000 come sito contaminato (ex Dm 471/99) - ha inviato a Comune di Falconara, Provincia, Regione, Ministero e altre autorità anche in funzione delle periodiche conferenze di servizio sulla ecoemergenza, prima e dopo il rinnovo della concessione.

Indagini partite il 20 gennaio

di GIAMPAOLO MILZI

Le indagini scattano il 20 gennaio. Prima i sequestri di documenti operati dai Noe alla ditta di bonifiche "Remedia" di Milano, poi un'accelerazione: mercoledì 4 febbraio una prima relazione in procura ad Ancona e lo stesso giorno il Ministero dell'Ambiente comunica alle "parti in causa" nella procedura di risanamento del sito della raffineria - tra queste Regione Marche, Provincia di Ancona, Comune di Falconara, Arpam e Apat (una sorta di Arpam nazionale) - che la conferenza di servizio sul sito Api-Falconara (nella lista nazionale di quelli da bonificare) fissata per il 5 febbraio, è rinviata a data da destinarsi. Una coincidenza o un primo riflesso dell'inchiesta sull'ipotesi di "bonifica truccata"? A seguito dell'emendamento legislativo del deputato Marco Lion (fine 2002) le conferenze erano state trasferite a Roma. Giusto il tempo di tenere la prima d'insediamento, poi "il congelamento".

 
CORRIERE DELLA SERA
Il sindaco ds: «Non è vero che noi permettiamo tutto, la mortalità è nella media»

di Fabrizio Caccia

ROSIGNANO MARITTIMO (Livorno) - C’è un posto in Italia che è quasi un paradosso. Si chiama Vada e vanta una spiaggia spettacolare, bianca come ai Caraibi, così bianca che l’abbronzatura a fine giornata è di massima soddisfazione per i bagnanti, perché il sole ci batte sopra come fosse uno specchio. Così bianca che in questi anni ci hanno girato un mucchio di film e spot pubblicitari con le palme finte. Piccola Hollywood del Tirreno. Però non è sabbia quella polvere magica che favorisce la tintarella. E’ carbonato di calcio. Residuo industriale della più grande sodiera d’Europa, la sodiera Solvay, le cui torri fumanti si stagliano gigantesche alle spalle della spiaggia bianca. La Solvay, dal 1912, qui produce la soda e l’acqua ossigenata, il polietilene e il cloruro di calcio, il bicarbonato e l’acido cloridrico. Ogni anno finiscono in mare 200 mila tonnellate di fanghi chimici. È questo, allora, il paradosso e il dilemma: «Spiaggia caraibica o enorme discarica? Vogliamo l’inquinamento oppure difendere la natura? Vogliamo il mare bianco oppure blu?» domanda provocatorio Mario Lupi, segretario regionale dei Verdi della Toscana. Vada è una frazione del Comune di Rosignano Marittimo, provincia di Livorno, 24 chilometri di costa e mezzo milione di turisti all’anno. E’ la Costa degli Etruschi: Vada, Rosignano, Castiglioncello. Terra immortalata nei dipinti dei macchiaioli. Con le ville a picco sul mare e il profumo intenso delle pinete. Qua, sull’Aurelia, venne girato «Il sorpasso» di Dino Risi nel 1962 col grande Vittorio Gassman. Qua, negli anni Sessanta, venivano in vacanza Sordi e Mastroianni, con «La Barcaccina» che era famosa all’epoca almeno quanto «La Bussola» di Viareggio: locali stra-cult della Dolce vita toscana, ma da tempo ormai non c’è più partita, perché la Versilia ha schiantato Castiglioncello. E’ colpa delle fabbriche? Dell’inquinamento? Industria e turismo sono così inconciliabili? Il tema oggi è quanto mai attuale, perché il governo nei prossimi mesi sarà chiamato a decidere se approvare o meno, nella zona, due nuovi progetti colossali: un deposito di gas naturale liquido da 65 mila tonnellate, da impiantare ancora vicino alle spiagge bianche (consorzio Solvay-Edison-British Petroleum) e una piattaforma marina a 15 chilometri dalla costa, anche questa destinata allo stoccaggio di 65 mila tonnellate di gas, proposta dal gruppo Falck-Saipem-Eni. Non è un problema semplice. «Perché la Toscana non può mica considerarsi un parco-giochi» avverte il governatore Claudio Martini, dei Ds, che pure di recente è stato coi no-global a Bombay. La Toscana è turismo sì, ma è anche lavoro. È natura, ma ha anche bisogno di industria, produttività, sviluppo, occupazione. E la Solvay, a pensarci bene, è tutto questo. È stato tutto questo da sempre. La grande madre di Rosignano: negli Anni ’60 almeno 4 mila persone (su 20 mila abitanti) lavoravano in fabbrica (oggi sono 1.800 su 30 mila). Erano tute blu e colletti bianchi. Abitavano nelle case costruite dalla Solvay, mandavano i figli a scuola negli edifici costruiti dalla Solvay, si curavano all’ospedale Solvay, facevano i bagni al circolo canottieri Solvay e andavano pure al teatro della Solvay. Sempre all’ombra delle ciminiere. Una città e un mondo legati alla fabbrica. Un modo di essere e di pensare. Un’identità forte confermata pure dai cartelli stradali: la frazione del comune interessata dagli stabilimenti si chiama, infatti, Rosignano Solvay. Un gruppo chimico e farmaceutico nato in Belgio che oggi è attivo in 50 Paesi, conta 45 mila dipendenti e fattura circa 8 miliardi di euro l’anno. Vallo a spiegare, però, a Pierluigi Riotti e agli altri pescatori di Vada, sempre più preoccupati: «Quando buttiamo le reti - raccontano - assieme al pesce tiriamo su la soda della Solvay. Non si trova più un gambero da qui fino a Cecina». E vallo a dire a quelli di Medicina democratica, che da anni sono in trincea perché temono che Rosignano un giorno possa diventare una nuova Seveso, un altro Porto Marghera: «Ma questo forse al ministro Matteoli non interessa - si sfoga Maurizio Marchi -. Perché il ministro Matteoli è di Cecina e da giovane lavorava anche lui alla Solvay. Come il Papa in Polonia, anche lui da ragazzo... Lo sapete però quanti bambini oggi hanno problemi gravi al sistema nervoso nell’area compresa tra Rosignano, Cecina e Castagneto? Almeno 700. E sapete qual è il nemico peggiore del sistema nervoso dei bambini? Il mercurio». Già, il mercurio. Utilizzato dalla Solvay in tutti questi anni nelle celle elettrolitiche per scindere la molecola del sale e ottenere il sodio e il cloro destinati ai cicli di produzione. «Davanti a Rosignano c’è il più grande giacimento di mercurio d’Italia» accusa Marco Della Pina, assessore provinciale all’Ambiente. «Con i rifiuti solidi scaricati in questi anni dalla fabbrica - insiste - si sarebbe potuto costruire un palazzo alto 20 metri e lungo 5 chilometri. Ora basta. Partiranno i controlli pubblici e finchè non avrò un quadro più chiaro della situazione non firmerò una nuova autorizzazione alla Solvay per gli scarichi a mare». Quadro apocalittico, altroché chiaro. Ma la Solvay contrattacca: «Non è corretto - dice Alessandro Malvaldi, ingegnere, direttore dello stabilimento di Rosignano - sostenere che la nostra industria non si occupa dell’ambiente. Le vecchie caldaie a gasolio sono state già tutte sostituite e oggi le torri di raffreddamento emettono solo vapore acqueo. E poi attenzione a considerare tossica la spiaggia bianca di Vada: perché non è vero. Anche ai Caraibi c’è il carbonato di calcio. Ma c’è dell’altro: nel luglio scorso abbiamo firmato un importante accordo di programma al ministero dell’Ambiente che prevede due passaggi fondamentali. Entro la fine del 2006 sparirà il mercurio dal ciclo di produzione. E comunque il mercurio finito in mare fino a oggi è confinato sotto strati di materiale inerte e non può entrare nella catena alimentare dei pesci. Abbiamo fatto studi al riguardo. Entro la fine del 2007, poi, verranno ridotti del 70 per cento i fanghi bianchi scaricati oggi a mare. Mentre il restante 30 per cento sarà finalizzato al ripascimento degli arenili. Vorrei infine ricordare che la Solvay spende 20 milioni di euro all’anno per la sicurezza ambientale...». Da cinque anni, piuttosto, il mare a Vada e Castiglioncello può vantare la Bandiera Blu. Insomma è pulito, le analisi degli esperti hanno dato responsi favorevoli sulla salute dell’acqua. «Non è vero perciò che i controlli non ci sono, che noi permettiamo tutto alla Solvay - si oppone il sindaco di Rosignano, Gianfranco Simoncini, dei Ds -. Gli enti preposti, Asl, Arpat, hanno svolto negli anni accurate indagini chimiche ed epidemiologiche e i dati sulla mortalità della popolazione, ad esempio, sono nella norma rispetto alle medie della Toscana. Un sondaggio condotto l’anno scorso dall’Università di Siena tra 787 cittadini di Rosignano ha dato questi risultati: il 58 per cento ha risposto che la Solvay è un grave pericolo per l’ambiente, ma il 68 per cento ha aggiunto che l’industria è un bene per l’economia locale». «Altro che sondaggio, qui ci vuole un referendum per capire tutti insieme dove si vuole andare» protesta Marcella Amadio, segretario provinciale di An. «Non si può certo pretendere di sviluppare il turismo a Rosignano Solvay, dove c’è il divieto di balneazione 50 metri al di qua e 50 al di là del fosso di scarico - taglia corto l’ingegnere Malvaldi -. Sarebbe un’assurdità. Però alla Conferenza sullo Sviluppo di Rosignano, nel giugno 2003, noi stessi della Solvay riconoscemmo giusta la strada dello sviluppo multipolare per i territori di Vada e Castiglioncello: non solo industria, dunque, ma anche turismo, terziario, agricoltura». «Forse - dicono Roberto Ganetti (Pro loco di Vada) e Gianfranco Martino (Pro loco di Castiglioncello) - più che l’inquinamento il problema vero per il turismo locale è stato la mancanza assoluta di programmazione, la miopia politica, l’assenza di investimenti. Così in breve tempo il turismo d’élite ha ceduto il posto a una torma di vacanzieri mordi-e-fuggi e oggi la nostra costa è irriconoscibile. Le ville di Sordi e Mastroianni sono state vendute. Castiglioncello è tutto un fiorire di seconde case di fiorentini, romani e milanesi. Forse quando decollerà il nuovo porto turistico da 650 posti-barca, finalmente costruito dopo 20 anni di attesa, torneranno anche i vip. Già si son visti i primi segnali: l’estate scorsa sono stati qui Alberto Tomba e lo stilista Roberto Cavalli, il calciatore Coco e la sua fidanzata Manuela Arcuri...». Dunque, non c’è più la Solvay al centro di Rosignano. Le torri civiche, dicono qua, oggi vengono prima delle torri fumanti. Sarà per questo che, quando il gruppo chimico di Bruxelles ha chiesto di potere raddoppiare il serbatoio di etilene da 5 mila tonnellate dietro alla spiaggia di Vada, il sindaco Simoncini ha subito risposto con un no: «Se volete, interratelo» ha detto. Il bagno col bombolone alle spalle da queste parti non vuole farlo più nessuno. )

 
e-GAZETTE
Nuova analisi sulla mortalità da PVC al petrolchimico di Porto Marghera

Milano, 17 febbraio - Alto rischio di cancro per gli operai del comparto petrolchimico. Gli addetti alla lavorazione della plastica PVC, in particolare, se non protetti come previsto dalle regole di sicurezza sul lavoro hanno una probabilità più che doppia di sviluppare tumori a cervello, polmone, sistema immunitario e fegato rispetto agli impiegati che non maneggiano il PVC e il suo componente base (cloruro di vinile monomero o CVM) responsabile dell'effetto cancerogeno. Lo dimostrerebbe uno studio condotto da Valerio Gennaro, medico epidemiologo dell'Istituto nazionale per la ricerca sul cancro (Ist) di Genova, pubblicato su “Epidemiologia e prevenzione”. La ricerca, che riprende un lavoro di qualche anno fa, ha riesaminato 170 decessi avvenuti fino al 1995 tra 1.658 lavoratori di Porto Marghera. L'indagine dava ragione alle denunce dell'operaio dell'Enichem Gabriele Bortolozzo, che aveva lanciato l'allarme per una mortalità sospetta tra i colleghi, e confermava quanto affermato dall'Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro (Iarc) di Lione, che associava CVM e tumori, e rilevava un maggior rischio di tumore polmonare e angiosarcoma epatico per insaccatori PVC e autoclavisti. Tuttavia, dalle osservazioni finali emergeva per i lavoratori del settore una mortalità inferiore del 40% a quella della popolazione generale. “Abbiamo quindi riletto i dati in modo diverso - dicono gli autori della ricerca -, tenendo conto che al momento dell'assunzione chi lavora nel petrolchimico subisce una selezione molto severa, tali da farli apparire supersani. Si sono quindi modificati i gruppi di riferimento, assumendo come base gruppo di impiegati e di operai, tutti però del petrolchimico. Gli studiosi genovesi hanno così scoperto che gli addetti alla miscelazione degli ingredienti base del PVC (compound PVC) avevano una mortalità generale più che doppia rispetto ai non addetti, e che i due casi di tumore al cervello riguardavano proprio questo gruppo. Tra gli autoclavisti, oltre all'elevata frequenza di angiosarcomi epatici, si registrava un alto rischio di altre malattie del fegato, tumorali e non (cirrosi). Rischio più che doppio anche per gli autoclavisti e insaccatori PVC. I primi sono risultati più vulnerabili alle patologie epatiche e i secondi al cancro del polmone, e i ricercatori hanno appurato che alcol e fumo non erano la causa dell'aumentato rischio. Infine, nell'elenco delle sostanze tossiche insieme a PVC e CVM vanno aggiunte altre 50 sostanze. Benché lo studio abbia dimostrato che l'alto rischio tumori non dipende dall'anno di assunzione, “probabilmente ora le cose vanno meglio. Nel petrolchimico sono ormai previsti controlli quotidiani sul rispetto delle norme di sicurezza. Speriamo che solo che vengano eseguiti”, conclude Gennaro, suggerendo inoltre che “le indagini epidemiologiche dovrebbero diventare una prassi normale nella sanità pubblica”.

 
inizio pagina   rassegna stampa