RASSEGNA STAMPA 30.04.2003

 

MESSAGGERO
Comitati parte civile

Vicenda ozono. Sibilo, disagi e proteste

di Roberta Maccagnani

FALCONARA - I comitati cittadini sono stati ammessi dal Tribunale come parte civile nel processo sulla vicenda che riguarda i fatti del 2000. In quanto residenti nei luoghi circostanti allo stabilimento dell’Api è stato loro riconosciuto «in linea astratta un interesse diretto ed immediato astrattamente configurabile come danno risarcibile». Potranno dunque chiedere i danni i comitati Fiumesino, Villanova e XXV Agosto? L’altro giorno intanto si è ripresentato il fenomeno del sibilo e della fiamma che è durato fino a sera. Nessun problema tecnico, ma solo un contenimento dell’attività della centrale secondo quanto richiesto dall’Enel che però i residenti di Fiumesino non hanno molto gradito. Ma, la situazione è ormai rientrata. Sul fronte, invece, del rinnovo della concessione Api per ora qualsiasi presa di posizione è rimandata a dopo il ponte del primo Maggio. Entro le prime due settimane di Maggio, infatti, saranno pronte le prescrizioni tecniche, elaborate dai diversi settori della Regione, da proporre alla raffineria per ottenere il rinnovo della concessione, sul cui pronunciamento, ormai il tempo stringe. Al 15 Giugno manca poco più di un mese e mezzo, quindi la decisione finale è vicina. Sulla base delle prescrizioni tecniche individuate si riunirà anche il tavolo istituzionale tra Comune, Provincia e Regione che dovrà discutere la questione. Alcune prescrizioni di cui è stata già data indicazione sono in linea con quanto richiesto dal Comune, come l’attuazione da parte dello stabilimento delle norme stabilite dal Ctr e dal Ctu del Tar o la decadenza immediata di tutte le cause tra gli enti e l’azienda. Sulle restanti è ancora tutto in fase di definizioni. A destare scalpore è stata senz’altro la scelta della Regione di non chiedere impegni economici all’Api diversi dal rispetto di quanto deciso nell’ambito del tavolo istituzionale.

Sigilli alla discarica delle polemiche

La Procura della Repubblica ordina il sequestro della struttura delle Saline. Non sarebbero state rispettate le prescrizioni

Violazione del decreto Ronchi, indagati il sindaco Carletti e Angeloni

di GIAMPAOLO MILZI

FALCONARA - Piove di brutto sul già “molto, forse troppo sporco" delle Saline. Nuvole temporalesche, forse sottovalutate dall'amministrazione comunale, che hanno scaricato sulla grande, intasata e mezza disastrata discarica municipale un sequestro giudiziario. E sulla testa “scoperta" del sindaco di Falconara Giancarlo Carletti e del dirigente dell'Ufficio Ambiente Paolo Angeloni una iscrizione nel registro degli indagati per violazione del decreto Ronchi che regolamenta tutta la materia che ruota intorno alla gestione e allo smaltimento dei rifiuti, compresi quelli solidi-urbani. La colpa ipotizzata dalla procura della Repubblica in capo al primo cittadino (in qualità di responsabile tutelare dell'impianto fuori uso) e del suo braccio destro per le strategie tecno-ecologiche cittadine? Quella di non aver ottemperato alle prescrizioni che imponevano di predisporre la realizzazione di pozzi di drenaggio per fronteggiare le dispersioni di percolato e le fuoriuscite di biogas originate dalla discarica. Ma non solo: anche di non aver provveduto a lavori di livellaggio di una montagna di robaccia che aveva superato da un pezzo le altezze massime consentite dai regolamenti. Era già stata la Regione, 5 anni fa, a dettare le condizioni perché l'area di recupero rifiuti potesse continuare a servire il Comune. E poi la Provincia, che aveva ereditato dall'ente locale superiore la competenza in materia, le aveva ribadite. Di più: la richiesta di costruire i pozzi e abbassare i livelli di immondizia era stata ribadita quando, in vista dello scadere della autorizzazione alla discarica (avvenuto il 31 gennaio scorso), la Provincia ne aveva negata una nuova proprio per quelle carenze strutturali. Carenze, capaci di mettere in pericolo l'ambiente circostante, che la Provincia si era vista segnalare dalle sue guardie di vigilanza istituzionale, che svolgono anche compiti di polizia giudiziaria. E che quindi, reduci da un sopralluogo sul posto con gli esperti dell'Arpam, avevano messo tutto nero su bianco anche in un dettagliato rapporto inviato alla Magistratura. Da qui l'effetto negativo “a catena" subìto dal Comune: prima il mancato rinnovo da parte della Provincia della autorizzazione al funzionamento della discarica, con la conseguenza che dal 1° febbraio scorso i rifiuti di Falconara debbono essere trasportati, con un aggravio di costi, alla discarica di Chiaravalle; poi, circa un mese fa, il sequestro disposto dalla procura della Repubblica e l'inchiesta sul perché della “dimenticanza" del Comune a proposito delle perentorie richieste di interventi tecnici sull'impianto formulate dalla stessa Provincia. Né, secondo gli inquirenti, può essere considerata una “attenuante" il fatto che l'impianto comunale è comunque fermo da mesi perché senza licenza. La presenza dei pozzi drenanti per contenere percolato e emissioni gassose naturali nell'aria e il disintasamento della discarica sono comunque accorgimenti necessari ad assicurare che la situazione non degeneri nel tempo e che la struttura non versi in un progressivo stato di abbandono, fuori controllo e quindi non degeneri nell'ennesima “ecopiaga" del già provato territorio falconarese.

 
CORRIERE ADRIATICO
Saline, discarica sotto sequestro

Avviso di garanzia per il sindaco Carletti e Angeloni

La Provincia denuncia il Comune per due violazioni di norme del decreto Ronchi La difesa: "Non c'è stata alcuna speculazione"

di EDOARDO DANIELI e LORENZO SCONOCCHINI

Due presunti strappi alle regole del decreto Ronchi, che regola lo smaltimento dei rifiuti, costano un avviso di garanzia al sindaco Carletti e al responsabile dell'ufficio Ambiente Angeloni. La procura della Repubblica li ha indagati contestualmente al sequestro di una parte della discarica delle Saline, avvenuto di recente dopo una segnalazione della Provincia. In particolare, dopo una serie di sopralluoghi della Vigilanza provinciale, nel mirino sono finiti alcuni pozzi di drenaggio e l'altezza dei cumuli dei rifiuti all'interno della discarica. Nessuna volontà speculativa ma solo incongruenze tecniche che si stanno già sanando, secondo l'amministrazione comunale, che si è affidata alla tutela dell'avvocato Gianni Marasca per chiedere il dissequestro. La vicenda parte con la chiusura della discarica delle Saline che risale allo scorso gennaio quando è scaduta l'autorizzazione concessa per il conferimento dei rifiuti nella discarica di proprietà comunale e gestita dal Cam. L'amministrazione comunale ha subito avviato la procedura per chiedere una deroga e poter continuare a smaltire l'immondizia prodotta in città nel sito che ha funzionato per oltre 30 anni. Nel corso dei controlli sono emerse però delle incongruenze che hanno spinto la Provincia a inviare tutto il materiale raccolto alla procura. In particolare, rispetto ai 18 pozzi di drenaggio previsti dalla autorizzazione che era stata concessa, si è scoperto che solo 5 ne erano in realtà stati realizzati. Dubbi anche sulle altezze dei cumuli di rifiuti che avrebbero superato il consentito. L'inchiesta è condotta dal pm Stefania Ciccioli che, sulla base degli elementi raccolti, ha chiesto e ottenuto dal gip Cutrona il sequestro della discarica. E così il sindaco Giancarlo Carletti e il dirigente del servizio ambiente, Paolo Angeloni, sono stati iscritti nel registro degli indagati. Da parte dell'amministrazione comunale, si evidenzia in primo luogo che non vi è alcuna volontà speculativa nelle fattispecie evidenziate. Per quanto riguarda la mancanza dei pozzi si tratta, è la tesi della difesa, di scelte tecniche che si stanno portando a conclusione: nel bilancio comunale, infatti, sono stati inseriti i fondi per ultimare i pozzi. Per quanto attiene invece l'altezza dei rifiuti, si tratta di un problema dovuto all'assestamento. Questi i motivi posti alla base della istanza di dissequestro avanzata dall'avvocato Marasca. C'è anche un dato politico, nell'intera questione, ed è quello che il sindaco Giancarlo Carletti ha già dichiarato a febbraio, quando la discarica venne chiusa costringendo il Comune a trasferire i propri rifiuti a Chiaravalle. "Serve - disse in quella occasione il sindaco - individuare i nuovi siti a livello comprensoriale. Così non si può andare avanti".

 
LIBERAZIONE
«Voto sì perché non sono un jurassico»

Referendum sull'elettrosmog, Beppe Grillo testimonial d'eccezione

di CM

«W il carbone?». Beppe Grillo è così come tutti lo aspettavano anche in veste straordinaria di "testimonial" d' eccezione della campagna referendaria per il sì al quesito contro l'elettrosmog. «Colpisci e terrorizza, questo è il mio programma» promette, e non risparmia nessuno seduto accanto ad Alfonso Pecoraro Scanio per spiegare le ragioni del sì. «Voto sì perché non sono un jurassico. E' solo una questione di buon senso. C'è un regio decreto che risale nientedimeno che al 1933 e che obbliga i proprietari a far passare sui loro terreni gli elettrodotti: non credete sia ora di cancellarlo?». Il vero problema è il controllo dell'energia «affidata a monopoli, come quello dell'Enel. Ma il futuro è delle energie alternative e non, come vuole farci credere l'amministratore delegato dell'Enel, Scaroni del carbone (uno che è al vertice dopo aver patteggiato una causa per corruzione di un anno e quattro mesi). Ci vogliono far credere che costa poco, che ce n'è per tutti, che sporca meno ma non è vero. Un kilowatt prodotto con il carbone costa 160 lire in più di quello prodotto dal petrolio». E per il petrolio si è fatta la guerra all'Iraq. Come dargli torto? «Ma non è che l'età della pietra è finita perché sono finite le pietre... esistono altre forme di energia: la solare, l'eolica, l'idrogeno. E di queste energie alternative se ne sa tutto dagli anni '70 e '80 ma qualcuno fa finta di non saperlo. Nella mia casa ho un contatore solare, gira alla rovescia: voi che non siete di Genova non potete sapere che libidine è starlo a guardare...». Ma vallo a dire a Scaroni o a Marzano. «Ad Avellino il ministro ha proposto la costruzione di 2 megacentrali. La gente ha risposto "no, non ne abbiamo bisogno", e lui "fra tre anni vi serviranno". Questa è energia preventiva». E che dire di Matteoli? «Ha fatto la riforma ecologica cambiando il nome alle cose: i rifiuti sono diventati materie prime, gli inceneritori sono diventati termovalorizzatori. Ma se passa la legge sui termovalorizzatori tutti verranno a bruciare i loro rifiuti in Italia». E che aggiungere dell'Enel? «Ha piazzato 2 milioni e mezzo di km di cavi non schermati nelle città, ma nessuno sa dove passano. Sapete dov'è il più grande trasformatore d'Italia? In un asilo, a Bologna. Mi ha chiamato Abatantuono, preoccupato per i suoi figli, "qui mi diventano fosforescenti" mi ha detto. Non ci credevo, sono andato a vedere: è vero». «Vedete - conclude - io non so se le onde elettromagnetiche fanno venire davvero la leucemia, ma nel dubbio preferisco non metterle sotto la culla di mio figlio; non so se gli organismi geneticamente modificati sono davvero dannosi, ma fino a quando avrò la certezza che non fanno male evito di mangiarli. E' un elementare principio di precauzione, niente di più». In gioco c'è il futuro di tutti. «Pensateci».

 
IL MANIFESTO
Elettroservitù da eliminare. Il 15 giugno

I Verdi presentano la campagna referendaria contro l'inquinamento elettromagnetico. Un Sì in difesa della salute e per uno sviluppo energetico non dipendente dal petrolio 

di LAURA GENGA

ROMA «Un'altra energia è possibile». E la questione, per dirla con Alfonso Pecoraro Scanio, presidente dei Verdi, «è centrale perché tocca la tossicodipendenza da petrolio della società occidentale, ovvero quella stessa dipendenza che ha causato la guerra all'Iraq». E' così che ieri mattina si è aperta a Roma la campagna dei Verdi per il «sì» al referendum del 15 giugno contro l'inquinamento causato dai campi elettromagnetici. Tra un mese e mezzo, oltreché per l'estensione dell'articolo 18 alle piccole imprese, si voterà infatti anche contro l'elettrosmog. A presentare la campagna, insieme ai Verdi c'erano i comitati Bambini senza onde di Cesano e della scuola romana «Giacomo Leopardi» e il comico Beppe Grillo, testimonial dell'iniziativa L'obiettivo del quesito referendario, hanno spiegato, è abrogare la servitù coattiva che obbliga i proprietari a far passare sui loro terreni, vicino alle loro case, gli elettrodotti. Motivata negli anni Trenta dalla necessità di elettrificare il paese, oggi la servitù coattiva «è una norma vecchia che non ha più motivo d'essere», spiegano i verdi. O, per meglio dire, non serve i cittadini, ma certamente fa comodo a tutte le società che intendono istallare nuove centrali elettriche: solo ad oggi sono oltre 600 quelle che ne hanno già fatto richiesta. Quello sull'elettrosmog, insomma, «è un referendum con cui i cittadini possono riappropriarsi della propria salute e di uno sviluppo vero», afferma ancora Pecoraro Scanio. Votare no, o semplicemente non votare, sarebbe invece un gesto di «conservazione e di arretratezza spinto dalle lobby dell'energia». Con il presidente dei verdi è assolutamente d'accordo il comico genovese: «Abolire questo articolo che dà solo privilegi ai monopolisti è qualcosa di assolutamente logico - ha esordito il comico - l'Italia non ha bisogno di altre centrali elettriche, abbiamo solo bisogno di sviluppare le nuove tecnologie», come quella solare, eolica o all'idrogeno. In Italia, continua il comico, usiamo tecnologie vecchie di almeno 5 anni. Eppure «le energia alternative ci sono, sono un mondo che esiste, il problema è che nessuno ce lo dice». E invece di investire in tecnologia sostenibile, ha proseguito Grillo, «l'amministratore delegato dell'Enel, Scaroni - un pregiudicato che ha patteggiato un anno e 4 mesi perché con la sua azienda aveva dato tangenti per avere appalti dell'Enel - propone come `novità' il carbone». Sostenendo che costa poco e inquina pochissimo. «Tutte balle: il carbone costa 160 lire in più del petrolio e inquina comunque». Intanto il governo continua a produrre leggi che non tutelano la salute dei cittadini e non tengono neanche conto del principio di precauzione richiesto dall'Organizzazione mondiale della sanità (Oms), visto che dagli studi scientifici è risultato che in prossimità dei campi elettromagnetici sussistono rischi di leucemia infantile, tumori celebrali, disturbi del sonno e altre patologie. Una di queste nuove normative è il recentissimo decreto Gasparri che liberalizza l'istallazione delle antenne per le telecomunicazioni. Un decreto in vigore dalla scorso settembre che non solo equipara le infrastrutture di telecomunicazione ad opere di interesse nazionale, compatibili con qualsiasi destinazione urbanistica, ma espropria i cittadini italiani anche dei diritti civili e politici. L'articolo 11 del decreto Gasparri, infatti, concede alle imprese la facoltà di «citare in giudizio chiunque ostacoli ed impedisca l'istallazione di antenne». Una norma che impedisce di protestare democraticamente per la tutela della salute dall'inquinamento elettromagnetico e su cui pende il ricorso alla corte costituzionale presentato da molte regioni. Il principio di tutela della salute, sancito dalla Costituzione, sembra non essere valido per l'elettrosmog. Nel nostro paese i limiti di esposizione ai campi generati da elettrodotti, fissati in 100 micro tesla, sono 500 volte quelli indicati dalle ricerche scientifiche (ossia 0,2 micro tesla). Sulla penisola ci sono oltre 200 elettrodotti ad alta tensione che passano sopra scuole e case, esponendo al rischio almeno 2 milioni di persone, e più di 2,5 milioni di chilometri di cavi non schermati posati nelle città. A tutto questo, denuncia Angelo Bonelli, responsabile del comitato per il referendum, si aggiunge «il clima di omertà e il boicottaggio informativo sistematico di questo referendum».

 
inizio pagina   rassegna stampa