IL MESSAGGERO |
Dati ambientali, inchiesta a
Falconara
Ditte esterne all’Api nel
mirino di carabinieri e Arpam su delega della Procura
di GIAMPAOLO MILZI
FALCONARA - Ambiente ancora
nel mirino degli investigatori a Falconara. Un'informazione
di garanzia, perquisizioni, sequestri di documenti, atti e
dossier informatici, controlli, monitoraggi e analisi di
laboratorio: è un'indagine delicatissima e in pieno corso
quella che vede impegnati i Noe dei carabinieri e l'Arpam su
delega del procuratore capo della Repubblica Vincenzo Luzi.
Al centro dell'inchiesta, il modo in cui negli ultimi due
anni la "Remedia spa" e altre due aziende specializzate,
tutte di Milano, hanno condotto per conto dell'Api (che al
momento risulta comunque estranea all’inchiesta) la fase di
messa in sicurezza per il contenimento dell'inquinamento,
funzionale alla successiva bonifica, del sito di
raffinazione petrolifera falconarese, compreso nella "lista
nera" nazionale di quelli industriali ad alto rischio. In
base a questi dati, secondo l’ipotesi dell’inchiesta
giudiziaria, i dati truccati sarebero volti a legittimare un
risanamento verde più sfumato e al risparmio di quanto
imporrebbero le esigenze di sicurezza pubblica. Nell'avviso
di garanzia consegnato al rappresentante legale della "Remedia"
si ipotizzano due filoni di illeciti penali connessi: la
manipolazione dei "dati di campo" che indicano la reale
situazione di contaminazione dell'area superficiale e
sotterranea dello stabilimento (falso in atto pubblico); il
mancato rispetto delle procedure di legge sull'attuazione
delle fasi funzionali al pieno ritorno dall'emergenza alla
normalità ambientale (art. 51 bis del Decreto Ronchi). E si
sospetta che dietro un'anomala operatività del pool di ditte
alle quali è stata appaltata la pre-bonifica ci possa essere
una "interessata" regia. Da qui l'entità dei sequestri
operati dal Noe alla presenza dei legali della parti
indagate: nelle tre aziende incaricate della messa in
sicurezza e del risanamento (la sede amministrativa di
Milano, quella d'appoggio di Senigallia e quella logistica
dentro la raffineria, per quanto riguarda la "Remedia") e
presso lo stabilimento e la direzione Api di Falconara. I
Noe hanno prelevato ovunque computer con file e dischetti,
cartelle zeppe di dati, decine di carteggi, note e report
sullo stato di inquinamento; acquisite molte delle
comunicazioni che l'Api - "autodenunciatasi" il 15/6/2000
come sito contaminato (ex Dm 471/99) - ha inviato a Comune
di Falconara, Provincia, Regione, Ministero e altre autorità
anche in funzione delle periodiche conferenze di servizio
sulla ecoemergenza, prima e dopo il rinnovo della
concessione.
Indagini partite il 20
gennaio
di GIAMPAOLO MILZI
Le indagini scattano il 20
gennaio. Prima i sequestri di documenti operati dai Noe alla
ditta di bonifiche "Remedia" di Milano, poi
un'accelerazione: mercoledì 4 febbraio una prima relazione
in procura ad Ancona e lo stesso giorno il Ministero
dell'Ambiente comunica alle "parti in causa" nella procedura
di risanamento del sito della raffineria - tra queste
Regione Marche, Provincia di Ancona, Comune di Falconara,
Arpam e Apat (una sorta di Arpam nazionale) - che la
conferenza di servizio sul sito Api-Falconara (nella lista
nazionale di quelli da bonificare) fissata per il 5
febbraio, è rinviata a data da destinarsi. Una coincidenza o
un primo riflesso dell'inchiesta sull'ipotesi di "bonifica
truccata"? A seguito dell'emendamento legislativo del
deputato Marco Lion (fine 2002) le conferenze erano state
trasferite a Roma. Giusto il tempo di tenere la prima
d'insediamento, poi "il congelamento". |
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CORRIERE DELLA SERA |
Il sindaco ds: «Non è vero
che noi permettiamo tutto, la mortalità è nella media»
di Fabrizio Caccia
ROSIGNANO MARITTIMO (Livorno)
- C’è un posto in Italia che è quasi un paradosso. Si chiama
Vada e vanta una spiaggia spettacolare, bianca come ai
Caraibi, così bianca che l’abbronzatura a fine giornata è di
massima soddisfazione per i bagnanti, perché il sole ci
batte sopra come fosse uno specchio. Così bianca che in
questi anni ci hanno girato un mucchio di film e spot
pubblicitari con le palme finte. Piccola Hollywood del
Tirreno. Però non è sabbia quella polvere magica che
favorisce la tintarella. E’ carbonato di calcio. Residuo
industriale della più grande sodiera d’Europa, la sodiera
Solvay, le cui torri fumanti si stagliano gigantesche alle
spalle della spiaggia bianca. La Solvay, dal 1912, qui
produce la soda e l’acqua ossigenata, il polietilene e il
cloruro di calcio, il bicarbonato e l’acido cloridrico. Ogni
anno finiscono in mare 200 mila tonnellate di fanghi
chimici. È questo, allora, il paradosso e il dilemma:
«Spiaggia caraibica o enorme discarica? Vogliamo
l’inquinamento oppure difendere la natura? Vogliamo il mare
bianco oppure blu?» domanda provocatorio Mario Lupi,
segretario regionale dei Verdi della Toscana. Vada è una
frazione del Comune di Rosignano Marittimo, provincia di
Livorno, 24 chilometri di costa e mezzo milione di turisti
all’anno. E’ la Costa degli Etruschi: Vada, Rosignano,
Castiglioncello. Terra immortalata nei dipinti dei
macchiaioli. Con le ville a picco sul mare e il profumo
intenso delle pinete. Qua, sull’Aurelia, venne girato «Il
sorpasso» di Dino Risi nel 1962 col grande Vittorio Gassman.
Qua, negli anni Sessanta, venivano in vacanza Sordi e
Mastroianni, con «La Barcaccina» che era famosa all’epoca
almeno quanto «La Bussola» di Viareggio: locali stra-cult
della Dolce vita toscana, ma da tempo ormai non c’è più
partita, perché la Versilia ha schiantato Castiglioncello.
E’ colpa delle fabbriche? Dell’inquinamento? Industria e
turismo sono così inconciliabili? Il tema oggi è quanto mai
attuale, perché il governo nei prossimi mesi sarà chiamato a
decidere se approvare o meno, nella zona, due nuovi progetti
colossali: un deposito di gas naturale liquido da 65 mila
tonnellate, da impiantare ancora vicino alle spiagge bianche
(consorzio Solvay-Edison-British Petroleum) e una
piattaforma marina a 15 chilometri dalla costa, anche questa
destinata allo stoccaggio di 65 mila tonnellate di gas,
proposta dal gruppo Falck-Saipem-Eni. Non è un problema
semplice. «Perché la Toscana non può mica considerarsi un
parco-giochi» avverte il governatore Claudio Martini, dei Ds,
che pure di recente è stato coi no-global a Bombay. La
Toscana è turismo sì, ma è anche lavoro. È natura, ma ha
anche bisogno di industria, produttività, sviluppo,
occupazione. E la Solvay, a pensarci bene, è tutto questo. È
stato tutto questo da sempre. La grande madre di Rosignano:
negli Anni ’60 almeno 4 mila persone (su 20 mila abitanti)
lavoravano in fabbrica (oggi sono 1.800 su 30 mila). Erano
tute blu e colletti bianchi. Abitavano nelle case costruite
dalla Solvay, mandavano i figli a scuola negli edifici
costruiti dalla Solvay, si curavano all’ospedale Solvay,
facevano i bagni al circolo canottieri Solvay e andavano
pure al teatro della Solvay. Sempre all’ombra delle
ciminiere. Una città e un mondo legati alla fabbrica. Un
modo di essere e di pensare. Un’identità forte confermata
pure dai cartelli stradali: la frazione del comune
interessata dagli stabilimenti si chiama, infatti, Rosignano
Solvay. Un gruppo chimico e farmaceutico nato in Belgio che
oggi è attivo in 50 Paesi, conta 45 mila dipendenti e
fattura circa 8 miliardi di euro l’anno. Vallo a spiegare,
però, a Pierluigi Riotti e agli altri pescatori di Vada,
sempre più preoccupati: «Quando buttiamo le reti -
raccontano - assieme al pesce tiriamo su la soda della
Solvay. Non si trova più un gambero da qui fino a Cecina». E
vallo a dire a quelli di Medicina democratica, che da anni
sono in trincea perché temono che Rosignano un giorno possa
diventare una nuova Seveso, un altro Porto Marghera: «Ma
questo forse al ministro Matteoli non interessa - si sfoga
Maurizio Marchi -. Perché il ministro Matteoli è di Cecina e
da giovane lavorava anche lui alla Solvay. Come il Papa in
Polonia, anche lui da ragazzo... Lo sapete però quanti
bambini oggi hanno problemi gravi al sistema nervoso
nell’area compresa tra Rosignano, Cecina e Castagneto?
Almeno 700. E sapete qual è il nemico peggiore del sistema
nervoso dei bambini? Il mercurio». Già, il mercurio.
Utilizzato dalla Solvay in tutti questi anni nelle celle
elettrolitiche per scindere la molecola del sale e ottenere
il sodio e il cloro destinati ai cicli di produzione.
«Davanti a Rosignano c’è il più grande giacimento di
mercurio d’Italia» accusa Marco Della Pina, assessore
provinciale all’Ambiente. «Con i rifiuti solidi scaricati in
questi anni dalla fabbrica - insiste - si sarebbe potuto
costruire un palazzo alto 20 metri e lungo 5 chilometri. Ora
basta. Partiranno i controlli pubblici e finchè non avrò un
quadro più chiaro della situazione non firmerò una nuova
autorizzazione alla Solvay per gli scarichi a mare». Quadro
apocalittico, altroché chiaro. Ma la Solvay contrattacca:
«Non è corretto - dice Alessandro Malvaldi, ingegnere,
direttore dello stabilimento di Rosignano - sostenere che la
nostra industria non si occupa dell’ambiente. Le vecchie
caldaie a gasolio sono state già tutte sostituite e oggi le
torri di raffreddamento emettono solo vapore acqueo. E poi
attenzione a considerare tossica la spiaggia bianca di Vada:
perché non è vero. Anche ai Caraibi c’è il carbonato di
calcio. Ma c’è dell’altro: nel luglio scorso abbiamo firmato
un importante accordo di programma al ministero
dell’Ambiente che prevede due passaggi fondamentali. Entro
la fine del 2006 sparirà il mercurio dal ciclo di
produzione. E comunque il mercurio finito in mare fino a
oggi è confinato sotto strati di materiale inerte e non può
entrare nella catena alimentare dei pesci. Abbiamo fatto
studi al riguardo. Entro la fine del 2007, poi, verranno
ridotti del 70 per cento i fanghi bianchi scaricati oggi a
mare. Mentre il restante 30 per cento sarà finalizzato al
ripascimento degli arenili. Vorrei infine ricordare che la
Solvay spende 20 milioni di euro all’anno per la sicurezza
ambientale...». Da cinque anni, piuttosto, il mare a Vada e
Castiglioncello può vantare la Bandiera Blu. Insomma è
pulito, le analisi degli esperti hanno dato responsi
favorevoli sulla salute dell’acqua. «Non è vero perciò che i
controlli non ci sono, che noi permettiamo tutto alla Solvay
- si oppone il sindaco di Rosignano, Gianfranco Simoncini,
dei Ds -. Gli enti preposti, Asl, Arpat, hanno svolto negli
anni accurate indagini chimiche ed epidemiologiche e i dati
sulla mortalità della popolazione, ad esempio, sono nella
norma rispetto alle medie della Toscana. Un sondaggio
condotto l’anno scorso dall’Università di Siena tra 787
cittadini di Rosignano ha dato questi risultati: il 58 per
cento ha risposto che la Solvay è un grave pericolo per
l’ambiente, ma il 68 per cento ha aggiunto che l’industria è
un bene per l’economia locale». «Altro che sondaggio, qui ci
vuole un referendum per capire tutti insieme dove si vuole
andare» protesta Marcella Amadio, segretario provinciale di
An. «Non si può certo pretendere di sviluppare il turismo a
Rosignano Solvay, dove c’è il divieto di balneazione 50
metri al di qua e 50 al di là del fosso di scarico - taglia
corto l’ingegnere Malvaldi -. Sarebbe un’assurdità. Però
alla Conferenza sullo Sviluppo di Rosignano, nel giugno
2003, noi stessi della Solvay riconoscemmo giusta la strada
dello sviluppo multipolare per i territori di Vada e
Castiglioncello: non solo industria, dunque, ma anche
turismo, terziario, agricoltura». «Forse - dicono Roberto
Ganetti (Pro loco di Vada) e Gianfranco Martino (Pro loco di
Castiglioncello) - più che l’inquinamento il problema vero
per il turismo locale è stato la mancanza assoluta di
programmazione, la miopia politica, l’assenza di
investimenti. Così in breve tempo il turismo d’élite ha
ceduto il posto a una torma di vacanzieri mordi-e-fuggi e
oggi la nostra costa è irriconoscibile. Le ville di Sordi e
Mastroianni sono state vendute. Castiglioncello è tutto un
fiorire di seconde case di fiorentini, romani e milanesi.
Forse quando decollerà il nuovo porto turistico da 650
posti-barca, finalmente costruito dopo 20 anni di attesa,
torneranno anche i vip. Già si son visti i primi segnali:
l’estate scorsa sono stati qui Alberto Tomba e lo stilista
Roberto Cavalli, il calciatore Coco e la sua fidanzata
Manuela Arcuri...». Dunque, non c’è più la Solvay al centro
di Rosignano. Le torri civiche, dicono qua, oggi vengono
prima delle torri fumanti. Sarà per questo che, quando il
gruppo chimico di Bruxelles ha chiesto di potere raddoppiare
il serbatoio di etilene da 5 mila tonnellate dietro alla
spiaggia di Vada, il sindaco Simoncini ha subito risposto
con un no: «Se volete, interratelo» ha detto. Il bagno col
bombolone alle spalle da queste parti non vuole farlo più
nessuno. ) |
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e-GAZETTE |
Nuova analisi sulla mortalità
da PVC al petrolchimico di Porto Marghera
Milano, 17 febbraio - Alto
rischio di cancro per gli operai del comparto petrolchimico.
Gli addetti alla lavorazione della plastica PVC, in
particolare, se non protetti come previsto dalle regole di
sicurezza sul lavoro hanno una probabilità più che doppia di
sviluppare tumori a cervello, polmone, sistema immunitario e
fegato rispetto agli impiegati che non maneggiano il PVC e
il suo componente base (cloruro di vinile monomero o CVM)
responsabile dell'effetto cancerogeno. Lo dimostrerebbe uno
studio condotto da Valerio Gennaro, medico epidemiologo
dell'Istituto nazionale per la ricerca sul cancro (Ist) di
Genova, pubblicato su “Epidemiologia e prevenzione”. La
ricerca, che riprende un lavoro di qualche anno fa, ha
riesaminato 170 decessi avvenuti fino al 1995 tra 1.658
lavoratori di Porto Marghera. L'indagine dava ragione alle
denunce dell'operaio dell'Enichem Gabriele Bortolozzo, che
aveva lanciato l'allarme per una mortalità sospetta tra i
colleghi, e confermava quanto affermato dall'Agenzia
internazionale per la ricerca sul cancro (Iarc) di Lione,
che associava CVM e tumori, e rilevava un maggior rischio di
tumore polmonare e angiosarcoma epatico per insaccatori PVC
e autoclavisti. Tuttavia, dalle osservazioni finali emergeva
per i lavoratori del settore una mortalità inferiore del 40%
a quella della popolazione generale. “Abbiamo quindi riletto
i dati in modo diverso - dicono gli autori della ricerca -,
tenendo conto che al momento dell'assunzione chi lavora nel
petrolchimico subisce una selezione molto severa, tali da
farli apparire supersani. Si sono quindi modificati i gruppi
di riferimento, assumendo come base gruppo di impiegati e di
operai, tutti però del petrolchimico. Gli studiosi genovesi
hanno così scoperto che gli addetti alla miscelazione degli
ingredienti base del PVC (compound PVC) avevano una
mortalità generale più che doppia rispetto ai non addetti, e
che i due casi di tumore al cervello riguardavano proprio
questo gruppo. Tra gli autoclavisti, oltre all'elevata
frequenza di angiosarcomi epatici, si registrava un alto
rischio di altre malattie del fegato, tumorali e non
(cirrosi). Rischio più che doppio anche per gli autoclavisti
e insaccatori PVC. I primi sono risultati più vulnerabili
alle patologie epatiche e i secondi al cancro del polmone, e
i ricercatori hanno appurato che alcol e fumo non erano la
causa dell'aumentato rischio. Infine, nell'elenco delle
sostanze tossiche insieme a PVC e CVM vanno aggiunte altre
50 sostanze. Benché lo studio abbia dimostrato che l'alto
rischio tumori non dipende dall'anno di assunzione,
“probabilmente ora le cose vanno meglio. Nel petrolchimico
sono ormai previsti controlli quotidiani sul rispetto delle
norme di sicurezza. Speriamo che solo che vengano eseguiti”,
conclude Gennaro, suggerendo inoltre che “le indagini
epidemiologiche dovrebbero diventare una prassi normale
nella sanità pubblica”.
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