CORRIERE DELLA SERA |
Ricorso al Tar: «Rischio
micropolveri, stop ai lavori»
di Gra. Mot.
MANTOVA - Mantova come
Voghera. Anche sulla centrale termoelettrica in dirittura
d’arrivo nell’area ex Enichem della città dei Gonzaga
incombe un ricorso al Tar che potrebbe bloccarne i lavori.
Un comitato di cittadini, riuniti sotto la sigla Codiamsa,
ha infatti impugnato la valutazione di impatto ambientale
(Via) sulla base della quale il ministero ha autorizzato la
società Enipower a costruire un impianto a turbogas da 780
megawatt. Il ricorso è stato presentato il 12 novembre e
verrà discusso il 2 dicembre. Tra i motivi di opposizione,
spicca la questione della produzione di micropolveri.
«Diversi studi americani e uno italiano realizzato da due
professori del Cnr puntano il dito contro quelle
piccolissime particelle, ancora più pericolose del Pm10 -
spiega Giulia Martinelli, farmacista, fra i responsabili del
comitato -, noi vogliamo che la Via tenga conto anche di
queste emissioni». Alle micropolveri gli ambientalisti
aggiungono il problema della concentrazione di impianti sul
territorio. Sono quattro le centrali in provincia di
Mantova: oltre a quella in costruzione in città, ci sono
Sermide (Edipower), Ostiglia (Endesa) e Ponti sul Mincio (Asm
di Brescia e Amgs). Tutte in corso di riconversione e
potenziamento. Ce ne sarebbe un’altra, da 150 megawatt, in
programma nell’area Ies, a pochi metri dai gruppi di
produzione Eni. Così in pochi anni la potenza totale
installata nel Mantovano potrebbe raggiungere quasi i
cinquemila megawatt. Una situazione che fa inorridire anche
il più pacato degli ecologisti. «Noi non siamo contro le
centrali - precisa Fabio Benazzi, ingegnere -. Il problema è
che qui si sta esagerando. Tutta questa energia poi non
serve al territorio, ma solo al business di alcune aziende».
Micropolveri, concentrazione di impianti. Non ultimo il tema
geoclimatico: uno dei punti forti del ricorso. «La nostra
provincia ha una posizione particolare - spiega Benazzi -:
le montagne sono lontane, la zona delle centrali è a 10-20
metri sul livello del mare e il fenomeno dell’inversione
termica provoca molta nebbia. Tutto questo peggiora la
situazione». La novità del ricorso non smuove il Comune. E
l’assessore all’Ambiente, Assunta Putignano, resta sulle sue
posizioni: «Ho partecipato alla valutazione di impatto
ambientale, e sono sicura che la legge è stata rispettata».
Sul fronte degli ambientalisti, però, la situazione non è
così pacifica. Il segretario provinciale dei Verdi, Mario
Pavesi, chiede la creazione di un gruppo di tecnici per
avviare una superperizia. Intanto, i cittadini non si
fermano. Per sabato 29 novembre i rappresentanti del
comitato hanno in cantiere un corteo di protesta contro la
centrale Enipower.
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LA SICILIA |
Le industrie che la Regione
ignora Rischio
ambientale. quattro anni dopo il decreto del governo
nazionale
Mai monitorati gli
stabilimenti siciliani ritenuti pericolosi. Una lunga serie
di inottemperanze
di Gaetano Mineo
Palermo. In Sicilia ci sono
69 siti industriali che possono provocare incidenti
«rilevanti». Lo dice chiaramente il ministero dell'Ambiente
che ha redatto un elenco degli stabilimenti a rischio. Una
sfilza di fabbriche, officine e depositi, addirittura
aggiornata allo scorso ottobre. Strutture che la Regione -
secondo quanto detta il decreto legislativo del 1999 che
regola la materia - avrebbe dovuto monitorare attraverso
specifiche norme e organismi proprio sin dall'entrata in
vigore del decreto legislativo 334/99. Ma a tutt'oggi, nulla
è stato fatto a proposito. In altri termini, sono trascorsi
circa quattro anni dall'entrata in vigore del provvedimento
e ancora non si sa, almeno dalla fonte ufficiale che è la
Regione siciliana, se questi stabilimenti sono «suscettibili
di causare incidenti rilevanti». Questo non significa che i
siti in questione non siano in regola con la legge. Ma di
certo, la Regione non ha attuato ciò che la legge detta. A
dire il vero, solo lo scorso luglio, come dire a quattro
anni di distanza dell'entrata in vigore del decreto,
l'assessorato regionale all'Ambiente ha fatto la prima
mossa. I siti contenuti nella lista del ministero sono
depositi di oli minerali, fitofarmaci, gas liquefatti e di
tossici in genere. E sono anche raffinerie di petrolio e
distillerie. In sostanza, stabilimenti per la produzione, la
trasformazione o il trattamento di sostanze chimiche
organiche o inorganiche. E dei quali, il gestore - sempre
secondo il provvedimento del '99 - deve produrre una
relazione contenente le informazioni relative al processo
produttivo, alle sostanze pericolose presenti in fabbrica,
alla valutazione dei rischi di incidente e, tra le altre
cose, all'adozione di misure di sicurezza appropriate. Tutto
ciò dovrebbe essere stato presentato dalle società
all'assessorato regionale all'Ambiente entro un anno dalla
data di entrata in vigore del decreto. Ovvero nel 2000. Dati
che a sua volta, dovranno essere aggiornati ogni cinque
anni. Ebbene dal '99 ad oggi, sono passati da Palazzo d'Orléans
diversi governi, con altrettanti assessori all'Ambiente, ma
nessuno ha attuato questo decreto legislativo. E così lo
scorso luglio, l'assessore regionale all'Ambiente, Mario
Parlavecchio, ha finalmente prodotto il decreto dando il via
al processo d'attuazione della norma nazionale. In pratica,
tra l'altro, Parlavecchio ha istituito l'Osservatorio
regionale permanente sul rischio industriale. Organismo a
cui fanno parte, tra gli altri, la Protezione civile, i
Vigili del fuoco e rappresentanti degli assessorati
regionali all'Industria e alla Sanità. Hanno davanti un bel
da fare. Perché prima dovranno elaborare una bozza
legislativa sul come attuare la norma nazionale. Questa, a
sua volta, dovrà essere varata dal Parlamento siciliano.
Dopodiché la Regione avrà gli adeguati strumenti legislativi
per monitorare i siti denunciati dal ministero. Nel contempo
i relativi gestori degli stabilimenti dovranno produrre la
già citata documentazione all'assessorato al fine di
verificare l'eventuale grado di rischio dello stesso
stabilimento. Da qui l'Osservatorio potrà dire se quel sito
è fuori legge o no e quali adempimenti eventualmente dovrà
effettuare. Insomma, c'è ancora tanta strada da fare. «Non
posso rispondere delle azioni dei miei predecessori - dice,
ovviamente, Parlavecchio -. Voglio solo ricordare che il mio
insediamento è avvenuto lo scorso 17 aprile e da allora sto
cercando di mettere in linea il mio assessorato». Nulla da
dire a questo punto all'assessore. Ma la Regione, in ogni
caso, dovrebbe fare una seria riflessione a tal proposito.
Altra questione: centri di stoccaggio di rifiuti
radioattivi. In Italia ve ne sono 45, di cui soltanto due in
Sicilia. E precisamente a Palermo. Parliamo del reattore «Agn»
detto anche «Costanza e del deposito di materiale di rifiuti
sanitari» «Sicurad». Il primo è gestito dall'Università del
capoluogo isolano, e per il direttore del dipartimento
provinciale dell'Arpa (Agenzia regionale protezione ambiente
e che fa capo all'assessorato regionale al Territorio),
Luigi Librici, «è attentamente monitorato e quindi non c'è
pericolo di fughe radioattive». Stesso discorso vale, sempre
secondo Librici, per il deposito «Sicurad» di rifiuti
medicinali che, sostano in modo momentaneo nel sito di
Palermo per poi essere trasferiti in discariche speciali
fuori dall'Italia. D'altronde è ancora viva la protesta
degli abitanti di Scanzano, in Basilicata, territorio
indicato dal governo nazionale per istallare la discarica di
tutte le scorie radioattive del Paese. In ogni caso, entro i
prossimi 6 anni dovrà essere operativo il sito nazionale
centralizzato per lo smaltimento definitivo dei rifiuti
radioattivi. Ma nel frattempo questi pericolosi scarti
rimangono nei centri di stoccaggio momentanei previsti dalla
legge in attesa di essere smaltiti all'estero o, quanto
prima, nel sito nazionale che verrà realizzato. Infine,
ancora Librici, diffonde ottimismo sul tanto discusso sito
minerario di Pasquasia, annunciando che «per quello che
compete al mio ufficio, non riscontriamo segni di
radioattività». Quindi, niente pericolo. |
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IL GAZZETTINO |
Tenete a mente queste
coordinate di
Silvio Testa
Venezia - Tenete a mente
queste coordinate: longitudine 12°30'33" - latitudine
45°17'38". Sono quelle dove, 17 chilometri al largo degli
Alberoni, al Lido, dovrebbe venire costruito il terminale
off shore per l'attracco delle petroliere e dunque per
l'estromissione del traffico petrolifero dalla laguna,
disposta fin dal 1975 (indirizzi governativi) dalla
legislazione speciale per Venezia. Petrolio, olii
combustibili, gasolio, nafta e benzina verrebbero poi
trasferiti a Porto Marghera con un fascio di tubazioni lungo
30 chilometri. Se fino a ieri non c'era un progetto, ma solo
una scheda approvata lo scorso 3 aprile in Comitatone, da
ieri c'è un progetto preliminare vero e proprio, di cui il
Magistrato alle Acque ha avviato formalmente l'iter di
approvazione depositandone copia ai ministeri dell'Ambiente
e dei Beni culturali e alla Direzione regionale Tutela
dell'ambiente della Regione, nell'ambito della procedura di
impatto ambientale. Sempre ieri sui principali giornali
locali e su una selezione di giornali nazionali è stato
pubblicato da parte del Magistrato alle Acque l'annuncio del
deposito del progetto, della sintesi non tecnica, dello
Studio di impatto ambientale, e ora chiunque ne abbia
interesse avrà 30 giorni per presentare pareri e
osservazioni in forma scritta. «Ovviamente i tempi non
dipendono da noi - ha spiegato la presidente del Magistrato,
Maria Giovanna Piva -, ma ritengo che se non verranno
richieste integrazioni progettuali o se non sorgeranno
intoppi la procedura di Via si concluderà in circa 6 mesi».
Se il progetto preliminare verrà approvato, a quel punto si
dovrà tornare in Comitatone per l'autorizzazione alla
progettazione definitiva e soprattutto per il finanziamento
dell'opera. «Serviranno - ha anticipato Maria Giovanna Piva
- oltre 200 miliardi delle vecchie lire». L'idea di un
terminale di ancoraggio per le petroliere in mare aperto,
dopo che per varie ragioni erano rimaste sulla carta le
ipotesi alternative di alimentare le raffinerie di Porto
Marghera con pipe-line da Trieste o da San Leonardo, era
stata lanciata nel 2001 dallo stesso ministro delle
Infrastrutture, Pietro Lunardi, e ora ha preso corpo
progettuale.Nel progetto preliminare, redatto dal Consorzio
Venezia Nuova, si prevede di creare una struttura d'attracco
composta da due moli disposti a "V", orientati a difesa dai
venti di Scirocco e di Bora, lunghi ciascuno 420 m. e tali
da garantire l'accosto di due petroliere da 150 mila
tonnellate, o di più navi minori. I due moli sono composti
da una serie di cassoni cellulari fissati a una base alla
profondità di 21 m., e da essi si diparte un fascio di tubi
(dai 6 ai 42 pollici a seconda del prodotto veicolato)
ancorato sul fondo del mare, che dalla linea di costa e fino
al sistema dunale correrà parallelamente alla diga foranea
in una trincea larga 16,5 m. e fonda 3, per essere poi
inscatolato in una struttura di calcestruzzo dalle dune al
"Pozzo Alberoni", realizzato in prossimità del Molo, tra il
campo da golf e il Forte Alberoni. Dal pozzo si diparte una
galleria scavata sotto la laguna lunga 10,5 chilometri, con
sezione di 6,6 m. e un passaggio centrale d'ispezione di 2,5
m., che conduce le tubazioni fino alla stazione di recapito
a Porto Marghera, prevista nell'area ex Sava prospicente il
Canale San Leonardo, tra il Naviglio Brenta e il Canale
Industriale Sud.
Il Terminal petrolifero
"Il Terminal petrolifero al
largo dei Lidi veneziani è un progetto interessante,
tecnicamente fattibile. Un terminal in mare esiste in molte
zone e dunque potrebbe essere una soluzione anche per
Venezia". Giancarlo Zacchello Past president di Unindustria
di Venezia è soprattutto un armatore, un operatore del
trasporto marittimo che ha contatti in tutto il mondo. Le
sue navi, tutte a doppio scafo come prevedono le leggi, non
hanno rapporti con il porto di Venezia e con il terminal
petrolifero di San Leonardo ritenuto "sicuro e affidabile.
Fino adesso non ci sono stati problemi di nessun tipo e
nonostante ogni tanto qualcuno agiti la bandiera del
pericolo, San Leonardo ha dimostrato di avere le
caratteristiche per le petroliere - spiega Zacchello -
Questo non significa che la realizzazione di un terminal off
shore a 17 chilometri dalla costa, in corrispondenza della
bocca di Malamocco in fondali da 21 metri, sia inutile.
Anzi, con molta probabilità chiuderebbe definitivamente le
polemiche sulle petroliere in laguna". Il Magistrato alle
Acque, per conto del ministero dei Trasporti e delle
Infrastrutture ha già fatto partire la richiesta di
pronuncia di compatibilità ambientale al ministero
dell'Ambiente e Tutela del territorio e al ministero dei
Beni e delle Attività culturali, un primo passo importante,
fondamentale, per la realizzazione dell'opera. "Noi
industriali abbiamo sempre lavorato per favorire la
sicurezza e la continuità dei trasporti dei petroli - dice
Nelson Persello vice direttore di Unindustria - lo
testimonia la costituzione di Petroven (la società formata
dalle maggiori industrie che lavorano nella distribuzione
del petrolio e dei derivati) che ha permesso la
razionalizzazione delle movimentazioni del greggio. Dunque
per noi San Leonardo è un terminal perfettamente agibile in
grado di soddisfare le richieste degli operatori". Nessuna
contrarietà comunque al nuovo terminal: "Assolutamente no -
aggiunge Persello - certo forse non era un'opera
prioritaria, ritengo che Marghera oggi abbia urgenze
maggiori, come la bonifica dei terreni e l'escavo dei
canali. Se non ricordo male il nuovo terminal dovrebbe
costare 600 miliardi delle vecchie lire, oltre 300 milioni
di euro che in questo momento farebbero comodo per altre
operazioni". Oggi da San Leonardo, il petrolio arriva alla
raffineria tramite pipe line, anche il progetto del
Consorzio Venezia Nuova prevede un tubodotto posto sul
fondale dal terminal al litorale; in *trincea per
l'attraversamento del Lido (località Alberini) e, infine
all'interno di una galleria sub-lagunare per il restante
tratto fino a Marghera. "A questo punto bisogna anche
discutere del futuro della raffineria - aggiunge Nelson
Persello - perché con la costruzione di un'opera del genere
sicuramente la gestione dei petroli a Porto Marghera
continuerà ancora nel tempo". |
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