Veleni a Milazzo, raffineria
sott'accusa
di Giuseppe Lo Re
Milazzo. È un bidone il filo
conduttore della nuova storia di sospetti nella «Sicilia dei
veleni». Scenario, come nel polo industriale di Priolo, è un
impianto di raffinazione. A Milazzo la struttura industriale
è una joint-venture tra «Q8» e «Agip Petroli». Un'area di
212 ettari in contrada Mangiavacca, da sempre oggetto di
attenzione degli ambientalisti, dove il 7 giugno '93 un
pauroso incendio provocò 8 morti e oltre 20 feriti.
L'origine dell'ultimo «caso» risale ad alcuni mesi fa,
esattamente il 5 febbraio 2003, quando in una zona di
pertinenza della raffineria «Mediterranea», a ridosso di una
stradina secondaria, durante una normale fase di trasporto
si è rovesciato sul terreno un fusto contente olio Pcb (policlorurbifenile),
sostanza altamente tossica e cancerogena. Come da protocollo
sono scattati gli accertamenti con il successivo affidamento
della bonifica agli operai specializzati della «Teseco».
Tutto è andato bene: nel sito è stato eliminato il Pcb e la
comunicazione sulla messa in sicurezza è stata inoltrata
alla Provincia regionale di Messina. Ma di mezzo si è messo
l'imponderabile. A marzo l'Arpa, l'Agenzia regionale per la
protezione dell'ambiente, è stata chiamata dalla Provincia
ad effettuare le verifiche sul sito in questione. I tecnici
hanno accertato la bonifica del Pcb, ma allo stesso tempo
hanno riscontrato alti indici di idrocarburi pesanti nel
terreno. Parlano chiaro, infatti, i risultati delle analisi
trasmessi a Messina a fine giugno del 2003. Si parla, sempre
nella strada secondaria, della concentrazione di 2.700-3.000
ptm. Era inevitabile che la situazione destasse l'immediata
assunzione di responsabilità da parte della Provincia, che
fra l'altro non ha rilasciato la certificazione
sull'avvenuta bonifica del sito. Tutto l'incartamento è
stato trasmesso alla Procura della Repubblica di Messina. Da
qui, per competenza territoriale, il fascicolo è passato a
Barcellona. E lunedì scorso il sostituto Andrea De Feis,
titolare dell'indagine con il coordinamento del procuratore
capo Rocco Sisci, ha chiesto un'integrazione della
documentazione alla Provincia regionale di Messina. Il
passaggio rappresenta l'apertura ufficiale di un'inchiesta,
che chiaramente si trova nella fase embrionale. Ma sui
pericoli ambientali non lascia dubbi l'intestazione della
comunicazione del magistrato alla Provincia: «Sospetto
inquinamento da idrocarburi in contrada Mangiavacca di
Milazzo». Tanto basta per suscitare dubbi, paure,
interrogativi. Se la concentrazione di sostanze pericolose è
altissima in una stradina secondaria, cosa potrebbe
nascondersi in tutto il resto della raffineria? E ancora:
gli stessi idrocarburi rilevati dall'Arpa non possono aver
già raggiunto le falde acquifere nel sottosuolo? Le vasche
di contenimento risalgono a una trentina di anni fa: sono
perfettamente impermeabili? Ipotesi tutte da verificare, le
nostre. Di certo c'è la comunicazione con la quale l'Arpa ha
fatto suonare i «campanelli» della Provincia. «Non risulta a
tutt'oggi – ha scritto in una nota alla raffineria la
dirigente del dipartimento Tutela suolo della Provincia,
Silvana Schachter – che sia stata attivata alcuna procedura
di cui all'art. 17 del decreto legislativo 22/97 (bonifica e
ripristino ambientale dei siti inquinati, ndr) e al decreto
ministeriale n° 471 del 25/10/99 (regolamento dei criteri,
procedure e modalità per la messa in sicurezza, la bonifica
e il ripristino ambientale dei siti inquinati, ndr);
pertanto si invitano ad attivarsi tutti gli Enti
interessati». A muoversi, dopo il sollecito sono stati i
Comuni di Milazzo e S. Filippo del Mela: i rispettivi
sindaci hanno chiesto ufficialmente il punto esatto in cui è
stata rinvenuta l'allarmante presenza di idrocarburi, in
modo da avviare i procedimenti previsti dalle leggi. |