Prestige, ancora in mare 10
mila tonnellate di petrolio
Contaminati migliaia di
chilometri di coste spagnole, francesi e portoghesi.
Greenpeace: si provocò la morte di almeno 250 mila uccelli
Un anno fa il naufragio della
nave vicino alle coste della Galizia. Il Wwf: danni per 5
miliardi di euro
di Mario Porqueddu
Lunedì 20 ottobre 2003: un
documento dell’Agenzia marittima e della Guardia costiera
britannica comunica l’arrivo del petrolio della Prestige
sulle coste dell’isola di Wight, nel Kent e in altre zone
del Sud dell’Inghilterra. Due giorni dopo, da Cherbourg,
l’agenzia di stampa France Press scrive: «Dalla Manica ai
Paesi Bassi, il petrolio della Prestige chiazza le spiagge».
Venti e correnti continuano a spostare l’olio versato in
mare da quella petroliera appartenente a una società
liberiana e battente bandiera delle Bahamas. Fra pochi
giorni sarà passato un anno. Era il 13 novembre del 2002
quando sulla fiancata di tribordo della vecchia nave a scafo
unico (uscita dai cantieri 26 anni prima) si aprì una falla.
L’Sos partì mentre la sua nave incrociava a 28 miglia (50
km) dal Finisterre di Galicia, Nord-ovest della Spagna. Di
lì a sei giorni la Prestige, che trasportava 77 mila
tonnellate di olio combustibile pesante dalla Lettonia verso
Gibilterra, si sarebbe inabissata a 234 chilometri dalle
coste spagnole. Perché nel frattempo Madrid, con una scelta
che ancora oggi fa discutere, aveva deciso di rimorchiarla
al largo. Il risultato, in ogni caso, fu - anzi, è tuttora -
un disastro ambientale con pochi precedenti. Fra il 13 e il
19 novembre dai serbatoi della Prestige si riversarono
nell’Atlantico decine di migliaia di tonnellate di
idrocarburi. Secondo il Wwf, che ieri ha presentato il suo
rapporto a un anno dall’incidente, le tonnellate furono 64
mila. Per le autorità spagnole - accusate dall’Associazione
ambientalista di minimizzare - il 60% in meno. Di certo
migliaia di chilometri di costa furono raggiunti dalla marea
nera. In Spagna, con le conseguenze più devastanti, ma anche
in Francia e in Portogallo. Gli effetti, per il Panda, si
faranno sentire almeno per i prossimi 10 anni. La stima dei
danni, presentata giorni fa a Londra nella sede del Fondo
internazionale d’indennizzazione per le polluzioni di
petrolio, è di 1 miliardo e 100 milioni di euro. Il Wwf,
invece, li calcola in 5 miliardi di euro (con un crollo
dell’80% del pesce pescato nelle acque colpite dal fuel). I
risarcimenti possibili sono lontani da entrambe le cifre. Il
massimale di cui dispone il Fondo - che è alimentato dai
petrolieri e del quale l’Italia è uno dei più importanti
contribuenti in ragione della quantità di petrolio che
approda nei nostri porti - è di 171,5 milioni di euro. Altri
soldi sono arrivati e arriveranno dall’Ue. Ma non
basteranno. E comunque il Fondo non risarcisce danni
ambientali: non sono «ragionevolmente quantificabili in
termini economici». Greenpeace e Wwf dicono che l’olio della
Prestige ha ucciso fra 250 e 300 mila uccelli marini: quanto
«costano»? E quanto valgono fondali, crostacei, pesci,
spiagge? Difficile dirlo. Del resto,la scienza ancora non
conosce con certezza la natura delle trasformazioni che
possono intervenire nel tempo nell’ecosistema marino colpito
da idrocarburi. Oggi, chiazze di melassa nera - in tutto una
quantità di olio che oscilla, secondo il Wwf, tra 5 e 10
mila tonnellate - sono ancora in mare. Nei serbatoi della
nave, a 3.800 metri di profondità, c’è tutto il combustibile
che non finì in acqua. L’altro ieri il responsabile delle
operazioni di recupero, Ramòn Hernàn, ha detto che si
comincerà a portarlo in superficie in primavera, aprile o
maggio. «La Prestige deve servire da lezione», ammonisce
Greenpeace. Da poco è in vigore un nuovo regolamento Ue: dal
2005 nessuna petroliera a scafo semplice carica di
idrocarburi pesanti potrà salpare, attraccare o rifornirsi
nei porti dei Paesi membri. Entro il 2010 le mono scafo
dovranno essere ritirate. Basterà? «Qualunque nave può
ancora muoversi in acque internazionali, al largo dei porti
europei» commentava a settembre Peter Swift, studiandone la
bozza. Swift dirige Intertanko, associazione degli armatori
indipendenti di petroliere. |
Progetto da 25 milioni di
euro Ieri un
vertice a Roma per il disinquinamento. Intanto vanno avanti
due inchieste della Procura
Vertice ieri a Roma al
Ministero dell'Ambiente per il disinquinamento del
territorio. In discussione anche un progetto di 25 milioni
di euro per la depurazione delle acqua di falda. Sono stati
stabiliti dei tempi per la presentazione dei progetti. Tutto
questo mentre ci sono due le inchieste più importanti e
recenti sull'inquinamento legato alle attività industriali
per le quali la Procura di Gela il mese scorso ha avanzato
richiesta di incidente probatorio al Gip del Tribunale. Una
riguarda proprio il reato di inquinamento del suolo a
seguito dello sversamento di sostanze derivate dal petrolio
senza la successiva bonifica delle zone inquinate.
Nell'occhio del ciclone la Raffineria di Gela ed il suo
parco serbatoi. Appena una settimana fa le associazioni
ambientaliste avevano reso noto che il sostituto procuratore
Serafina Cannatà aveva avanzato richiesta di incidente
probatorio perché si verifichi attraverso una ricognizione
di tutti i serbatoi di stoccaggio della Raffineria in che
stato sono e se ci sono perdite. Un modo insomma per passare
a setaccio l'intero parco serbatoi che si sospetta non sia
in regola. L'iniziativa è il secondo troncone di
un'inchiesta scattata nel 1998 quando i soci di Italia
nostra nel verificare i motivi della morte di sei pini a
Bulala, scoprirono cinque pozzi. Le successive analisi
mostrarono la presenza di sostanze petrolifere in quei
pozzi. Il processo per questi fatti contro i vertici del
petrolchimico è pendente al Tribunale. Qualche tempo dopo
sempre i soci di Italia nostra verificarono la presenza non
molto distante dai primi di altri dieci pozzi. La Procura
nominò come perito un luminare del settore il prof. Gisotti.
Le analisi avrebbero fatto emergere che la falda sarebbe
inquinata da idrocarburi e gli ambientalisti hanno puntato
l'indice sul fatto che il sottosuolo è impregnato di
sostanze petrolifere. Secondo Italia nostra nel sottosuolo
gelese nei pressi del petrolchimico è come se scorresse un
fiume nero. Il magistrato richiedendo l'incidente probatorio
ha inteso verificare in che stato sono tutti i serbatoi, se
vi siano perdite di sostanze petrolifere che inquinano il
suolo e la falda acquifera causando un danno notevole
all'ambiente. I fatti contestati riguardano il periodo che
va dal 2002 ad oggi. Ma c'è una seconda inchiesta non meno
importante della prima che vede la Raffineria di Gela sotto
accusa per adulterazione delle acque a seguito di continui
sversamenti a mare di oli minerali e sostanze trattate negli
impianti industriali. L'accusa ipotizza questo: l'acqua che
arriva all'impianto di dissalazione viene prelevata a mare
attraverso pompe di sollevamento che sono situate in zone
interessate da un'intensa attività delle petroliere che
caricano e scaricano greggio con inevitabili sversamenti a
mere di prodotto. Inoltre la zona è vicina alla foce del
fiume Gela dove vengono riversati i reflui industriali del
petrolchimico. Il rischio è che venga prelevata acqua
inquinata da sostanze petrolifere per essere dissalata. Non
c'è prova di questo ma con l'incidente probatorio richiesto
dal Pm Serafina Cannatà, si dovrebbe affidare una perizia
collegiale avente per oggetto le modalità di gestione delle
acque di mare ai fini della loro distribuzione ad uso
potabile, le caratteristiche delle acque prelevate, ed in
particolare le caratteristiche delle acque a valle dei
diversi trattamenti cui sono assoggettate fino alla loro
consegna all'Eas prima di essere miscelate con altre acque
ed essere distribuite alla popolazione. E' di sabato scorso
l'ultimo allarme ambientale: una perdita ad una linea sita
all'isola 18 con conseguente sversamento di idrocarburi nel
fiume Gela ed il blocco dell'attività di dissalazione che ha
lasciato la città a secco per tre giorni.
Gela, quei serbatoi
colabrodo
di Andrea Lodato
Gela. Si sono presentati ieri
mattina, presto, ai cancelli dello stabilimento
petrolchimico, e poi agli uffici, gli agenti spediti dalla
procura della Repubblica di Gela. Hanno notificato il
«provvedimento di sequestro preventivo dei serbatoi
utilizzati per lo stoccaggio dei prodotti petroliferi della
raffineria». Un anno di inchiesta, scaturita dalla visione
di un filmato realizzato da un'associazione ambientalista,
che mostrava evidenti segnali di inquinamento delle falde
acquifere sottostanti la raffineria. Ma anche di gran parte
dello specchio di mare antistante l'area del petrolchimico,
d'ampie zone di campagne circostanti. Infiltrazioni per
circa un metro, hanno accertato i periti incaricati dalla
Procura. I cosiddetti «carotaggi» sono stati impietosi,
precisi, inequivocabili: i serbatoi utilizzati per lo
stoccaggio dei prodotti petroliferi «perdono», la loro
manutenzione è decisamente insufficiente. Il sequestro, a
questo punto, scaturisce inesorabile. Ma c'è di più, come
precisa il verbale di sequestro: i siti, infatti, nonostante
in passato vi fossero state altre inchieste, indagini,
accertamenti, trattative serrate per sollecitare interventi,
non sarebbero stati bonificati. Uno stato quasi di abbandono
progressivo, che, secondo i magistrati, renderebbe sempre
più difficile, se non impossibile, controllare e gestire
entro i limiti imposti dalla legge e dalla tutela
dell'ambiente e della salute pubblica, un'industria così
delicata come il petrolchimico. Un brutto colpo, non c'è che
dire. Ieri mattina ai responsabili della raffineria non è
rimasto che prendere atto del provvedimento, e far procedere
al sequestro dei serbatoi. Secondo i magistrati, comunque,
«un sequestro solo di tipo preventivo, che non escluderebbe
l'approvvigionamento del greggio e la sua lavorazione». In
sostanza, sembra di capire, basterebbe che l'azienda
individui altri serbatoi per lo stoccaggio per far procedere
regolarmente l'attività. «E' una parola», replica seccamente
il Petrolchimico. Di fatto secondo i vertici dell'industria
gelese, questo sequestro, si chiami e si definisca
preventivo per quanto si vuole, paralizza di fatto
l'attività della raffineria. Comprese estrazioni e
lavorazioni. Se durante la mattinata s'era attesa con
qualche preoccupazione la valutazione dell'azienda e le
ricadute ipotizzate, nel pomeriggio è arrivato il
«verdetto». I vertici aziendali, infatti, hanno convocato le
rappresentanze sindacali interne, comunicando che, letti gli
atti della Procura, le motivazioni del sequestro e valutate,
tecnicamente, le conseguenze provocate dal provvedimento, ci
si muoverà a partire da oggi procedendo ad una chiusura
graduale della raffineria. In sostanza, se non significa
smobilitazione, siamo vicini ad un altro momento di
gravissima crisi, simile a quello che fu vissuto lo scorso
anno per la vicenda del pet coke, per cui, tra l'altro, si
attende ancora il pronunciamento della Corte di giustizia
europea. Siamo vicini ad un altro punto di rottura. Lo hanno
detto i vertici del Petrolchimico ai rappresentanti
sindacali aziendali, lo ribadiranno stamattina in un
incontro fissato con i sindacati provinciali dei chimici. Ma
già ieri pomeriggio, tra notizie ufficiali, sussurri,
indiscrezioni, mezze verità filtrate o scappate, tutte le
parti in causa hanno cercato di «leggere a fondo le carte»,
a cominciare dal dispositivo della Procura gelese, per
trovare la via d'uscita migliore, prima di andare allo
scontro e alle decisioni irrevocabili. E' il sindacato a
chiedere, a gran voce, che si giochi seriamente e senza
tentennamenti la doppia partita che la situazione impone:
quella del salvataggio dell'azienda e quella del recupero
ambientale. «Nessun compromesso - conferma senza titubanze
Giovanni Faro, segretario generale della Cgil nissena - ma
nessuna rassegnazione. Anche questo momento va affrontato
con grande senso di responsabilità e con il massimo impegno
da parte di tutte le componenti. L'azienda, i lavoratori, la
stessa Procura. Cerchiamo subito di trovare il percorso
comune migliore per affrontare e risolvere questo nodo. E'
chiaro che la manutenzione dei serbatoi va fatta.
L'inquinamento c'è, e bisogna fare in modo che si riduca,
che il livello di vivibiltà dell'ambiente corrisponda agli
standard richiesti. A questo punto vogliamo capire se
esiste, proprio approfondendo la lettura del dispositivo di
sequestro dei serbatoi, l'itinerario che, senza far scendere
nessuno a compromissioni su argomenti troppo delicati, porti
verso una soluzione». Si cerca, dunque, tra le righe del
dispositivo, mentre potrebbe essere chiesto proprio da Cgil,
Cisl e Uil un tavolo prefettizio per affrontare la
situazione, e a poche ore dall'incontro che l'azienda, come
detto, ha convocato con i sindacati dei chimici, per
comunicare il perché della decisione di procedere alla
chiusura della raffineria. In effetti lo spiraglio ci
sarebbe, proprio nel dispositivo della Procura. Del resto,
pur nel rispetto rigoroso, e anche di più, delle leggi e
delle norme da applicare e far rispettare, i magistrati
gelesi, coordinati dal procuratore Angelo Ventura, negli
ultimi anni, anche quando hanno dovuto far eseguire
provvedimenti che rischiavano di mettere in crisi l'azienda
che fa lavorare tra diretto e indotto circa tremila persone
nel bacino gelese, lo hanno fatto aprendo spiragli di
dialogo e possibilismi tecnici e gestionali dell'emergenza.
In questo caso proprio uno dei punti finali del dispositivo
farebbe intendere che la Procura sarebbe disponibile a
trovare una soluzione con l'azienda per rendere il meno
pesante possibile il periodo che dovrà portare alla messa in
sicurezza degli impianti. Che significa? Significa,
innanzitutto, che chi ha letto quel dispositivo (azienda,
sindacalisti, lavoratori), dopo i sussulti provocati dalle
motivazioni portate per spiegare i motivi del sequestro
preventivo, dopo avere letto le abbondanti e dettagliate
spiegazioni tecniche e scientifiche con le perizie e le
prove delle negligenze che hanno provocato l'inquinamento
delle falde acquifere e tutti il resto, hanno potuto tirare,
alla fine, un sospiro di sollievo. In quelle poche parole
finali, «disponibilità a cercare soluzioni transitorie che
portino alla normalizzazione», potrebbe esserci, per
esempio, la possibilità di procedere modularmente alla messa
in sicurezza dei serbatoi e alla bonifica dei siti. Non
provvedimenti drastici e generalizzati, ma interventi che
consentano di far lavorare un parte dello stabilimento,
mentre si interviene sul resto. E' un'interpretazione, che
si fonda sull'equilibrio che, anche di fronte ad
atteggiamenti palesemente omissivi o negligenti di qualcuno,
la Procura gelese ha voluto continuare a mantenere. Sarà
questa la via d'uscita? |