RASSEGNA STAMPA 31.12.2003

 

MESSAGGERO
PAURA DI SVOLTARE PER LA REGIONE DEL SENSO UNICO

IL COMMENTO di ROBERTO SOPRANZI

DA QUANDO le Marche aspettano l’anno della svolta? Da sempre. Arriva il 31 dicembre, si pensa in grande e anche gli oroscopi spesso autorizzano a farlo. Ma poi, sbolliti i fumi di San Silvestro, ti viene subito il sospetto che le Marche di svoltare sul serio non ne abbiano proprio voglia. Che in fondo la nostra strada diritta, un po’ in falsopiano, dopotutto ci sembri la più sicura. E che in tempi grami - i tempi grami, si sa, non passano mai - la virtù stia sempre nel mezzo come le Marche sono in mezzo all’Italia e l’Italia, ci piace crederlo, al centro esatto del mondo. No, non è questa, ancora, la regione delle svolte: dietro l’angolo ha sempre timore di trovare il peggio. Ma non è questa neppure la regione delle fughe in avanti. Siamo la terra di chi procede, sì, ma un passo alla volta. E il passo non è mai o quasi mai più lungo della gamba. Siamo la regione delle grandi opportunità che allo sfruttamento intensivo delle sue eccezionali risorse preferisce il raccolto una volta l’anno, quel tanto che basta per stare bene e sorridere dell’ultima statistica sulla qualità della vita che dà le metropoli in vantaggio. Lo sviluppo industriale, il modello marchigiano che ci siamo cuciti addosso, ci piace, ci dona, ci fa stare comodi. Cambiare taglio, puntare al trendy, non fa per noi. Nella regione della concretezza, quella dei Merloni, degli Scavolini, dei Guzzini, dei Della Valle, ma anche nella regione delle quasi 28 mila imprese diffuse su un territorio che non arriva a un milione e mezzo di abitanti, un tramonto è sempre un tramonto e un’alba un’alba: l’importante è che non grandini. E’ sempre un cuore contadino quello che scandisce i nostri tempi: e anche le tentazioni del transgenico fanno fatica ad attecchire. Questo cuore non si ferma mai, ha la forza dell’aratro che affonda in una terra fertile. Stiamo rimettendo a posto i conti in rosso, assicura il governatore D’Ambrosio. La riforma sanitaria, quella che dovrebbe farci risparmiare un mucchio di euro, è stata varata: per capire se funziona tocca aspettare. Ci sono economie da raggiungere con servizi che devono continuare ad essere efficienti, ma è un fatto che la rivoluzione Melappioni è andata in porto. Altri piani di settore hanno visto la luce in questo 2003 che si va a chiudere. Insomma non si può dire che non si sia lavorato, anche se a senso unico: mai un tentativo di sinergia tra maggioranza e opposizione in funzione di un risultato comune. E’ stato D’Ambrosio a lasciare la Cdl fuori dalla porta o la Cdl non se l’è mai sentita di bussare? Indecifrabile per certi versi il ruolo del sindacato, il vero terzo polo: si è inserito nel confronto con contributi che talora hanno dato più la sensazione di condizionare che non di migliorare l’azione del governo regionale. Fatto sta che la mancata unità su problemi di interesse collettivo - pensiamo alla stessa sanità ma non solo - ha prodotto veleni, ritardi, distanze. Niente di buono, comunque, per le Marche: cresce l’isolamento, le strade non si fanno, manca una vera strategia dei trasporti. E mentre crolla l’utopia del cosiddetto “Corridoio Adriatico” (sulla quale erano stati costruiti castelli e soprattutto caselli in aria) emergono progetti di terze corsie, arretramenti della linea Fs e uscite dal porto di Ancona che contrastano con la realtà: una realtà che, tanto per dire, parla ancora di binario unico tra Orte e Falconara. Roma è sempre lontana e sarebbe giù un successo procedere con le statali a pettine verso l’entroterra per migliorare almeno il collegamento tra i due mari. Forse a questo arriveremo nel 2004 ma tanto oltre non si andrà se sulla logica degli schieramenti contrapposti non prevarrà la politica della concretezza, della lungimiranza, della programmazione, della scelta oculata e, per quanto possibile, condivisa. Il 2004 ci propone un importante test elettorale, si voterà tra l’altro per il rinnovo di tre Province su quattro. Non solo. E’ in atto una strisciante campagna elettorale per le regionali del 2005. Ogni pretesto va bene per mettersi in mostra. Spuntano nomi nelle tradizionali classifiche dei marchigiani dell’anno che sanno tanto di avance, di pruderie anche velleitarie. Non ci sembra una buona fine e nemmeno un bell’inizio, tutt’altro. Non è così che si esce dalla strada monotona e in leggera salita, e appunto a senso unico, su cui bene o male procediamo. Non è così che le Marche potranno svoltare, proporre ancora con successo il valore resistente della loro iniziativa imprenditoriale e la freschezza di una immagine invidiabile. La scelta del Messaggero di eleggere Carlo Urbani e Marco Beci marchigiani dell’anno vuol avere anche questo significato. Puntare sulla consapevolezza dei nostri immensi valori e sfrattare da casa nostra le logiche di piccolo cabotaggio, l’insopportabile zavorra dei nostri progetti e dei nostri sogni. La nebbia che confonde le nostre intenzioni. Che non ci farà svoltare e soprattutto non ci porterà mai da nessuna parte.

 
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