Ferrovia da arretrare, ora
c’è l’incarico
L’impresa. La Provincia in
parallelo col viceministro Baldassarri
di FABIO PIANGERELLI
Le grandi imprese, a volte,
partono sottovoce. Un documento, una riunione.
L’arretramento della ferrovia Adriatica, da Montemarciano a
Loreto, per Ancona e il suo hinterland vale come il ponte
sullo stretto di Messina. Un’impresa ciclopica, per costi e
impatto. Ma, zitto zitto, il progetto va avanti. Ci crede,
ed è una garanzia, il viceministro all’Economia Mario
Baldassarri. Tra qualche settimana, sul suo tavolo, arriverà
una relazione dettagliata, che sa tanto di progetto di
massima. La Rfi (le ex Ferrovie dello Stato, per intenderci)
consegnerà al viceministro tracciato, tempi e costi. In
parallelo, si sta muovendo la Provincia di Ancona, che
proprio ieri ha affidato la redazione dello studio di
prefattibilità per il riassetto del sistema ferroviario
costiero a una società di ingegneria di Roma. Entro il 31
dicembre la Provincia avrà già in mano una valutazione sulla
domanda potenziale e un’ analisi delle alternative di
sistema. Che significa arretrare la linea ferroviaria dalla
costa? Significa realizzare un asse parallelo all’A14 per il
traffico di lunga percorrenza, lasciando i binari attuali a
un traffico più leggero, al metrò di superficie.
Riconsegnando alla costa nord di Ancona un ruolo sociale e
urbanistico sinora precluso dal passaggio dei binari. Una
rivoluzione del trasporto pubblico, che imporrà
probabilmente anche lo spostamento di Ancona Centrale a
Varano. Tempi e costi altissimi, certo, ma si va avanti.
Baldassarri pensa a un project financing, al concorso dei
privati, che potrebbero ripagarsi l’impegno in cambio di
qualche area per i servizi o entrando nella gestione del
metrò di superficie. La lettera d'intenti sulla
infrastrutturazione del nodo di Falconara, sottoscritta lo
scorso 1 agosto dai presidenti di Regione e Provincia Vito
D' Ambrosio e Enzo Giancarli, non parla di modalità di
finanziamento. Ma rappresenta una volontà precisa, teorema
decisivo di tutta l’operazione, che, se vogliamo, è già
stata avviata, con il progetto del braccio
Montemarciano-Chiaravalle, pensato per escludere il
passaggio in mezzo alle cisterne dell’Api. La consegna
finale dello studio commissionato dalla Provincia è prevista
per il 29 febbraio 2004 e comprenderà l'inserimento
urbanistico e ambientale, la riorganizzazione dei servizi di
trasporto e la valutazione economica preliminare. Lo studio
si baserà sull' analisi degli atti di pianificazione
approvati dalla Provincia (Piano dei trasporti e Piano
territoriale di coordinamento, Prusst dell' Area Urbana di
Ancona e progetto di integrazione autobus-treno), e
verificherà la fattibilità di un sistema integrato di
trasporto su ferro per lo spostamento a monte dell' attuale
linea ferroviaria adriatica. L' arretramento, per Giancarli,
«appare ad oggi un obiettivo di qualità da perseguire nel
medio-lungo periodo». Il futuro, insomma, è già iniziato.
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Arretramento dei binari: uno
studio di fattibilità
ANCONA — Un sogno che ogni
tanto viene ritirato fuori dal cassetto e riproposto come
grande opportunità per risolvere i problemi infrastrutturali
della zona costiera di Falconara ed Ancona. L'arretramento
della strada ferratada Marina di Montemarciano ad Ancona è
stato un cavallo di battaglia dell'europarlamentare Luciana
Sbarbati che aveva previsto l'opera all'interno dello
strategico Corridoio Adriatico che Bruxelles non ha ancora
abbracciato. Lo stesso progetto era stato sostenuto dal vice
ministro dell'Economia Mario Baldassarri che di recente
l'aveva collegato all'altro grande nodo da sciogliere:
quello dell'uscita a Nord di Ancona con conseguente
interramento del piede della frana Barducci. ora la
Provincia di Ancona ha affidato la redazione dello studio di
prefattibilità per il riassetto del sistema ferroviario
costiero, il cosiddetto arretramento della linea ferroviaria
Adriatica. La lettera d'intenti sulla infrastrutturazione
del nodo di Falconara Marittima era stata sottoscritta lo
scorso 1 agosto dai presidenti di Regione e Provincia Vito
D'Ambrosio e Enzo Giancarli. Nell'intesa viene riconosciuta
la permanenza delle esigenze che fanno ritenere comunque
opportuno sul lungo periodo un più generale arretramento
della linea ferroviaria Adriatica, considerando che Rfi Spa
ha depositato presso il ministero delle Infrastrutture il
progetto preliminare del Nodo di Falconara e collegamento
Orte-Falconara con la Linea Adriatica, che permetterebbe di
riorganizzate l'infrastrutturazione ferroviaria nella Bassa
Valle dell'Esino, oltre a consistenti interventi di
riqualificazione ambientale e urbanistica. In merito al
progetto, inoltre, sono in corso da parte delle competenti
strutture regionali le procedure per la formalizzazione del
parere di competenza sulla valutazione di impatto
ambientale. L'incarico, a una società di ingegneria di Roma,
prevede la consegna intermedia, con inquadramento
territoriale, valutazione della domanda potenziale e analisi
delle alternative di sistema, entro il 31 dicembre. La
consegna finale è prevista per il 29 febbraio 2004 e
comprenderà l'inserimento urbanistico e ambientale, la
riorganizzazione dei servizi di trasporto e la valutazione
economica preliminare. Lo studio si baserà sull'analisi
degli atti di pianificazione approvati dalla Provincia
(Piano dei trasporti e Piano territoriale di coordinamento,
Prusst dell'Area Urbana di Ancona promosso dal sindaco Fabio
Sturani e progetto di integrazione autobus-treno), e
verificherà la fattibilità di un sistema integrato di
trasporto su ferro per lo spostamento a monte dell'attuale
linea ferroviaria adriatica. L'arretramento, per Giancarli,
«appare ad oggi un obiettivo di qualità da perseguire nel
medio lungo periodo».
FERRARA
Bufera sul turbogas
Si riapre il confronto sui
livelli di inquinamento collegati alle emissioni di polveri
sottili delle grandi centrali a turbogas, come quella da 800
megawatt che verrà costruita nel nostro petrolchimico. Uno
studio della Commissione europea confermerebbe le
perplessità già espresse nel maggio scorso da Nicola
Armaroli e Claudio Po, che pubblicarono sulla rivista della
Società chimica italiana la ricerca secondo la quale gli
impianti di quella portata produrrebbero un inquinamento da
polveri sottili per nulla trascurabile. Un fatto che fino a
quel momento era stato del tutto sottovalutato o,
addirittura, ignorato. Anche il metano sarebbe tra i
combustibili che producono grande quantità di polveri fini e
ultrafini, le micidiali Pm2,5 e 0,1, che non possono venire
rilevate attraverso le misurazioni ai camini. La discussione
promette sorprese.
«Le nuove centrali
produrranno polveri micidiali»
di Ilaria Fazi
BOLOGNA — Organizzarsi con i
colleghi, utilizzare l'autobus, intercettare il fratello
della baby sitter per recuperare i figli più piccoli
all'uscita da scuola; in breve, affrontare i disagi
provocati dal provvedimento delle 'targhe alterne' adottato
dalla nostra regione, sarebbe un gioco che non vale la
candela. Ad affermarlo sono gli esperti di 19 nazioni
europee autori del secondo documento della Commissione
Europea sul problema delle polveri. Secondo i super esperti
dell'Ue, rinunciare all'auto un giorno alla settimana
comporterebbe soltanto una minima riduzione della
concentrazione media di PM10, e non avrebbe alcun effetto
sul numero degli sforamenti e i valori dei picchi. Per
questo sarebbe necessario il blocco totale del traffico. Ma
dal documento, che fa parte del più ampio programma europeo
per la qualità dell'aria, emerge un altro e ben più grave
pericolo, che di nuovo tocca da vicino la nostra regione.
Una minaccia che porta il nome di PM2,5 e PM0,1, le polveri
sottili e ultrasottili che, secondo l'Oms, e a differenza
delle più grandi PM10, riescono a entrare direttamente nel
sangue, perché capaci di eludere le barriere difensive dei
polmoni. E tra le regioni europee a più alto rischio ci
sarebbe proprio la valle del Po, dove le condizioni
climatiche e lo scarso ricambio d'aria faciliterebbero la
permanenza in aria dei precursori e l'accumulo delle polveri
fini stesse. Una situazione che in futuro potrebbe
peggiorare, se venissero realizzati gli impianti a ciclo
combinato alimentati a metano previsti dal piano energetico
della Regione per colmare il deficit dell'Emilia Romagna, che
oggi produce in loco soltanto il 50% dell'energia che
consuma. L'allarme arriva da un ricercatore del Cnr di
Bologna, Nicola Armaroli, che già nel maggio scorso, dalle
pagine de 'La Chimica e l'Industria' e insieme a Claudio Po,
aveva denunciato il pericolo legato alle emissioni di
particolato fine da parte di questi impianti. Armaroli e Po,
per primi, affermavano che centrali turbogas delle
dimensioni di 800 Megawatt, come quelle già autorizzate a
Ferrara e Ravenna, e le tre che erano state ipotizzate in
altre province, tra cui Bologna (Bentivoglio e Minerbio),
Forlì, Piacenza o Parma, produrrebbero quantità di polveri
sottili non trascurabili, come si riteneva, ma nella misura
di centinaia di tonnellate. I ricercatori, contestati da chi
sostiene che i turbogas rappresentino la miglior soluzione
anche in termini di impatto ambientale, trovano ora in
questo documento nuove conferme. Lo studio infatti rafforza
le tesi presentate ad Armaroli e Po. Alle quali era stato
contestato, sulla base di misurazioni effettuate ai camini,
che i turbogas producono minori quantità di PM10 rispetto
agli impianti a olio combustibile o carbone. Ma, ribadisce
lo studio, le pericolose PM2,5 si formano per la maggior
parte in un secondo momento e non si possono rilevare ai
camini: tra i loro principali precursori, gli ossidi di
azoto, prodotti in grandi quantità da queste centrali. I
turbogas poi bruciano metano: che tra i combustibili è
quello che produce la maggior quantità di polveri fini e
ultrafini.
"Stiamo attenti alle
polveri fini"
di Ilaria Fazi
Non è una virgola, questa
volta, a riaprire la discussione sull'opportunità della
costruzione del turbogas da 800 Mw progettato da S.E.F.
all'interno del petrolchimico alle porte della città. Ma è
invece, a dirlo con una metafora presa in prestito dal
ricercatore del Cnr Nicola Armaroli, un malinteso, tra chi
parla di palloni da calcio e chi, come lui e il collega
Claudio Po, intendono palline da golf. Il riferimento è
chiaro: all'uscita lo scorso maggio dello studio in cui
Armaroli e Po sostenevano che i turbogas, gli impianti a
ciclo combinato alimentati a metano, producono centinaia di
tonnellate di micropolveri, i tecnici di Arpa e del Comune
avevano replicato con i dati delle emissioni di PM10
rilevate ai camini, calcolate in poche decine di tonnellate.
Ma mentre i tecnici di Arpa si riferivano alle sole PM10, i
due ricercatori bolognesi avevano in mente ben altro: le
pericolose polveri fini e ultrafini, quelle con diametro
inferiore ai 2,5 millesimi di millimetro, che si formano in
gran parte alcune ore dopo l'emissione dei gas di questi
impianti, e che quindi non possono essere rilevate ai
camini. Dalla fine di ottobre, Armaroli e Po hanno un'arma
in più a sostegno della loro tesi: si tratta del secondo
documento europeo sul particolato. Un dossier redatto da un
consiglio di esperti incaricati dalla Commissione europea di
fare il punto sul problema delle micropolveri. E in cui non
mancano riferimenti che permettono di ricollegare gli
impianti turbogas alla produzione delle pericolose polveri:
le quali, si legge nel documento, non hanno una soglia di
sicurezza e quindi, come il benzene, provocano un danno alla
salute che cresce linearmente con la loro concentrazione.
Molti gli elementi presenti nel fascicolo di ben 214 pagine:
dal tempo di persistenza in atmosfera delle particelle, che
va da giorni a settimane e che in zone chiuse come la nostra
aumenta, all'indicazione che un combustibile come il metano
produce polveri più piccole rispetto ad olio e carbone. A
chiudere lo studio è una valutazione sul provvedimento delle
targhe alterne adottate dall'Emilia Romagna. Che riceve,
purtroppo, un giudizio non troppo incoraggiante. Secondo gli
esperti europei, un solo giorno di traffico a targhe alterne
riduce lievemente la concentrazione media di PM10 sul lungo
termine, ma non influisce sul numero degli sforamenti e dei
picchi.
«Emissioni non
trascurabili»
E' vivacissimo e interessa
anche i nostri polmoni il confronto tra esperti e scienziati
sulle emissioni delle centrali a turbogas da 800 megawatt,
come quella che attende di essere costruita nel nostro
petrolchimico alle porte della città. In una lettera
indirizzata al direttore generale dell'Arpa, e per
conoscenza a tutti i consiglieri regionali e al presidente
della Regione, il ricercatore del Cnr di Bologna Nicola
Armaroli ritorna sugli aspetti più delicati dei fumi
collegati in modo specifico alle centrali turbogas di nuova
generazione e polemizza con il dirigente dell'Agenzia
regionale. «Il tema delle polveri è stato trattato dall'Arpa
nella Vas del Piano energetico regionale — scrive il
ricercatore — a pagina 53 si recita che le centrali turbogas
eliminano ogni emissione di particolato. Altrove si parla di
emissioni trascurabili. Con questa approssimazione come
sarebbe andata la discussione senza il nostro intervento?»
chiede Armaroli. Fu lui, assieme al medico Claudio Po, ad
elaborare nei mesi scorsi uno studio che venne poi
pubblicato sull'organo ufficiale della Società chimica
italiana: fino a quel momento nessuno aveva mai comunicato
che le centrali turbogas provocano inquinamento da polveri
sottili, di diverse dimensioni. «La distinzione tra
particolato primario e secondario perderà molto del suo
significato entro qualche anno — sottolinea Armaroli — è
bene che le autorità abbiano presente questa prospettiva per
non trovarsi di fronte a spiacevoli sorprese, tra non molto,
ad impianti autorizzati e funzionamenti. Siamo in una
regione già duramente provata dall'inquinamento atmosferico
e non possiamo permetterci errori di valutazione grossolani
su impianti di queste dimensioni». Armaroli difende il suo
lavoro anche dalle obiezioni poste da uno studio effettuato
nei giorni successivi e ampiamente utilizzato dai nostri
amministratori per confermare l'autorizzazione a costruire
la centrale. E conclude: «Entro pochi anni le concentrazioni
di polveri fini e ultrafini nell'aria dovranno essere
ulteriormente ridotte, per ottemperare alle leggi
comunitarie. Il proliferare di megacentrali a turbogas ci
porterà lontani da questo obiettivo, se si continuerà a
ritenere erroneamente che questi impianti non costituiscano
un problema. E tuttavia le ragioni superiori della salute e
dell'ambiente vanno spesso al di là dei burocratici
requisiti di legge, irrilevanti al vaglio delle nostre vie
respiratorie».
Turbogas Perché una
centrale così grande?
di Vittorio Serafini
Caro direttore, leggendo una
lettera del sindaco su questa rubrica, pubblicata pochi
giorni fa, ho appreso da lui stesso, che egli è, per legge,
il primo garante per la tutela della salute della nostra
comunità. La cosa mi fa molto piacere e poiché il Sindaco ha
una sua reputazione, penso meritata, di persona colta ed
intelligente, questo mi dà il destro, direi quasi il
diritto, di fargli una domanda, una sola. Sono d'accordo con
lui sulle isole pedonali, sulle Ztl, sulle piste ciclabili,
sul'andare di più in bicicletta e sul ridurre al minimo
indispensabile l'uso dell'automobile. Quello che non mi ha
convinto è il passaggio sul problema della centrale a
turbogas, che il sindaco liquida brevemente scaricando tutto
sull'approvazione di Commissioni Tecniche Governative. Crede
veramente il sig. Sindaco che noi possiamo delegare il
problema della nostra salute all'on. Marzano, che dopo
l'ultimo black-out, ancora non si sa se casuale o provocato,
è corso in televisione a dire che ci vogliono nuove centrali
(naturalmente termoelettriche)? Peccato che tutti abbiano
capito benissimo, anche ascoltando Rubbia (lui sì al di
sopra di ogni sospetto), che il blackout è stato provocato,
caso mai, da difetti di connessione della rete elettrica
italiana. Infatti è avvenuto di notte, quando il consumo
italiano di energia elettrica è meno della metà di quello
erogabile dalle nostre centrali. Non gli chiederò perché non
si è pensato di spostare gradualmente il polo chimico fuori
dalla città, lontano da tutti, per esempio nella zona Sipro;
non gli chiederò nemmeno perché, prima delle pubblicazioni
di Armaroli e Po, ben due assessori andavano dicendo che il
turbogas non emette che NOX. Non gli chiederò nemmeno perché
non si tien conto del parere della gente, magari facendo un
referendum, quando invece sembra già tutto deciso da tempo.
Lasciamo stare. Gli chiederò solamente: ma perché si
costruisce una centrale da 800 megawat e non una, per
esempio., da 400., visto che 200 megawat sono più che
sufficienti per gli impianti del petrolchimico (anche nelle
più rosee prospettive) e gli altri 200 in più potrebbero
bastare per fare guadagnare gli industriali ? Certo con 800
Megawat ci si può guadagnare sopra molto di più, vendendo
l'energia alla rete centrale, ma, lei che è il garante della
nostra salute, sa che cosa vuol dire una potenza doppia?
Vuol dire almeno il doppio di tutte le tonnellate di
micropolveri e di tutte le porcherie che la centrale emette
e quindi il doppi di malattie respiratorie, di allergie e di
tumori che i suoi cittadini dovranno sopportare. Le sembra
poco? E, per favore, non mi risponda come ha fatto il
vicepresidente della commissione turbogas, che ha detto che
le centrali sono standard così e non si possono fare che da
800 megawat. Ci sono solo tre ditte nel mondo (e non sono
italiane) che fabbricano centrali a turbogas e le consegnano
«chiavi in mano» da 200 megawat, da 400 o da 800, basta
pagare.
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