RASSEGNA STAMPA 22.01.2004

 

MESSAGGERO
Esino inquinato, colpa del Demin

La sentenza del processo scagiona l’Api. Contatto a rischio, ma la raffineria non è il capro espiatorio. Pene lievi a Bellucci e Napolitano: venti giorni e 1800 euro di multa

di GIAMPAOLO MILZI

FALCONARA - Un contatto ravvicinato certamente a rischio, quello tra l'Api e l'Esino. Ma la raffineria non può essere considerata una specie di capro espiatorio di uno stato d'inquinamento fluviale cronico e dalle fonti diversificate. Può essere letta anche così la sentenza che nel primo pomeriggio di ieri ha condannato due imputati su quattro, e solo per un capo d'imputazione, in chiusura del processo sull'ennesima contaminazione da idrocarburi e altre porcherie connessa in qualche modo a due sistemi di scarico del complesso industriale. Una considerazione provata dal giudice Pallucchini per quanto riguarda il mal funzionamento dell'impianto "Demin" di demineralizzazione delle acque (attraverso l'utilizzo del cloruro ferrico); da qui la pena di 20 giorni di arresto e 1800 euro di multa all'attuale direttore della raffineria Franco Bellucci e al legale responsabile della stessa Clemente Napolitano. Ritenuti invece non responsabili del rischio rappresentato dal "fosso scolatore" che scorre nelle viscere della raffineria prima di sfociare nel fiume, visto che in esso non confluiscono solo reflui provenienti dalla zona di produzione, dai piazzali e dai depositi, ma anche acque contaminate più a monte o da fonti esterne. Assolto da ogni accusa (il fatto non sussiste) Giovanni Saronne, visto che il suo avvocato Giacomo Vettori (che assisteva anche gli altri manager) ha dimostrato che aveva già cessato di ricoprire la carica di direttore nel maggio 2000, ben prima quindi dell'inizio dell'inchiesta, avvenuto dopo la comparsa di macchie rossastre nella foce dell'Esino il 9 marzo 2001. Scagionato "perché il fatto non costituisce reato" (come del resto richiesto dal pm Lionello) il consulente esterno Francesco Rossi, accusato di aver presentato in Comune un certificato di collaudo di opere di manutenzione legate al "fosso scolatore" dichiarando falsamente che erano state fatte a regola d'arte e come da progetto iniziale. Una svista superficiale e ininfluente la sua, non un reato di falso, aveva testimoniato il prof. Agostinacchio citato dall'avvocato difensore Andreano. L'arrossamento del fiume per l'emersione di residui ferrosi, tuttavia, non è stato considerato accidentale, ma originato dalla scarsa efficienza del Demin, come dimostrarono i prelievi e i campionamenti eseguiti dai carabinieri del Noe e dall'Arpam, che avevano evidenziato la presenza nelle acque di scarico di contaminanti solidi sospesi al di sopra dei tetti di sicurezza di legge. Monitoraggi tuttavia inattendibili, secondo l'avvocato Vettori, che aveva contestato la regolarità della tempistica con cui erano stati effettuati. Parzialmente vincente dunque la tesi del pm, che aveva chiesto una condanna a 2 anni di arresto per tutti e tre i manager, in relazione a una contaminazione che, secondo gli accertamenti accusatori, aveva "arricchito" l'Esino di idrocarburi, azoto, batteri e altre sostanze pericolose fin dal 1997. La sentenza del giudice Pallucchini ha riconosciuto il diritto al risarcimento dei danni alla Provincia di Ancona (da liquidare in separata sede civile), ma non all'altro ente, la Regione Marche, che si era costituito parte civile nel processo.

Analisi

Assolto il "fosso scolatore", condannato l'impianto Denim. Insomma, l'eco sos "Esino rosso" scattato del 9 marzo 2001 era solo parzialmente legato al corretto funzionamento degli impianti di scarico e dei trattamenti di filtraggio dei reflui della raffineria Api. Comunque attendibili, secondo il giudice, i campionamenti e le analisi "d'accusa" effettuati da Noe e Arpam

Dopo la testimonianza di Bucci il 10 marzo toccherà a Biancani

di G.M.

FALCONARA - Si è aperto subito con un nodo fondamentale per l'esito finale, il processo sullo "scatolone di sabbia avvelenata" dell'area ex Montedison. Già ieri, alla prima udienza, si è intuito che non sarà facile per il pm Lionello trovare elementi tali da coronare con una richiesta di condanna l'impalcatura accusatoria ereditata dal collega Mansi sulle responsabilità della contaminazione da "ceneraccio" (residui delle produzioni di fertilizzanti chimici) che ha "minato" i 20 ettari che comprendono il capannone industriale e la spiaggia antistante, fra il Comune di Falconara e Montemarciano. Un nodo difficile da sciogliere, quello delle presunte colpe addebitate ai 4 imputati per violazione del decreto Ronchi - i siciliani Vito De Lucia e Cosimo Capobianco, manager di "Enichem Agricoltura", la società che gestì per Montedison la dismissione dello stabilimento tra l'88 e l'89; e gli emiliani Giuseppe Torroni e Dino Simonetti, titolari, rispettivamente, della "Rocca mare spa" e della "Agricola '92", le aziende che acquistarono da "Enichem agricoltura" in liquidazione il sito ammorbato da arsenico, piombo, rame e altri veleni - visto che le eventuali omissioni nell'impedire lo scarico a cielo aperto di montagne di scorie risalgono a un periodo precedente al loro coinvolgimento nella questione, ben prima dell'entrata in vigore del Ronchi. "L'iperfosfato fu prodotto fin dall'inizio del '900, visto che la Società Mineraria e Montecatini si costituì tra il 1915-1920", ha testimoniato Duilio Bucci, il direttore dell'area chimica dell'Arpam che si occupò dei monitoraggi dopo il sopralluogo del Corpo forestale che nel 2001 innescò l'inchiesta. "Si fecero 2 campionamenti e 8 carotaggi nel terriccio e nelle sabbie, le analisi evidenziarono arsenico, piombo, rame e cenere di pirite - ha detto Bucci - scorie a mio avviso legate all'attività della vecchia Montecatini, non delle ditte di questo processo". Negativo, invece, l'esito dei saggi di tossicità dell'acqua di mare. E il Comune di Falconara? "Nel 2001 seguimmo la messa in sicurezza, l'evacuazione di parte delle sabbie inquinate, ma non approvammo il piano di caratterizzazione di Agricola '92, perché andava integrato, dato che il sito a rischio era diventato di interesse nazionale", ha detto poi l'impiegata dell'ufficio ambiente municipale Giovanna Badiali. Le ditte sotto accusa "acquistarono il terreno, ma non produssero", ha affermato il terzo teste, il maggiore della Forestale Migliaccio. Il processo riprenderà il 10 marzo con la deposizione dell'ing. Biancani, che è redattore della perizia d'inchiesta.

Spiaggia dei veleni

Una bonifica a peso doro, quando si farà, quella della "spiaggia dei veleni". Il danno ambientale era noto già nel 1995, quando il Consorzio "Basi", su incarico di "Enichem Agricoltura" (in liquidazione), studiò e rese pubblico il piano di risanamento "Aquater". La vera notizia a margine del processo di ieri, forse, è la mancata costituzione di parte civile, per ottenere un risarcimento danni, di Comune di Falconara, Provincia e Regione. Gli enti istituzionalmente deputati a controllare lo stato di salute del territorio. Fecero tutto il loro dovere di controllori? Se lo sta chiedendo un'inchiesta stralcio.

Stop alle auto due giorni a settimana

L’allarme polveri . Il provvedimento della Giunta comunale avrà valore per tutte le vetture con orario 9-12 e 17-18,30. Circolazione vietata ogni venerdì e domenica dal 6 febbraio al 28 marzo

di MASSIMILIANO PETRILLI

Chiuso per polveri. La città si prepara a fermare le auto, adeguandosi alla delibera messa a punto dall’assessore regionale Amagliani, e ad allestire una task force di medici che valuterà anche l’impatto del blocco sulla qualità dell’aria. L’ok è arrivato ieri dalla Giunta che ha ufficializzato giorni e orari di chiusura al traffico, sulla base delle indicazioni messe a punto dalla Provincia, ipotizzando bus gratuiti alla domenica. In tutto saranno sedici le occasioni in cui gli automobilisti, volenti o nolenti, dovranno modificare le loro abitudini. Le auto non potranno circolare il venerdì e la domenica nelle fasce orarie 9-12 e 17-18.30. Il primo stop, che riguarderà tutti i veicoli (ad eccezione ovviamente quelli di emergenza), è fissato per venerdì 6 febbraio. Per poi proseguire, ogni venerdì e domenica di febbraio e marzo, sino al 28 marzo. Le zone dove far applicare questo provvedimento saranno messe a punto nei prossimi giorni. «L’orientamento è comunque di prevedere un’area il più estesa possibile per quanto riguarda la domenica - afferma Emilio D’Alessio, assessore alla qualità della vita - mentre cercheremo di interferire il meno possibile con le necessità della città nella giornate di venerdì». L’idea potrebbe essere di ricalcare, almeno per quel che riguarda il blocco festivo, quanto già attuato in occasione delle domeniche a piedi quando le macchine erano state dichiarate off-limits sia in centro che al Piano. E non è escluso che magari questa volta, almeno la domenica, possano essere coinvolte anche altre zone periferiche (tra cui forse anche Torrette). Nei dettagli delle strade da sbarrare il Comune entrerà comunque la prossima settimana. Per ora segnatevi in rosso sull’agenda tutti i venerdì e le domeniche di febbraio e marzo, cominciando magari ad organizzarvi con parenti, amici e conoscenti per fronteggiare questa svolta ecologica. «Anche se non ci aspettiamo risultati eclatanti - afferma D’Alessio - abbiamo comunque messo in campo una soluzione più seria rispetto a quella che era l’idea originaria della Regione. E’ ovvio che per incidere seriamente servirebbero fondi strutturali da parte di Regione e Stato, comunque queste prime chiusure rappresentano un buon viatico per cercare di modificare le abitudini delle persone e incentivare l’utilizzo dei mezzi pubblici». E a proposito di bus il Comune, come capofila dell’Anci, proporrà alla Regione il trasporto pubblico gratuito con una copertura finanziaria regionale pari al 50 per cento del mancato introito di Conerobus (incasso desunto dalla media dei biglietti utilizzati nelle giornate domenicali). Nel frattempo la Provincia intende chiedere alla Regione di emettere un’ordinanza per deviare il traffico pesante sull’A14.

 
CORRIERE ADRIATICO
Niente veleni dal fosso

La sentenza per l'inquinamento dell'Esino tra il '97 e il 2001. Api, due condanne e due assoluzioni. Provincia da risarcire

di LORENZO SCONOCCHINI

Due condanne, più soft del temuto, e due assoluzioni. L'Api non esce indenne, ma neppure con le ossa rotte, dal processo per gli scarichi inquinanti nel fiume Esino avvenuti secondo la procura tra il '97 e il marzo del 2001. Ieri il giudice Alberto Pallucchini, sfoltendo un lungo elenco di capi d'imputazione, ha condannato a venti giorni d'arresto e 1.800 euro d'ammenda il direttore della raffineria falconarese Franco Bellucci e l'ex amministratore delegato della società Clemente Napolitano, attualmente consigliere d'amministrazione. Colpa loro, secondo il verdetto, se i prelievi compiuti dall'Arpam avevano riscontrato la presenza di rifiuti solidi sospesi (54 milligrammi per litro) in un pozzetto della raffineria. Il tribunale ha invece assolto perché il fatto non sussiste l'ex direttore Giovanni Saronne, perché al momento del sopralluogo del marzo 2001 non era più responsabile della raffineria, e il responsabile della manutenzione Francesco Rossi, accusato di falso per aver indicato un progetto d'impianto risultato diverso da quello poi realizzato. Come sostenuto dal suo avvocato difensore Michele Andreano, e riconosciuto dallo stesso pm, l'ingegner Rossi aveva solo reso più efficiente l'impianto di scarico senza nessuna violazione urbanistica, dunque l'eventuale falso era casuale e innocuo. La sentenza ha cancellato anche il capitolo d'accusa sull'inquinamento del fiume attraverso il fosso di scolo, sicché l'unico capo d'imputazione rimasto in piedi riguardava l'impianto di demineralizzazione della raffineria, quello per il trasferimento delle acque di scarico che comporta anche la chiarificazione di parte delle acque del fiume. Il pm Rosario Lioniello aveva presentato a Saronne, Bellucci e Napolitano un conto salato (due anni d'arresto) che aveva fatto sobbalzare l'avvocato Giacomo Vettori, difensore dei dirigenti e tecnici dell'Api, che nella sua arringa ha contestato tempi e metodi di prelievi e analisi ("eseguite con due giorni di ritardo"), facendo notare che l'Esino è uno dei fiumi più inquinati d'Italia. E non certo per colpa dell'Api: "L'arrossamento rilevato dagli esperti dell'Arpam al momento dei prelievi - ha sostenuto Vettori - non può essere attribuito a sversamenti riconducibili all'Api, visto che proprio in quel punto confluisce nel fiume il fosso Vallata del Mulino. La raffineria aveva già realizzato sbarramenti tra il collettore e il fosso di scolo, e tra il fosso e il fiume". La sentenza di ieri tratta anche di risarcimenti, riconoscendo il diritto alla rifusione del danno (da quantificare in sede civile) alla Provincia di Ancona, che chiedeva un milione e mezzo di euro. Nessuna pretesa può vantare invece la Regione Marche, a cui il giudice non ha riconosciuto lo status di danneggiata. L'Api in serata ha diffuso un comunicato in cui afferma di prendere atto con "sostanziale soddisfazione" della sentenza, che accoglie molte richieste della difesa, annunciando però ricorso in appello. E ha fatto notare quanto sia esiguo, anche prendendo per buone le analisi contestate, l'inquinamento di cui trattava il processo: "Quel giorno fu riscontrata nell'Esino la presenza di solidi sospesi, certamente non provenienti dall'Api, pari a circa 1.380 milligrammi per litro. Ciò vuol dire, poiché la raffineria preleva legittimamente dal fiume un quantitativo limitato di acqua depurandolo dal carico di solidi sospesi, che nel corso della giornata l'Api avrebbe apportato un pressoché insignificante carico di inquinamento al fiume".

Ex Montedison, sfilano i testi

Il Comune di Falconara non si è costituito parte civile nel processo

Il Comune di Falconara non si è costituito parte civile nel processo iniziato ieri per il disastro ambientale e l'avvelenamento delle falde acquifere nell'area dell'ex Montedison situata tra Marina di Montemarciano e Falconara. Gli imputati sono quattro: Giuseppe Torroni, 74 anni, e Dino Simonetti di 55 - difesi dall'avvocato Paolo Pauri - rappresentanti legali delle ditte Rocca Mare spa e Agricola '92 che acquisirono l'area e Vito De Lucia, 60 anni, e Cosimo Capobianco, di 63, ex addetti al controllo degli stabilimenti dismessi della Montedison. Gli amministratori delle ditte acquirenti sostengono che le presunte violazioni dell normativa ambientale risalirebbero alla fine degli anni Ottanta, quando l'area non era ancora sotto il loro controllo. Ma anche gli altri due imputati, che si occuparono dell'ex stabilimento Montedison solo nella fase della dismissione, contestano tutti gli addebiti. Ieri il difensore di Capobianco e De Lucia ha chiesto al giudice monocratico Lauro Mogetta di acquisire uno studio ambientale fatto nel '95 dall'Enichem Agricoltura. Nell'udienza d'apertura sono stati sentiti diversi testimoni, tra cui l'allora responsabile dell' area chimica dell'Arpam Duilio Bucci. Una dipendente dell'Ufficio Ambiente del Comune ha ricordato che la contaminazione del suolo "arrivava a una profondità di circa tre metri". Il processo proseguirà il 10 marzo. Secondo la procura dorica qualcuno doveva tamponare quel gocciolatoio di tossine, arrestare lo stillicidio che ha intriso la terra, la sabbia e il mare alterando negli anni l'ecosistema con le scorie di uno stabilimento che produceva concimi per l'agricoltura. Gli scarti dell'industria chimica (ceneri di pirite, fosforiti e benzoantracene) hanno depositato nel suolo e nelle acque marine sostanze poco salutari come l'arsenico e il cadmio, il mercurio e il piombo, il rame e lo zinco, oltre a idrocarburi assortiti. Chi doveva, secondo le conclusioni dell'inchiesta, non ha impedito che l'ex Montedison sputasse nell'ambiente i suoi veleni contaminando venti ettari sul lungomare nord di Falconara. Uno scampolo di archeologia industriale destinato a rinascere, perché in quel tratto di litorale il Prg firmato dall'architetto catalano Bohigas prevede la valorizzazione della risorsa spiaggia, con opere di protezione e difesa a mare della costa e ipotesi di approdo turistico, e il recupero delle strutture quale "polo territoriale per il tempo libero".

Avviata l'indagine sulla bonifica del sito

Sopralluogo e prelievi dei carabinieri del Noe

Acquisizione di documenti e prelievo di campioni del terreno. A questo si sono dedicati i carabinieri del Nucleo ecologico (Noe) di Ancona che hanno fatto l'altro ieri un sopralluogo nella raffineria dell'Api a Falconara. Nel fitto riserbo che circonda la vicenda, trapelano comunque alcuni particolari. E' probabile che al centro dell'attenzione possa esserci non tanto l'attività diretta dell'Api quanto quella di un'azienda che lavora all'interno della raffineria in sub-appalto. E' certo invece che l'attenzione dei carabinieri, specializzati in materia di tutela dell'ambiente, sia rivolta alla questione dell'inquinamento del sottosuolo e della relativa eventuale necessità di una bonifica. Da qui la decisione di prelevare alcuni campioni dal terreno per verificare eventuali tracce di inquinamento da idrocarburi. L'indagine è appena agli inizi e solo dopo la conclusione degli accertamenti sarà possibile avere un quadro più chiaro.

 

"Smog, servono iniziative urgenti"

Dal tavolo tecnico proposte integrative a quelle della Regione

ANCONA - Proposte integrative rispetto a quelle individuate dalla giunta regionale sul problema delle polveri sottili sono state illustrate dalle amministrazioni provinciali di Ancona, Ascoli, Pesaro Urbino e dai Comuni intervenuti al tavolo tecnico, il cui compito è quello di individuare azioni comuni per ridurre l'inquinamento da PM10. La necessità di interventi per limitare il traffico è ormai condivisa, come pure quella - si legge in una nota della giunta - di informare la popolazione sugli effetti dannosi delle polveri sottili per la salute umana. I dati dei rilevamenti nelle undici stazioni presenti nel territorio regionale, relativi al 2003 e ai primi 15 giorni di gennaio, dimostrano che "è urgente adottare provvedimenti a breve e medio-lungo termine". Il tavolo tecnico (di cui fanno parte Province, Comuni, Arpam e Regione) ha assunto l'impegno di definire in tempi stretti (la prossima riunione è prevista per domani) le azioni da intraprendere.

Individuate le aree a rischio

Passa in consiglio regionale il piano di assetto idrogeologico

ANCONA - Il consiglio regionale ha approvato a maggioranza - 18 sì e nove no (incluso quello dei Verdi) - il Piano d'assetto idrogeologico (Pai). Sull' atto ha relazionato Stefania Benatti (Margherita), definendolo di "straordinaria importanza". Esso individua le aree a rischio idraulico e frana-valanga; disciplina gli usi di tali aree; fornisce direttive per la diminuzione dei rischi; prevede criteri per l'attuazione degli interventi. Per le aree più a rischio (il grado di pericolo è calcolato in quattro livelli: basso, medio, elevato e molto elevato) viene mantenuto il livello dell'attuale edificato e sono previste notevoli limitazioni agli strumenti urbanistici. In totale, le aree a rischio frana e valanga indicate sono quasi 18.946, mentre quelle a rischio esondazione 432. Il Pai (che non stanzia risorse) prevede un fabbisogno economico complessivo di quasi 431 milioni di euro, 278 circa per il rischio idraulico e 153 per il rischio gravitativo (frane e valanghe). Dal canto suo, il relatore di minoranza, Ottavio Brini (FI), pur riconoscendo l'impegno della relatrice e dei presidenti della commissione (D'Angelo prima e Tontini poi), ha sottolineato il ritardo con il quale l'atto è giunto in aula, esprimendo un giudizio "negativo". Carlo Ciccioli, di An, ha parlato di "atto autenticamente necessario per prevenire possibili danni", ma ha osservato che "non ci può essere gestione politica sul territorio, bensì soltanto in base a criteri tecnici, geologici e idraulici". Ciccioli ha anche manifestato "perplessità" sulle previsioni riguardanti l'area del Passetto di Ancona, e, più esattamente, riguardo all'"inclusione, su richiesta del Comune, di zone edificate nell'elenco di quelle a rischio". Francesco Massi (Udc) ha rilevato l'urgenza dell'atto, ma ne ha anche evidenziato le carenze sul piano del raccordo fra esigenze cartografiche e quelle di approvvigionamento energetico, specie delle zone interne attorno alle aste fluviali. Roberto Giannotti, di FI, ha sollecitato al presidente D'Ambrosio e la giunta azioni idonee a rimuovere le disparità, in particolare di trattamento finanziario, dei bacini del Conca e del Marecchia, e un intervento "autorevole" per recuperare e reintegrare i due bacini. Roberto Tontini, dei Ds, ha sottolineato che il provvedimento è "un atto intelligente, che non si limita a dire dei no, ma indica ciò che deve essere fatto". Tontini ha inoltre riferito che "si sta lavorando" per eliminare le disparità dei due bacini del Conca e del Marecchia, sottolineando però l'importanza che, a tale scopo, sussista un efficace coordinamento fra le regioni interessate (Emilia-Romagna, Toscana, Marche). Infine, l'assessore Giulio Silenzi ha chiuso la serie degli interventi rilevando che "il Piano pone le Marche all'avanguardia in fatto di programmazione urbanistica. L'atto - ha continuato - non va nella logica dell'intervento dopo che il dissesto è intervenuto, ma in quella di una logica preventiva, basata su una capillare conoscenza del territorio. Pochi sono i casi in cui permangono le contestazioni, mentre la condivisione da parte degli enti locali è stata ampia". L'atto - ha poi evidenziato l'assessore - è indispensabile per accedere a ulteriori finanziamenti nazionali e favorisce "un salto culturale della società marchigiana nell'interpretazione dei problemi dello sviluppo, in un'ottica che pone la tutela del territorio sopra ogni altra cosa".

 
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