RESTO DEL CARLINO |
«Così D'Ambrosio riuscì a
cacciarmi»
di Lorenzo Moroni
ANCONA — Una manovra politica
architettata dall'allora segretario regionale del suo ex
partito, Rifondazione Comunista, e dal presidente della
giunta regionale, per far fuori lei assessore scomodo e mina
vagante che avrebbe potuto far saltare molti equilibri del
governo Marche. E' questa la tesi difensiva di Cristina
Cecchini, consigliere regionale, ex assessore al lavoro ed
ex esponente di Rifondazione Comunista, oggi confluita in
Sinistra democratica, imputata per tentata concussione
nell'inchiesta sui seminari formativi per l'imprenditoria
femminile della regione. Per 'esplodere' la Cecchini ha
atteso l'udienza preliminare di ieri, davanti al gup Sante
Bascucci, rinviata al 19 dicembre prossimo. Il consigliere
regionale, fuori dall'aula, ha lasciato parlare
principalmente il suo avvocato, il legale Claudio Caparvi
che ha assunto la difesa dell'ex assessore insieme alla
collega Rosella Pepa, senza rinunciare però ad esprimere il
proprio parere. «Adesso attendo fiduciosa l'udienza
preliminare — riferisce Cristina Cecchini — e comunque
confido di poter evitare il processo. Anche se — tiene a
sottolineare — l'eventuale dibattimento potrebbe essere
utile per chiarire tutta la vicenda». Ma a mettere i puntini
sulle «i», senza tanti giri di parole, è stato appunto
l'avvocato Caparvi riassumendo, davanti alla sua assistita e
insieme alla collega Pepa, quella che di fatto è la tesi
della difesa. «Attraverso una strumentale denuncia
formalizzata da Ricci (Andrea, consigliere regionale di
Rifondazione Comunista e all'epoca segretario regionale del
partito, ndr.) — afferma l'avvocato Caparvi — si è voluta
eliminare la Cecchini, con il presidente della giunta
regionale concorde, poiché lei stava prendendo posizioni
opposte a quelle della Regione». In buona sostanza a far
'saltare' l'ex assessore sarebbe stato il suo punto di vista
in merito ad argomenti quali l'azienda sanitaria regionale
unica, bronzi, rinnovo della concessione alla raffineria
Api. «Dagli atti — aggiunge l'avvocato — si capisce che si
tratta di una manovra maturata con il consenso di
D'Ambrosio». «Il 3 giugno dello scorso anno — sottolinea
Cristina Cecchini — mi incontrai con D'Ambrosio per
comunicargli che la delibera sui seminari era sbagliata e
che andava subito corretta. Inoltre gli anticipai che in
giunta non avrei mai votato a favore dell'azienda sanitaria
regionale unica. D'Ambrosio mi rispose che se non lo avessi
fatto io lo avrebbe fatto Amagliani (attuale assessore
all'ambiente del Prc, ndr.)». Ad alimentare il sospetto di
una «manovra politica», secondo Cecchini, sarebbe stata
anche «la tempistica delle dichiarazioni rese il 14 giugno
in procura da Mancini», solo due giorni prima del congresso
del partito che si doveva svolgere il 16 a Macerata. «Dove
subii un "linciaggio"» chiude l'ex assessore. |
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CORRIERE ADRIATICO |
"Insofferenti con chi
dissente"
Anche i Comitati cittadini si
schierano con l'assessore licenziato
E anche i comitati cittadini
di Falconara attaccano il presidente della Provincia Enzo
Giancarli. Ed esprimono la propria solidarietà e stima
all'ex assessore Massimo Binci. "L'allontanamento dal
governo del territorio di coloro che si permettono di non
approvare provvedimenti collegati al rinnovo della
concessione Api, è il segno tangibile di insofferenza verso
tutti coloro - cittadini e loro associazioni, amministratori
e consiglieri - che non dimenticano, ricordano e ripeteranno
continuamente che i programmi politici ed elettorali di chi
governa Provincia e Regione non prevedevano il rinnovo della
concessione alla raffineria" sostengono i comitati
Fiumesino, Villanova e 25 Agosto. "Ora non possiamo che
domandarci provocatoriamente: un giorno Provincia e Regione
provvederanno anche a togliere residenza e cittadinanza a
tutti quei cittadini che non sono d'accordo con la
permanenza della raffineria Api? I comitati, ma speriamo
tutti i cittadini di Falconara, non dimenticheranno i
politici ed i partiti che non hanno dimostrato coerenza con
i loro programmi elettorali" concludono. |
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LA SICILIA |
Principio d'incendio alla
Centrale
Momenti di panico ieri
mattina alla Raffineria ma anche in città per un principio
d'incendio alla centrale termoelettrica. L'episodio si è
verificato intorno alle 10,00. Secondo quanto riferito da
fonti della Raffineria le fiamme hanno interessato l'area
combustione della caldaia 2 (che è stata sequestrata) della
centrale termoelettrica, impianto che è il cuore del
petrolchimico. Sul posto sono intervenuti sia la squadra
antincendio del petrolchimico sia i vigili del fuoco del
locale distaccamento. Nel giro di mezz'ora le fiamme sono
state domate. Nessun ferito ma tanta paura per un incendio
sulle cui cause è stata avviata un'indagine interna. In
corso di quantificazione i danni. L'episodio non ha bloccato
la raffineria in quanto è stata subito azionata la caldaia 5
che funge da riserva se una delle caldaie dovesse subire un
guasto. L'incendio di ieri non è passato inosservato. Tanta
gente che ieri era al mercato, notando la nube nera che
proveniva dal petrolchimico e temendo un incendio gravissimo
come quello che il 28 giugno del 2002 ha distrutto parte
dell'impianto Topping, ha lasciato precipitosamente la zona
del mercato, che è vicina al petrolchimico. Il presidente di
Italia nostra Saverio Di Blasi, ha subito presentato un
esposto alla magistratura.
Inquinamento del suolo
chiesto incidente probatorio
inchieste con 5 indagati
Cinque avvisi di garanzia ai
vertici del Petrolchimico con l'ipotesi di reato di aver
inquinato il suolo a seguito dello sversamento di sostanze
derivate dal petrolio e di non aver proceduto alla bonifica.
Il Pm Serafina Cannatà ha avanzato richiesta di incidente
probatorio perché si verifichi attraverso una ricognizione
di tutti i serbatoi di stoccaggio della raffineria in che
stato sono e se ci sono perdite. L'iniziativa è il secondo
troncone di un'inchiesta scattata nel 1998 quando i soci di
Italia nostra nel verificare i motivi della morte di sei
pini a Bulala, scoprirono cinque pozzi dove le analisi
mostrarono la presenza di sostanze petrolifere. Gli indagati
sono Andrea Frediani, Gaetano De Santis, Settimio Guarrata,
Vincenzo Piro e Calogero Fasciana. Il processo contro i
vertici del petrolchimico è pendente al Tribunale. Qualche
tempo dopo sempre i soci di Italia nostra verificarono la
presenza non molto distante dai primi di altri dieci pozzi.
La Procura nominò come perito un luminare del settore il
prof. Gisotti. Le analisi avrebbero fatto emergere che la
falda sarebbe inquinata da idrocarburi. Ora il magistrato
richiedendo l'incidente probatorio intende verificare in che
stato sono tutti i serbatoi, se vi siano perdite di sostanze
petrolifere che inquinano il suolo e la falda acquifera
causando un danno notevole all'ambiente. I fatti contestati
riguardano il periodo che va dal 2002 ad oggi. Italia nostra
in un comunicato ha espresso soddisfazione per l'iniziativa
della magistratura volta a controllare, fare chiarezza
sempre a vantaggio della popolazione. Non così secondo
l'associazione l'operato di politici e sindacalisti. Intanto
ieri al Tribunale si è aperto un processo sempre per reati
ambientali contro un dirigente dell'ex Isaf per
l'inquinamento del suolo prodotto dalla discarica di
fosfogessi. Il procedimento era stato archiviato, poi gli
ambientalisti fecero opposizione.
«Pet coke»: verdetto più
vicino
LA CAUSA ALLA CORTE DI
GIUSTIZIA EUROPEA. Nuove memorie da produrre entro il 28
novembre
Continua il suo iter a
Bruxelles presso la Corte di Giustizia Europea il
procedimento relativo alla vicenda della classificazione del
pet coke che portò un anno e mezzo fa al blocco dello
stabilimento petrolchimico dopo il sequestro disposto dalla
magistratura che riteneva il pet coke un rifiuto e non un
combustibile. Come è noto fu il Governo Berlusconi con un
apposito decreto a definire il pet coke un combustibile e
consentire il riavvio della raffineria che usa ik pet coke
per alimentare la sua centrale termoelettrica. E' stato il
giudice per le indagini preliminari del Tribunale,
accogliendo l'indicazione degli ambientalisti, ad inviare
gli atti alla Corte Europea perché si pronunci sulla
compatibilità tra la normativa europea che considera il pet
coke un rifiuto e quella italiana per la quale è un
combustibile. Il procedimento a Bruxelles va avanti e non
dovrebbe essere lontano il verdetto. Nei giorni scorsi il
cancelliere della Corte Europea ha mandato una nota alle
parti interessate al procedimento (tra queste le
associazioni ambientaliste Italia Nostra ed Amici della
Terra ) in cui trasmette tre recenti sentenze della Corte su
argomenti molti simili a quello del pet coke, lasciando
intendere il verdetto sul caso gelese seguirà quel tipo di
orientamento. Alle parti interessate viene dato tempo fino
al 28 novembre per produrre memorie. Tra le sentenze
allegate una è recentissima (risale all'11 settembre scorso)
e riguarda una controversia tra una società ed il governo
olandese sulla classificazione del residuo dello scavo della
miniera. Sostanzialmente la questione posta è se è possibile
l'esclusione dalla categoria dei rifiuti di un prodotto che
è considerato invece tale dalla normativa europea. La Corte
non lo ha escluso a condizione che lo Stato membro nello
smaltimento del prodotto attui un livello di protezione
dell'ambiente e della salute adeguato a pari alle direttive
comunitarie. Le associazioni ambientaliste presenteranno
sicuramente delle memorie. Il legale di Italia Nostra (una
delle associazioni ambientaliste) avv. Salvatore Morreale
intende ad esempio rappresentare alla Corte europea la
peculiarità della situazione italiana ribadendo che il
livello di protezione ambientale utilizzato nell'uso come
combustibile del pet coke non è adeguato e che gli
ambientalisti non sono contrari all'uso di quella sostanza
se si investe ad esempio usando procedimenti quali la
gassificazione. |
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