MESSAGGERO |
Comitati parte civile
Vicenda ozono. Sibilo, disagi
e proteste
di Roberta Maccagnani
FALCONARA - I comitati
cittadini sono stati ammessi dal Tribunale come parte civile
nel processo sulla vicenda che riguarda i fatti del 2000. In
quanto residenti nei luoghi circostanti allo stabilimento
dell’Api è stato loro riconosciuto «in linea astratta un
interesse diretto ed immediato astrattamente configurabile
come danno risarcibile». Potranno dunque chiedere i danni i
comitati Fiumesino, Villanova e XXV Agosto? L’altro giorno
intanto si è ripresentato il fenomeno del sibilo e della
fiamma che è durato fino a sera. Nessun problema tecnico, ma
solo un contenimento dell’attività della centrale secondo
quanto richiesto dall’Enel che però i residenti di Fiumesino
non hanno molto gradito. Ma, la situazione è ormai
rientrata. Sul fronte, invece, del rinnovo della concessione
Api per ora qualsiasi presa di posizione è rimandata a dopo
il ponte del primo Maggio. Entro le prime due settimane di
Maggio, infatti, saranno pronte le prescrizioni tecniche,
elaborate dai diversi settori della Regione, da proporre
alla raffineria per ottenere il rinnovo della concessione,
sul cui pronunciamento, ormai il tempo stringe. Al 15 Giugno
manca poco più di un mese e mezzo, quindi la decisione
finale è vicina. Sulla base delle prescrizioni tecniche
individuate si riunirà anche il tavolo istituzionale tra
Comune, Provincia e Regione che dovrà discutere la
questione. Alcune prescrizioni di cui è stata già data
indicazione sono in linea con quanto richiesto dal Comune,
come l’attuazione da parte dello stabilimento delle norme
stabilite dal Ctr e dal Ctu del Tar o la decadenza immediata
di tutte le cause tra gli enti e l’azienda. Sulle restanti è
ancora tutto in fase di definizioni. A destare scalpore è
stata senz’altro la scelta della Regione di non chiedere
impegni economici all’Api diversi dal rispetto di quanto
deciso nell’ambito del tavolo istituzionale.
Sigilli alla discarica
delle polemiche
La Procura della Repubblica
ordina il sequestro della struttura delle Saline. Non
sarebbero state rispettate le prescrizioni
Violazione del decreto
Ronchi, indagati il sindaco Carletti e Angeloni
di GIAMPAOLO MILZI
FALCONARA - Piove di brutto
sul già “molto, forse troppo sporco" delle Saline. Nuvole
temporalesche, forse sottovalutate dall'amministrazione
comunale, che hanno scaricato sulla grande, intasata e mezza
disastrata discarica municipale un sequestro giudiziario. E
sulla testa “scoperta" del sindaco di Falconara Giancarlo
Carletti e del dirigente dell'Ufficio Ambiente Paolo
Angeloni una iscrizione nel registro degli indagati per
violazione del decreto Ronchi che regolamenta tutta la
materia che ruota intorno alla gestione e allo smaltimento
dei rifiuti, compresi quelli solidi-urbani. La colpa
ipotizzata dalla procura della Repubblica in capo al primo
cittadino (in qualità di responsabile tutelare dell'impianto
fuori uso) e del suo braccio destro per le strategie
tecno-ecologiche cittadine? Quella di non aver ottemperato
alle prescrizioni che imponevano di predisporre la
realizzazione di pozzi di drenaggio per fronteggiare le
dispersioni di percolato e le fuoriuscite di biogas
originate dalla discarica. Ma non solo: anche di non aver
provveduto a lavori di livellaggio di una montagna di
robaccia che aveva superato da un pezzo le altezze massime
consentite dai regolamenti. Era già stata la Regione, 5 anni
fa, a dettare le condizioni perché l'area di recupero
rifiuti potesse continuare a servire il Comune. E poi la
Provincia, che aveva ereditato dall'ente locale superiore la
competenza in materia, le aveva ribadite. Di più: la
richiesta di costruire i pozzi e abbassare i livelli di
immondizia era stata ribadita quando, in vista dello scadere
della autorizzazione alla discarica (avvenuto il 31 gennaio
scorso), la Provincia ne aveva negata una nuova proprio per
quelle carenze strutturali. Carenze, capaci di mettere in
pericolo l'ambiente circostante, che la Provincia si era
vista segnalare dalle sue guardie di vigilanza
istituzionale, che svolgono anche compiti di polizia
giudiziaria. E che quindi, reduci da un sopralluogo sul
posto con gli esperti dell'Arpam, avevano messo tutto nero
su bianco anche in un dettagliato rapporto inviato alla
Magistratura. Da qui l'effetto negativo “a catena" subìto
dal Comune: prima il mancato rinnovo da parte della
Provincia della autorizzazione al funzionamento della
discarica, con la conseguenza che dal 1° febbraio scorso i
rifiuti di Falconara debbono essere trasportati, con un
aggravio di costi, alla discarica di Chiaravalle; poi, circa
un mese fa, il sequestro disposto dalla procura della
Repubblica e l'inchiesta sul perché della “dimenticanza" del
Comune a proposito delle perentorie richieste di interventi
tecnici sull'impianto formulate dalla stessa Provincia. Né,
secondo gli inquirenti, può essere considerata una
“attenuante" il fatto che l'impianto comunale è comunque
fermo da mesi perché senza licenza. La presenza dei pozzi
drenanti per contenere percolato e emissioni gassose
naturali nell'aria e il disintasamento della discarica sono
comunque accorgimenti necessari ad assicurare che la
situazione non degeneri nel tempo e che la struttura non
versi in un progressivo stato di abbandono, fuori controllo
e quindi non degeneri nell'ennesima “ecopiaga" del già
provato territorio falconarese. |
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CORRIERE ADRIATICO |
Saline, discarica sotto
sequestro
Avviso di garanzia per il
sindaco Carletti e Angeloni
La Provincia denuncia il
Comune per due violazioni di norme del decreto Ronchi La
difesa: "Non c'è stata alcuna speculazione"
di EDOARDO DANIELI e LORENZO
SCONOCCHINI
Due presunti strappi alle
regole del decreto Ronchi, che regola lo smaltimento dei
rifiuti, costano un avviso di garanzia al sindaco Carletti e
al responsabile dell'ufficio Ambiente Angeloni. La procura
della Repubblica li ha indagati contestualmente al sequestro
di una parte della discarica delle Saline, avvenuto di
recente dopo una segnalazione della Provincia. In
particolare, dopo una serie di sopralluoghi della Vigilanza
provinciale, nel mirino sono finiti alcuni pozzi di
drenaggio e l'altezza dei cumuli dei rifiuti all'interno
della discarica. Nessuna volontà speculativa ma solo
incongruenze tecniche che si stanno già sanando, secondo
l'amministrazione comunale, che si è affidata alla tutela
dell'avvocato Gianni Marasca per chiedere il dissequestro.
La vicenda parte con la chiusura della discarica delle
Saline che risale allo scorso gennaio quando è scaduta
l'autorizzazione concessa per il conferimento dei rifiuti
nella discarica di proprietà comunale e gestita dal Cam.
L'amministrazione comunale ha subito avviato la procedura
per chiedere una deroga e poter continuare a smaltire
l'immondizia prodotta in città nel sito che ha funzionato
per oltre 30 anni. Nel corso dei controlli sono emerse però
delle incongruenze che hanno spinto la Provincia a inviare
tutto il materiale raccolto alla procura. In particolare,
rispetto ai 18 pozzi di drenaggio previsti dalla
autorizzazione che era stata concessa, si è scoperto che
solo 5 ne erano in realtà stati realizzati. Dubbi anche
sulle altezze dei cumuli di rifiuti che avrebbero superato
il consentito. L'inchiesta è condotta dal pm Stefania
Ciccioli che, sulla base degli elementi raccolti, ha chiesto
e ottenuto dal gip Cutrona il sequestro della discarica. E
così il sindaco Giancarlo Carletti e il dirigente del
servizio ambiente, Paolo Angeloni, sono stati iscritti nel
registro degli indagati. Da parte dell'amministrazione
comunale, si evidenzia in primo luogo che non vi è alcuna
volontà speculativa nelle fattispecie evidenziate. Per
quanto riguarda la mancanza dei pozzi si tratta, è la tesi
della difesa, di scelte tecniche che si stanno portando a
conclusione: nel bilancio comunale, infatti, sono stati
inseriti i fondi per ultimare i pozzi. Per quanto attiene
invece l'altezza dei rifiuti, si tratta di un problema
dovuto all'assestamento. Questi i motivi posti alla base
della istanza di dissequestro avanzata dall'avvocato
Marasca. C'è anche un dato politico, nell'intera questione,
ed è quello che il sindaco Giancarlo Carletti ha già
dichiarato a febbraio, quando la discarica venne chiusa
costringendo il Comune a trasferire i propri rifiuti a
Chiaravalle. "Serve - disse in quella occasione il sindaco -
individuare i nuovi siti a livello comprensoriale. Così non
si può andare avanti". |
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LIBERAZIONE |
«Voto sì perché non sono un
jurassico»
Referendum sull'elettrosmog,
Beppe Grillo testimonial d'eccezione
di CM
«W il carbone?». Beppe Grillo
è così come tutti lo aspettavano anche in veste
straordinaria di "testimonial" d' eccezione della campagna
referendaria per il sì al quesito contro l'elettrosmog.
«Colpisci e terrorizza, questo è il mio programma» promette,
e non risparmia nessuno seduto accanto ad Alfonso Pecoraro
Scanio per spiegare le ragioni del sì. «Voto sì perché non
sono un jurassico. E' solo una questione di buon senso. C'è
un regio decreto che risale nientedimeno che al 1933 e che
obbliga i proprietari a far passare sui loro terreni gli
elettrodotti: non credete sia ora di cancellarlo?». Il vero
problema è il controllo dell'energia «affidata a monopoli,
come quello dell'Enel. Ma il futuro è delle energie
alternative e non, come vuole farci credere l'amministratore
delegato dell'Enel, Scaroni del carbone (uno che è al
vertice dopo aver patteggiato una causa per corruzione di un
anno e quattro mesi). Ci vogliono far credere che costa
poco, che ce n'è per tutti, che sporca meno ma non è vero.
Un kilowatt prodotto con il carbone costa 160 lire in più di
quello prodotto dal petrolio». E per il petrolio si è fatta
la guerra all'Iraq. Come dargli torto? «Ma non è che l'età
della pietra è finita perché sono finite le pietre...
esistono altre forme di energia: la solare, l'eolica,
l'idrogeno. E di queste energie alternative se ne sa tutto
dagli anni '70 e '80 ma qualcuno fa finta di non saperlo.
Nella mia casa ho un contatore solare, gira alla rovescia:
voi che non siete di Genova non potete sapere che libidine è
starlo a guardare...». Ma vallo a dire a Scaroni o a Marzano.
«Ad Avellino il ministro ha proposto la costruzione di 2
megacentrali. La gente ha risposto "no, non ne abbiamo
bisogno", e lui "fra tre anni vi serviranno". Questa è
energia preventiva». E che dire di Matteoli? «Ha fatto la
riforma ecologica cambiando il nome alle cose: i rifiuti
sono diventati materie prime, gli inceneritori sono
diventati termovalorizzatori. Ma se passa la legge sui
termovalorizzatori tutti verranno a bruciare i loro rifiuti
in Italia». E che aggiungere dell'Enel? «Ha piazzato 2
milioni e mezzo di km di cavi non schermati nelle città, ma
nessuno sa dove passano. Sapete dov'è il più grande
trasformatore d'Italia? In un asilo, a Bologna. Mi ha
chiamato Abatantuono, preoccupato per i suoi figli, "qui mi
diventano fosforescenti" mi ha detto. Non ci credevo, sono
andato a vedere: è vero». «Vedete - conclude - io non so se
le onde elettromagnetiche fanno venire davvero la leucemia,
ma nel dubbio preferisco non metterle sotto la culla di mio
figlio; non so se gli organismi geneticamente modificati
sono davvero dannosi, ma fino a quando avrò la certezza che
non fanno male evito di mangiarli. E' un elementare
principio di precauzione, niente di più». In gioco c'è il
futuro di tutti. «Pensateci». |
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IL MANIFESTO |
Elettroservitù da eliminare.
Il 15 giugno I
Verdi presentano la campagna referendaria contro
l'inquinamento elettromagnetico. Un Sì in difesa della
salute e per uno sviluppo energetico non dipendente dal
petrolio
di LAURA GENGA
ROMA «Un'altra energia è
possibile». E la questione, per dirla con Alfonso Pecoraro
Scanio, presidente dei Verdi, «è centrale perché tocca la
tossicodipendenza da petrolio della società occidentale,
ovvero quella stessa dipendenza che ha causato la guerra
all'Iraq». E' così che ieri mattina si è aperta a Roma la
campagna dei Verdi per il «sì» al referendum del 15 giugno
contro l'inquinamento causato dai campi elettromagnetici.
Tra un mese e mezzo, oltreché per l'estensione dell'articolo
18 alle piccole imprese, si voterà infatti anche contro l'elettrosmog.
A presentare la campagna, insieme ai Verdi c'erano i
comitati Bambini senza onde di Cesano e della scuola romana
«Giacomo Leopardi» e il comico Beppe Grillo, testimonial
dell'iniziativa L'obiettivo del quesito referendario, hanno
spiegato, è abrogare la servitù coattiva che obbliga i
proprietari a far passare sui loro terreni, vicino alle loro
case, gli elettrodotti. Motivata negli anni Trenta dalla
necessità di elettrificare il paese, oggi la servitù
coattiva «è una norma vecchia che non ha più motivo
d'essere», spiegano i verdi. O, per meglio dire, non serve i
cittadini, ma certamente fa comodo a tutte le società che
intendono istallare nuove centrali elettriche: solo ad oggi
sono oltre 600 quelle che ne hanno già fatto richiesta.
Quello sull'elettrosmog, insomma, «è un referendum con cui i
cittadini possono riappropriarsi della propria salute e di
uno sviluppo vero», afferma ancora Pecoraro Scanio. Votare
no, o semplicemente non votare, sarebbe invece un gesto di
«conservazione e di arretratezza spinto dalle lobby
dell'energia». Con il presidente dei verdi è assolutamente
d'accordo il comico genovese: «Abolire questo articolo che
dà solo privilegi ai monopolisti è qualcosa di assolutamente
logico - ha esordito il comico - l'Italia non ha bisogno di
altre centrali elettriche, abbiamo solo bisogno di
sviluppare le nuove tecnologie», come quella solare, eolica
o all'idrogeno. In Italia, continua il comico, usiamo
tecnologie vecchie di almeno 5 anni. Eppure «le energia
alternative ci sono, sono un mondo che esiste, il problema è
che nessuno ce lo dice». E invece di investire in tecnologia
sostenibile, ha proseguito Grillo, «l'amministratore
delegato dell'Enel, Scaroni - un pregiudicato che ha
patteggiato un anno e 4 mesi perché con la sua azienda aveva
dato tangenti per avere appalti dell'Enel - propone come
`novità' il carbone». Sostenendo che costa poco e inquina
pochissimo. «Tutte balle: il carbone costa 160 lire in più
del petrolio e inquina comunque». Intanto il governo
continua a produrre leggi che non tutelano la salute dei
cittadini e non tengono neanche conto del principio di
precauzione richiesto dall'Organizzazione mondiale della
sanità (Oms), visto che dagli studi scientifici è risultato
che in prossimità dei campi elettromagnetici sussistono
rischi di leucemia infantile, tumori celebrali, disturbi del
sonno e altre patologie. Una di queste nuove normative è il
recentissimo decreto Gasparri che liberalizza l'istallazione
delle antenne per le telecomunicazioni. Un decreto in vigore
dalla scorso settembre che non solo equipara le
infrastrutture di telecomunicazione ad opere di interesse
nazionale, compatibili con qualsiasi destinazione
urbanistica, ma espropria i cittadini italiani anche dei
diritti civili e politici. L'articolo 11 del decreto
Gasparri, infatti, concede alle imprese la facoltà di
«citare in giudizio chiunque ostacoli ed impedisca
l'istallazione di antenne». Una norma che impedisce di
protestare democraticamente per la tutela della salute
dall'inquinamento elettromagnetico e su cui pende il ricorso
alla corte costituzionale presentato da molte regioni. Il
principio di tutela della salute, sancito dalla
Costituzione, sembra non essere valido per l'elettrosmog.
Nel nostro paese i limiti di esposizione ai campi generati
da elettrodotti, fissati in 100 micro tesla, sono 500 volte
quelli indicati dalle ricerche scientifiche (ossia 0,2 micro
tesla). Sulla penisola ci sono oltre 200 elettrodotti ad
alta tensione che passano sopra scuole e case, esponendo al
rischio almeno 2 milioni di persone, e più di 2,5 milioni di
chilometri di cavi non schermati posati nelle città. A tutto
questo, denuncia Angelo Bonelli, responsabile del comitato
per il referendum, si aggiunge «il clima di omertà e il
boicottaggio informativo sistematico di questo referendum».
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