RASSEGNA STAMPA 29.01.2004

 

MESSAGGERO
Respira anidride solforosa Operaio sviene in raffineria

FALCONARA - Incidente ieri pomeriggio alla raffineria Api. Un operaio di una ditta appaltatrice, ha perso improvvisamente i sensi per aver respirato dell'anidride solforosa, mentre stava svolgendo un'operazione di manutenzione alla linea. Caduto dalla scala sulla quale si trovava è stato immediatamente soccorso e portato all'ospedale di Torrette, dove è attualmente ricoverato in attesa di una tac. Aperta immediatamente un'inchiesta interna da parte dell'azienda, prontamente sollecitata dalle rappresentanze sindacali.

 
CORRIERE ADRIATICO
Intossicati dalle esalazioni di acido

Incidente nella raffineria Api, all'ospedale due addetti alla manutenzione

di CATERINA CANTORI

FALCONARA - Stava svolgendo dei lavori di manutenzione all'interno della raffineria Api per conto di una ditta esterna quando ha respirato acido solfidrico (chiamato anche solfuro di idrogeno). Ora Cesarino Dolci, 50 anni, dipendente della ditta Imac, è ricoverato in osservazione nel reparto di medicina d'urgenza. Anche un collega di lavoro di Dolci è finito al pronto soccorso dell'ospedale regionale di Torrette ma è stato dimesso in serata. L'incidente all'interno della raffineria è avvenuto ieri pomeriggio. Non è chiaro se l'acido solfidrico sia fuoriuscito da una valvola a cui Dolci ha tolto il tappo ignorando la possibile fuoriuscita di gas o se dal tubo sia uscita la sostanza senza che l'uomo abbia fatto nulla. Di fatto l'acido solfidrico ha investito lui ed altri tre colleghi che si trovavano nelle vicinanze. Dopo aver respirato l'esalazione Dolci è svenuto ed è caduto a terra. Lui ed il collega che si trovava più vicino sono stati trasportati al pronto soccorso dell'ospedale regionale di Torrette. Durante il trasporto Dolci si è ripreso. All'ospedale l'uomo è stato sottoposto all'ossigeno-terapia e poi è stato ricoverato in osservazione per 24 ore. Per il momento la prognosi è di dieci giorni ma le reali condizioni dell'uomo saranno valutate soltanto trascorso il periodo di osservazione. Anche il collega di Dolci è stato sottoposto all'ossigeno-terapia anche se in una misura minore rispetto al collega. Le conseguenze dell'inalazione di acido solfidrico possono infatti andare dalla semplice irritazione fino alla morte. Per fortuna sia Dolci che il suo collega ne hanno respirata una quantità non letale. Il 16 ottobre scorso un getto d'acqua bollente aveva ustionato un operaio di una ditta appaltatrice. Fernando Altana, 47 anni, stava svolgendo interventi di manutenzione quando un tubo che si trovava sopra di lui si è rotto facendo fuoriuscire un getto d'acqua bollente. L'uomo ha riportato ustioni di secondo grado sulle natiche, sulle cosce e in generale sulla zona lombare. L'operaio aveva avuto tre settimane di prognosi.

 
LA SICILIA
La corte Ue: «Il coke non è un rifiuto»

di Maria Concetta Goldini

Gela. L'Eni vince a Bruxelles la battaglia contro la Procura di Gela e gli ambientalisti sulla classificazione del pet coke. Una vicenda giudiziaria ribalzata tra febbraio e marzo del 2002 sulle cronache nazionali ed internazionali perché portò al fermo della raffineria, a due scioperi generali, alle barricate degli operai che bloccarono per diversi giorni le strade di accesso a Gela come reazione alla paura di una chiusura definitiva della fabbrica e quindi della disoccupazione. Fu un momento delicatissimo della vita di Gela. La Procura, ritenendo che il coke da petrolio risultante dalla raffinazione fosse da classificare, in base al decreto Ronchi, un rifiuto, ha ritenuto che venisse usato senza le autorizzazioni di legge per produrre quell'energia che serviva in parte per alimentare gli impianti del petrolchimico, ed in parte venduta all' Enel. Perciò fu posto sotto sequestro il parco del coke e i vertici della raffineria finirono sotto inchiesta. Per far ritornare il sereno, dopo due mesi terribili, fu necessario un decreto ad hoc che il governo Berlusconi emanò il 7 marzo 2002 e con cui ha consentito l'uso del coke negli impianti di combustione. Ma sul futuro della raffineria la cui marcia poggia proprio sull'utilizzo del coke nella produzione dell'energia ha pesato l'incertezza sul pronunciamento della Corte di Giustizia Europea circa la classificazione del Coke. Alla Corte si è rivolto ll Gip Simone Silvestri, sollecitato anche dagli ambientalisti, chiedendo di sapere se in base alla direttive comunitarie il coke rientri nella nozione di rifiuto. Il procedimento si è protratto per oltre un anno con l'intervento di vari governi tra cui quello svedese e quello austriaco che avevano interesse a conoscere il verdetto della Corte, dato che vivono situazioni simili. Il 15 gennaio, ma la notizia a Gela è rimbalzata solo ieri, la terza sezione della Corte di Giustizia Europea ha emesso l'ordinanza chiudendo il caso gelese. Un verdetto che è valido per tutte le nazioni dell' Ue. Per la Corte «il coke da petrolio prodotto volontariamente o risultante dalla produzione simultanea di altre sostanze combustibili petrolifere, in una raffineria di petrolio ed utilizzato con certezza come combustibile non costituisce un rifiuto i sensi della direttiva del Consiglio del 15 luglio 1975, 75/442/Cee relativa ai rifiuti». La Raffineria può usare il pet coke che non è un rifiuto. Cade così l'intero castello accusatorio messo in piedi dalla Procura e vengono smontate le tesi di associazioni ambientaliste. Due anni dopo si chiude con la vittoria dell'Eni una vicenda che ha trasformato per due mesi Gela nella città dove gli operai «preferivano essere malati piuttosto che disoccupati».

Sentenza pet-coke, «rivincita» della Raffineria

di Maria Concetta Goldini

Il pet coke non è un rifiuto: hanno sbagliato a considerarlo tale la Procura con i suoi consulenti e gli ambientalisti. Il verdetto della terza sezione della Corte Europea parla chiaro dando ragione all'Eni. Dall'Ue, dove le normative in materia ambientale sono più restrittive che in Italia, arriva una conferma della tesi sostenuta dall'Eni quando, due anni fa scattò l'inchiesta e furono sequestrati i due parchi di coke. Ma già qualche mese fa la Corte di Cassazione si pronunziò a favore dell'Eni. Secondo la Corte Europea il coke da petrolio utilizzato come componente principale del combustibile poi impiegato per far funzionare la centrale integrata di cogenerazione che soddisfa il fabbisogno di vapore ed elettricità della raffineria non può essere qualificato come residuo di produzione ma è un prodotto petrolifero fabbricato in quanto tale. Il fatto che il coke venga utilizzato come combustibile per la produzione di energia, utilizzo che corrisponde ad una modalità corrente di recupero di rifiuti,per la Corte Europea non può essere rilevante per considerarlo in rifiuto perché lo scopo della raffineria è quello di produrre diversi tipi di combustibile a partire dal petrolio grezzo. Una per una vengono smontati le varie accuse mosse alla Raffineria e di vari indizi indicati per considerare il coke un rifiuto. Con le modalità con cui viene impiegato, cioè in maniera certa come combustibile nel processo di produzione (le eccedenze di energia elettrica che ne risulta vengono esse stesse integralmente vendute) non può essere un rifiuto. La nozione di rifiuto a sua volta dipende dal significato del termine «disfarsi» e spiegando nei dettagli anche questi concetto la Corte ha dato ragione all'Eni. «La conclusione sarebbe diversa -sostiene la Corte - solo se, accogliendo la richiesta dell'opinione pubblica, la direzione della raffineria rinunciasse all'utilizzo del coke da petrolio o vi fosse obbligata da un provvedimento legale. In una tale ipotesi si dovrebbe ritenere che il detentore del coke da petrolio se ne disfarrebbe o avrebbe l'intenzione o l'obbligo di disfarsene». L'inequivocabile verdetto della Corte (il pet coke non è un rifiuto) in risposta al quesito posto dal Gip del Tribunale di Gela nell'ambito del procedimento contro i vertici della Raffineria cancella oltre due anni di lavoro della Procura e le battaglie degli ambientalisti. Una delle associazioni, Italia nostra, ha presentato nel procedimento a Bruxelles una memoria in cui pur sostenendo che era rifiuto, riteneva che andasse utilizzato con particolari sistemi a tutela dell'ambiente come la gassificazione. Notevole la delusione degli ambientalisti per il verdetto.

 
IL MANIFESTO
La Esso pagherà i danni

La Exxon Mobil, la più grande compagnia petrolifera del mondo, è stata condannata ieri da un giudice federale americano a pagare danni per 4,5 miliardi di dollari, più 2,25 miliardi in interessi, per l'inquinamento provocato nel 1989 in Alaska da una delle sue petroliere, la Exxon Valdez, uno dei più grandi disastri ambientali degli ultimi vent'anni. La compagnia petrolifera, che ha la sua sede a Irving, in Texas, ha annunciato che è sua intenzione fare appello contro la decisione, presa da un tribunale di Anchorage, in Alaska. La Exxon è nel mirino di pacifisti e ambientalisti anche per il sostegno dato al governo Bush.

 
inizio pagina   rassegna stampa