RASSEGNA STAMPA 27.06.2003

 

MESSAGGERO
«Rinnovo all’Api? Impossibile dire sì»

Nodo concessione. In Regione i Verdi lasciano la maggioranza. Al Comune di Falconara non bastano le aperture dimostrate dalla Raffineria

Il sindaco Carletti boccia il protocollo: «Non conforme a quanto deliberato finora»

di ROBERTA MACCAGNANI

Il rinnovo della concessione all’Api, sino al 2020, provoca uno sconquasso in Regione. I Verdi escono dalla maggioranza D’Ambrosio, che va avanti. La decisione sul futuro dello stabilimento falconarese potrebbe arrivare a giorni, addirittura tra lunedì e martedì, prima del consiglio regionale di mercoledì 2 luglio. Ma la Regione sarà da sola. Neanche il Comune di Falconara accetta il protocollo d’intesa che dovrebbe regolare i rapporti tra l’ente e l’azienda. «Ieri pomeriggio la giunta di Falconara – ha detto il primo cittadino – ha votato contro questo protocollo perché non conforme a quanto deliberato finora dall’ente locale». Ma sembra che ormai la Regione si stia avviando ad una decisione per l’inizio della prossima settimana. «A queste condizioni – risponde Carletti – sarà senza il Comune. Non possiamo negoziare o masticare le nostre decisioni». Comunque è riuscito a far inserire nel protocollo, dopo lo sforamento della scadenza del 15 giugno per un parere sul rinnovo, la possibilità di realizzare il porto, il contratto del quartiere di Fiumesino e il riconoscimento delle scelte del prg del Comune, punti su cui l’Api, finora contraria, ha ceduto. Non bastava? «Quello che abbiamo espresso negli atti di giunta va inserito alla lettera, le ripeto non possiamo tornare indietro». Un protocollo questo che insieme alle prescrizioni è all’origine dell’uscita dei Verdi dalla maggioranza regionale, dopo la presentazione ufficiale di ieri. «Nei due documenti ci sono forti limiti – dice Massimo Binci, esponente provinciale Verdi - Gran parte delle prescrizioni ricalcano il contenuto di normative preesistenti, mentre il protocollo d'intesa è blando e poco stringente sugli impegni che la raffineria dovrà assumersi: non esiste, infatti, un sistema sanzionatorio che imponga il rispetto degli accordi». Per i Verdi la questione più grave è che «il sito della raffineria viene individuato come polo energetico ambientalmente avanzato che anche a lungo termine ospiterà impianti industriali per la produzione di energia, compromettendo le possibilità future di riconversione del territorio verso vocazioni eco-compatibili come terziario avanzato, sviluppo area aereoportuale, porto e turismo». Alcuni pensano che la vostra sia una decisione politica, legata alla natura ambientale del problema, è così? «In realtà - risponde Binci - si tratta di una questione di natura urbanistica e programmatica: è in tali ambiti che l’azione della Regione è mancata. Si è solo limitata a riconfermare una situazione che va avanti così da anni, nonostante il suo compito sia di ri-progettare e avesse anche l’occasione di farlo».

I Verdi sbattono la porta

Fuori dalla maggioranza in Regione per la vicenda Api a Falconara

ANCONA I Verdi escono dalla maggioranza di centrosinistra del Governo regionale. Lo hanno comunicato alla Giunta e ai colleghi di coalizione durante la riunione di ieri mattina sulla proroga di concessione alla raffineria Api di Falconara Marittima, dichiarando al presidente della Regione Marche, Vito D'Ambrosio, la loro totale contrarietà a questa ipotesi di far proseguire le attività dell'impianto petrolchimico. «Abbiamo assistito alla smentita della piattaforma programmatica della maggioranza di centrosinistra -ha detto Marco Moruzzi, capogruppo in Consiglio regionale dei Verdi- che prevedeva, fra le priorità, proprio la dismissione dell'Api». Secondo Moruzzi, «non si può mantenere la fiducia a chi non rispetta il programma, gli accordi, i cittadini che ti hanno sostenuto con il voto».

 
RESTO DEL CARLINO
E sull'Api 'strappo' dei Verdi

di Maria Gloria Frattagli

ANCONA — «Strappato» l'accordo che all'inizio della legislatura del presidente D'Ambrosio, vedeva i Verdi delle Marche a sostegno della maggioranza regionale: escono per il contenuto delle prescrizioni e del sistema sanzionatorio previsto per il rinnovo della concessione alla raffineria Api. Per i Verdi è difficile accettare quelle condizioni: «Gran parte delle prescrizioni — spiega il presidente, Luciano Montesi — ricalcano sostanzialmente il contenuto di normative preesistenti. La sostanza del protocollo d'intesa è blando e poco stringente sugli impegni che la raffineria dovrà assumersi. Non esite — sottolinea — un sistema sanzionatorio che imponga il rispetto degli accordi che oggi si vanno a sottoscrivere e non sono indicati i tempi della dismissione, della bonifica, della riconversione dell'area e degli sviluppi occupazionali». Dalle parole di Montesi si delinea sicuramente uno scenario mortificante per la città di Falconara, che anche in caso di rinnovo della concessione all'Api, sperava di cavarsela almeno con delle forti coercizioni di fronte alle quali la stessa raffineria avrebbe potuto alzare le mani. E invece, a quanto pare, tutto sembra essere rimasto come prima: «Il sito — continua Montesi — viene individuato come polo energetico ambientalmente avanzato, che anche in futuro ospiterà impianti industriali per la produzione di energia compromettendo le possibilità future di riconversione del territorio verso vocazioni eco-compatibili». Vale a dire che il futuro della città è stato definitivamente ipotecato, condizionando il territorio, così come è stato in principio e destinandolo ad ospitare realtà industriali più o meno grandi e rischiose. Proprio «per il mancato rispetto della piattaforma programmatica della maggioranza regionale, i Verdi si tirano dunque fuori dai giochi.

I comitati applaudono i Verdi

di Maria Gloria Frattagli

FALCONARA — Prima le manifestazioni pubbliche, poi una serie di incontri trasversali, ora l'uscita dei Verdi dalla maggioranza regionale. La faccenda del rinnovo della concessione alla raffineria Api si complica sempre di più. Il percorso diventa ogni giorno più tortuoso, pregno di insidie, anche se l'asse per combattere la permanenza della raffineria Api, sembra essersi spostato verso la Regione. Ed è proprio nell'Ente che viene riconosciuto il «nemico». I Verdi, infatti, sostengono che ieri, nel corso di una riunione di maggioranza, sono stati presentati i testi definitivi relativi alle prescrizioni e al protocollo d'intesa tra le istituzioni locali e l'azienda. Documenti che non hanno contenuto nella sostanza e nella forma la volontà del «sole che ride». Un'insoddisfazione covata già da diverso tempo, quella dei Verdi, fin da quando erano trapelati i primi segnali verso un sicuro rinnovo, e sfociata ieri nell'uscita definitiva del partito dalla maggioranza regionale. «Siamo tutti consapevoli — conclude Montesi — dello spessore e del peso che una rottura politica di questo tipo comporta all'interno dell'Ulivo e del centrosinistra ma non si può mantenere la fiducia a chi non rispetta il programma, gli accordi, gli impegni con i cittadini e dei partiti che li hanno sostenuti». Commenti a caldo «I Verdi — dice Franco Budini, esponente del Comitato di Villanova — si sono dimostrati estremamente coerenti con le loro dichiarazioni e con i fatti. Anche se ribadiamo la nostra non adesione ad un particolare partito — continua — non possiamo far altro che stare vicini ai Verdi. Sembra incredibile — sottolinea — ma quello emerso dagli atti presentati alla maggioranza era ciò che ci aspettavamo da questo tipo di politici che hanno continuato a governare escludendo dai loro pensieri bisogni e necessità di un intero territorio, con i suoi problemi e le sue esigenze di sviluppo, anche se ipotizzato in un lungo periodo di tempo». Il Comune L'Amministrazione comunale non commenta la decisione dei Verdi, ma al contrario, dopo giorni di silenzi e di gestazione, ha prodotto proprio ieri, durante la riunione di Giunta, un documento nel quale ribadisce, così come era stato fatto verbalmente in occasione dell'ultimo incontro del tavolo istituzionale, di non sottoscrivere quanto stabilito dalla Regione. Non firmerà nè il testo definitivo sulle prescrizioni nè tantomento il protocollo d'intesa.

 
CORRIERE ADRIATICO
Verdi fuori dalla maggioranza

Moruzzi accusa "Dimostrati limiti sul fronte ambientale" Montesi: "Nessun passo verso una soluzione sostenibile" Strappo sul caso Api, è "lite" nel summit sulla concessione

ANCONA - Strappo sull'Api. Al termine della riunione di maggioranza sul rinnovo della concessione alla Raffineria Api, in cui sono stati presentati i testi definitivi relativi alle prescrizioni e al protocollo d'intesa tra le istituzioni locali e l'azienda, la delegazione dei Verdi ha formalizzato al presidente Regione Vito D'Ambrosio l'uscita dalla maggioranza. Dal confronto politico tra le forze di maggioranza i Verdi - si legge in una nota firmata dal presidente Luciano Montesi - non hanno riscontrato "elementi e passi significativi verso una soluzione sostenibile". I Verdi, "non possono condividere la scelta di chi condanna la popolazione ed il territorio di Falconara a sopportare la raffineria Api almeno fino al 2020". "I Verdi - si spiega ancora - hanno rilevato forti limiti nei contenuti dei due documenti. Gran parte delle prescrizioni ricalcano sostanzialmente il contenuto di normative preesistenti. I contenuti del protocollo d'intesa sono blandi e poco stringenti sugli impegni che la raffineria dovrà assumersi. A fronte di ciò non esiste un sistema sanzionatorio che imponga il rispetto degli accordi che oggi si vanno a sottoscrivere". Nel quadro del rinnovo della concessione alla raffineria "non sono assolutamente indicati - secondo i Verdi - i tempi della dismissione, della bonifica, della riconversione dell' area e degli sviluppi occupazionali". Il sito "viene individuato come polo energetico ambientalmente avanzato che anche in futuro ospiterà impianti industriali per la produzione di energia, compromettendo le possibilità future di riconversione del territorio verso vocazioni eco-compatibili come terziario avanzato, sviluppo area aereoportuale, porto e turismo". "La piattaforma programmatica della maggioranza - ricordano i Verdi - dichiara l'incompatibilità della raffineria con il territorio. Oggi assistiamo a una smentita di quel programma e i Verdi non possono condividere questa scelta politica". "Sul fronte ambientale ma non solo, anche su quello della sanità, questa maggioranza ha dimostrato tutti i suoi limiti": lo ha detto il capogruppo dei Verdi in Regione, Marco Moruzzi, nel motivare l'uscita del gruppo dalla maggioranza di centro sinistra. "In particolare - ha aggiunto Moruzzi, riferendosi alla questione scatenante, ovvero il rinnovo della concessione all' Api - la maggioranza ha sottovalutato l'importanza del progetto di riconversione. Abbiamo così tratto le conseguenze, rispetto alla vicenda Api ma in generale rispetto a un rapporto difficile su altre questioni. Ci sentiamo nel centro sinistra ma in questo momento pensiamo che il centro sinistra debba meglio sintonizzarsi sui temi dell'ambiente e sul rapporto con il resto della regione". Quanto alle prossime scadenze, nell'immediato il piano sanitario regionale (il consiglio regionale ne riprenderà l' esame lunedì), il capogruppo dei Verdi ha dichiarato: "Votiamo ciò che condividiamo: se il piano sanitario lo si condivide, non saremo contrari solo perchè siamo fuori dalla maggioranza".

Il rammarico di D'Ambrosio

ANCONA - "Sono rammaricato della dichiarazione del gruppo dei Verdi che intendono uscire formalmente dalla coalizione che governa le Marche, in relazione alla concessione all'Api spa": così, in serata, il presidente D'Ambrosio commenta l'uscita dei Verdi dalla maggioranza. "La giunta - afferma D'Ambrosio - ha lavorato, d'accordo con la maggioranza, insieme alle istituzioni locali e alle parti sociali per trovare, attraverso il sistema delle prescrizioni tecniche e un protocollo d'intesa, il più avanzato e utile punto di equilibrio tra le ragioni delle comunità locali e dell'intera regione e quelle di uno sviluppo economico ecocompatibile". "La nostra preoccupazione - prosegue D'Ambrosio - è stata sempre quella di salvaguardare la salute dei cittadini, la tutela e la valorizzazione dell'ambiente, il posto di lavoro di alcune migliaia di lavoratori, nonché il fabbisogno energetico della regione, gravemente deficitario". "Non abbiamo mai operato - rileva - per una condanna del territorio e della popolazione di Falconara, ma ci siamo mossi tenacemente per coniugare tutela ambientale, governo del territorio e sviluppo ecocompatibile". "Non ritengo - precisa quindi - di essere venuto meno agli impegni sottoscritti nel programma della maggioranza, in parte già attuati e per il resto in corso di realizzazione; al contrario, ci siamo adoperati per una soluzione di alto profilo, garantendo sviluppo, occupazione, salute, sicurezza e ambiente. Auspico che il gruppo dei Verdi possa riprendere al più presto un rapporto di collaborazione sereno e costruttivo".

rifiutate la demagogia

di MARCO LUCHETTI (consigliere regionale - margherita)

...sempre rispettato la loro autonomia, peraltro non interamente condivisa da tutti gli aderenti alla Margherita di Falconara. Ho lavorato perché il tavolo istituzionale costituito tra Regione, Provincia e Comune di Falconara desse buoni risultati e riuscisse a realizzare la condivisione più adeguata a risolvere il problema del rinnovo della concessione. Sono sempre stato convinto che solo il lavoro unitario delle istituzioni e delle forze sociali potesse risolvere al meglio la questione. Ritengo una buona sintesi i contenuti della proposta di intesa, approvata dalla maggioranza regionale: la concessione all'Api fino al 2020 potrà essere data con prescrizioni severe, nel rispetto delle determinazioni urbanistiche del Comune di Falconara. Coloro che sostengono che la concessione verrà rinnovata "senza se e senza ma" non dicono la verità. Per questo voglio avvertire i miei concittadini di rifiutare la demagogia di chi la descriverà come una resa all'azienda-mostro. Sono convinto della necessità di una forte alleanza del Comune di Falconara con la Provincia e la Regione perché la firma del protocollo di intesa con l'Api sia l'inizio di un nuovo rapporto che si potrà avere con un'azienda considerata "madre" e "matrigna" al tempo stesso. Il Comune, dopo una forte battaglia, potrà affermare di avere realizzato relazioni paritarie; l'azienda ha definitivamente capito di dover impostare un leale e costruttivo rapporto con la comunità in cui opera. In più occasioni la dialettica Istituzioni/Api ha dato la sensazione di non tenere in debito conto chi lavora nell'azienda e chi ne ha la rappresentanza. La firma della concessione deve rappresentare anche sotto tale aspetto una svolta. Nuove relazioni sindacali potranno essere la maggiore garanzia per un più accurato controllo del lavoro e della sicurezza interna ed esterna. L'azienda si accolla una grande responsabilità nei confronti della Comunità falconarese; se mancherà agli impegni non avrà più possibilità di recuperare la credibilità che oggi le consente di convivere in un territorio che beneficia del lavoro, ma che le restituisce grandi potenzialità. Devo dare atto al concittadino Marco Amagliani, assessore regionale all'ambiente, di aver lavorato bene e di aver recuperato forti ritardi.

 
L'UNIONE SARDA
Pioggia di fuliggine: allarme inquinamento

Oggi l’esito dei prelievi sulla sostanza

di Gibi Puggioni

Porto Torres Una giornata da cani. Temperature vicino ai 38 gradi, odori pestilenziali che hanno avvolto la città dalle prime ore del mattino e poi una fastidiosissima sostanza nera, simile alla fuliggine, caduta su numerosi quartieri, da Monte Angellu a Oleandro, da Andriolu al centro storico. «Me la sono trovata anche sul terrazzo di casa mia - ha confermato l’assessore ai servizi sanitari Pietro Pani che abita in via Sacchi. Una sostanza nera, oleosa, piovuta non si sa da dove». Già, da dove? È quello che vogliono sapere gli abitanti del centro turritano preoccupati soprattutto che possa trattarsi del “saluto augurale” del carbone appena arrivato nel porto industriale. Le decine di telefonate arrivate al centralino del Comune hanno fatto scattare controlli immediati. Gli assessori ai Servizi sanitari e all’ambiente, Pietro Pani e Ottavio Uras, si sono divisi i compiti. I vigili urbani gli hanno dato una mano effettuando anche prelievi della sostanza in diverse parti della città. I campioni sono già stati consegnati ai laboratori della Asl n.1 e ad un laboratorio privato. Oggi si dovrebbero conoscere i risultati. I sospetti della gente, neanche a dirlo, si sono riversati sul carbone. Ma a Fiume Santo l’Endesa non brucia ancora questo combustibile e viene difficile pensare che il vento possa aver spinto le polveri di carbone dalla nave fino a Porto Torres, cioè a diversi chilometri di distanza. Fra l’altro quando in città scattava l’allarme, a Fiume Santo si trovava la commissione tecnica di controllo che ha il compito di vigilare sulla movimentazione del carbone e sul suo utilizzo. Nessuno ha segnalato anomalie. Contemporaneamente l’assessore all’Ambiente Ottavio Uras si presentava ai cancelli dell’Enichem: «I dirigenti dell’azienda hanno ammesso che nella notte fra mercoledì e giovedì si è verificato un blocco temporaneo della centrale 2 - ha precisato l’assessore - ma hanno categoricamente smentito che l’inconveniente possa essere addebitato ai loro impianti. Noi abbiamo comunque chiesto la documentazione relativa al funzionamento dell’impianto che confronteremo con i dati provenienti dalle cinque centraline per il controllo dell’aria che insistono nel nostro territorio». Qualcuno ha segnalato nella notte fra mercoledì e giovedì il denso fumo che usciva dal camino dell’azienda petrolchimica imputando a questa anomalia la pioggia delle particelle fuligginose. L’Enichem smentisce: «La torcia - sostiene l’ufficio delle relazioni esterne - è una sorta di valvola di sicurezza nella quale, in caso di emergenza, vengono fatti confluire e bruciati gas come l’idrogeno e il metano. Non c’è nulla che abbia attinenza con il fenomeno segnalato». Però il fenomeno si è verificato ed è urgente conoscerne cause e responsabilità.

 
GAZZETTA DI MANTOVA
Turbogas, Prc ancora all'attacco: sosterremo chi farà ricorso al Tar

«A questo punto solo un ricorso al tribunale amministrativo regionale può bloccare questo ennesimo impianto inquinante. Per questo motivo Rifondazione Comunista si mette a disposizione del comitato di cittadini che si è recentemente costituito per sostenerlo qualora decida di impugnare il decreto di autorizzazione di fronte al Tar». Dopo la firma del ministero sull'ultima autorizzazione alla centrale turbogas di Enipower, il Prc non rinuncia ad un attacco ulteriore. «Invitiamo la cittadinanza - si legge in una nota - ad una sottoscrizione popolare per sostenere le spese legali che dovranno essere sostenute per il ricorso al Tar ed invitiamo tutte le associazioni, i gruppi, i comitati che hanno a cuore la salute dei cittadini e le sorti dell'ambiente a mobilitarsi». La tesi del Prc è che il turbogas che verrà realizzato sarebbe sproporzionato rispetto alle esigenze energetiche di Mantova: «Le dimensioni della centrale, di 15 volte maggiore rispetto al fabbisogno del petrolchimico - prosegue la nota - sono state proposte dall'Enipower unicamente per poter vendere l'energia in eccesso prodotta».

 
IL GAZZETTINO
L'Emilia dice no alla riconversione

La Regione Emilia-Romagna ha detto no al progetto di riconversione della centrale Enel di Polesine Camerini perché incompatibile con la tutela di un ecosistema dagli equilibri fragili e delicati quale è il Delta del Po e con la sicurezza di un importantissimo comparto turistico. Il no all'intesa sul progetto e sulle opere connesse, così come richiesto dalla legge 55/2002 (quella che ha convertito il decreto "salva centrali") e il parere negativo alla valutazione di impatto ambientale sono arrivati dalla giunta regionale dell'Emilia-Romagna su proposta degli assessori all'ambiente e sviluppo sostenibile Guido Tampieri e alle attività produttive Duccio Campagnoli. Si tratta di uno stop all'intesa raggiunta tra Enel e Regione Veneto, che rimette la questione alla presidenza del Consiglio dei ministri, il quale dovrà decidere in accordo con le due Regioni interessate. La centrale è attualmente alimentata a olio combustibile pesante a basso tenore di zolfo. La scelta di riconvertirla ad orimulsion (un'emulsione di catrame e acqua a basso costo) con l'aggiunta di due impianti di abbattimento delle emissioni in atmosfera (un denitrificatore e un desolforatore) per la Regione emiliana non dà adeguate garanzie sul fronte ambientale perché, a suo avviso, le emissioni di biossido di zolfo, di ossido di azoto, di ossido di carbonio e le polveri sarebbero nettamente superiori a quelle prodotte da centrali a turbogas a ciclo combinato alimentate a metano.

Mestre "Il rapporto di fiducia ...

Mestre "Il rapporto di fiducia tra le industrie e l'Amministrazione comunale era già difficile. Dopo questo ulteriore incidente praticamente non c'è più". Il vicesindaco, Michele Mognato, ieri sera parlava a nome del Comune, affiancato dall'assessore all'Ambiente, Paolo Cacciari e alle Attività Produttive, Luciano De Gaspari. Spetta ai tre dare un segnale di tranquillità alla popolazione che non si fida più del Petrolchimico. Ieri i tre amministratori hanno incontrato a lungo la delegazione della Dow Chemical, proprietaria del Tdi di Porto Marghera, presso il Municipio di Mestre, dettando le condizioni per "un'eventuale riavvio dell'impianto Tdi": 1) una verifica ispettiva ministeriale, 2) anche la Regione deve mettere in moto i tecnici per un'ulteriore controllo, 3) la Dow, per riaprire l'impianto, dovrà presentare un progetto completo e non più un'autocertificazione come prevede oggi la legge. Il che vuol dire che ci vorranno mesi e forse un anno per far ripartire l'impianto, perché un nuovo progetto infatti prevede una Via nazionale (Valutazione di impatto ambientale) che non si fa certo in poche settimane. Su questo punto gli assessori e il vicesindaco non hanno dubbi.

Tre dirigenti indagati per l'incendio di novembre

Il Pm Menegazzi ha depositato gli atti dell'inchiesta

di M. F.

Sono tre gli indagati nell'inchiesta che riguarda l'incendio scoppiato nell'impianto Tdi il 28 novembre scorso, che causò una nube di Toluendiisocianato e lo stato di allarme per oltre un'ora. Il sostituto procuratore Susanna Menegazzi ha infatti depositato gli atti relativi alle indagini preliminari, chiedendo l'archiviazione per sei delle nove persone inizialmente finite nel mirino della magistratura. Le altre tre sono invece indagate per disastro colposo, lesioni colpose e violazione alle normative sugli scarichi in laguna. Si tratta del direttore dello stabilimento Antonio Leal, del direttore della produzione Marco Riva e del responsabile del reparto Tdi5 Giancarlo Lorenzon. Il magistrato ha inoltre stralciato le posizioni relative al reato di all'omissione di cautele nei luoghi di lavoro, essendo questo estinguibile per via amministrativa. Lo scoppio, seguito dall'incendio, avvenne alle 19.40 nel serbatoio D528/2 e si propagò a un secondo serbatoio un'ora dopo, con la combustione di toluene e peci contenenti tra le 10 e le 20 tonnellate di Tdi. A causare l'incidente, come accertato dai consulenti del Pm, fu un surriscaldamento negli stessi serbatoi, contro il quale non vennero prese precauzioni. Per l'ingegnere chimico Roberto Carrara, il biologo Rocco Rella e il chimico Alberto Sturaro, soltanto una "fortunata" coincidenza aveva evitato che l'esplosione potesse coinvolgere una cisterna di fosgene. Solo qualche metro in più e chissà che cosa sarebbe potuto accadere. I consulenti e gli esperti dello Spisal avevano poi accertato che il rischio era conosciuto, ma nei manuali forniti a Porto Marghera mancavano le prescrizioni per il personale, mentre al contrario queste apparivano nei manuali negli Stati Uniti: svuotare il serbatoio immediatamente. Anche la mancanza di queste prescrizioni avrebbe contribuito a causare l'incidente. Proprio per questo i sei tecnici inizialmente indagati con i dirigenti sono stati successivamente esclusi dall'inchiesta.

Il Comune ha "congelato" il Tdi

Al termine di un incontro tra i vertici della Dow Chemical e i tre assessori responsabili

Prima di riaprire dovrà presentare un progetto che sarà vagliato dalla Commissione Via nazionale

di Fabrizio Conte

"Il rapporto di fiducia tra le industrie e l'Amministrazione comunale era già difficile. Dopo questo ulteriore incidente praticamente non c'è più". Il vicesindaco, Michele Mognato, ieri sera parlava a nome del Comune, affiancato dall'assessore all'Ambiente, Paolo Cacciari e alle Attività Produttive, Luciano De Gaspari. Spetta ai tre dare un segnale di tranquillità alla popolazione che non si fida più del Petrolchimico. Ieri i tre amministratori hanno incontrato a lungo la delegazione della Dow Chemical, proprietaria del Tdi di Porto Marghera, presso il Municipio di Mestre, dettando le condizioni per "un'eventuale riavvio dell'impianto Tdi": 1) una verifica ispettiva ministeriale, 2) anche la Regione deve mettere in moto i tecnici per un'ulteriore controllo, 3) la Dow, per riaprire l'impianto, dovrà presentare un progetto completo e non più un'autocertificazione come prevede oggi la legge. Il che vuol dire che ci vorranno mesi e forse un anno per far ripartire l'impianto, perché un nuovo progetto infatti prevede una Via nazionale (Valutazione di impatto ambientale) che non si fa certo in poche settimane. Su questo punto gli assessori e il vicesindaco non hanno dubbi: "Attualmente esiste un vuoto normativo che lascia più di qualche "buco" nella rete dei controlli - spiega Paolo Cacciari. - L'incidente dell'altro giorno è stato, nella dinamica, banale; alla fine sarebbe bastato separare le acque acide da quelle bianche e non ci sarebbe stata alcuna conseguenza". Tra l'incidente del 28 novembre e quello di mercoledì ad ogni modo non c'è nessuna assonanza: "Chiariamo subito che mai c'è stato pericolo per il fosgene - dice De Gasperi, - però siamo stupefatti da come viene gestito questo impianto. E' chiaro che ci sono carenze gestionali gravissime". Le reazioni, intanto, ieri non si sono fatte attendere: per Gianfranco Bettin non ci sono dubbi: "Bisogna tenere presente in questa vicenda che siamo di fronte ad un impianto che sta andando ad esaurimento ed, in quanto tale, per Dow rappresenta un investimento da spremere come un limone sino alla sua fine con meno costi possibili, quindi a discapito della sicurezza." Le parole del prosindaco arrivano mentre nella zona del Tdi i tecnici dell'Arpav, della Provincia, dello Spisal, dell'Usl, del Magistrato alle Acque fanno i rilevamenti del caso. Decine di persone accorse sul posto per verificare se, davvero come sostiene la direzione di Dow Poliuretani Italia, la fuoriuscita di circa una tonnellata di toluendiisocianato non abbia causato danni alle persone e all'ambiente. Come era prevedibile, l'ennesimo episodio negativo al petrolchimico ha fatto di nuovo salire la tensione a Porto Marghera. "La politica ha dato a suo tempo le indicazioni giuste. Sono le burocrazie, i cosiddetti tecnici, le norme e le procedure ingestibili a impedire il primo passo per la rinascita di Porto Marghera? Attendo risposte - dice il presidente del Veneto, Giancarlo Galan - Guasti, perdite, dispersione di sostanze tossiche nocive, come al solito parliamo di Porto Marghera. Si potrebbe costituire un club di "preoccupati permanenti" sui rischi ambientali in essere a Porto Marghera. Protesto? Non protesto, piuttosto sono preoccupato e lo sono da molto tempo e come molti altri è molto tempo che lo vado dicendo. Ho l'impressione che nella prioritaria e fondamentale partita per il risanamento dei terreni e delle acque di Porto Marghera qualcuno stia giocando con poca trasparenza e soprattutto con poca scienza e coscienza". Anche per Michele Vianello, deputato dei Ds "l'incidente avvenuto nella giornata di ieri al Petrolchimico è l'ennesima dimostrazione della pericolosità delle industrie chimiche di Porto Marghera. Si tratta di impianti ormai superati privi, spesso, della manutenzione necessaria a garantire elementari misure di sicurezza. I Democratici di Sinistra hanno chiesto al ministro Altero Matteoli una immediata discussione in commissione Ambiente. In particolare si richiede al ministro di costituirsi parte civile contro i responsabili dell'incidente, nonché di anticipare le verifiche di compatibilità ambientali previste dalle direttive comunitarie Seveso e Seveso 2 e ipcc". Una richiesta che se venisse accolta condannerebbe la maggior parte degli impianti di Marghera. "Nell'ennesima serie di guasti e sversamenti di serbatoi al Tdi concorrono probabilmente anche incapacità gestionali - aggiunge Bettin - ma, evidentemente, anche un intrinseca inadeguatezza sia strutturale, sia di messa in sicurezza dell'impianto che pone tutti, Sindaco, Provincia e Regione di fronte alla scelta della sua fermata". I Verdi allargano la polemica anche nei confronti degli enti che hanno dato il permesso alla Dow di riavviare l'impianto "l'ennesimo cedimento agli interessi della multinazionale. Apprezziamo la presa di posizione del sindaco, Paolo Costa e siamo d'accordo nel chiedere una verifica complessiva e profonda dell'impianto". Per Ezio Da Villa i controlli dovrebbero essere affidati ad una commissione tecnica nazionale: "Lo chiedo da oltre un anno - dice l'assessore all'Ambiente provinciale - dopo questi ultimi fatti credo che la decisione non sia più rinviabile". Sui mancati controlli e i ritardi registrati mercoledì pomeriggio, i componenti dell'Assemblea permanente contro il pericolo chimico, hanno presentato un esposto alla Procura della Repubblica: "Denunciamo l'inerzia degli enti preposti e segnaliamo l'inadempienza a tempestive analisi da parte del Magistrato alle Acque nonostante sia stato interpellato da noi e per competenza all'assessore provinciale all'Ambiente Ezio Da Villa. Il Magistrato alle Acque ha dichiarato di non avere disponibilità di personale per effettuare i rilievi".

 
LA NUOVA VENEZIA
«Troppi errori e strumenti in tilt»

Gli ispettori dell'Arpav e della Provincia in stabilimento per ricostruire le cause dell'ultimo incidente al Tdi

Spia del serbatoio e sistemi di sicurezza non hanno funzionato

di Gianni Favarato

MESTRE. Impianti troppo vecchi, indicatori e strumentazioni di sicurezza malfunzionanti, emarginazione di tecnici e dirigenti ex Enichem che da decenni lavoravano nel ciclo del Tdi e, infine, inesperienza e difficoltà di comunicazione tra i responsabili, di varie nazionalità, che gestiscono l'impianto della multinazionale americana. Sono queste le prime valutazioni degli ispettori di Arpav e Provincia che hanno visitato l'impianto della Dow all'indomani dello sversamento di quasi 1 tonnellata di Tdi. Ieri mattina gli ispettori dell'Arpav e della Sezione Ambiente della Provincia di Venezia hanno cercato di ricostruire l'incidente che ha causato lo sversamento di una notevole quantità di sostanze tossiche e cancerogene. Il quadro che ne esce, secondo le prime indicazioni, è tutt'altro che tranquillizzante e, con molta probabilità, convincerà la Procura veneziana ad aprire un'indagine anche su quest'ultimo incidente. Strumentazioni in tilt. Il segnalatore di livello del serbatoio di Tdi (toluedisocianato), evidentemente in tilt, indicava un carico di appena il 30 % ma era già pieno. Eppure l'impianto della Dow, in marcia da ore ed ore. Nessuno tra i responsabili dell'impianto si è però preoccupato di capire come mai l'indicatore del serbatoio segnalasse un carico così basso, a fronte di un quantitativo di produzione ben più alto. Del resto già da giorni l'impianto, in fase di riavvio, era stato fermato più volte per cattivo funzionamento. Dalle prime ore del mattino di mercoledì la Dow stava inviando all'impianto di trattamento biologico - gestito dalla Masi (controllata da Syndial) - reflui con concentrazioni troppo alte di nitrati. La Masi, infatti, ha informato subito la Dow dell'anomalia che rischiava di pregiudicare il funzionamento dell'impianto di trattamento biologico e quest'ultima ha poi ridotto i carichi di nitrati. Valvola di sicurezza in panne. Non ha funzionato a dovere nemmeno il dispositivo di sicurezza che invia all'inceneritore gli eventuali eccessi di carico del serbatoio di Tdi. Così alle 17.50 di mercoledì il Tdi è cominciato a fuoriuscire dagli sfiati di gas del serbatoio, invadendo il piazzale dell'impianto. Il toluedisocianato e una sostanza tossica e cancerogena che a contatto con l'acqua dei tombini della fogna ha cominciato a creare una schiuma densa che, finalmente, ha fatto prendere coscienza ai responsabili dell'impianto che qualcosa di strano stava succedendo. Solo quel punto le procedure di sicurezza sono scattate: l'impianto è stato fermato e i vigili del fuoco interni sono immediatamente intervenuti con schiumogeni e panne per contenere e cercare di recuperare il Tdi sversato. Quest'ultimo, però, nel frattempo aveva già raggiunto il canale SM-15 che sfocia in laguna. Gli errori dei dirigenti. I responsabili dell'impianto - tutti dipendenti della Dow e di varie nazionalità - sono gli stessi che la Procura della Repubblica ha rinviato a giudizio per l'incendio del 28 novembre del 2002. Per l'assessore provinciale Da Villa è la loro «l'incapacità e la scarsa conoscenza dell'impianto acquistato pochi anni fa da Enichem» a creare i presupposti per gravi incidenti come quelli dell'anno scorso e dell'altro ieri». Per il consigliere comunale Antonio Cavaliere (Fi), già dipendente di Enichem «alla Dow ci sono troppi dirigenti multinazionali che hanno una scarsa conoscenza dell'impianto, parlano lingue diverse, non s'intendono e non si consultano con chi da decenni lavora e dirige quest'impianto. Inoltre molti tecnici ed operai con anni e anni d'anzianità al Tdi se ne sono andati senza essere stati adeguatamente sostituiti». Le analisi delle acque. Sarà il Magistrato alle Acque a verificare se e in che quantità il Tdi e le altre sostanze tossiche di «coda» sono finite in laguna. I dati però rischiano d'essere parziali visto che i prelievi dei campioni sono stati fatti solo ieri mattina, 15 ore dopo lo sversamento. La Dow si difende. «ll Tdi fuoriuscito non ha causato danni a persone e all'ambiente» sostiene oggi la Dow in un comunicato aggiungendo che gli 800 chili di Tdi fuoriuscito «sono stati contenuti nelle tubazioni, nel sistema di abbattimento e nell'asta fognaria interna di stabilimento».

 
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