MESSAGGERO |
Respira anidride solforosa
Operaio sviene in raffineria
FALCONARA - Incidente ieri
pomeriggio alla raffineria Api. Un operaio di una ditta
appaltatrice, ha perso improvvisamente i sensi per aver
respirato dell'anidride solforosa, mentre stava svolgendo
un'operazione di manutenzione alla linea. Caduto dalla scala
sulla quale si trovava è stato immediatamente soccorso e
portato all'ospedale di Torrette, dove è attualmente
ricoverato in attesa di una tac. Aperta immediatamente
un'inchiesta interna da parte dell'azienda, prontamente
sollecitata dalle rappresentanze sindacali. |
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CORRIERE ADRIATICO |
Intossicati dalle esalazioni
di acido
Incidente nella raffineria
Api, all'ospedale due addetti alla manutenzione
di CATERINA CANTORI
FALCONARA - Stava svolgendo
dei lavori di manutenzione all'interno della raffineria Api
per conto di una ditta esterna quando ha respirato acido
solfidrico (chiamato anche solfuro di idrogeno). Ora
Cesarino Dolci, 50 anni, dipendente della ditta Imac, è
ricoverato in osservazione nel reparto di medicina
d'urgenza. Anche un collega di lavoro di Dolci è finito al
pronto soccorso dell'ospedale regionale di Torrette ma è
stato dimesso in serata. L'incidente all'interno della
raffineria è avvenuto ieri pomeriggio. Non è chiaro se
l'acido solfidrico sia fuoriuscito da una valvola a cui
Dolci ha tolto il tappo ignorando la possibile fuoriuscita
di gas o se dal tubo sia uscita la sostanza senza che l'uomo
abbia fatto nulla. Di fatto l'acido solfidrico ha investito
lui ed altri tre colleghi che si trovavano nelle vicinanze.
Dopo aver respirato l'esalazione Dolci è svenuto ed è caduto
a terra. Lui ed il collega che si trovava più vicino sono
stati trasportati al pronto soccorso dell'ospedale regionale
di Torrette. Durante il trasporto Dolci si è ripreso.
All'ospedale l'uomo è stato sottoposto all'ossigeno-terapia
e poi è stato ricoverato in osservazione per 24 ore. Per il
momento la prognosi è di dieci giorni ma le reali condizioni
dell'uomo saranno valutate soltanto trascorso il periodo di
osservazione. Anche il collega di Dolci è stato sottoposto
all'ossigeno-terapia anche se in una misura minore rispetto
al collega. Le conseguenze dell'inalazione di acido
solfidrico possono infatti andare dalla semplice irritazione
fino alla morte. Per fortuna sia Dolci che il suo collega ne
hanno respirata una quantità non letale. Il 16 ottobre
scorso un getto d'acqua bollente aveva ustionato un operaio
di una ditta appaltatrice. Fernando Altana, 47 anni, stava
svolgendo interventi di manutenzione quando un tubo che si
trovava sopra di lui si è rotto facendo fuoriuscire un getto
d'acqua bollente. L'uomo ha riportato ustioni di secondo
grado sulle natiche, sulle cosce e in generale sulla zona
lombare. L'operaio aveva avuto tre settimane di prognosi.
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LA SICILIA |
La corte Ue: «Il coke non è
un rifiuto»
di Maria Concetta Goldini
Gela. L'Eni vince a Bruxelles
la battaglia contro la Procura di Gela e gli ambientalisti
sulla classificazione del pet coke. Una vicenda giudiziaria
ribalzata tra febbraio e marzo del 2002 sulle cronache
nazionali ed internazionali perché portò al fermo della
raffineria, a due scioperi generali, alle barricate degli
operai che bloccarono per diversi giorni le strade di
accesso a Gela come reazione alla paura di una chiusura
definitiva della fabbrica e quindi della disoccupazione. Fu
un momento delicatissimo della vita di Gela. La Procura,
ritenendo che il coke da petrolio risultante dalla
raffinazione fosse da classificare, in base al decreto
Ronchi, un rifiuto, ha ritenuto che venisse usato senza le
autorizzazioni di legge per produrre quell'energia che
serviva in parte per alimentare gli impianti del
petrolchimico, ed in parte venduta all' Enel. Perciò fu
posto sotto sequestro il parco del coke e i vertici della
raffineria finirono sotto inchiesta. Per far ritornare il
sereno, dopo due mesi terribili, fu necessario un decreto ad
hoc che il governo Berlusconi emanò il 7 marzo 2002 e con
cui ha consentito l'uso del coke negli impianti di
combustione. Ma sul futuro della raffineria la cui marcia
poggia proprio sull'utilizzo del coke nella produzione
dell'energia ha pesato l'incertezza sul pronunciamento della
Corte di Giustizia Europea circa la classificazione del
Coke. Alla Corte si è rivolto ll Gip Simone Silvestri,
sollecitato anche dagli ambientalisti, chiedendo di sapere
se in base alla direttive comunitarie il coke rientri nella
nozione di rifiuto. Il procedimento si è protratto per oltre
un anno con l'intervento di vari governi tra cui quello
svedese e quello austriaco che avevano interesse a conoscere
il verdetto della Corte, dato che vivono situazioni simili.
Il 15 gennaio, ma la notizia a Gela è rimbalzata solo ieri,
la terza sezione della Corte di Giustizia Europea ha emesso
l'ordinanza chiudendo il caso gelese. Un verdetto che è
valido per tutte le nazioni dell' Ue. Per la Corte «il coke
da petrolio prodotto volontariamente o risultante dalla
produzione simultanea di altre sostanze combustibili
petrolifere, in una raffineria di petrolio ed utilizzato con
certezza come combustibile non costituisce un rifiuto i
sensi della direttiva del Consiglio del 15 luglio 1975,
75/442/Cee relativa ai rifiuti». La Raffineria può usare il
pet coke che non è un rifiuto. Cade così l'intero castello
accusatorio messo in piedi dalla Procura e vengono smontate
le tesi di associazioni ambientaliste. Due anni dopo si
chiude con la vittoria dell'Eni una vicenda che ha
trasformato per due mesi Gela nella città dove gli operai
«preferivano essere malati piuttosto che disoccupati».
Sentenza pet-coke,
«rivincita» della Raffineria
di Maria Concetta Goldini
Il pet coke non è un rifiuto:
hanno sbagliato a considerarlo tale la Procura con i suoi
consulenti e gli ambientalisti. Il verdetto della terza
sezione della Corte Europea parla chiaro dando ragione
all'Eni. Dall'Ue, dove le normative in materia ambientale
sono più restrittive che in Italia, arriva una conferma
della tesi sostenuta dall'Eni quando, due anni fa scattò
l'inchiesta e furono sequestrati i due parchi di coke. Ma
già qualche mese fa la Corte di Cassazione si pronunziò a
favore dell'Eni. Secondo la Corte Europea il coke da
petrolio utilizzato come componente principale del
combustibile poi impiegato per far funzionare la centrale
integrata di cogenerazione che soddisfa il fabbisogno di
vapore ed elettricità della raffineria non può essere
qualificato come residuo di produzione ma è un prodotto
petrolifero fabbricato in quanto tale. Il fatto che il coke
venga utilizzato come combustibile per la produzione di
energia, utilizzo che corrisponde ad una modalità corrente
di recupero di rifiuti,per la Corte Europea non può essere
rilevante per considerarlo in rifiuto perché lo scopo della
raffineria è quello di produrre diversi tipi di combustibile
a partire dal petrolio grezzo. Una per una vengono smontati
le varie accuse mosse alla Raffineria e di vari indizi
indicati per considerare il coke un rifiuto. Con le modalità
con cui viene impiegato, cioè in maniera certa come
combustibile nel processo di produzione (le eccedenze di
energia elettrica che ne risulta vengono esse stesse
integralmente vendute) non può essere un rifiuto. La nozione
di rifiuto a sua volta dipende dal significato del termine
«disfarsi» e spiegando nei dettagli anche questi concetto la
Corte ha dato ragione all'Eni. «La conclusione sarebbe
diversa -sostiene la Corte - solo se, accogliendo la
richiesta dell'opinione pubblica, la direzione della
raffineria rinunciasse all'utilizzo del coke da petrolio o
vi fosse obbligata da un provvedimento legale. In una tale
ipotesi si dovrebbe ritenere che il detentore del coke da
petrolio se ne disfarrebbe o avrebbe l'intenzione o
l'obbligo di disfarsene». L'inequivocabile verdetto della
Corte (il pet coke non è un rifiuto) in risposta al quesito
posto dal Gip del Tribunale di Gela nell'ambito del
procedimento contro i vertici della Raffineria cancella
oltre due anni di lavoro della Procura e le battaglie degli
ambientalisti. Una delle associazioni, Italia nostra, ha
presentato nel procedimento a Bruxelles una memoria in cui
pur sostenendo che era rifiuto, riteneva che andasse
utilizzato con particolari sistemi a tutela dell'ambiente
come la gassificazione. Notevole la delusione degli
ambientalisti per il verdetto. |
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IL MANIFESTO |
La Esso pagherà i danni
La Exxon Mobil, la più grande
compagnia petrolifera del mondo, è stata condannata ieri da
un giudice federale americano a pagare danni per 4,5
miliardi di dollari, più 2,25 miliardi in interessi, per
l'inquinamento provocato nel 1989 in Alaska da una delle sue
petroliere, la Exxon Valdez, uno dei più grandi disastri
ambientali degli ultimi vent'anni. La compagnia petrolifera,
che ha la sua sede a Irving, in Texas, ha annunciato che è
sua intenzione fare appello contro la decisione, presa da un
tribunale di Anchorage, in Alaska. La Exxon è nel mirino di
pacifisti e ambientalisti anche per il sostegno dato al
governo Bush. |
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