MESSAGGERO |
I carabinieri: «Un cerino e
sarebbe bruciato tutto»
FALCONARA — Sarebbe stato
gravissimo l’inquinamento da idrocarburi del sottosuolo di
Falconara, in corrispondenza ai lavori di scavo per la
costruzione del cavalcavia Fs di Villanova. Secondo la
testimonianza di un carabiniere del Noe, nel corso del
processo iniziato ieri ad Ancona, quando le ruspe avrebbero
iniziato gli sterri: «Sarebbe bastato un fiammifero, una
cicca caduta di bocca agli operai, per mandare tutto a
fuoco». Il responsabile del servizio ambiente del Comune,
Paolo Angeloni, ha aggiunto che la realizzazione dell’opera
ha posto fine alla situazione di pericolo immediato, ma nel
sottosuolo continuerebbe ad esserci una forma di
inquinamento a macchie di leopardo. Gli scavi per il
cavalcavia avrebbero solo fatto emergere gli strati
contaminati, ad accorgersi furono i residenti per via delle
esalazioni maleodoranti nei bagni delle loro abitazioni.
Imputati i costruttori Roberto e Domenico Di Marzio, il
direttore delle Fs Tomasino Salvatori, i tecnici Mario
Esposito (direttore dei lavori) e Stefano Morellina. Il
processo proseguirà il prossimo 30 maggio.
«Ho a cuore il futuro di
tutti»
CARLETTI RISPONDE A ZAFFIRI
FALCONARA - «Le dichiarazioni
del sig. Zaffiri per le quali il sindaco del Comune di
Falconara sarebbe dimentico dei lavoratori, appaiono del
tutto arbitrarie e prive di ogni fondamento». Così risponde
Giancarlo Carletti alle affermazioni di Zaffiri scaturite in
relazione alla ben nota questione del rinnovo della
concessione Api. «Anzitutto il sindaco deve preoccuparsi di
tutti i cittadini del Comune i quali, lavoratori compresi,
hanno principalmente il diritto e il bisogno di vivere in un
ambiente e territorio ecologicamente sani. Il nuovo Prg si
pone pertanto il progetto di riconvertire le zone delle
industrie inquinanti in aree per attività ecocompatibili che
consentano di sfruttare al meglio le potenzialità del
territorio dal turismo al terziario avanzato, al direzionale
in un ambito di area vasta. Le affermazioni dello stesso
eludono poi ogni riferimento concreto e normativo, invocando
interventi governativi fuori di ogni previsione in materie
le cui competenze spettano alla Regione. Si consiglia a
Zaffiri, prima di proporre affermazioni non fondate e fuori
luogo, di valutare progetti, studi e quant'altro che
l'amministrazione comunale sta compiendo per restituire a
Falconara Marittima la sua autonomia ed il rispetto della
sua dignità nelle scelte di sviluppo economico, culturale e
sociale».
Sea, analisi sulle acque
reflue: cisterna bloccata
I Carabinieri del Noe hanno
fermato il mezzo per fare chiarezza. Il legale dell’azienda:
«Nulla di preoccupante»
di ROBERTA MACCAGNANI
FALCONARA - Posta sotto
sequestro una cisterna della Sea, in via Saline, azienda di
Camerata Picena specializzata nella gestione dei rifiuti
speciali, dalla raccolta allo smaltimento. L'operazione,
condotta dai carabinieri del Noe, nucleo operativo
ecologico, risale alla mattina del 16 aprile quando due
marescialli del corpo si sono presentati in azienda,
chiedendo di verificare il trasporto delle acque reflue. A
ricostruire i fatti per il Messaggero è l’avvocato Massimo
Gasparetti nominato dalla Sea come legale per seguire questa
vicenda. «Non si tratta di nulla di grave e finora non sono
state verificate irregolarità - spiega - Due marescialli del
Noe si sono presentati in azienda e hanno disposto la
fermata nel piazzale di una cisterna che trasportava acque
reflue industriali nel rispetto delle autorizzazioni e delle
norme vigenti». Perché sono andati a controllare proprio la
Sea? «Non so, penso avranno disposto controlli a campione,
considerando, poi, che la Sea è l’azienda più nota e grande
del settore nella provincia di Ancona si comprende come i
controlli siano inevitabili». Come sono andate le cose,
quindi? «I militari del Noe hanno disposto la fermata di
questa cisterna diretta al depuratore per lo smaltimento
delle acque reflue sottoposte a trattamento all’interno
della Sea - risponde Gasparetti - Poi, dalle acque sono
stati prelevati dei campioni per accertare la corrispondenza
tra quanto trasportato e quanto dichiarato nel relativo
formulario. Dalle prime verifiche effettuate dall’Arpam i
dati non segnalano alcun problema. L’azienda ha anche
provveduto a compiere analisi per proprio conto in un
laboratorio privato e anche queste evidenziano componenti
rientranti nelle tabelle di legge. I risultati definitivi
saranno pronti, comunque, dopo il Primo maggio». Coscienza
tranquilla, quindi, per la Sea, secondo quanto riferisce il
suo legale. L’azienda era stata coinvolta parecchi mesi fa,
a settembre dello scorso anno, in un incendio. Un rogo
improvviso che sarebbe potuto anche sfociare in un disastro
ecologico. Le fiamme, infatti, sviluppatesi in azienda,
hanno lambito 70 bidoni ricolmi di triossido di cromo in
scaglie, un liquido altamente tossico e infiammabile che se
fossero scoppiati avrebbero provocato gravi danni. Erano
perciò scattati i sigilli alla Sea Ambiente con
l’amministratore delegato della medesima deferito
all'autorità giudiziaria. L'operazione era stata condotta
dai carabinieri del Noe in collaborazione con l'Arpam, ma
tutto partì dall'intervento dei vigili del fuoco chiamati
per domare l'incendio propagatosi durante il trattamento dei
fanghi industriali a causa della combustione di calce e
segatura. Le indagini stabilirono che la ditta non era
abilitata al trattamento e allo smaltimento di rifiuti
tossici come il triossido, ma solo allo stoccaggio. Quei
bidoni di triossido, quindi, non dovevano trovarsi lì,
accatastati in una zona inadatta, ammaccati e anneriti. |
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RESTO DEL CARLINO |
«In via Monte e Tognetti si
rischiò l'incendio»
di L.Mo.
FALCONARA — Sarebbe bastato
un semplice mozzicone di sigaretta gettato ancora ardente in
terra a far alzare le fiamme in via Monte e Tognetti su
un'area larga 200 metri quadri. E' questo, secondo un
maresciallo dei carabinieri del Nucleo tutela ambiente (ex
Noe), il pericolo che si corse nell'agosto del 2000 a
Villanova, dove erano stati appena avviati i lavori per la
costruzione di un sottovia ferroviario. Quando le ruspe
cominciarono a scavare tutto il quartiere venne invaso da
odori nauseabondi provenienti dalla massa di terra tirata su
dalla falsa e impregnata per lo più di idrocarburi. Il
potenziale pericolo è stato ricordato ieri in tribunale dal
maresciallo Campaniolo nel corso della prima udienza del
processo che vede imputate cinque persone. Secondo l'accusa
avrebbero provocato un pericolo concreto di inquinamento
ambientale prima smuovendo quei rifiuti finiti da tempo nel
sottosuolo di quell'area tra l'altro non di proprietà delle
Fs e poi facendoli in sostanza risprofondare nel terreno con
un intervento di bonifica. Intervento che, sempre a parere
dell'accusa, risolse il problema dei cattivi odori ma non
quello dell'inquinamento. A giudizio sono finiti Domenico Di
Marzio, 61 anni, di Chieti, responsabile della omonima ditta
che seguì i lavori per il sottovia; Roberto Di Marzio, 37
anni, anch'egli di Chieti, direttore dei lavori; Tomasino
Salvatori, 56 anni, di Merano ma residente in Ancona,
direttore compartimentale infrastruttura delle Ferrovie;
Mario Esposito, 47 anni, di Ortona, anch'egli direttore dei
lavori; Stefano Morellina, 47 anni, ingegnere foggiano
residente ad Ancona, tecnico del progetto del sottovia.
Nell'udienza di ieri, che ha visto la costituzione come
parti civili del comitato dei cittadini di Villanova e di
quattro residenti attraverso gli avvocati Stefano Crispiani
e Carlo Pesaresi, hanno deposto come testi d'accusa anche un
tenente dei vigili urbani e Paolo Angeloni dirigente del
Servizio ambiente del Comune di Falconara. Angeloni ha
rimarcato che, dopo l'ordinanza inviata alle Fs di
provvedere ad un'immediata bonifica della zona, il problema
di cattivi odori per i residenti fu risolto con gli
interventi apportati dalla ditta ma sotto terra
l'inquinamento rimase diffuso a macchia di leopardo. Il
processo proseguirà il 30 marzo. Gli imputati sono difesi
dagli avvocati Cinzia Molinaro dello studio Scaloni, Marco
Maria Brunetti, Lamberto Giusti e Giuliano Milia. |
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CORRIERE ADRIATICO |
"Quel sottopasso poteva
incendiarsi"
Idrocarburi in falda, cinque
imputati per gli scavi inquinanti a Villanova
di L.S.
"In quel sottopasso c'erano
esalazioni così forti che sarebbe bastato gettare un
mozzicone di sigaretta per far divampare un incendio". Siamo
al processo per gli scavi inquinanti del sottopasso
ferroviario di Villanova e il maresciallo Campaniolo del
Noe, l'investigatore che si occupò del caso, dà l'idea di
quanto l'aria fosse ammorbata dai miasmi degli idrocarburi
presenti nel terreno e poi finiti nella falda sotterranea.
"I residenti della zona ci avevano chiamato segnalando
cattivi odori che salivano dai servizi igienici e constatai
che erano odori molto forti, facevano star male". Secondo
un'indagine condotta dal pm Marco Mansi gli imputati
avrebbero violato a ripetizione le norme sulla tutela delle
acque, sorvolando i divieti di scarico e abbandonando i
rifiuti in modo incontrollato. Il risultato, sempre stando
all'ipotesi d'accusa, fu che il terreno di scavo,
contaminato da idrocarburi aromatici, finì delle acque della
falda provocando un inquinamento. Sono a giudizio Domenico e
Roberto Di Marzio, 72 e 38 anni, titolare e direttore dei
lavori dell'impresa di Chieti che tra l'agosto e l'ottobre
del 2000 stava eseguendo i lavori, quando un sopralluogo
dell'Arpam accertò che c'era stata infiltrazione di
idrocarburi in falda. Con loro sono imputati anche Tomasino
Salvatori, 56 anni, all'epoca direttore compartimentale
infrastrutture delle "Ferrovie Spa" di Ancona, il
progettista Stefano Morellina, 58 anni, e il direttore dei
lavori Mario Esposito, 58 anni. La procura contesta a tutti
quattro ipotesi di reato legate alla normativa sulla tutela
delle acque, nonché il "getto di cose pericolose", i rifiuti
emersi a seguito delle opere di escavazione, "tali da
offendere o molestare le persone". L'inchiesta era partita
da un esposto del comitato di cittadini di Villanova, che
ora si sono costituiti parte civile tramite gli avvocati
Stefano Crispiani e Carlo Maria Pesaresi. Ieri è stato
sentito anche il dottor Paolo Angeloni, responsabile
dell'Ufficio Ambiente del Comune di Falconara. Ha spiegato
che il problema dei cattivi odori s'era risolto, ma nel
sottosuolo c'è un fenomeno di inquinamento a macchia di
leopardo che risale addirittura al periodo bellico. Le
difese hanno sottolineato che nei campioni di terriccio
prelevati la presenza di idrocarburi era nei limiti di
legge. L'unico sforamento s'era avuto in presenza di una
soletta in cemento prevista proprio per decantare le acque
prima dell'immissione in falda. Il processo riprenderà il 30
maggio. |
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