RASSEGNA STAMPA 30.10.2003

 

LA SICILIA
Veleni a Milazzo, raffineria sott'accusa

di Giuseppe Lo Re

Milazzo. È un bidone il filo conduttore della nuova storia di sospetti nella «Sicilia dei veleni». Scenario, come nel polo industriale di Priolo, è un impianto di raffinazione. A Milazzo la struttura industriale è una joint-venture tra «Q8» e «Agip Petroli». Un'area di 212 ettari in contrada Mangiavacca, da sempre oggetto di attenzione degli ambientalisti, dove il 7 giugno '93 un pauroso incendio provocò 8 morti e oltre 20 feriti. L'origine dell'ultimo «caso» risale ad alcuni mesi fa, esattamente il 5 febbraio 2003, quando in una zona di pertinenza della raffineria «Mediterranea», a ridosso di una stradina secondaria, durante una normale fase di trasporto si è rovesciato sul terreno un fusto contente olio Pcb (policlorurbifenile), sostanza altamente tossica e cancerogena. Come da protocollo sono scattati gli accertamenti con il successivo affidamento della bonifica agli operai specializzati della «Teseco». Tutto è andato bene: nel sito è stato eliminato il Pcb e la comunicazione sulla messa in sicurezza è stata inoltrata alla Provincia regionale di Messina. Ma di mezzo si è messo l'imponderabile. A marzo l'Arpa, l'Agenzia regionale per la protezione dell'ambiente, è stata chiamata dalla Provincia ad effettuare le verifiche sul sito in questione. I tecnici hanno accertato la bonifica del Pcb, ma allo stesso tempo hanno riscontrato alti indici di idrocarburi pesanti nel terreno. Parlano chiaro, infatti, i risultati delle analisi trasmessi a Messina a fine giugno del 2003. Si parla, sempre nella strada secondaria, della concentrazione di 2.700-3.000 ptm. Era inevitabile che la situazione destasse l'immediata assunzione di responsabilità da parte della Provincia, che fra l'altro non ha rilasciato la certificazione sull'avvenuta bonifica del sito. Tutto l'incartamento è stato trasmesso alla Procura della Repubblica di Messina. Da qui, per competenza territoriale, il fascicolo è passato a Barcellona. E lunedì scorso il sostituto Andrea De Feis, titolare dell'indagine con il coordinamento del procuratore capo Rocco Sisci, ha chiesto un'integrazione della documentazione alla Provincia regionale di Messina. Il passaggio rappresenta l'apertura ufficiale di un'inchiesta, che chiaramente si trova nella fase embrionale. Ma sui pericoli ambientali non lascia dubbi l'intestazione della comunicazione del magistrato alla Provincia: «Sospetto inquinamento da idrocarburi in contrada Mangiavacca di Milazzo». Tanto basta per suscitare dubbi, paure, interrogativi. Se la concentrazione di sostanze pericolose è altissima in una stradina secondaria, cosa potrebbe nascondersi in tutto il resto della raffineria? E ancora: gli stessi idrocarburi rilevati dall'Arpa non possono aver già raggiunto le falde acquifere nel sottosuolo? Le vasche di contenimento risalgono a una trentina di anni fa: sono perfettamente impermeabili? Ipotesi tutte da verificare, le nostre. Di certo c'è la comunicazione con la quale l'Arpa ha fatto suonare i «campanelli» della Provincia. «Non risulta a tutt'oggi – ha scritto in una nota alla raffineria la dirigente del dipartimento Tutela suolo della Provincia, Silvana Schachter – che sia stata attivata alcuna procedura di cui all'art. 17 del decreto legislativo 22/97 (bonifica e ripristino ambientale dei siti inquinati, ndr) e al decreto ministeriale n° 471 del 25/10/99 (regolamento dei criteri, procedure e modalità per la messa in sicurezza, la bonifica e il ripristino ambientale dei siti inquinati, ndr); pertanto si invitano ad attivarsi tutti gli Enti interessati». A muoversi, dopo il sollecito sono stati i Comuni di Milazzo e S. Filippo del Mela: i rispettivi sindaci hanno chiesto ufficialmente il punto esatto in cui è stata rinvenuta l'allarmante presenza di idrocarburi, in modo da avviare i procedimenti previsti dalle leggi.

 
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