RASSEGNA STAMPA 29.10.2003

 

RESTO DEL CARLINO
«Così D'Ambrosio riuscì a cacciarmi»

di Lorenzo Moroni

ANCONA — Una manovra politica architettata dall'allora segretario regionale del suo ex partito, Rifondazione Comunista, e dal presidente della giunta regionale, per far fuori lei assessore scomodo e mina vagante che avrebbe potuto far saltare molti equilibri del governo Marche. E' questa la tesi difensiva di Cristina Cecchini, consigliere regionale, ex assessore al lavoro ed ex esponente di Rifondazione Comunista, oggi confluita in Sinistra democratica, imputata per tentata concussione nell'inchiesta sui seminari formativi per l'imprenditoria femminile della regione. Per 'esplodere' la Cecchini ha atteso l'udienza preliminare di ieri, davanti al gup Sante Bascucci, rinviata al 19 dicembre prossimo. Il consigliere regionale, fuori dall'aula, ha lasciato parlare principalmente il suo avvocato, il legale Claudio Caparvi che ha assunto la difesa dell'ex assessore insieme alla collega Rosella Pepa, senza rinunciare però ad esprimere il proprio parere. «Adesso attendo fiduciosa l'udienza preliminare — riferisce Cristina Cecchini — e comunque confido di poter evitare il processo. Anche se — tiene a sottolineare — l'eventuale dibattimento potrebbe essere utile per chiarire tutta la vicenda». Ma a mettere i puntini sulle «i», senza tanti giri di parole, è stato appunto l'avvocato Caparvi riassumendo, davanti alla sua assistita e insieme alla collega Pepa, quella che di fatto è la tesi della difesa. «Attraverso una strumentale denuncia formalizzata da Ricci (Andrea, consigliere regionale di Rifondazione Comunista e all'epoca segretario regionale del partito, ndr.) — afferma l'avvocato Caparvi — si è voluta eliminare la Cecchini, con il presidente della giunta regionale concorde, poiché lei stava prendendo posizioni opposte a quelle della Regione». In buona sostanza a far 'saltare' l'ex assessore sarebbe stato il suo punto di vista in merito ad argomenti quali l'azienda sanitaria regionale unica, bronzi, rinnovo della concessione alla raffineria Api. «Dagli atti — aggiunge l'avvocato — si capisce che si tratta di una manovra maturata con il consenso di D'Ambrosio». «Il 3 giugno dello scorso anno — sottolinea Cristina Cecchini — mi incontrai con D'Ambrosio per comunicargli che la delibera sui seminari era sbagliata e che andava subito corretta. Inoltre gli anticipai che in giunta non avrei mai votato a favore dell'azienda sanitaria regionale unica. D'Ambrosio mi rispose che se non lo avessi fatto io lo avrebbe fatto Amagliani (attuale assessore all'ambiente del Prc, ndr.)». Ad alimentare il sospetto di una «manovra politica», secondo Cecchini, sarebbe stata anche «la tempistica delle dichiarazioni rese il 14 giugno in procura da Mancini», solo due giorni prima del congresso del partito che si doveva svolgere il 16 a Macerata. «Dove subii un "linciaggio"» chiude l'ex assessore.

 
CORRIERE ADRIATICO
"Insofferenti con chi dissente"

Anche i Comitati cittadini si schierano con l'assessore licenziato

E anche i comitati cittadini di Falconara attaccano il presidente della Provincia Enzo Giancarli. Ed esprimono la propria solidarietà e stima all'ex assessore Massimo Binci. "L'allontanamento dal governo del territorio di coloro che si permettono di non approvare provvedimenti collegati al rinnovo della concessione Api, è il segno tangibile di insofferenza verso tutti coloro - cittadini e loro associazioni, amministratori e consiglieri - che non dimenticano, ricordano e ripeteranno continuamente che i programmi politici ed elettorali di chi governa Provincia e Regione non prevedevano il rinnovo della concessione alla raffineria" sostengono i comitati Fiumesino, Villanova e 25 Agosto. "Ora non possiamo che domandarci provocatoriamente: un giorno Provincia e Regione provvederanno anche a togliere residenza e cittadinanza a tutti quei cittadini che non sono d'accordo con la permanenza della raffineria Api? I comitati, ma speriamo tutti i cittadini di Falconara, non dimenticheranno i politici ed i partiti che non hanno dimostrato coerenza con i loro programmi elettorali" concludono.

 
LA SICILIA
Principio d'incendio alla Centrale

Momenti di panico ieri mattina alla Raffineria ma anche in città per un principio d'incendio alla centrale termoelettrica. L'episodio si è verificato intorno alle 10,00. Secondo quanto riferito da fonti della Raffineria le fiamme hanno interessato l'area combustione della caldaia 2 (che è stata sequestrata) della centrale termoelettrica, impianto che è il cuore del petrolchimico. Sul posto sono intervenuti sia la squadra antincendio del petrolchimico sia i vigili del fuoco del locale distaccamento. Nel giro di mezz'ora le fiamme sono state domate. Nessun ferito ma tanta paura per un incendio sulle cui cause è stata avviata un'indagine interna. In corso di quantificazione i danni. L'episodio non ha bloccato la raffineria in quanto è stata subito azionata la caldaia 5 che funge da riserva se una delle caldaie dovesse subire un guasto. L'incendio di ieri non è passato inosservato. Tanta gente che ieri era al mercato, notando la nube nera che proveniva dal petrolchimico e temendo un incendio gravissimo come quello che il 28 giugno del 2002 ha distrutto parte dell'impianto Topping, ha lasciato precipitosamente la zona del mercato, che è vicina al petrolchimico. Il presidente di Italia nostra Saverio Di Blasi, ha subito presentato un esposto alla magistratura.

Inquinamento del suolo chiesto incidente probatorio

inchieste con 5 indagati

Cinque avvisi di garanzia ai vertici del Petrolchimico con l'ipotesi di reato di aver inquinato il suolo a seguito dello sversamento di sostanze derivate dal petrolio e di non aver proceduto alla bonifica. Il Pm Serafina Cannatà ha avanzato richiesta di incidente probatorio perché si verifichi attraverso una ricognizione di tutti i serbatoi di stoccaggio della raffineria in che stato sono e se ci sono perdite. L'iniziativa è il secondo troncone di un'inchiesta scattata nel 1998 quando i soci di Italia nostra nel verificare i motivi della morte di sei pini a Bulala, scoprirono cinque pozzi dove le analisi mostrarono la presenza di sostanze petrolifere. Gli indagati sono Andrea Frediani, Gaetano De Santis, Settimio Guarrata, Vincenzo Piro e Calogero Fasciana. Il processo contro i vertici del petrolchimico è pendente al Tribunale. Qualche tempo dopo sempre i soci di Italia nostra verificarono la presenza non molto distante dai primi di altri dieci pozzi. La Procura nominò come perito un luminare del settore il prof. Gisotti. Le analisi avrebbero fatto emergere che la falda sarebbe inquinata da idrocarburi. Ora il magistrato richiedendo l'incidente probatorio intende verificare in che stato sono tutti i serbatoi, se vi siano perdite di sostanze petrolifere che inquinano il suolo e la falda acquifera causando un danno notevole all'ambiente. I fatti contestati riguardano il periodo che va dal 2002 ad oggi. Italia nostra in un comunicato ha espresso soddisfazione per l'iniziativa della magistratura volta a controllare, fare chiarezza sempre a vantaggio della popolazione. Non così secondo l'associazione l'operato di politici e sindacalisti. Intanto ieri al Tribunale si è aperto un processo sempre per reati ambientali contro un dirigente dell'ex Isaf per l'inquinamento del suolo prodotto dalla discarica di fosfogessi. Il procedimento era stato archiviato, poi gli ambientalisti fecero opposizione.

«Pet coke»: verdetto più vicino

LA CAUSA ALLA CORTE DI GIUSTIZIA EUROPEA. Nuove memorie da produrre entro il 28 novembre

Continua il suo iter a Bruxelles presso la Corte di Giustizia Europea il procedimento relativo alla vicenda della classificazione del pet coke che portò un anno e mezzo fa al blocco dello stabilimento petrolchimico dopo il sequestro disposto dalla magistratura che riteneva il pet coke un rifiuto e non un combustibile. Come è noto fu il Governo Berlusconi con un apposito decreto a definire il pet coke un combustibile e consentire il riavvio della raffineria che usa ik pet coke per alimentare la sua centrale termoelettrica. E' stato il giudice per le indagini preliminari del Tribunale, accogliendo l'indicazione degli ambientalisti, ad inviare gli atti alla Corte Europea perché si pronunci sulla compatibilità tra la normativa europea che considera il pet coke un rifiuto e quella italiana per la quale è un combustibile. Il procedimento a Bruxelles va avanti e non dovrebbe essere lontano il verdetto. Nei giorni scorsi il cancelliere della Corte Europea ha mandato una nota alle parti interessate al procedimento (tra queste le associazioni ambientaliste Italia Nostra ed Amici della Terra ) in cui trasmette tre recenti sentenze della Corte su argomenti molti simili a quello del pet coke, lasciando intendere il verdetto sul caso gelese seguirà quel tipo di orientamento. Alle parti interessate viene dato tempo fino al 28 novembre per produrre memorie. Tra le sentenze allegate una è recentissima (risale all'11 settembre scorso) e riguarda una controversia tra una società ed il governo olandese sulla classificazione del residuo dello scavo della miniera. Sostanzialmente la questione posta è se è possibile l'esclusione dalla categoria dei rifiuti di un prodotto che è considerato invece tale dalla normativa europea. La Corte non lo ha escluso a condizione che lo Stato membro nello smaltimento del prodotto attui un livello di protezione dell'ambiente e della salute adeguato a pari alle direttive comunitarie. Le associazioni ambientaliste presenteranno sicuramente delle memorie. Il legale di Italia Nostra (una delle associazioni ambientaliste) avv. Salvatore Morreale intende ad esempio rappresentare alla Corte europea la peculiarità della situazione italiana ribadendo che il livello di protezione ambientale utilizzato nell'uso come combustibile del pet coke non è adeguato e che gli ambientalisti non sono contrari all'uso di quella sostanza se si investe ad esempio usando procedimenti quali la gassificazione.

 
inizio pagina   rassegna stampa