RASSEGNA STAMPA 26.06.2003

 

CORRIERE ADRIATICO
Un contratto per Villanova

Durpetti: "Stavolta sarà una progettazione dal basso che coinvolge anche i cittadini" Il ministero apre alla seconda fase per la riqualificazione delle aree in degrado

Il Comune punta a promuovere un nuovo programma per il quartiere

di Marina Minnelli

Secondo atto per i contratti di quartiere, i programmi innovativi in ambito urbano finalizzati al recupero di zone cittadine caratterizzate da diffuso degrado delle costruzioni e dell'ambiente urbano, nonché da carenze di servizi in contesti di scarsa coesione sociale e di marcato disagio abitativo. "Il ministero delle Infrastrutture e Trasporti con due decreti (il 27-12-2001 e del 30-12-2002) apre una nuova stagione di interventi - spiega il dirigente all'urbanistica Furio Durpetti - e anche questa volta l'amministrazione comunale di Falconara ha intenzione di cogliere un'ulteriore occasione per promuovere un nuovo programma nel quartiere Falconara Nord-Villanova". Il contratto di quartiere 2 si collocherebbe, infatti, nell'ambito dei più vasti obiettivi di trasformazione e riqualificazione territoriale che l'amministrazione intende perseguire a medio e lungo termine, soprattutto attraverso l'attuazione degli interventi previsti nel progetto urbano per Falconara commissionato all'architetto Oriol Bohigas e giunto ormai nella fase definitiva. "Un progetto quest'ultimo - prosegue Durpetti - ambizioso ma sostenibile ed in grado di dare concretamente un nuovo volto alla città ed all'interno del quale si prevede di attuare la riqualificazione degli ambiti urbani critici attraverso strumenti innovativi quali appunto i programmi promossi dal ministero". Falconara era già stata ammessa al finanziamento della prima edizione dei Contratti di quartiere con un intervento a favore di Fiumesino Nord, per cui si è già conclusa la fase di progettazione definitiva, ma questa volta l'amministrazione ha deciso di avviare una "progettazione dal basso". "Il Contratto - dice Furio Durpetti - finalizzato prioritariamente ad incrementare, anche con il supporto di investimenti privati, la dotazione infrastrutturale dei quartieri degradati prevedendo al contempo misure ed interventi per favorire l'occupazione e l'integrazione sociale, verrà definito attraverso un processo di progettazione partecipata buttom-up, ossia dal basso, nella quale verranno coinvolti sin dalle primissime fasi tutti i soggetti sociali, istituzionali ed economici del contesto urbano e rispetto al quale l'ente locale svolgerà il ruolo principale di promotore e coordinatore". L'intendo dichiarato è quello di "progettare per la città stessa", intesa come insieme di soggetti con caratteristiche e necessità diverse, "valorizzando il patrimonio di conoscenza dei residenti quale componente realmente propositiva del processo di trasformazione urbana che per la prima volta non viene pre impostato a monte, ma progettato e condiviso con i soggetti stessi". Ai Contratti di quartiere 2 ha aderito anche la giunta regionale prevedendo un investimento pluriennale di 8 milioni di euro che si aggiungono ai 15 a carico dello Stato. "I Contratti di quartiere - sottolinea in una nota l'assessore regionale all'Edilizia, Giulio Silenzi - vogliono offrire una risposta alla sempre più diffusa richiesta di qualità abitativa e urbana. In questo modo pubblico e privato collaborano per recuperare quartieri e periferie e un ruolo importante viene rivestito dai residenti, chiamati a collaborare".

 
LA NUOVA FERRARA
Una enorme nube nera sopra la città

Blocco agli impianti Enichem per un black-out di venti minuti

di Giovanni Bua

Un black out di circa venti minuti ha mandato in blocco ieri pomeriggio l'impianto dell'Enichem di Ferrara, causando una minacciosa nube nera che si è alzata in cielo poco dopo le 15. Moltissime le telefonate di persone allarmate alle forze dell'ordine e ai giornali. La grossa nube, visibile anche a svariati chilometri di distanza, si è diretta verso Pontelagoscuro, disperdendosi poi verso il mare. La nube era formata da una miscela di etilene e propilene che le torce di emergenza dell'impianto ferrarese hanno bruciato immediatamente dopo il blocco. «E' la procedura standard di emergenza - spiega Andrea Patuelli, responsabile del consorzio Ifm che cura la gestione dei servizi delle otto società del petrolchimico - quando l'impianto si blocca tutto l'etilene e il propilene presenti vengono automaticamente dirottati nelle torce di emergenza che lo bruciano, causando la fumata nera. Le torce routinarie infatti sono molto ossigenate in modo che ci sia fiamma ma non fumo. Quelle di emergenza invece, dovendo bruciare grandi quantità di combustibile in pochi minuti, emettono il fumo naturale, che comunque non è affatto tossico». A causare il black out un'interruzione di tensione da parte della linea esterna ad alta tensione, gestita dall'Edison, che alimenta l'impianto arrivando dalla zona di Verona. Il blocco di corrente è stato di circa venti minuti, dalle 15.10 alle 15.30. Dopo sono iniziate le procedure per il riavvio. «Per alcuni impianti - spiega Patuelli - bastano poche ore. Per altri ce ne vorranno una ventina. Prima faremo tutte le procedure di controllo per verificare che non ci siano danni, e approfitteremo della fermata per garantire la manuntenzione ordinaria dell'impianto. Verificheremo poi il motivo del blocco di corrente». «Abbiamo ricevuto molte chiamate - spiega Delves Fozzato dell'Arpa - e abbiamo inviato tre squadre sul posto. Due dentro lo stabilimento e una a Barco-Pontelagoscuro. Le centraline di monitoraggio attorno allo stabilimento non hanno rilevato aumenti di concentrazione di sostanza pericolose. Il cono di ricaduta non c'è stato, perché il vento era a 1,35 metri al secondo e ha spinto il fumo nero verso nord est, quindi la riva polesana del Po e il mare, ma a concentrazioni calanti con l'aumentare della distanza. Abbiamo comunque fatto prelievi di campioni d'aria nella zona di Barco-Ponte per verificare la presenza di sostanze pericolose, ma a livello olfattivo non c'è stato nulla. Abbiamo informato l'Igiene pubblica e domani (oggi ndr) partirà il rapporto alla Procura della Repubblica». Un episodio simile, con blocco di corrente per un corto circuito e conseguente nube nera, si era verificato il 14 marzo scorso. In quel caso i controlli dell'Arpa sulla tossicità della nube diedero esito negativo.

La Regione boccia la centrale Enel

BOLOGNA.Arriva dalla regione Emilia Romagna un deciso no al progetto di riconversione della centrale Enel di Porto Tolle, in provincia di Rovigo, perché considerato incompatibile con la tutela dell'ecosistema del Delta del Po e con la sicurezza di un importante comparto turistico. Il parere negativo giunge su proposta degli assessori all'Ambiente e sviluppo sostenibile Guido Tampieri e alle Attività produttive Duccio Campagnoli. Si tratta di uno stop all'intesa raggiunta tra Enel e Regione Veneto e che rimette la questione alla Presidenza del Consiglio dei Ministri che dovrà decidere in accordo con le due regioni. La decisione nasce da valutazioni tecniche. La centrale Enel è alimentata a olio combustibile pesante a basso tenore di zolfo. La scelta di riconvertirla ad orimulsion (emulsione di catrame e acqua a basso costo) con l'aggiunta di due impianti di abbattimento delle emissioni in atmosfera non darebbe adeguate garanzie sul fronte ambientale. Al contrario, le emissioni di biossido di zolfo, di ossido di azoto, di ossido di carbonio e le polveri sarebbero nettamente superiori a quelle prodotte da centrali a turbogas a ciclo combinato alimentate a metano.

 
GAZZETTA DI MANTOVA
Il ministro dà il via ai lavori per il turbogas

Il cantiere può aprire subito: la centrale dovrà essere attivata entro il 2006

La centrale a turbogas che Enipower realizzerà all'interno dello stabilimento Polimeri Europa ha ricevuto l'ultimo ok. Il ministero delle attività produttive, tramite la direzione generale per l'energia e le risorse minerarie, ha firmato martedì scorso (ma è stato reso noto solo ieri) il decreto che dà il via libera alla costruzione dell'impianto termoelettrico a ciclo combinato da 780 megawatt, alimentato esclusivamente a metano. Il cantiere, dunque, può aprire subito. I lavori dovranno essere conclusi entro due anni e la centrale entrare in funzione entro il 1º gennaio 2006. «Nell'estate del 2005 saremo già pronti per produrre vapore ed energia elettrica» aveva detto lunedì scorso ad Assindustria il presidente di Enipower, Locanto. Si è concluso, dunque, un iter iniziato il 20 febbraio del 2001, quando Enipower chiese l'autorizzazione alla costruzione e all'esercizio della centrale. Nel decreto, firmato dal direttore generale Alessandro Ortis, sono contenute prescirizioni di tipo ambientale che la società dovrà rispettare. In pratica, sono stati confermati i limiti entro cui dovrà muoversi la società per quanto riguarda le emissioni in aria: si tratta di quelli già concordati con Comune e Provincia di Mantova e con la Regione, molto più restrittivi rispetto agli attuali previsti per legge sul fronte degli Nox, gli ossidi di azoto. Per i primi due anni la centrale potrà osservare un regime transitorio in cui le emissioni totali di Nox potranno aumentare rispetto alla situazione di adesso; poi, dovrà applicare le migliori tecnologie disponibili per tornare alla quantità attuale. Enipower ha già fatto sapere di voler installare fin da subito i bruciatori di nuova generazione in grado di ridurre gli ossidi di azoto in uscita dal camino dai 50 microgrammi attuali di Nox per metro cubo d'aria a 30. Il turbogas sostituirà le attuali tre centrali termoelettriche da 300 megawatt che danno energia allo stabilimento della Polimeri Europa. Le nuove turbine produrranno vapore ed energia elettrica per il petrolchimico. Il surplus di energia elettrica verrà venduto alle industrie mantovane, mentre quello di vapore verrà immesso nella rete del teleriscaldamento cittadino. Secondo gli esperti, la situazione ambientale a Mantova migliorerà: verrà, infatti, eliminato dall'aria l'ossido di zolfo oggi prodotto dalle tre centrali che bruciano olio combustibile.

 
IL GAZZETTINO
Dow, scontro ancora aperto

Le reazioni prima del nuovo incidente di ieri al Tdi del Petrolchimico

L'azienda e il sindaco rassicurano, Bettin chiede la chiusura dell'impianto

di Fabrizio Conte

«È assolutamente normale che il riavvio e la messa a regime di un ciclo produttivo richiedano un periodo di una o due settimane. Lo start-up degli impianti Dow sta avvenendo secondo le previsioni dell'azienda e nel rispetto delle necessarie autorizzazioni da parte delle autorità competenti. Non c'è stata inoltre nessuna anomalia e nessun effetto secondario durante le operazioni». Poche ore prima dello sversamento di una tonnellata di Toluendiisocianato, e cioè dell'ennesimo incidente nel giro di tre giorni, in un comunicato di poche righe la Dow nega che ci siano stati problemi durante le fasi di riavvio dell'impianto, ribadendo la trasparenza adottata nelle procedure. E precisando «che il forno deputato all'incenerimento dispone di specifici sistemi di abbattimento e controllo delle emissioni atti a garantire alla popolazione i massimi livelli di igiene ambientale». Tutto sotto controllo secondo l'azienda che precisa di avere le carte in regola per far ripartire l'impianto saltato in aria sette mesi fa. «Il riavvio dell'impianto Tdi non comporta la riattivazione della sezione andata fuori uso in seguito all'incendio del 28 novembre 2002 - aveva, d'altro canto, comunicato il sindaco di Venezia, Paolo Costa, rispondendo anche alla doppia diffida presentata dall'Assemblea permanente dei cittadini contro il pericolo chimico e dalle associazioni ambientaliste: - la Società ha infatti dichiarato di voler realizzare un by-pass aereo tale da escludere dal ciclo di produzione la porzione di impianti andata a fuoco (deposito di peci clorurate). La Società ha dichiarato alla Commissione tecnica regionale e alla Provincia di Venezia (competenti in materia di controllo) che tali interventi non modificano il ciclo produttivo e quindi non necessitano di nuove autorizzazioni in materia di emissioni, presentazione di nuove relazioni di sicurezza o piani di emergenza».Se il sindaco chiariva, il prosindaco di Mestre, Gianfranco Bettin rilanciava le accuse: «L'ennesimo guasto al Tdi della Dow Chemical, ripetutosi ben due volte nell'arco di due giorni, in due tentativi consecutivi di riavviare l'impianto, risultati infruttuosi, dimostra, se ancora vi era bisogno, che l'impianto non è sicuro. Dobbiamo aspettare un altro incidente per convincerci di ciò»? Bettin ha annunciato anche la presentazione di un'interrogazione in Regione chiedendo al sindaco «di non fidarsi delle rassicurazioni dei tecnici della Dow sull'affidabilità dell'impianto». La multinazionale comunque avrebbe agito rispettando tutte le procedure, avvertendo per tempo gli enti responsabili come aveva ribadito il sindaco: «La Società ha presentato alla Commissione tecnica regionale il progetto di modifica dell'impianto dichiarando "il non aggravio del rischio"; alla Provincia di Venezia un'autocertificazione in cui dichiara che non saranno aperti nuovi punti di emissione in atmosfera e che le emissioni già autorizzate non subiranno variazioni; e ha inviato al Comune dichiarazione di inizio attività lavori per la messa in sicurezza dell'impianto andato a fuoco e per la realizzazione del by-pass aereo, opere che non richiedono rilascio di concessione edilizia». Tutto regolare anche dal punto di vista della sicurezza: «Sono state messe in atto tutte le azioni - aveva concluso Costa - anche non di propria competenza, volte a garantire la sicurezza della popolazione».

 
LA NUOVA VENEZIA
Dow, una tonnellata di veleno in laguna

Il guasto all'indicatore di un serbatoio nello stabilimento appena riavviato provoca la fuoriuscita del toluendisocianato che finisce nel collettore Sm15

Incidente ieri alle 18 nell'impianto del Tdi, mobilitati i vigili del fuoco La perdita è cominciata già durante la notte dopo i tentativi a vuoto di far ripartire il ciclo

di Gianni Favarato

MESTRE. Dopo i vari tentativi di far ripartire gli impianti che producono toluendisocianato - fermi dall'incendio del 28 novembre del 2002 - alla Dow Poliuretani Italia ieri è scattata l'emergenza per la fuoriuscita da un serbatoio di quasi una tonnellata di toluendisocianato, il Tdi, una sostanza altamente tossica e nociva. Il Tdi fuoriuscito era stato prodotto a partire dalle ore 22 di martedì, quando l'intero impianto - dopo ripetuti tentativi, tutti falliti - era finalmente riuscito a ripartire. L'incidente è accaduto intorno alle 18 di ieri e ha mobilitato i vigili del fuoco del Petrolchimico che per ore hanno cercato con panne e schiumogeni di contenere lo sversamento di Tdi nelle canalette della fognatura che conducono al canale di scarico SM-15 e quindi in laguna. La causa della fuoriuscita di Tdi sarebbe il cattivo funzionamento degli indicatori di livello di un serbatoio. A quanto pare - stando a quanto avrebbe rilevato la Masi, la società creata dall'ex Enichem per gestire il collettore SM-15 - già nella notte e nella mattinata di ieri erano state riscontrate concentrazioni anomale di Tdi. Evidentemente, il serbatoio - visto il cattivo funzionamento dell'indicatore di livello - ha cominciato a perdere Tdi ben prima delle 18 di ieri, ora in cui è cominciato a fuoriuscire dalle vasche di contenimento, ormai colme, che circondano il serbatoio. Dow, nella serata di ieri, ha diffuso un comunicato stampa in cui conferma che «alle ore 17.50 si è verificata una perdita di toluendiisocianato, per un'anomalia relativa al livello del serbatoio D520. A causa di questa anomalia è fuoriuscita una quantità stimabile in circa 800 chili di Tdi. Parte di questo prodotto è stata raccolta nei serbatoi della rete interna di reparto; una parte ha reagito con acqua e l'eccesso è fuoriuscito dallo scarico di stabilimento SM-15/3». «La società - conclude il comunicato -, anche con l'ausilio d'imprese specializzate ha provveduto a contenere lo spanto con panne galleggianti poste in prossimità dello scarico SM-15. Il prodotto surnatante è cosparso con materiale assorbente, mentre non c'è stato in alcun momento pericolo per persone o cose. La fuoriuscita è stata bloccata e la situazione è sotto controllo». Già nel novembre scorso in laguna erano finite le ricadute della nube tossica sviluppatasi per l'incendio al Td5 (il reparto ora by-passato). Secondo i rilievi del Magistrato alle Acque in laguna erano, infatti, state riscontrate concentrazioni di diossine 10 volte oltre i limiti, quantità di idrocarburi (Ipa) 100 volte oltre i limiti, trielina, diclorobenzene e policlorobifenili. Per l'assessore provinciale all'Ambiente, Ezio Da Villa «quest'ennesimo incidente dimostra l'incapacità dei responsabili dell'impianto di saperlo gestire in modo corretto e sicuro». «Già con l'incendio del 28 novembre dell'anno scorso - aggiunge Da Villa - i rapporti della Dow con la popolazione s'erano incrinati. Ora, dopo l'ennesimo incidente il rapporto di fiducia con ques'azienda viene compromesso definitivamente».

Il ministro Marzano rinvia il confronto sull'estrazione di metano in Adriatico

Cavaliere scrive ai capigruppo di Montecitorio: «Non approvate la legge»

L'Emilia-Romagna blocca la riconversione a Orimulsion della centrale Enel di Porto Tolle

VENEZIA. Non c'è stato ieri l'atteso confronto in commissione alla Camera sul problema dell'estrazione di metano nell'Alto Adriatico. Il ministro Antonio Marzano si riserva forse di affrontare oggi il problema a tu per tu con il presidente della Giunta regionale Giancarlo Galan, e l'occasione potrebbe essere data dall'inaugurazione della rassegna «Veneto For You» alla Stazione Marittima di Venezia. In attesa che il governo chiarisca la sua posizione sulla controversa vicenda, è sceso in campo anche Enrico Cavaliere. Il presidente del Consiglio regionale del Veneto ha inviato una lettera ai capigruppo della Camera invitandoli a «impedire l'approvazione del progetto di legge 3297/A con il quale si prevede la revoca o comunque la modifica del divieto assoluto di estrazione, di prospezione e coltivazione del gas metano nell'area dell'Alto Adriatico». Il presidente dell'assemblea veneta ha fatto presente ai capigruppo di Montecitorio di aver assunto l'iniziativa «anche in adempimento e in coerenza alla volontà del Consiglio regionale che il 15 dicembre del 2000 ha approvato all'unanimità una mozione contro l'estrazione di metano dai fondali dell'Alto Adriatico». Dall'Adriatico al delta del Po, la Giunta dell'Emilia-Romagna, ha bocciato il progetto di riconversione della centrale Enel di Porto Tolle. Il no all'intesa sul progetto e sulle opere connesse, così come richiesto dalla legge 55/2002 (quella che ha convertito il decreto «salvacentrali»), e il parere negativo alla valutazione di impatto ambientale, bloccano l'intesa raggiunta tra Enel e Regione Veneto e rimettono la questione alla presidenza del Consiglio dei ministri che dovrà decidere in accordo con le due Regioni interessate. La decisione dell'Emilia-Romagna nasce da valutazioni di tipo tecnico: la centrale Enel è attualmente alimentata a olio combustibile pesante a basso tenore di zolfo e la scelta di riconvertirla ad orimulsion (una emulsione di catrame e acqua a basso costo) con l'aggiunta di due impianti di abbattimento delle emissioni in atmosfera (un denitrificatore e un desolforatore) «non dà adeguate garanzie sul fronte ambientale». Al contrario, le emissioni di biossido di zolfo, di ossido di azoto, di ossido di carbonio e le polveri sarebbero nettamente superiori a quelle prodotte da centrali a turbogas a ciclo combinato alimentate a metano. In particolare - sottolinea la Regione Emilia-Romagna - le polveri frutto della combustione di emulsioni bituminose contengono sostanze tossiche e cancerogene e comunque la loro quantità, anche dopo l'intervento di adeguamento ambientale, risulterebbe pari a quella di 21 centrali turbogas di pari potenza elettrica (2.600 megawatt l'una), ovvero l'equivalente dell'intera capacità di produzione elettrica installata in Italia. Forti preoccupazioni suscita anche la mancanza di adeguate garanzie relative al sistema di approvvigionamento dell'orimulsion, ai rischi di incidenti a mare e allo smaltimento dei residui di lavorazione. Il progetto infatti prevede la realizzazione di opere anche entro i confini regionali: due stazioni di pompaggio a Ravenna e Comacchio, un serbatoio a Ravenna, la riconversione dell'oleodotto che da Ravenna, passando per Comacchio e Mesola, arriva a Porto Tolle

 
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