MESSAGGERO |
«Rinnovo all’Api? Impossibile
dire sì»
Nodo concessione. In Regione
i Verdi lasciano la maggioranza. Al Comune di Falconara non
bastano le aperture dimostrate dalla Raffineria
Il sindaco Carletti boccia il
protocollo: «Non conforme a quanto deliberato finora»
di ROBERTA MACCAGNANI
Il rinnovo della concessione
all’Api, sino al 2020, provoca uno sconquasso in Regione. I
Verdi escono dalla maggioranza D’Ambrosio, che va avanti. La
decisione sul futuro dello stabilimento falconarese potrebbe
arrivare a giorni, addirittura tra lunedì e martedì, prima
del consiglio regionale di mercoledì 2 luglio. Ma la Regione
sarà da sola. Neanche il Comune di Falconara accetta il
protocollo d’intesa che dovrebbe regolare i rapporti tra
l’ente e l’azienda. «Ieri pomeriggio la giunta di Falconara
– ha detto il primo cittadino – ha votato contro questo
protocollo perché non conforme a quanto deliberato finora
dall’ente locale». Ma sembra che ormai la Regione si stia
avviando ad una decisione per l’inizio della prossima
settimana. «A queste condizioni – risponde Carletti – sarà
senza il Comune. Non possiamo negoziare o masticare le
nostre decisioni». Comunque è riuscito a far inserire nel
protocollo, dopo lo sforamento della scadenza del 15 giugno
per un parere sul rinnovo, la possibilità di realizzare il
porto, il contratto del quartiere di Fiumesino e il
riconoscimento delle scelte del prg del Comune, punti su cui
l’Api, finora contraria, ha ceduto. Non bastava? «Quello che
abbiamo espresso negli atti di giunta va inserito alla
lettera, le ripeto non possiamo tornare indietro». Un
protocollo questo che insieme alle prescrizioni è
all’origine dell’uscita dei Verdi dalla maggioranza
regionale, dopo la presentazione ufficiale di ieri. «Nei due
documenti ci sono forti limiti – dice Massimo Binci,
esponente provinciale Verdi - Gran parte delle prescrizioni
ricalcano il contenuto di normative preesistenti, mentre il
protocollo d'intesa è blando e poco stringente sugli impegni
che la raffineria dovrà assumersi: non esiste, infatti, un
sistema sanzionatorio che imponga il rispetto degli
accordi». Per i Verdi la questione più grave è che «il sito
della raffineria viene individuato come polo energetico
ambientalmente avanzato che anche a lungo termine ospiterà
impianti industriali per la produzione di energia,
compromettendo le possibilità future di riconversione del
territorio verso vocazioni eco-compatibili come terziario
avanzato, sviluppo area aereoportuale, porto e turismo».
Alcuni pensano che la vostra sia una decisione politica,
legata alla natura ambientale del problema, è così? «In
realtà - risponde Binci - si tratta di una questione di
natura urbanistica e programmatica: è in tali ambiti che
l’azione della Regione è mancata. Si è solo limitata a
riconfermare una situazione che va avanti così da anni,
nonostante il suo compito sia di ri-progettare e avesse
anche l’occasione di farlo».
I Verdi sbattono la porta
Fuori dalla maggioranza in
Regione per la vicenda Api a Falconara
ANCONA I Verdi escono dalla
maggioranza di centrosinistra del Governo regionale. Lo
hanno comunicato alla Giunta e ai colleghi di coalizione
durante la riunione di ieri mattina sulla proroga di
concessione alla raffineria Api di Falconara Marittima,
dichiarando al presidente della Regione Marche, Vito
D'Ambrosio, la loro totale contrarietà a questa ipotesi di
far proseguire le attività dell'impianto petrolchimico.
«Abbiamo assistito alla smentita della piattaforma
programmatica della maggioranza di centrosinistra -ha detto
Marco Moruzzi, capogruppo in Consiglio regionale dei Verdi-
che prevedeva, fra le priorità, proprio la dismissione
dell'Api». Secondo Moruzzi, «non si può mantenere la fiducia
a chi non rispetta il programma, gli accordi, i cittadini
che ti hanno sostenuto con il voto». |
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RESTO DEL CARLINO |
E sull'Api 'strappo' dei
Verdi
di Maria Gloria Frattagli
ANCONA — «Strappato»
l'accordo che all'inizio della legislatura del presidente
D'Ambrosio, vedeva i Verdi delle Marche a sostegno della
maggioranza regionale: escono per il contenuto delle
prescrizioni e del sistema sanzionatorio previsto per il
rinnovo della concessione alla raffineria Api. Per i Verdi è
difficile accettare quelle condizioni: «Gran parte delle
prescrizioni — spiega il presidente, Luciano Montesi —
ricalcano sostanzialmente il contenuto di normative
preesistenti. La sostanza del protocollo d'intesa è blando e
poco stringente sugli impegni che la raffineria dovrà
assumersi. Non esite — sottolinea — un sistema sanzionatorio
che imponga il rispetto degli accordi che oggi si vanno a
sottoscrivere e non sono indicati i tempi della dismissione,
della bonifica, della riconversione dell'area e degli
sviluppi occupazionali». Dalle parole di Montesi si delinea
sicuramente uno scenario mortificante per la città di
Falconara, che anche in caso di rinnovo della concessione
all'Api, sperava di cavarsela almeno con delle forti
coercizioni di fronte alle quali la stessa raffineria
avrebbe potuto alzare le mani. E invece, a quanto pare,
tutto sembra essere rimasto come prima: «Il sito — continua
Montesi — viene individuato come polo energetico
ambientalmente avanzato, che anche in futuro ospiterà
impianti industriali per la produzione di energia
compromettendo le possibilità future di riconversione del
territorio verso vocazioni eco-compatibili». Vale a dire che
il futuro della città è stato definitivamente ipotecato,
condizionando il territorio, così come è stato in principio
e destinandolo ad ospitare realtà industriali più o meno
grandi e rischiose. Proprio «per il mancato rispetto della
piattaforma programmatica della maggioranza regionale, i
Verdi si tirano dunque fuori dai giochi.
I comitati applaudono i
Verdi
di Maria Gloria Frattagli
FALCONARA — Prima le
manifestazioni pubbliche, poi una serie di incontri
trasversali, ora l'uscita dei Verdi dalla maggioranza
regionale. La faccenda del rinnovo della concessione alla
raffineria Api si complica sempre di più. Il percorso
diventa ogni giorno più tortuoso, pregno di insidie, anche
se l'asse per combattere la permanenza della raffineria Api,
sembra essersi spostato verso la Regione. Ed è proprio
nell'Ente che viene riconosciuto il «nemico». I Verdi,
infatti, sostengono che ieri, nel corso di una riunione di
maggioranza, sono stati presentati i testi definitivi
relativi alle prescrizioni e al protocollo d'intesa tra le
istituzioni locali e l'azienda. Documenti che non hanno
contenuto nella sostanza e nella forma la volontà del «sole
che ride». Un'insoddisfazione covata già da diverso tempo,
quella dei Verdi, fin da quando erano trapelati i primi
segnali verso un sicuro rinnovo, e sfociata ieri nell'uscita
definitiva del partito dalla maggioranza regionale. «Siamo
tutti consapevoli — conclude Montesi — dello spessore e del
peso che una rottura politica di questo tipo comporta
all'interno dell'Ulivo e del centrosinistra ma non si può
mantenere la fiducia a chi non rispetta il programma, gli
accordi, gli impegni con i cittadini e dei partiti che li
hanno sostenuti». Commenti a caldo «I Verdi — dice Franco
Budini, esponente del Comitato di Villanova — si sono
dimostrati estremamente coerenti con le loro dichiarazioni e
con i fatti. Anche se ribadiamo la nostra non adesione ad un
particolare partito — continua — non possiamo far altro che
stare vicini ai Verdi. Sembra incredibile — sottolinea — ma
quello emerso dagli atti presentati alla maggioranza era ciò
che ci aspettavamo da questo tipo di politici che hanno
continuato a governare escludendo dai loro pensieri bisogni
e necessità di un intero territorio, con i suoi problemi e
le sue esigenze di sviluppo, anche se ipotizzato in un lungo
periodo di tempo». Il Comune L'Amministrazione comunale non
commenta la decisione dei Verdi, ma al contrario, dopo
giorni di silenzi e di gestazione, ha prodotto proprio ieri,
durante la riunione di Giunta, un documento nel quale
ribadisce, così come era stato fatto verbalmente in
occasione dell'ultimo incontro del tavolo istituzionale, di
non sottoscrivere quanto stabilito dalla Regione. Non
firmerà nè il testo definitivo sulle prescrizioni nè
tantomento il protocollo d'intesa. |
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CORRIERE ADRIATICO |
Verdi fuori dalla maggioranza
Moruzzi accusa "Dimostrati
limiti sul fronte ambientale" Montesi: "Nessun passo verso
una soluzione sostenibile" Strappo sul caso Api, è "lite"
nel summit sulla concessione
ANCONA - Strappo sull'Api. Al
termine della riunione di maggioranza sul rinnovo della
concessione alla Raffineria Api, in cui sono stati
presentati i testi definitivi relativi alle prescrizioni e
al protocollo d'intesa tra le istituzioni locali e
l'azienda, la delegazione dei Verdi ha formalizzato al
presidente Regione Vito D'Ambrosio l'uscita dalla
maggioranza. Dal confronto politico tra le forze di
maggioranza i Verdi - si legge in una nota firmata dal
presidente Luciano Montesi - non hanno riscontrato "elementi
e passi significativi verso una soluzione sostenibile". I
Verdi, "non possono condividere la scelta di chi condanna la
popolazione ed il territorio di Falconara a sopportare la
raffineria Api almeno fino al 2020". "I Verdi - si spiega
ancora - hanno rilevato forti limiti nei contenuti dei due
documenti. Gran parte delle prescrizioni ricalcano
sostanzialmente il contenuto di normative preesistenti. I
contenuti del protocollo d'intesa sono blandi e poco
stringenti sugli impegni che la raffineria dovrà assumersi.
A fronte di ciò non esiste un sistema sanzionatorio che
imponga il rispetto degli accordi che oggi si vanno a
sottoscrivere". Nel quadro del rinnovo della concessione
alla raffineria "non sono assolutamente indicati - secondo i
Verdi - i tempi della dismissione, della bonifica, della
riconversione dell' area e degli sviluppi occupazionali". Il
sito "viene individuato come polo energetico ambientalmente
avanzato che anche in futuro ospiterà impianti industriali
per la produzione di energia, compromettendo le possibilità
future di riconversione del territorio verso vocazioni
eco-compatibili come terziario avanzato, sviluppo area
aereoportuale, porto e turismo". "La piattaforma
programmatica della maggioranza - ricordano i Verdi -
dichiara l'incompatibilità della raffineria con il
territorio. Oggi assistiamo a una smentita di quel programma
e i Verdi non possono condividere questa scelta politica".
"Sul fronte ambientale ma non solo, anche su quello della
sanità, questa maggioranza ha dimostrato tutti i suoi
limiti": lo ha detto il capogruppo dei Verdi in Regione,
Marco Moruzzi, nel motivare l'uscita del gruppo dalla
maggioranza di centro sinistra. "In particolare - ha
aggiunto Moruzzi, riferendosi alla questione scatenante,
ovvero il rinnovo della concessione all' Api - la
maggioranza ha sottovalutato l'importanza del progetto di
riconversione. Abbiamo così tratto le conseguenze, rispetto
alla vicenda Api ma in generale rispetto a un rapporto
difficile su altre questioni. Ci sentiamo nel centro
sinistra ma in questo momento pensiamo che il centro
sinistra debba meglio sintonizzarsi sui temi dell'ambiente e
sul rapporto con il resto della regione". Quanto alle
prossime scadenze, nell'immediato il piano sanitario
regionale (il consiglio regionale ne riprenderà l' esame
lunedì), il capogruppo dei Verdi ha dichiarato: "Votiamo ciò
che condividiamo: se il piano sanitario lo si condivide, non
saremo contrari solo perchè siamo fuori dalla maggioranza".
Il rammarico di D'Ambrosio
ANCONA - "Sono rammaricato
della dichiarazione del gruppo dei Verdi che intendono
uscire formalmente dalla coalizione che governa le Marche,
in relazione alla concessione all'Api spa": così, in serata,
il presidente D'Ambrosio commenta l'uscita dei Verdi dalla
maggioranza. "La giunta - afferma D'Ambrosio - ha lavorato,
d'accordo con la maggioranza, insieme alle istituzioni
locali e alle parti sociali per trovare, attraverso il
sistema delle prescrizioni tecniche e un protocollo
d'intesa, il più avanzato e utile punto di equilibrio tra le
ragioni delle comunità locali e dell'intera regione e quelle
di uno sviluppo economico ecocompatibile". "La nostra
preoccupazione - prosegue D'Ambrosio - è stata sempre quella
di salvaguardare la salute dei cittadini, la tutela e la
valorizzazione dell'ambiente, il posto di lavoro di alcune
migliaia di lavoratori, nonché il fabbisogno energetico
della regione, gravemente deficitario". "Non abbiamo mai
operato - rileva - per una condanna del territorio e della
popolazione di Falconara, ma ci siamo mossi tenacemente per
coniugare tutela ambientale, governo del territorio e
sviluppo ecocompatibile". "Non ritengo - precisa quindi - di
essere venuto meno agli impegni sottoscritti nel programma
della maggioranza, in parte già attuati e per il resto in
corso di realizzazione; al contrario, ci siamo adoperati per
una soluzione di alto profilo, garantendo sviluppo,
occupazione, salute, sicurezza e ambiente. Auspico che il
gruppo dei Verdi possa riprendere al più presto un rapporto
di collaborazione sereno e costruttivo".
rifiutate la demagogia
di MARCO LUCHETTI
(consigliere regionale - margherita)
...sempre rispettato la loro
autonomia, peraltro non interamente condivisa da tutti gli
aderenti alla Margherita di Falconara. Ho lavorato perché il
tavolo istituzionale costituito tra Regione, Provincia e
Comune di Falconara desse buoni risultati e riuscisse a
realizzare la condivisione più adeguata a risolvere il
problema del rinnovo della concessione. Sono sempre stato
convinto che solo il lavoro unitario delle istituzioni e
delle forze sociali potesse risolvere al meglio la
questione. Ritengo una buona sintesi i contenuti della
proposta di intesa, approvata dalla maggioranza regionale:
la concessione all'Api fino al 2020 potrà essere data con
prescrizioni severe, nel rispetto delle determinazioni
urbanistiche del Comune di Falconara. Coloro che sostengono
che la concessione verrà rinnovata "senza se e senza ma" non
dicono la verità. Per questo voglio avvertire i miei
concittadini di rifiutare la demagogia di chi la descriverà
come una resa all'azienda-mostro. Sono convinto della
necessità di una forte alleanza del Comune di Falconara con
la Provincia e la Regione perché la firma del protocollo di
intesa con l'Api sia l'inizio di un nuovo rapporto che si
potrà avere con un'azienda considerata "madre" e "matrigna"
al tempo stesso. Il Comune, dopo una forte battaglia, potrà
affermare di avere realizzato relazioni paritarie; l'azienda
ha definitivamente capito di dover impostare un leale e
costruttivo rapporto con la comunità in cui opera. In più
occasioni la dialettica Istituzioni/Api ha dato la
sensazione di non tenere in debito conto chi lavora
nell'azienda e chi ne ha la rappresentanza. La firma della
concessione deve rappresentare anche sotto tale aspetto una
svolta. Nuove relazioni sindacali potranno essere la
maggiore garanzia per un più accurato controllo del lavoro e
della sicurezza interna ed esterna. L'azienda si accolla una
grande responsabilità nei confronti della Comunità
falconarese; se mancherà agli impegni non avrà più
possibilità di recuperare la credibilità che oggi le
consente di convivere in un territorio che beneficia del
lavoro, ma che le restituisce grandi potenzialità. Devo dare
atto al concittadino Marco Amagliani, assessore regionale
all'ambiente, di aver lavorato bene e di aver recuperato
forti ritardi. |
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L'UNIONE SARDA |
Pioggia di fuliggine: allarme
inquinamento
Oggi l’esito dei prelievi
sulla sostanza
di Gibi Puggioni
Porto Torres Una giornata da
cani. Temperature vicino ai 38 gradi, odori pestilenziali
che hanno avvolto la città dalle prime ore del mattino e poi
una fastidiosissima sostanza nera, simile alla fuliggine,
caduta su numerosi quartieri, da Monte Angellu a Oleandro,
da Andriolu al centro storico. «Me la sono trovata anche sul
terrazzo di casa mia - ha confermato l’assessore ai servizi
sanitari Pietro Pani che abita in via Sacchi. Una sostanza
nera, oleosa, piovuta non si sa da dove». Già, da dove? È
quello che vogliono sapere gli abitanti del centro turritano
preoccupati soprattutto che possa trattarsi del “saluto
augurale” del carbone appena arrivato nel porto industriale.
Le decine di telefonate arrivate al centralino del Comune
hanno fatto scattare controlli immediati. Gli assessori ai
Servizi sanitari e all’ambiente, Pietro Pani e Ottavio Uras,
si sono divisi i compiti. I vigili urbani gli hanno dato una
mano effettuando anche prelievi della sostanza in diverse
parti della città. I campioni sono già stati consegnati ai
laboratori della Asl n.1 e ad un laboratorio privato. Oggi
si dovrebbero conoscere i risultati. I sospetti della gente,
neanche a dirlo, si sono riversati sul carbone. Ma a Fiume
Santo l’Endesa non brucia ancora questo combustibile e viene
difficile pensare che il vento possa aver spinto le polveri
di carbone dalla nave fino a Porto Torres, cioè a diversi
chilometri di distanza. Fra l’altro quando in città scattava
l’allarme, a Fiume Santo si trovava la commissione tecnica
di controllo che ha il compito di vigilare sulla
movimentazione del carbone e sul suo utilizzo. Nessuno ha
segnalato anomalie. Contemporaneamente l’assessore
all’Ambiente Ottavio Uras si presentava ai cancelli dell’Enichem:
«I dirigenti dell’azienda hanno ammesso che nella notte fra
mercoledì e giovedì si è verificato un blocco temporaneo
della centrale 2 - ha precisato l’assessore - ma hanno
categoricamente smentito che l’inconveniente possa essere
addebitato ai loro impianti. Noi abbiamo comunque chiesto la
documentazione relativa al funzionamento dell’impianto che
confronteremo con i dati provenienti dalle cinque centraline
per il controllo dell’aria che insistono nel nostro
territorio». Qualcuno ha segnalato nella notte fra mercoledì
e giovedì il denso fumo che usciva dal camino dell’azienda
petrolchimica imputando a questa anomalia la pioggia delle
particelle fuligginose. L’Enichem smentisce: «La torcia -
sostiene l’ufficio delle relazioni esterne - è una sorta di
valvola di sicurezza nella quale, in caso di emergenza,
vengono fatti confluire e bruciati gas come l’idrogeno e il
metano. Non c’è nulla che abbia attinenza con il fenomeno
segnalato». Però il fenomeno si è verificato ed è urgente
conoscerne cause e responsabilità. |
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GAZZETTA DI MANTOVA |
Turbogas, Prc ancora
all'attacco: sosterremo chi farà ricorso al Tar
«A questo punto solo un
ricorso al tribunale amministrativo regionale può bloccare
questo ennesimo impianto inquinante. Per questo motivo
Rifondazione Comunista si mette a disposizione del comitato
di cittadini che si è recentemente costituito per sostenerlo
qualora decida di impugnare il decreto di autorizzazione di
fronte al Tar». Dopo la firma del ministero sull'ultima
autorizzazione alla centrale turbogas di Enipower, il Prc
non rinuncia ad un attacco ulteriore. «Invitiamo la
cittadinanza - si legge in una nota - ad una sottoscrizione
popolare per sostenere le spese legali che dovranno essere
sostenute per il ricorso al Tar ed invitiamo tutte le
associazioni, i gruppi, i comitati che hanno a cuore la
salute dei cittadini e le sorti dell'ambiente a
mobilitarsi». La tesi del Prc è che il turbogas che verrà
realizzato sarebbe sproporzionato rispetto alle esigenze
energetiche di Mantova: «Le dimensioni della centrale, di 15
volte maggiore rispetto al fabbisogno del petrolchimico -
prosegue la nota - sono state proposte dall'Enipower
unicamente per poter vendere l'energia in eccesso prodotta». |
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IL GAZZETTINO |
L'Emilia dice no alla
riconversione
La Regione Emilia-Romagna ha
detto no al progetto di riconversione della centrale Enel di
Polesine Camerini perché incompatibile con la tutela di un
ecosistema dagli equilibri fragili e delicati quale è il
Delta del Po e con la sicurezza di un importantissimo
comparto turistico. Il no all'intesa sul progetto e sulle
opere connesse, così come richiesto dalla legge 55/2002
(quella che ha convertito il decreto "salva centrali") e il
parere negativo alla valutazione di impatto ambientale sono
arrivati dalla giunta regionale dell'Emilia-Romagna su
proposta degli assessori all'ambiente e sviluppo sostenibile
Guido Tampieri e alle attività produttive Duccio Campagnoli.
Si tratta di uno stop all'intesa raggiunta tra Enel e
Regione Veneto, che rimette la questione alla presidenza del
Consiglio dei ministri, il quale dovrà decidere in accordo
con le due Regioni interessate. La centrale è attualmente
alimentata a olio combustibile pesante a basso tenore di
zolfo. La scelta di riconvertirla ad orimulsion
(un'emulsione di catrame e acqua a basso costo) con
l'aggiunta di due impianti di abbattimento delle emissioni
in atmosfera (un denitrificatore e un desolforatore) per la
Regione emiliana non dà adeguate garanzie sul fronte
ambientale perché, a suo avviso, le emissioni di biossido di
zolfo, di ossido di azoto, di ossido di carbonio e le
polveri sarebbero nettamente superiori a quelle prodotte da
centrali a turbogas a ciclo combinato alimentate a metano.
Mestre "Il rapporto di
fiducia ...
Mestre "Il rapporto di
fiducia tra le industrie e l'Amministrazione comunale era
già difficile. Dopo questo ulteriore incidente praticamente
non c'è più". Il vicesindaco, Michele Mognato, ieri sera
parlava a nome del Comune, affiancato dall'assessore
all'Ambiente, Paolo Cacciari e alle Attività Produttive,
Luciano De Gaspari. Spetta ai tre dare un segnale di
tranquillità alla popolazione che non si fida più del
Petrolchimico. Ieri i tre amministratori hanno incontrato a
lungo la delegazione della Dow Chemical, proprietaria del
Tdi di Porto Marghera, presso il Municipio di Mestre,
dettando le condizioni per "un'eventuale riavvio
dell'impianto Tdi": 1) una verifica ispettiva ministeriale,
2) anche la Regione deve mettere in moto i tecnici per
un'ulteriore controllo, 3) la Dow, per riaprire l'impianto,
dovrà presentare un progetto completo e non più
un'autocertificazione come prevede oggi la legge. Il che
vuol dire che ci vorranno mesi e forse un anno per far
ripartire l'impianto, perché un nuovo progetto infatti
prevede una Via nazionale (Valutazione di impatto
ambientale) che non si fa certo in poche settimane. Su
questo punto gli assessori e il vicesindaco non hanno dubbi.
Tre dirigenti indagati per
l'incendio di novembre
Il Pm Menegazzi ha depositato
gli atti dell'inchiesta
di M. F.
Sono tre gli indagati
nell'inchiesta che riguarda l'incendio scoppiato
nell'impianto Tdi il 28 novembre scorso, che causò una nube
di Toluendiisocianato e lo stato di allarme per oltre
un'ora. Il sostituto procuratore Susanna Menegazzi ha
infatti depositato gli atti relativi alle indagini
preliminari, chiedendo l'archiviazione per sei delle nove
persone inizialmente finite nel mirino della magistratura.
Le altre tre sono invece indagate per disastro colposo,
lesioni colpose e violazione alle normative sugli scarichi
in laguna. Si tratta del direttore dello stabilimento
Antonio Leal, del direttore della produzione Marco Riva e
del responsabile del reparto Tdi5 Giancarlo Lorenzon. Il
magistrato ha inoltre stralciato le posizioni relative al
reato di all'omissione di cautele nei luoghi di lavoro,
essendo questo estinguibile per via amministrativa. Lo
scoppio, seguito dall'incendio, avvenne alle 19.40 nel
serbatoio D528/2 e si propagò a un secondo serbatoio un'ora
dopo, con la combustione di toluene e peci contenenti tra le
10 e le 20 tonnellate di Tdi. A causare l'incidente, come
accertato dai consulenti del Pm, fu un surriscaldamento
negli stessi serbatoi, contro il quale non vennero prese
precauzioni. Per l'ingegnere chimico Roberto Carrara, il
biologo Rocco Rella e il chimico Alberto Sturaro, soltanto
una "fortunata" coincidenza aveva evitato che l'esplosione
potesse coinvolgere una cisterna di fosgene. Solo qualche
metro in più e chissà che cosa sarebbe potuto accadere. I
consulenti e gli esperti dello Spisal avevano poi accertato
che il rischio era conosciuto, ma nei manuali forniti a
Porto Marghera mancavano le prescrizioni per il personale,
mentre al contrario queste apparivano nei manuali negli
Stati Uniti: svuotare il serbatoio immediatamente. Anche la
mancanza di queste prescrizioni avrebbe contribuito a
causare l'incidente. Proprio per questo i sei tecnici
inizialmente indagati con i dirigenti sono stati
successivamente esclusi dall'inchiesta.
Il Comune ha "congelato"
il Tdi
Al termine di un incontro tra
i vertici della Dow Chemical e i tre assessori responsabili
Prima di riaprire dovrà
presentare un progetto che sarà vagliato dalla Commissione
Via nazionale
di Fabrizio Conte
"Il rapporto di fiducia tra
le industrie e l'Amministrazione comunale era già difficile.
Dopo questo ulteriore incidente praticamente non c'è più".
Il vicesindaco, Michele Mognato, ieri sera parlava a nome
del Comune, affiancato dall'assessore all'Ambiente, Paolo
Cacciari e alle Attività Produttive, Luciano De Gaspari.
Spetta ai tre dare un segnale di tranquillità alla
popolazione che non si fida più del Petrolchimico. Ieri i
tre amministratori hanno incontrato a lungo la delegazione
della Dow Chemical, proprietaria del Tdi di Porto Marghera,
presso il Municipio di Mestre, dettando le condizioni per
"un'eventuale riavvio dell'impianto Tdi": 1) una verifica
ispettiva ministeriale, 2) anche la Regione deve mettere in
moto i tecnici per un'ulteriore controllo, 3) la Dow, per
riaprire l'impianto, dovrà presentare un progetto completo e
non più un'autocertificazione come prevede oggi la legge. Il
che vuol dire che ci vorranno mesi e forse un anno per far
ripartire l'impianto, perché un nuovo progetto infatti
prevede una Via nazionale (Valutazione di impatto
ambientale) che non si fa certo in poche settimane. Su
questo punto gli assessori e il vicesindaco non hanno dubbi:
"Attualmente esiste un vuoto normativo che lascia più di
qualche "buco" nella rete dei controlli - spiega Paolo
Cacciari. - L'incidente dell'altro giorno è stato, nella
dinamica, banale; alla fine sarebbe bastato separare le
acque acide da quelle bianche e non ci sarebbe stata alcuna
conseguenza". Tra l'incidente del 28 novembre e quello di
mercoledì ad ogni modo non c'è nessuna assonanza: "Chiariamo
subito che mai c'è stato pericolo per il fosgene - dice De
Gasperi, - però siamo stupefatti da come viene gestito
questo impianto. E' chiaro che ci sono carenze gestionali
gravissime". Le reazioni, intanto, ieri non si sono fatte
attendere: per Gianfranco Bettin non ci sono dubbi: "Bisogna
tenere presente in questa vicenda che siamo di fronte ad un
impianto che sta andando ad esaurimento ed, in quanto tale,
per Dow rappresenta un investimento da spremere come un
limone sino alla sua fine con meno costi possibili, quindi a
discapito della sicurezza." Le parole del prosindaco
arrivano mentre nella zona del Tdi i tecnici dell'Arpav,
della Provincia, dello Spisal, dell'Usl, del Magistrato alle
Acque fanno i rilevamenti del caso. Decine di persone
accorse sul posto per verificare se, davvero come sostiene
la direzione di Dow Poliuretani Italia, la fuoriuscita di
circa una tonnellata di toluendiisocianato non abbia causato
danni alle persone e all'ambiente. Come era prevedibile,
l'ennesimo episodio negativo al petrolchimico ha fatto di
nuovo salire la tensione a Porto Marghera. "La politica ha
dato a suo tempo le indicazioni giuste. Sono le burocrazie,
i cosiddetti tecnici, le norme e le procedure ingestibili a
impedire il primo passo per la rinascita di Porto Marghera?
Attendo risposte - dice il presidente del Veneto, Giancarlo
Galan - Guasti, perdite, dispersione di sostanze tossiche
nocive, come al solito parliamo di Porto Marghera. Si
potrebbe costituire un club di "preoccupati permanenti" sui
rischi ambientali in essere a Porto Marghera. Protesto? Non
protesto, piuttosto sono preoccupato e lo sono da molto
tempo e come molti altri è molto tempo che lo vado dicendo.
Ho l'impressione che nella prioritaria e fondamentale
partita per il risanamento dei terreni e delle acque di
Porto Marghera qualcuno stia giocando con poca trasparenza e
soprattutto con poca scienza e coscienza". Anche per Michele
Vianello, deputato dei Ds "l'incidente avvenuto nella
giornata di ieri al Petrolchimico è l'ennesima dimostrazione
della pericolosità delle industrie chimiche di Porto
Marghera. Si tratta di impianti ormai superati privi,
spesso, della manutenzione necessaria a garantire elementari
misure di sicurezza. I Democratici di Sinistra hanno chiesto
al ministro Altero Matteoli una immediata discussione in
commissione Ambiente. In particolare si richiede al ministro
di costituirsi parte civile contro i responsabili
dell'incidente, nonché di anticipare le verifiche di
compatibilità ambientali previste dalle direttive
comunitarie Seveso e Seveso 2 e ipcc". Una richiesta che se
venisse accolta condannerebbe la maggior parte degli
impianti di Marghera. "Nell'ennesima serie di guasti e
sversamenti di serbatoi al Tdi concorrono probabilmente
anche incapacità gestionali - aggiunge Bettin - ma,
evidentemente, anche un intrinseca inadeguatezza sia
strutturale, sia di messa in sicurezza dell'impianto che
pone tutti, Sindaco, Provincia e Regione di fronte alla
scelta della sua fermata". I Verdi allargano la polemica
anche nei confronti degli enti che hanno dato il permesso
alla Dow di riavviare l'impianto "l'ennesimo cedimento agli
interessi della multinazionale. Apprezziamo la presa di
posizione del sindaco, Paolo Costa e siamo d'accordo nel
chiedere una verifica complessiva e profonda dell'impianto".
Per Ezio Da Villa i controlli dovrebbero essere affidati ad
una commissione tecnica nazionale: "Lo chiedo da oltre un
anno - dice l'assessore all'Ambiente provinciale - dopo
questi ultimi fatti credo che la decisione non sia più
rinviabile". Sui mancati controlli e i ritardi registrati
mercoledì pomeriggio, i componenti dell'Assemblea permanente
contro il pericolo chimico, hanno presentato un esposto alla
Procura della Repubblica: "Denunciamo l'inerzia degli enti
preposti e segnaliamo l'inadempienza a tempestive analisi da
parte del Magistrato alle Acque nonostante sia stato
interpellato da noi e per competenza all'assessore
provinciale all'Ambiente Ezio Da Villa. Il Magistrato alle
Acque ha dichiarato di non avere disponibilità di personale
per effettuare i rilievi". |
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LA NUOVA VENEZIA |
«Troppi errori e strumenti in
tilt»
Gli ispettori dell'Arpav e
della Provincia in stabilimento per ricostruire le cause
dell'ultimo incidente al Tdi
Spia del serbatoio e sistemi
di sicurezza non hanno funzionato
di Gianni Favarato
MESTRE. Impianti troppo
vecchi, indicatori e strumentazioni di sicurezza
malfunzionanti, emarginazione di tecnici e dirigenti ex
Enichem che da decenni lavoravano nel ciclo del Tdi e,
infine, inesperienza e difficoltà di comunicazione tra i
responsabili, di varie nazionalità, che gestiscono
l'impianto della multinazionale americana. Sono queste le
prime valutazioni degli ispettori di Arpav e Provincia che
hanno visitato l'impianto della Dow all'indomani dello
sversamento di quasi 1 tonnellata di Tdi. Ieri mattina gli
ispettori dell'Arpav e della Sezione Ambiente della
Provincia di Venezia hanno cercato di ricostruire
l'incidente che ha causato lo sversamento di una notevole
quantità di sostanze tossiche e cancerogene. Il quadro che
ne esce, secondo le prime indicazioni, è tutt'altro che
tranquillizzante e, con molta probabilità, convincerà la
Procura veneziana ad aprire un'indagine anche su quest'ultimo
incidente. Strumentazioni in tilt. Il segnalatore di livello
del serbatoio di Tdi (toluedisocianato), evidentemente in
tilt, indicava un carico di appena il 30 % ma era già pieno.
Eppure l'impianto della Dow, in marcia da ore ed ore.
Nessuno tra i responsabili dell'impianto si è però
preoccupato di capire come mai l'indicatore del serbatoio
segnalasse un carico così basso, a fronte di un quantitativo
di produzione ben più alto. Del resto già da giorni
l'impianto, in fase di riavvio, era stato fermato più volte
per cattivo funzionamento. Dalle prime ore del mattino di
mercoledì la Dow stava inviando all'impianto di trattamento
biologico - gestito dalla Masi (controllata da Syndial) -
reflui con concentrazioni troppo alte di nitrati. La Masi,
infatti, ha informato subito la Dow dell'anomalia che
rischiava di pregiudicare il funzionamento dell'impianto di
trattamento biologico e quest'ultima ha poi ridotto i
carichi di nitrati. Valvola di sicurezza in panne. Non ha
funzionato a dovere nemmeno il dispositivo di sicurezza che
invia all'inceneritore gli eventuali eccessi di carico del
serbatoio di Tdi. Così alle 17.50 di mercoledì il Tdi è
cominciato a fuoriuscire dagli sfiati di gas del serbatoio,
invadendo il piazzale dell'impianto. Il toluedisocianato e
una sostanza tossica e cancerogena che a contatto con
l'acqua dei tombini della fogna ha cominciato a creare una
schiuma densa che, finalmente, ha fatto prendere coscienza
ai responsabili dell'impianto che qualcosa di strano stava
succedendo. Solo quel punto le procedure di sicurezza sono
scattate: l'impianto è stato fermato e i vigili del fuoco
interni sono immediatamente intervenuti con schiumogeni e
panne per contenere e cercare di recuperare il Tdi sversato.
Quest'ultimo, però, nel frattempo aveva già raggiunto il
canale SM-15 che sfocia in laguna. Gli errori dei dirigenti.
I responsabili dell'impianto - tutti dipendenti della Dow e
di varie nazionalità - sono gli stessi che la Procura della
Repubblica ha rinviato a giudizio per l'incendio del 28
novembre del 2002. Per l'assessore provinciale Da Villa è la
loro «l'incapacità e la scarsa conoscenza dell'impianto
acquistato pochi anni fa da Enichem» a creare i presupposti
per gravi incidenti come quelli dell'anno scorso e
dell'altro ieri». Per il consigliere comunale Antonio
Cavaliere (Fi), già dipendente di Enichem «alla Dow ci sono
troppi dirigenti multinazionali che hanno una scarsa
conoscenza dell'impianto, parlano lingue diverse, non
s'intendono e non si consultano con chi da decenni lavora e
dirige quest'impianto. Inoltre molti tecnici ed operai con
anni e anni d'anzianità al Tdi se ne sono andati senza
essere stati adeguatamente sostituiti». Le analisi delle
acque. Sarà il Magistrato alle Acque a verificare se e in
che quantità il Tdi e le altre sostanze tossiche di «coda»
sono finite in laguna. I dati però rischiano d'essere
parziali visto che i prelievi dei campioni sono stati fatti
solo ieri mattina, 15 ore dopo lo sversamento. La Dow si
difende. «ll Tdi fuoriuscito non ha causato danni a persone
e all'ambiente» sostiene oggi la Dow in un comunicato
aggiungendo che gli 800 chili di Tdi fuoriuscito «sono stati
contenuti nelle tubazioni, nel sistema di abbattimento e
nell'asta fognaria interna di stabilimento». |
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