CORRIERE ADRIATICO |
Un contratto per Villanova
Durpetti: "Stavolta sarà una
progettazione dal basso che coinvolge anche i cittadini" Il
ministero apre alla seconda fase per la riqualificazione
delle aree in degrado
Il Comune punta a promuovere
un nuovo programma per il quartiere
di Marina Minnelli
Secondo atto per i contratti
di quartiere, i programmi innovativi in ambito urbano
finalizzati al recupero di zone cittadine caratterizzate da
diffuso degrado delle costruzioni e dell'ambiente urbano,
nonché da carenze di servizi in contesti di scarsa coesione
sociale e di marcato disagio abitativo. "Il ministero delle
Infrastrutture e Trasporti con due decreti (il 27-12-2001 e
del 30-12-2002) apre una nuova stagione di interventi -
spiega il dirigente all'urbanistica Furio Durpetti - e anche
questa volta l'amministrazione comunale di Falconara ha
intenzione di cogliere un'ulteriore occasione per promuovere
un nuovo programma nel quartiere Falconara Nord-Villanova".
Il contratto di quartiere 2 si collocherebbe, infatti,
nell'ambito dei più vasti obiettivi di trasformazione e
riqualificazione territoriale che l'amministrazione intende
perseguire a medio e lungo termine, soprattutto attraverso
l'attuazione degli interventi previsti nel progetto urbano
per Falconara commissionato all'architetto Oriol Bohigas e
giunto ormai nella fase definitiva. "Un progetto quest'ultimo
- prosegue Durpetti - ambizioso ma sostenibile ed in grado
di dare concretamente un nuovo volto alla città ed
all'interno del quale si prevede di attuare la
riqualificazione degli ambiti urbani critici attraverso
strumenti innovativi quali appunto i programmi promossi dal
ministero". Falconara era già stata ammessa al finanziamento
della prima edizione dei Contratti di quartiere con un
intervento a favore di Fiumesino Nord, per cui si è già
conclusa la fase di progettazione definitiva, ma questa
volta l'amministrazione ha deciso di avviare una
"progettazione dal basso". "Il Contratto - dice Furio
Durpetti - finalizzato prioritariamente ad incrementare,
anche con il supporto di investimenti privati, la dotazione
infrastrutturale dei quartieri degradati prevedendo al
contempo misure ed interventi per favorire l'occupazione e
l'integrazione sociale, verrà definito attraverso un
processo di progettazione partecipata buttom-up, ossia dal
basso, nella quale verranno coinvolti sin dalle primissime
fasi tutti i soggetti sociali, istituzionali ed economici
del contesto urbano e rispetto al quale l'ente locale
svolgerà il ruolo principale di promotore e coordinatore".
L'intendo dichiarato è quello di "progettare per la città
stessa", intesa come insieme di soggetti con caratteristiche
e necessità diverse, "valorizzando il patrimonio di
conoscenza dei residenti quale componente realmente
propositiva del processo di trasformazione urbana che per la
prima volta non viene pre impostato a monte, ma progettato e
condiviso con i soggetti stessi". Ai Contratti di quartiere
2 ha aderito anche la giunta regionale prevedendo un
investimento pluriennale di 8 milioni di euro che si
aggiungono ai 15 a carico dello Stato. "I Contratti di
quartiere - sottolinea in una nota l'assessore regionale
all'Edilizia, Giulio Silenzi - vogliono offrire una risposta
alla sempre più diffusa richiesta di qualità abitativa e
urbana. In questo modo pubblico e privato collaborano per
recuperare quartieri e periferie e un ruolo importante viene
rivestito dai residenti, chiamati a collaborare". |
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LA NUOVA FERRARA |
Una enorme nube nera sopra la
città Blocco agli
impianti Enichem per un black-out di venti minuti
di Giovanni Bua
Un black out di circa venti
minuti ha mandato in blocco ieri pomeriggio l'impianto dell'Enichem
di Ferrara, causando una minacciosa nube nera che si è
alzata in cielo poco dopo le 15. Moltissime le telefonate di
persone allarmate alle forze dell'ordine e ai giornali. La
grossa nube, visibile anche a svariati chilometri di
distanza, si è diretta verso Pontelagoscuro, disperdendosi
poi verso il mare. La nube era formata da una miscela di
etilene e propilene che le torce di emergenza dell'impianto
ferrarese hanno bruciato immediatamente dopo il blocco. «E'
la procedura standard di emergenza - spiega Andrea Patuelli,
responsabile del consorzio Ifm che cura la gestione dei
servizi delle otto società del petrolchimico - quando
l'impianto si blocca tutto l'etilene e il propilene presenti
vengono automaticamente dirottati nelle torce di emergenza
che lo bruciano, causando la fumata nera. Le torce
routinarie infatti sono molto ossigenate in modo che ci sia
fiamma ma non fumo. Quelle di emergenza invece, dovendo
bruciare grandi quantità di combustibile in pochi minuti,
emettono il fumo naturale, che comunque non è affatto
tossico». A causare il black out un'interruzione di tensione
da parte della linea esterna ad alta tensione, gestita
dall'Edison, che alimenta l'impianto arrivando dalla zona di
Verona. Il blocco di corrente è stato di circa venti minuti,
dalle 15.10 alle 15.30. Dopo sono iniziate le procedure per
il riavvio. «Per alcuni impianti - spiega Patuelli - bastano
poche ore. Per altri ce ne vorranno una ventina. Prima
faremo tutte le procedure di controllo per verificare che
non ci siano danni, e approfitteremo della fermata per
garantire la manuntenzione ordinaria dell'impianto.
Verificheremo poi il motivo del blocco di corrente».
«Abbiamo ricevuto molte chiamate - spiega Delves Fozzato
dell'Arpa - e abbiamo inviato tre squadre sul posto. Due
dentro lo stabilimento e una a Barco-Pontelagoscuro. Le
centraline di monitoraggio attorno allo stabilimento non
hanno rilevato aumenti di concentrazione di sostanza
pericolose. Il cono di ricaduta non c'è stato, perché il
vento era a 1,35 metri al secondo e ha spinto il fumo nero
verso nord est, quindi la riva polesana del Po e il mare, ma
a concentrazioni calanti con l'aumentare della distanza.
Abbiamo comunque fatto prelievi di campioni d'aria nella
zona di Barco-Ponte per verificare la presenza di sostanze
pericolose, ma a livello olfattivo non c'è stato nulla.
Abbiamo informato l'Igiene pubblica e domani (oggi ndr)
partirà il rapporto alla Procura della Repubblica». Un
episodio simile, con blocco di corrente per un corto
circuito e conseguente nube nera, si era verificato il 14
marzo scorso. In quel caso i controlli dell'Arpa sulla
tossicità della nube diedero esito negativo.
La Regione boccia la
centrale Enel
BOLOGNA.Arriva dalla regione
Emilia Romagna un deciso no al progetto di riconversione
della centrale Enel di Porto Tolle, in provincia di Rovigo,
perché considerato incompatibile con la tutela
dell'ecosistema del Delta del Po e con la sicurezza di un
importante comparto turistico. Il parere negativo giunge su
proposta degli assessori all'Ambiente e sviluppo sostenibile
Guido Tampieri e alle Attività produttive Duccio Campagnoli.
Si tratta di uno stop all'intesa raggiunta tra Enel e
Regione Veneto e che rimette la questione alla Presidenza
del Consiglio dei Ministri che dovrà decidere in accordo con
le due regioni. La decisione nasce da valutazioni tecniche.
La centrale Enel è alimentata a olio combustibile pesante a
basso tenore di zolfo. La scelta di riconvertirla ad
orimulsion (emulsione di catrame e acqua a basso costo) con
l'aggiunta di due impianti di abbattimento delle emissioni
in atmosfera non darebbe adeguate garanzie sul fronte
ambientale. Al contrario, le emissioni di biossido di zolfo,
di ossido di azoto, di ossido di carbonio e le polveri
sarebbero nettamente superiori a quelle prodotte da centrali
a turbogas a ciclo combinato alimentate a metano. |
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GAZZETTA DI MANTOVA |
Il ministro dà il via ai
lavori per il turbogas
Il cantiere può aprire
subito: la centrale dovrà essere attivata entro il 2006
La centrale a turbogas che
Enipower realizzerà all'interno dello stabilimento Polimeri
Europa ha ricevuto l'ultimo ok. Il ministero delle attività
produttive, tramite la direzione generale per l'energia e le
risorse minerarie, ha firmato martedì scorso (ma è stato
reso noto solo ieri) il decreto che dà il via libera alla
costruzione dell'impianto termoelettrico a ciclo combinato
da 780 megawatt, alimentato esclusivamente a metano. Il
cantiere, dunque, può aprire subito. I lavori dovranno
essere conclusi entro due anni e la centrale entrare in
funzione entro il 1º gennaio 2006. «Nell'estate del 2005
saremo già pronti per produrre vapore ed energia elettrica»
aveva detto lunedì scorso ad Assindustria il presidente di
Enipower, Locanto. Si è concluso, dunque, un iter iniziato
il 20 febbraio del 2001, quando Enipower chiese
l'autorizzazione alla costruzione e all'esercizio della
centrale. Nel decreto, firmato dal direttore generale
Alessandro Ortis, sono contenute prescirizioni di tipo
ambientale che la società dovrà rispettare. In pratica, sono
stati confermati i limiti entro cui dovrà muoversi la
società per quanto riguarda le emissioni in aria: si tratta
di quelli già concordati con Comune e Provincia di Mantova e
con la Regione, molto più restrittivi rispetto agli attuali
previsti per legge sul fronte degli Nox, gli ossidi di
azoto. Per i primi due anni la centrale potrà osservare un
regime transitorio in cui le emissioni totali di Nox
potranno aumentare rispetto alla situazione di adesso; poi,
dovrà applicare le migliori tecnologie disponibili per
tornare alla quantità attuale. Enipower ha già fatto sapere
di voler installare fin da subito i bruciatori di nuova
generazione in grado di ridurre gli ossidi di azoto in
uscita dal camino dai 50 microgrammi attuali di Nox per
metro cubo d'aria a 30. Il turbogas sostituirà le attuali
tre centrali termoelettriche da 300 megawatt che danno
energia allo stabilimento della Polimeri Europa. Le nuove
turbine produrranno vapore ed energia elettrica per il
petrolchimico. Il surplus di energia elettrica verrà venduto
alle industrie mantovane, mentre quello di vapore verrà
immesso nella rete del teleriscaldamento cittadino. Secondo
gli esperti, la situazione ambientale a Mantova migliorerà:
verrà, infatti, eliminato dall'aria l'ossido di zolfo oggi
prodotto dalle tre centrali che bruciano olio combustibile. |
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IL GAZZETTINO |
Dow, scontro ancora aperto
Le reazioni prima del nuovo
incidente di ieri al Tdi del Petrolchimico
L'azienda e il sindaco
rassicurano, Bettin chiede la chiusura dell'impianto
di Fabrizio Conte
«È assolutamente normale che
il riavvio e la messa a regime di un ciclo produttivo
richiedano un periodo di una o due settimane. Lo start-up
degli impianti Dow sta avvenendo secondo le previsioni
dell'azienda e nel rispetto delle necessarie autorizzazioni
da parte delle autorità competenti. Non c'è stata inoltre
nessuna anomalia e nessun effetto secondario durante le
operazioni». Poche ore prima dello sversamento di una
tonnellata di Toluendiisocianato, e cioè dell'ennesimo
incidente nel giro di tre giorni, in un comunicato di poche
righe la Dow nega che ci siano stati problemi durante le
fasi di riavvio dell'impianto, ribadendo la trasparenza
adottata nelle procedure. E precisando «che il forno
deputato all'incenerimento dispone di specifici sistemi di
abbattimento e controllo delle emissioni atti a garantire
alla popolazione i massimi livelli di igiene ambientale».
Tutto sotto controllo secondo l'azienda che precisa di avere
le carte in regola per far ripartire l'impianto saltato in
aria sette mesi fa. «Il riavvio dell'impianto Tdi non
comporta la riattivazione della sezione andata fuori uso in
seguito all'incendio del 28 novembre 2002 - aveva, d'altro
canto, comunicato il sindaco di Venezia, Paolo Costa,
rispondendo anche alla doppia diffida presentata
dall'Assemblea permanente dei cittadini contro il pericolo
chimico e dalle associazioni ambientaliste: - la Società ha
infatti dichiarato di voler realizzare un by-pass aereo tale
da escludere dal ciclo di produzione la porzione di impianti
andata a fuoco (deposito di peci clorurate). La Società ha
dichiarato alla Commissione tecnica regionale e alla
Provincia di Venezia (competenti in materia di controllo)
che tali interventi non modificano il ciclo produttivo e
quindi non necessitano di nuove autorizzazioni in materia di
emissioni, presentazione di nuove relazioni di sicurezza o
piani di emergenza».Se il sindaco chiariva, il prosindaco di
Mestre, Gianfranco Bettin rilanciava le accuse: «L'ennesimo
guasto al Tdi della Dow Chemical, ripetutosi ben due volte
nell'arco di due giorni, in due tentativi consecutivi di
riavviare l'impianto, risultati infruttuosi, dimostra, se
ancora vi era bisogno, che l'impianto non è sicuro. Dobbiamo
aspettare un altro incidente per convincerci di ciò»? Bettin
ha annunciato anche la presentazione di un'interrogazione in
Regione chiedendo al sindaco «di non fidarsi delle
rassicurazioni dei tecnici della Dow sull'affidabilità
dell'impianto». La multinazionale comunque avrebbe agito
rispettando tutte le procedure, avvertendo per tempo gli
enti responsabili come aveva ribadito il sindaco: «La
Società ha presentato alla Commissione tecnica regionale il
progetto di modifica dell'impianto dichiarando "il non
aggravio del rischio"; alla Provincia di Venezia
un'autocertificazione in cui dichiara che non saranno aperti
nuovi punti di emissione in atmosfera e che le emissioni già
autorizzate non subiranno variazioni; e ha inviato al Comune
dichiarazione di inizio attività lavori per la messa in
sicurezza dell'impianto andato a fuoco e per la
realizzazione del by-pass aereo, opere che non richiedono
rilascio di concessione edilizia». Tutto regolare anche dal
punto di vista della sicurezza: «Sono state messe in atto
tutte le azioni - aveva concluso Costa - anche non di
propria competenza, volte a garantire la sicurezza della
popolazione». |
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LA NUOVA VENEZIA |
Dow, una tonnellata di veleno
in laguna
Il guasto all'indicatore di
un serbatoio nello stabilimento appena riavviato provoca la
fuoriuscita del toluendisocianato che finisce nel collettore
Sm15
Incidente ieri alle 18
nell'impianto del Tdi, mobilitati i vigili del fuoco La
perdita è cominciata già durante la notte dopo i tentativi a
vuoto di far ripartire il ciclo
di Gianni Favarato
MESTRE. Dopo i vari tentativi
di far ripartire gli impianti che producono
toluendisocianato - fermi dall'incendio del 28 novembre del
2002 - alla Dow Poliuretani Italia ieri è scattata
l'emergenza per la fuoriuscita da un serbatoio di quasi una
tonnellata di toluendisocianato, il Tdi, una sostanza
altamente tossica e nociva. Il Tdi fuoriuscito era stato
prodotto a partire dalle ore 22 di martedì, quando l'intero
impianto - dopo ripetuti tentativi, tutti falliti - era
finalmente riuscito a ripartire. L'incidente è accaduto
intorno alle 18 di ieri e ha mobilitato i vigili del fuoco
del Petrolchimico che per ore hanno cercato con panne e
schiumogeni di contenere lo sversamento di Tdi nelle
canalette della fognatura che conducono al canale di scarico
SM-15 e quindi in laguna. La causa della fuoriuscita di Tdi
sarebbe il cattivo funzionamento degli indicatori di livello
di un serbatoio. A quanto pare - stando a quanto avrebbe
rilevato la Masi, la società creata dall'ex Enichem per
gestire il collettore SM-15 - già nella notte e nella
mattinata di ieri erano state riscontrate concentrazioni
anomale di Tdi. Evidentemente, il serbatoio - visto il
cattivo funzionamento dell'indicatore di livello - ha
cominciato a perdere Tdi ben prima delle 18 di ieri, ora in
cui è cominciato a fuoriuscire dalle vasche di contenimento,
ormai colme, che circondano il serbatoio. Dow, nella serata
di ieri, ha diffuso un comunicato stampa in cui conferma che
«alle ore 17.50 si è verificata una perdita di
toluendiisocianato, per un'anomalia relativa al livello del
serbatoio D520. A causa di questa anomalia è fuoriuscita una
quantità stimabile in circa 800 chili di Tdi. Parte di
questo prodotto è stata raccolta nei serbatoi della rete
interna di reparto; una parte ha reagito con acqua e
l'eccesso è fuoriuscito dallo scarico di stabilimento
SM-15/3». «La società - conclude il comunicato -, anche con
l'ausilio d'imprese specializzate ha provveduto a contenere
lo spanto con panne galleggianti poste in prossimità dello
scarico SM-15. Il prodotto surnatante è cosparso con
materiale assorbente, mentre non c'è stato in alcun momento
pericolo per persone o cose. La fuoriuscita è stata bloccata
e la situazione è sotto controllo». Già nel novembre scorso
in laguna erano finite le ricadute della nube tossica
sviluppatasi per l'incendio al Td5 (il reparto ora
by-passato). Secondo i rilievi del Magistrato alle Acque in
laguna erano, infatti, state riscontrate concentrazioni di
diossine 10 volte oltre i limiti, quantità di idrocarburi (Ipa)
100 volte oltre i limiti, trielina, diclorobenzene e
policlorobifenili. Per l'assessore provinciale all'Ambiente,
Ezio Da Villa «quest'ennesimo incidente dimostra
l'incapacità dei responsabili dell'impianto di saperlo
gestire in modo corretto e sicuro». «Già con l'incendio del
28 novembre dell'anno scorso - aggiunge Da Villa - i
rapporti della Dow con la popolazione s'erano incrinati.
Ora, dopo l'ennesimo incidente il rapporto di fiducia con
ques'azienda viene compromesso definitivamente».
Il ministro Marzano rinvia
il confronto sull'estrazione di metano in Adriatico
Cavaliere scrive ai
capigruppo di Montecitorio: «Non approvate la legge»
L'Emilia-Romagna blocca la
riconversione a Orimulsion della centrale Enel di Porto
Tolle
VENEZIA. Non c'è stato ieri
l'atteso confronto in commissione alla Camera sul problema
dell'estrazione di metano nell'Alto Adriatico. Il ministro
Antonio Marzano si riserva forse di affrontare oggi il
problema a tu per tu con il presidente della Giunta
regionale Giancarlo Galan, e l'occasione potrebbe essere
data dall'inaugurazione della rassegna «Veneto For You» alla
Stazione Marittima di Venezia. In attesa che il governo
chiarisca la sua posizione sulla controversa vicenda, è
sceso in campo anche Enrico Cavaliere. Il presidente del
Consiglio regionale del Veneto ha inviato una lettera ai
capigruppo della Camera invitandoli a «impedire
l'approvazione del progetto di legge 3297/A con il quale si
prevede la revoca o comunque la modifica del divieto
assoluto di estrazione, di prospezione e coltivazione del
gas metano nell'area dell'Alto Adriatico». Il presidente
dell'assemblea veneta ha fatto presente ai capigruppo di
Montecitorio di aver assunto l'iniziativa «anche in
adempimento e in coerenza alla volontà del Consiglio
regionale che il 15 dicembre del 2000 ha approvato
all'unanimità una mozione contro l'estrazione di metano dai
fondali dell'Alto Adriatico». Dall'Adriatico al delta del
Po, la Giunta dell'Emilia-Romagna, ha bocciato il progetto
di riconversione della centrale Enel di Porto Tolle. Il no
all'intesa sul progetto e sulle opere connesse, così come
richiesto dalla legge 55/2002 (quella che ha convertito il
decreto «salvacentrali»), e il parere negativo alla
valutazione di impatto ambientale, bloccano l'intesa
raggiunta tra Enel e Regione Veneto e rimettono la questione
alla presidenza del Consiglio dei ministri che dovrà
decidere in accordo con le due Regioni interessate. La
decisione dell'Emilia-Romagna nasce da valutazioni di tipo
tecnico: la centrale Enel è attualmente alimentata a olio
combustibile pesante a basso tenore di zolfo e la scelta di
riconvertirla ad orimulsion (una emulsione di catrame e
acqua a basso costo) con l'aggiunta di due impianti di
abbattimento delle emissioni in atmosfera (un
denitrificatore e un desolforatore) «non dà adeguate
garanzie sul fronte ambientale». Al contrario, le emissioni
di biossido di zolfo, di ossido di azoto, di ossido di
carbonio e le polveri sarebbero nettamente superiori a
quelle prodotte da centrali a turbogas a ciclo combinato
alimentate a metano. In particolare - sottolinea la Regione
Emilia-Romagna - le polveri frutto della combustione di
emulsioni bituminose contengono sostanze tossiche e
cancerogene e comunque la loro quantità, anche dopo
l'intervento di adeguamento ambientale, risulterebbe pari a
quella di 21 centrali turbogas di pari potenza elettrica
(2.600 megawatt l'una), ovvero l'equivalente dell'intera
capacità di produzione elettrica installata in Italia. Forti
preoccupazioni suscita anche la mancanza di adeguate
garanzie relative al sistema di approvvigionamento dell'orimulsion,
ai rischi di incidenti a mare e allo smaltimento dei residui
di lavorazione. Il progetto infatti prevede la realizzazione
di opere anche entro i confini regionali: due stazioni di
pompaggio a Ravenna e Comacchio, un serbatoio a Ravenna, la
riconversione dell'oleodotto che da Ravenna, passando per
Comacchio e Mesola, arriva a Porto Tolle |
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