MESSAGGERO |
Esino inquinato, colpa del
Demin
La sentenza del processo
scagiona l’Api. Contatto a rischio, ma la raffineria non è
il capro espiatorio. Pene lievi a Bellucci e Napolitano:
venti giorni e 1800 euro di multa
di GIAMPAOLO MILZI
FALCONARA - Un contatto
ravvicinato certamente a rischio, quello tra l'Api e
l'Esino. Ma la raffineria non può essere considerata una
specie di capro espiatorio di uno stato d'inquinamento
fluviale cronico e dalle fonti diversificate. Può essere
letta anche così la sentenza che nel primo pomeriggio di
ieri ha condannato due imputati su quattro, e solo per un
capo d'imputazione, in chiusura del processo sull'ennesima
contaminazione da idrocarburi e altre porcherie connessa in
qualche modo a due sistemi di scarico del complesso
industriale. Una considerazione provata dal giudice
Pallucchini per quanto riguarda il mal funzionamento
dell'impianto "Demin" di demineralizzazione delle acque
(attraverso l'utilizzo del cloruro ferrico); da qui la pena
di 20 giorni di arresto e 1800 euro di multa all'attuale
direttore della raffineria Franco Bellucci e al legale
responsabile della stessa Clemente Napolitano. Ritenuti
invece non responsabili del rischio rappresentato dal "fosso
scolatore" che scorre nelle viscere della raffineria prima
di sfociare nel fiume, visto che in esso non confluiscono
solo reflui provenienti dalla zona di produzione, dai
piazzali e dai depositi, ma anche acque contaminate più a
monte o da fonti esterne. Assolto da ogni accusa (il fatto
non sussiste) Giovanni Saronne, visto che il suo avvocato
Giacomo Vettori (che assisteva anche gli altri manager) ha
dimostrato che aveva già cessato di ricoprire la carica di
direttore nel maggio 2000, ben prima quindi dell'inizio
dell'inchiesta, avvenuto dopo la comparsa di macchie
rossastre nella foce dell'Esino il 9 marzo 2001. Scagionato
"perché il fatto non costituisce reato" (come del resto
richiesto dal pm Lionello) il consulente esterno Francesco
Rossi, accusato di aver presentato in Comune un certificato
di collaudo di opere di manutenzione legate al "fosso
scolatore" dichiarando falsamente che erano state fatte a
regola d'arte e come da progetto iniziale. Una svista
superficiale e ininfluente la sua, non un reato di falso,
aveva testimoniato il prof. Agostinacchio citato
dall'avvocato difensore Andreano. L'arrossamento del fiume
per l'emersione di residui ferrosi, tuttavia, non è stato
considerato accidentale, ma originato dalla scarsa
efficienza del Demin, come dimostrarono i prelievi e i
campionamenti eseguiti dai carabinieri del Noe e dall'Arpam,
che avevano evidenziato la presenza nelle acque di scarico
di contaminanti solidi sospesi al di sopra dei tetti di
sicurezza di legge. Monitoraggi tuttavia inattendibili,
secondo l'avvocato Vettori, che aveva contestato la
regolarità della tempistica con cui erano stati effettuati.
Parzialmente vincente dunque la tesi del pm, che aveva
chiesto una condanna a 2 anni di arresto per tutti e tre i
manager, in relazione a una contaminazione che, secondo gli
accertamenti accusatori, aveva "arricchito" l'Esino di
idrocarburi, azoto, batteri e altre sostanze pericolose fin
dal 1997. La sentenza del giudice Pallucchini ha
riconosciuto il diritto al risarcimento dei danni alla
Provincia di Ancona (da liquidare in separata sede civile),
ma non all'altro ente, la Regione Marche, che si era
costituito parte civile nel processo.
Analisi
Assolto il "fosso scolatore",
condannato l'impianto Denim. Insomma, l'eco sos "Esino
rosso" scattato del 9 marzo 2001 era solo parzialmente
legato al corretto funzionamento degli impianti di scarico e
dei trattamenti di filtraggio dei reflui della raffineria
Api. Comunque attendibili, secondo il giudice, i
campionamenti e le analisi "d'accusa" effettuati da Noe e
Arpam
Dopo la testimonianza di
Bucci il 10 marzo toccherà a Biancani
di G.M.
FALCONARA - Si è aperto
subito con un nodo fondamentale per l'esito finale, il
processo sullo "scatolone di sabbia avvelenata" dell'area ex
Montedison. Già ieri, alla prima udienza, si è intuito che
non sarà facile per il pm Lionello trovare elementi tali da
coronare con una richiesta di condanna l'impalcatura
accusatoria ereditata dal collega Mansi sulle responsabilità
della contaminazione da "ceneraccio" (residui delle
produzioni di fertilizzanti chimici) che ha "minato" i 20
ettari che comprendono il capannone industriale e la
spiaggia antistante, fra il Comune di Falconara e
Montemarciano. Un nodo difficile da sciogliere, quello delle
presunte colpe addebitate ai 4 imputati per violazione del
decreto Ronchi - i siciliani Vito De Lucia e Cosimo
Capobianco, manager di "Enichem Agricoltura", la società che
gestì per Montedison la dismissione dello stabilimento tra
l'88 e l'89; e gli emiliani Giuseppe Torroni e Dino
Simonetti, titolari, rispettivamente, della "Rocca mare spa"
e della "Agricola '92", le aziende che acquistarono da "Enichem
agricoltura" in liquidazione il sito ammorbato da arsenico,
piombo, rame e altri veleni - visto che le eventuali
omissioni nell'impedire lo scarico a cielo aperto di
montagne di scorie risalgono a un periodo precedente al loro
coinvolgimento nella questione, ben prima dell'entrata in
vigore del Ronchi. "L'iperfosfato fu prodotto fin
dall'inizio del '900, visto che la Società Mineraria e
Montecatini si costituì tra il 1915-1920", ha testimoniato
Duilio Bucci, il direttore dell'area chimica dell'Arpam che
si occupò dei monitoraggi dopo il sopralluogo del Corpo
forestale che nel 2001 innescò l'inchiesta. "Si fecero 2
campionamenti e 8 carotaggi nel terriccio e nelle sabbie, le
analisi evidenziarono arsenico, piombo, rame e cenere di
pirite - ha detto Bucci - scorie a mio avviso legate
all'attività della vecchia Montecatini, non delle ditte di
questo processo". Negativo, invece, l'esito dei saggi di
tossicità dell'acqua di mare. E il Comune di Falconara? "Nel
2001 seguimmo la messa in sicurezza, l'evacuazione di parte
delle sabbie inquinate, ma non approvammo il piano di
caratterizzazione di Agricola '92, perché andava integrato,
dato che il sito a rischio era diventato di interesse
nazionale", ha detto poi l'impiegata dell'ufficio ambiente
municipale Giovanna Badiali. Le ditte sotto accusa
"acquistarono il terreno, ma non produssero", ha affermato
il terzo teste, il maggiore della Forestale Migliaccio. Il
processo riprenderà il 10 marzo con la deposizione dell'ing.
Biancani, che è redattore della perizia d'inchiesta.
Spiaggia dei veleni
Una bonifica a peso doro,
quando si farà, quella della "spiaggia dei veleni". Il danno
ambientale era noto già nel 1995, quando il Consorzio
"Basi", su incarico di "Enichem Agricoltura" (in
liquidazione), studiò e rese pubblico il piano di
risanamento "Aquater". La vera notizia a margine del
processo di ieri, forse, è la mancata costituzione di parte
civile, per ottenere un risarcimento danni, di Comune di
Falconara, Provincia e Regione. Gli enti istituzionalmente
deputati a controllare lo stato di salute del territorio.
Fecero tutto il loro dovere di controllori? Se lo sta
chiedendo un'inchiesta stralcio.
Stop alle auto due giorni
a settimana
L’allarme polveri . Il
provvedimento della Giunta comunale avrà valore per tutte le
vetture con orario 9-12 e 17-18,30. Circolazione vietata
ogni venerdì e domenica dal 6 febbraio al 28 marzo
di MASSIMILIANO PETRILLI
Chiuso per polveri. La città
si prepara a fermare le auto, adeguandosi alla delibera
messa a punto dall’assessore regionale Amagliani, e ad
allestire una task force di medici che valuterà anche
l’impatto del blocco sulla qualità dell’aria. L’ok è
arrivato ieri dalla Giunta che ha ufficializzato giorni e
orari di chiusura al traffico, sulla base delle indicazioni
messe a punto dalla Provincia, ipotizzando bus gratuiti alla
domenica. In tutto saranno sedici le occasioni in cui gli
automobilisti, volenti o nolenti, dovranno modificare le
loro abitudini. Le auto non potranno circolare il venerdì e
la domenica nelle fasce orarie 9-12 e 17-18.30. Il primo
stop, che riguarderà tutti i veicoli (ad eccezione
ovviamente quelli di emergenza), è fissato per venerdì 6
febbraio. Per poi proseguire, ogni venerdì e domenica di
febbraio e marzo, sino al 28 marzo. Le zone dove far
applicare questo provvedimento saranno messe a punto nei
prossimi giorni. «L’orientamento è comunque di prevedere
un’area il più estesa possibile per quanto riguarda la
domenica - afferma Emilio D’Alessio, assessore alla qualità
della vita - mentre cercheremo di interferire il meno
possibile con le necessità della città nella giornate di
venerdì». L’idea potrebbe essere di ricalcare, almeno per
quel che riguarda il blocco festivo, quanto già attuato in
occasione delle domeniche a piedi quando le macchine erano
state dichiarate off-limits sia in centro che al Piano. E
non è escluso che magari questa volta, almeno la domenica,
possano essere coinvolte anche altre zone periferiche (tra
cui forse anche Torrette). Nei dettagli delle strade da
sbarrare il Comune entrerà comunque la prossima settimana.
Per ora segnatevi in rosso sull’agenda tutti i venerdì e le
domeniche di febbraio e marzo, cominciando magari ad
organizzarvi con parenti, amici e conoscenti per
fronteggiare questa svolta ecologica. «Anche se non ci
aspettiamo risultati eclatanti - afferma D’Alessio - abbiamo
comunque messo in campo una soluzione più seria rispetto a
quella che era l’idea originaria della Regione. E’ ovvio che
per incidere seriamente servirebbero fondi strutturali da
parte di Regione e Stato, comunque queste prime chiusure
rappresentano un buon viatico per cercare di modificare le
abitudini delle persone e incentivare l’utilizzo dei mezzi
pubblici». E a proposito di bus il Comune, come capofila
dell’Anci, proporrà alla Regione il trasporto pubblico
gratuito con una copertura finanziaria regionale pari al 50
per cento del mancato introito di Conerobus (incasso desunto
dalla media dei biglietti utilizzati nelle giornate
domenicali). Nel frattempo la Provincia intende chiedere
alla Regione di emettere un’ordinanza per deviare il
traffico pesante sull’A14. |
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CORRIERE ADRIATICO |
Niente veleni dal fosso
La sentenza per l'inquinamento
dell'Esino tra il '97 e il 2001. Api, due condanne e due
assoluzioni. Provincia da risarcire
di LORENZO SCONOCCHINI
Due condanne, più soft del
temuto, e due assoluzioni. L'Api non esce indenne, ma
neppure con le ossa rotte, dal processo per gli scarichi
inquinanti nel fiume Esino avvenuti secondo la procura tra
il '97 e il marzo del 2001. Ieri il giudice Alberto
Pallucchini, sfoltendo un lungo elenco di capi
d'imputazione, ha condannato a venti giorni d'arresto e
1.800 euro d'ammenda il direttore della raffineria
falconarese Franco Bellucci e l'ex amministratore delegato
della società Clemente Napolitano, attualmente consigliere
d'amministrazione. Colpa loro, secondo il verdetto, se i
prelievi compiuti dall'Arpam avevano riscontrato la presenza
di rifiuti solidi sospesi (54 milligrammi per litro) in un
pozzetto della raffineria. Il tribunale ha invece assolto
perché il fatto non sussiste l'ex direttore Giovanni Saronne,
perché al momento del sopralluogo del marzo 2001 non era più
responsabile della raffineria, e il responsabile della
manutenzione Francesco Rossi, accusato di falso per aver
indicato un progetto d'impianto risultato diverso da quello
poi realizzato. Come sostenuto dal suo avvocato difensore
Michele Andreano, e riconosciuto dallo stesso pm, l'ingegner
Rossi aveva solo reso più efficiente l'impianto di scarico
senza nessuna violazione urbanistica, dunque l'eventuale
falso era casuale e innocuo. La sentenza ha cancellato anche
il capitolo d'accusa sull'inquinamento del fiume attraverso
il fosso di scolo, sicché l'unico capo d'imputazione rimasto
in piedi riguardava l'impianto di demineralizzazione della
raffineria, quello per il trasferimento delle acque di
scarico che comporta anche la chiarificazione di parte delle
acque del fiume. Il pm Rosario Lioniello aveva presentato a
Saronne, Bellucci e Napolitano un conto salato (due anni
d'arresto) che aveva fatto sobbalzare l'avvocato Giacomo
Vettori, difensore dei dirigenti e tecnici dell'Api, che
nella sua arringa ha contestato tempi e metodi di prelievi e
analisi ("eseguite con due giorni di ritardo"), facendo
notare che l'Esino è uno dei fiumi più inquinati d'Italia. E
non certo per colpa dell'Api: "L'arrossamento rilevato dagli
esperti dell'Arpam al momento dei prelievi - ha sostenuto
Vettori - non può essere attribuito a sversamenti
riconducibili all'Api, visto che proprio in quel punto
confluisce nel fiume il fosso Vallata del Mulino. La
raffineria aveva già realizzato sbarramenti tra il
collettore e il fosso di scolo, e tra il fosso e il fiume".
La sentenza di ieri tratta anche di risarcimenti,
riconoscendo il diritto alla rifusione del danno (da
quantificare in sede civile) alla Provincia di Ancona, che
chiedeva un milione e mezzo di euro. Nessuna pretesa può
vantare invece la Regione Marche, a cui il giudice non ha
riconosciuto lo status di danneggiata. L'Api in serata ha
diffuso un comunicato in cui afferma di prendere atto con
"sostanziale soddisfazione" della sentenza, che accoglie
molte richieste della difesa, annunciando però ricorso in
appello. E ha fatto notare quanto sia esiguo, anche
prendendo per buone le analisi contestate, l'inquinamento di
cui trattava il processo: "Quel giorno fu riscontrata
nell'Esino la presenza di solidi sospesi, certamente non
provenienti dall'Api, pari a circa 1.380 milligrammi per
litro. Ciò vuol dire, poiché la raffineria preleva
legittimamente dal fiume un quantitativo limitato di acqua
depurandolo dal carico di solidi sospesi, che nel corso
della giornata l'Api avrebbe apportato un pressoché
insignificante carico di inquinamento al fiume".
Ex Montedison, sfilano i
testi
Il Comune di Falconara non si
è costituito parte civile nel processo
Il Comune di Falconara non si
è costituito parte civile nel processo iniziato ieri per il
disastro ambientale e l'avvelenamento delle falde acquifere
nell'area dell'ex Montedison situata tra Marina di
Montemarciano e Falconara. Gli imputati sono quattro:
Giuseppe Torroni, 74 anni, e Dino Simonetti di 55 - difesi
dall'avvocato Paolo Pauri - rappresentanti legali delle
ditte Rocca Mare spa e Agricola '92 che acquisirono l'area e
Vito De Lucia, 60 anni, e Cosimo Capobianco, di 63, ex
addetti al controllo degli stabilimenti dismessi della
Montedison. Gli amministratori delle ditte acquirenti
sostengono che le presunte violazioni dell normativa
ambientale risalirebbero alla fine degli anni Ottanta,
quando l'area non era ancora sotto il loro controllo. Ma
anche gli altri due imputati, che si occuparono dell'ex
stabilimento Montedison solo nella fase della dismissione,
contestano tutti gli addebiti. Ieri il difensore di
Capobianco e De Lucia ha chiesto al giudice monocratico
Lauro Mogetta di acquisire uno studio ambientale fatto nel
'95 dall'Enichem Agricoltura. Nell'udienza d'apertura sono
stati sentiti diversi testimoni, tra cui l'allora
responsabile dell' area chimica dell'Arpam Duilio Bucci. Una
dipendente dell'Ufficio Ambiente del Comune ha ricordato che
la contaminazione del suolo "arrivava a una profondità di
circa tre metri". Il processo proseguirà il 10 marzo.
Secondo la procura dorica qualcuno doveva tamponare quel
gocciolatoio di tossine, arrestare lo stillicidio che ha
intriso la terra, la sabbia e il mare alterando negli anni
l'ecosistema con le scorie di uno stabilimento che produceva
concimi per l'agricoltura. Gli scarti dell'industria chimica
(ceneri di pirite, fosforiti e benzoantracene) hanno
depositato nel suolo e nelle acque marine sostanze poco
salutari come l'arsenico e il cadmio, il mercurio e il
piombo, il rame e lo zinco, oltre a idrocarburi assortiti.
Chi doveva, secondo le conclusioni dell'inchiesta, non ha
impedito che l'ex Montedison sputasse nell'ambiente i suoi
veleni contaminando venti ettari sul lungomare nord di
Falconara. Uno scampolo di archeologia industriale destinato
a rinascere, perché in quel tratto di litorale il Prg
firmato dall'architetto catalano Bohigas prevede la
valorizzazione della risorsa spiaggia, con opere di
protezione e difesa a mare della costa e ipotesi di approdo
turistico, e il recupero delle strutture quale "polo
territoriale per il tempo libero".
Avviata l'indagine sulla
bonifica del sito
Sopralluogo e prelievi dei
carabinieri del Noe
Acquisizione di documenti e
prelievo di campioni del terreno. A questo si sono dedicati
i carabinieri del Nucleo ecologico (Noe) di Ancona che hanno
fatto l'altro ieri un sopralluogo nella raffineria dell'Api
a Falconara. Nel fitto riserbo che circonda la vicenda,
trapelano comunque alcuni particolari. E' probabile che al
centro dell'attenzione possa esserci non tanto l'attività
diretta dell'Api quanto quella di un'azienda che lavora
all'interno della raffineria in sub-appalto. E' certo invece
che l'attenzione dei carabinieri, specializzati in materia
di tutela dell'ambiente, sia rivolta alla questione
dell'inquinamento del sottosuolo e della relativa eventuale
necessità di una bonifica. Da qui la decisione di prelevare
alcuni campioni dal terreno per verificare eventuali tracce
di inquinamento da idrocarburi. L'indagine è appena agli
inizi e solo dopo la conclusione degli accertamenti sarà
possibile avere un quadro più chiaro.
"Smog, servono iniziative
urgenti"
Dal tavolo tecnico proposte
integrative a quelle della Regione
ANCONA - Proposte integrative
rispetto a quelle individuate dalla giunta regionale sul
problema delle polveri sottili sono state illustrate dalle
amministrazioni provinciali di Ancona, Ascoli, Pesaro Urbino
e dai Comuni intervenuti al tavolo tecnico, il cui compito è
quello di individuare azioni comuni per ridurre
l'inquinamento da PM10. La necessità di interventi per
limitare il traffico è ormai condivisa, come pure quella -
si legge in una nota della giunta - di informare la
popolazione sugli effetti dannosi delle polveri sottili per
la salute umana. I dati dei rilevamenti nelle undici
stazioni presenti nel territorio regionale, relativi al 2003
e ai primi 15 giorni di gennaio, dimostrano che "è urgente
adottare provvedimenti a breve e medio-lungo termine". Il
tavolo tecnico (di cui fanno parte Province, Comuni, Arpam e
Regione) ha assunto l'impegno di definire in tempi stretti
(la prossima riunione è prevista per domani) le azioni da
intraprendere.
Individuate le aree a
rischio
Passa in consiglio regionale
il piano di assetto idrogeologico
ANCONA - Il consiglio
regionale ha approvato a maggioranza - 18 sì e nove no
(incluso quello dei Verdi) - il Piano d'assetto
idrogeologico (Pai). Sull' atto ha relazionato Stefania
Benatti (Margherita), definendolo di "straordinaria
importanza". Esso individua le aree a rischio idraulico e
frana-valanga; disciplina gli usi di tali aree; fornisce
direttive per la diminuzione dei rischi; prevede criteri per
l'attuazione degli interventi. Per le aree più a rischio (il
grado di pericolo è calcolato in quattro livelli: basso,
medio, elevato e molto elevato) viene mantenuto il livello
dell'attuale edificato e sono previste notevoli limitazioni
agli strumenti urbanistici. In totale, le aree a rischio
frana e valanga indicate sono quasi 18.946, mentre quelle a
rischio esondazione 432. Il Pai (che non stanzia risorse)
prevede un fabbisogno economico complessivo di quasi 431
milioni di euro, 278 circa per il rischio idraulico e 153
per il rischio gravitativo (frane e valanghe). Dal canto
suo, il relatore di minoranza, Ottavio Brini (FI), pur
riconoscendo l'impegno della relatrice e dei presidenti
della commissione (D'Angelo prima e Tontini poi), ha
sottolineato il ritardo con il quale l'atto è giunto in
aula, esprimendo un giudizio "negativo". Carlo Ciccioli, di
An, ha parlato di "atto autenticamente necessario per
prevenire possibili danni", ma ha osservato che "non ci può
essere gestione politica sul territorio, bensì soltanto in
base a criteri tecnici, geologici e idraulici". Ciccioli ha
anche manifestato "perplessità" sulle previsioni riguardanti
l'area del Passetto di Ancona, e, più esattamente, riguardo
all'"inclusione, su richiesta del Comune, di zone edificate
nell'elenco di quelle a rischio". Francesco Massi (Udc) ha
rilevato l'urgenza dell'atto, ma ne ha anche evidenziato le
carenze sul piano del raccordo fra esigenze cartografiche e
quelle di approvvigionamento energetico, specie delle zone
interne attorno alle aste fluviali. Roberto Giannotti, di
FI, ha sollecitato al presidente D'Ambrosio e la giunta
azioni idonee a rimuovere le disparità, in particolare di
trattamento finanziario, dei bacini del Conca e del
Marecchia, e un intervento "autorevole" per recuperare e
reintegrare i due bacini. Roberto Tontini, dei Ds, ha
sottolineato che il provvedimento è "un atto intelligente,
che non si limita a dire dei no, ma indica ciò che deve
essere fatto". Tontini ha inoltre riferito che "si sta
lavorando" per eliminare le disparità dei due bacini del
Conca e del Marecchia, sottolineando però l'importanza che,
a tale scopo, sussista un efficace coordinamento fra le
regioni interessate (Emilia-Romagna, Toscana, Marche).
Infine, l'assessore Giulio Silenzi ha chiuso la serie degli
interventi rilevando che "il Piano pone le Marche
all'avanguardia in fatto di programmazione urbanistica.
L'atto - ha continuato - non va nella logica dell'intervento
dopo che il dissesto è intervenuto, ma in quella di una
logica preventiva, basata su una capillare conoscenza del
territorio. Pochi sono i casi in cui permangono le
contestazioni, mentre la condivisione da parte degli enti
locali è stata ampia". L'atto - ha poi evidenziato
l'assessore - è indispensabile per accedere a ulteriori
finanziamenti nazionali e favorisce "un salto culturale
della società marchigiana nell'interpretazione dei problemi
dello sviluppo, in un'ottica che pone la tutela del
territorio sopra ogni altra cosa". |
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