RASSEGNA STAMPA 25.11.2003

 

CORRIERE DELLA SERA
Ricorso al Tar: «Rischio micropolveri, stop ai lavori»

di Gra. Mot.

MANTOVA - Mantova come Voghera. Anche sulla centrale termoelettrica in dirittura d’arrivo nell’area ex Enichem della città dei Gonzaga incombe un ricorso al Tar che potrebbe bloccarne i lavori. Un comitato di cittadini, riuniti sotto la sigla Codiamsa, ha infatti impugnato la valutazione di impatto ambientale (Via) sulla base della quale il ministero ha autorizzato la società Enipower a costruire un impianto a turbogas da 780 megawatt. Il ricorso è stato presentato il 12 novembre e verrà discusso il 2 dicembre. Tra i motivi di opposizione, spicca la questione della produzione di micropolveri. «Diversi studi americani e uno italiano realizzato da due professori del Cnr puntano il dito contro quelle piccolissime particelle, ancora più pericolose del Pm10 - spiega Giulia Martinelli, farmacista, fra i responsabili del comitato -, noi vogliamo che la Via tenga conto anche di queste emissioni». Alle micropolveri gli ambientalisti aggiungono il problema della concentrazione di impianti sul territorio. Sono quattro le centrali in provincia di Mantova: oltre a quella in costruzione in città, ci sono Sermide (Edipower), Ostiglia (Endesa) e Ponti sul Mincio (Asm di Brescia e Amgs). Tutte in corso di riconversione e potenziamento. Ce ne sarebbe un’altra, da 150 megawatt, in programma nell’area Ies, a pochi metri dai gruppi di produzione Eni. Così in pochi anni la potenza totale installata nel Mantovano potrebbe raggiungere quasi i cinquemila megawatt. Una situazione che fa inorridire anche il più pacato degli ecologisti. «Noi non siamo contro le centrali - precisa Fabio Benazzi, ingegnere -. Il problema è che qui si sta esagerando. Tutta questa energia poi non serve al territorio, ma solo al business di alcune aziende». Micropolveri, concentrazione di impianti. Non ultimo il tema geoclimatico: uno dei punti forti del ricorso. «La nostra provincia ha una posizione particolare - spiega Benazzi -: le montagne sono lontane, la zona delle centrali è a 10-20 metri sul livello del mare e il fenomeno dell’inversione termica provoca molta nebbia. Tutto questo peggiora la situazione». La novità del ricorso non smuove il Comune. E l’assessore all’Ambiente, Assunta Putignano, resta sulle sue posizioni: «Ho partecipato alla valutazione di impatto ambientale, e sono sicura che la legge è stata rispettata». Sul fronte degli ambientalisti, però, la situazione non è così pacifica. Il segretario provinciale dei Verdi, Mario Pavesi, chiede la creazione di un gruppo di tecnici per avviare una superperizia. Intanto, i cittadini non si fermano. Per sabato 29 novembre i rappresentanti del comitato hanno in cantiere un corteo di protesta contro la centrale Enipower.

 
LA SICILIA
Le industrie che la Regione ignora

Rischio ambientale. quattro anni dopo il decreto del governo nazionale

Mai monitorati gli stabilimenti siciliani ritenuti pericolosi. Una lunga serie di inottemperanze

di Gaetano Mineo

Palermo. In Sicilia ci sono 69 siti industriali che possono provocare incidenti «rilevanti». Lo dice chiaramente il ministero dell'Ambiente che ha redatto un elenco degli stabilimenti a rischio. Una sfilza di fabbriche, officine e depositi, addirittura aggiornata allo scorso ottobre. Strutture che la Regione - secondo quanto detta il decreto legislativo del 1999 che regola la materia - avrebbe dovuto monitorare attraverso specifiche norme e organismi proprio sin dall'entrata in vigore del decreto legislativo 334/99. Ma a tutt'oggi, nulla è stato fatto a proposito. In altri termini, sono trascorsi circa quattro anni dall'entrata in vigore del provvedimento e ancora non si sa, almeno dalla fonte ufficiale che è la Regione siciliana, se questi stabilimenti sono «suscettibili di causare incidenti rilevanti». Questo non significa che i siti in questione non siano in regola con la legge. Ma di certo, la Regione non ha attuato ciò che la legge detta. A dire il vero, solo lo scorso luglio, come dire a quattro anni di distanza dell'entrata in vigore del decreto, l'assessorato regionale all'Ambiente ha fatto la prima mossa. I siti contenuti nella lista del ministero sono depositi di oli minerali, fitofarmaci, gas liquefatti e di tossici in genere. E sono anche raffinerie di petrolio e distillerie. In sostanza, stabilimenti per la produzione, la trasformazione o il trattamento di sostanze chimiche organiche o inorganiche. E dei quali, il gestore - sempre secondo il provvedimento del '99 - deve produrre una relazione contenente le informazioni relative al processo produttivo, alle sostanze pericolose presenti in fabbrica, alla valutazione dei rischi di incidente e, tra le altre cose, all'adozione di misure di sicurezza appropriate. Tutto ciò dovrebbe essere stato presentato dalle società all'assessorato regionale all'Ambiente entro un anno dalla data di entrata in vigore del decreto. Ovvero nel 2000. Dati che a sua volta, dovranno essere aggiornati ogni cinque anni. Ebbene dal '99 ad oggi, sono passati da Palazzo d'Orléans diversi governi, con altrettanti assessori all'Ambiente, ma nessuno ha attuato questo decreto legislativo. E così lo scorso luglio, l'assessore regionale all'Ambiente, Mario Parlavecchio, ha finalmente prodotto il decreto dando il via al processo d'attuazione della norma nazionale. In pratica, tra l'altro, Parlavecchio ha istituito l'Osservatorio regionale permanente sul rischio industriale. Organismo a cui fanno parte, tra gli altri, la Protezione civile, i Vigili del fuoco e rappresentanti degli assessorati regionali all'Industria e alla Sanità. Hanno davanti un bel da fare. Perché prima dovranno elaborare una bozza legislativa sul come attuare la norma nazionale. Questa, a sua volta, dovrà essere varata dal Parlamento siciliano. Dopodiché la Regione avrà gli adeguati strumenti legislativi per monitorare i siti denunciati dal ministero. Nel contempo i relativi gestori degli stabilimenti dovranno produrre la già citata documentazione all'assessorato al fine di verificare l'eventuale grado di rischio dello stesso stabilimento. Da qui l'Osservatorio potrà dire se quel sito è fuori legge o no e quali adempimenti eventualmente dovrà effettuare. Insomma, c'è ancora tanta strada da fare. «Non posso rispondere delle azioni dei miei predecessori - dice, ovviamente, Parlavecchio -. Voglio solo ricordare che il mio insediamento è avvenuto lo scorso 17 aprile e da allora sto cercando di mettere in linea il mio assessorato». Nulla da dire a questo punto all'assessore. Ma la Regione, in ogni caso, dovrebbe fare una seria riflessione a tal proposito. Altra questione: centri di stoccaggio di rifiuti radioattivi. In Italia ve ne sono 45, di cui soltanto due in Sicilia. E precisamente a Palermo. Parliamo del reattore «Agn» detto anche «Costanza e del deposito di materiale di rifiuti sanitari» «Sicurad». Il primo è gestito dall'Università del capoluogo isolano, e per il direttore del dipartimento provinciale dell'Arpa (Agenzia regionale protezione ambiente e che fa capo all'assessorato regionale al Territorio), Luigi Librici, «è attentamente monitorato e quindi non c'è pericolo di fughe radioattive». Stesso discorso vale, sempre secondo Librici, per il deposito «Sicurad» di rifiuti medicinali che, sostano in modo momentaneo nel sito di Palermo per poi essere trasferiti in discariche speciali fuori dall'Italia. D'altronde è ancora viva la protesta degli abitanti di Scanzano, in Basilicata, territorio indicato dal governo nazionale per istallare la discarica di tutte le scorie radioattive del Paese. In ogni caso, entro i prossimi 6 anni dovrà essere operativo il sito nazionale centralizzato per lo smaltimento definitivo dei rifiuti radioattivi. Ma nel frattempo questi pericolosi scarti rimangono nei centri di stoccaggio momentanei previsti dalla legge in attesa di essere smaltiti all'estero o, quanto prima, nel sito nazionale che verrà realizzato. Infine, ancora Librici, diffonde ottimismo sul tanto discusso sito minerario di Pasquasia, annunciando che «per quello che compete al mio ufficio, non riscontriamo segni di radioattività». Quindi, niente pericolo.

 
IL GAZZETTINO
Tenete a mente queste coordinate

di Silvio Testa

Venezia - Tenete a mente queste coordinate: longitudine 12°30'33" - latitudine 45°17'38". Sono quelle dove, 17 chilometri al largo degli Alberoni, al Lido, dovrebbe venire costruito il terminale off shore per l'attracco delle petroliere e dunque per l'estromissione del traffico petrolifero dalla laguna, disposta fin dal 1975 (indirizzi governativi) dalla legislazione speciale per Venezia. Petrolio, olii combustibili, gasolio, nafta e benzina verrebbero poi trasferiti a Porto Marghera con un fascio di tubazioni lungo 30 chilometri. Se fino a ieri non c'era un progetto, ma solo una scheda approvata lo scorso 3 aprile in Comitatone, da ieri c'è un progetto preliminare vero e proprio, di cui il Magistrato alle Acque ha avviato formalmente l'iter di approvazione depositandone copia ai ministeri dell'Ambiente e dei Beni culturali e alla Direzione regionale Tutela dell'ambiente della Regione, nell'ambito della procedura di impatto ambientale. Sempre ieri sui principali giornali locali e su una selezione di giornali nazionali è stato pubblicato da parte del Magistrato alle Acque l'annuncio del deposito del progetto, della sintesi non tecnica, dello Studio di impatto ambientale, e ora chiunque ne abbia interesse avrà 30 giorni per presentare pareri e osservazioni in forma scritta. «Ovviamente i tempi non dipendono da noi - ha spiegato la presidente del Magistrato, Maria Giovanna Piva -, ma ritengo che se non verranno richieste integrazioni progettuali o se non sorgeranno intoppi la procedura di Via si concluderà in circa 6 mesi». Se il progetto preliminare verrà approvato, a quel punto si dovrà tornare in Comitatone per l'autorizzazione alla progettazione definitiva e soprattutto per il finanziamento dell'opera. «Serviranno - ha anticipato Maria Giovanna Piva - oltre 200 miliardi delle vecchie lire». L'idea di un terminale di ancoraggio per le petroliere in mare aperto, dopo che per varie ragioni erano rimaste sulla carta le ipotesi alternative di alimentare le raffinerie di Porto Marghera con pipe-line da Trieste o da San Leonardo, era stata lanciata nel 2001 dallo stesso ministro delle Infrastrutture, Pietro Lunardi, e ora ha preso corpo progettuale.Nel progetto preliminare, redatto dal Consorzio Venezia Nuova, si prevede di creare una struttura d'attracco composta da due moli disposti a "V", orientati a difesa dai venti di Scirocco e di Bora, lunghi ciascuno 420 m. e tali da garantire l'accosto di due petroliere da 150 mila tonnellate, o di più navi minori. I due moli sono composti da una serie di cassoni cellulari fissati a una base alla profondità di 21 m., e da essi si diparte un fascio di tubi (dai 6 ai 42 pollici a seconda del prodotto veicolato) ancorato sul fondo del mare, che dalla linea di costa e fino al sistema dunale correrà parallelamente alla diga foranea in una trincea larga 16,5 m. e fonda 3, per essere poi inscatolato in una struttura di calcestruzzo dalle dune al "Pozzo Alberoni", realizzato in prossimità del Molo, tra il campo da golf e il Forte Alberoni. Dal pozzo si diparte una galleria scavata sotto la laguna lunga 10,5 chilometri, con sezione di 6,6 m. e un passaggio centrale d'ispezione di 2,5 m., che conduce le tubazioni fino alla stazione di recapito a Porto Marghera, prevista nell'area ex Sava prospicente il Canale San Leonardo, tra il Naviglio Brenta e il Canale Industriale Sud.

Il Terminal petrolifero

"Il Terminal petrolifero al largo dei Lidi veneziani è un progetto interessante, tecnicamente fattibile. Un terminal in mare esiste in molte zone e dunque potrebbe essere una soluzione anche per Venezia". Giancarlo Zacchello Past president di Unindustria di Venezia è soprattutto un armatore, un operatore del trasporto marittimo che ha contatti in tutto il mondo. Le sue navi, tutte a doppio scafo come prevedono le leggi, non hanno rapporti con il porto di Venezia e con il terminal petrolifero di San Leonardo ritenuto "sicuro e affidabile. Fino adesso non ci sono stati problemi di nessun tipo e nonostante ogni tanto qualcuno agiti la bandiera del pericolo, San Leonardo ha dimostrato di avere le caratteristiche per le petroliere - spiega Zacchello - Questo non significa che la realizzazione di un terminal off shore a 17 chilometri dalla costa, in corrispondenza della bocca di Malamocco in fondali da 21 metri, sia inutile. Anzi, con molta probabilità chiuderebbe definitivamente le polemiche sulle petroliere in laguna". Il Magistrato alle Acque, per conto del ministero dei Trasporti e delle Infrastrutture ha già fatto partire la richiesta di pronuncia di compatibilità ambientale al ministero dell'Ambiente e Tutela del territorio e al ministero dei Beni e delle Attività culturali, un primo passo importante, fondamentale, per la realizzazione dell'opera. "Noi industriali abbiamo sempre lavorato per favorire la sicurezza e la continuità dei trasporti dei petroli - dice Nelson Persello vice direttore di Unindustria - lo testimonia la costituzione di Petroven (la società formata dalle maggiori industrie che lavorano nella distribuzione del petrolio e dei derivati) che ha permesso la razionalizzazione delle movimentazioni del greggio. Dunque per noi San Leonardo è un terminal perfettamente agibile in grado di soddisfare le richieste degli operatori". Nessuna contrarietà comunque al nuovo terminal: "Assolutamente no - aggiunge Persello - certo forse non era un'opera prioritaria, ritengo che Marghera oggi abbia urgenze maggiori, come la bonifica dei terreni e l'escavo dei canali. Se non ricordo male il nuovo terminal dovrebbe costare 600 miliardi delle vecchie lire, oltre 300 milioni di euro che in questo momento farebbero comodo per altre operazioni". Oggi da San Leonardo, il petrolio arriva alla raffineria tramite pipe line, anche il progetto del Consorzio Venezia Nuova prevede un tubodotto posto sul fondale dal terminal al litorale; in *trincea per l'attraversamento del Lido (località Alberini) e, infine all'interno di una galleria sub-lagunare per il restante tratto fino a Marghera. "A questo punto bisogna anche discutere del futuro della raffineria - aggiunge Nelson Persello - perché con la costruzione di un'opera del genere sicuramente la gestione dei petroli a Porto Marghera continuerà ancora nel tempo".

 
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