RASSEGNA STAMPA 23.04.2003

 

RESTO DEL CARLINO
«Amagliani non si smentisce»

di Marco Salustri (Coordinatore comunale Margherita )

FALCONARA — L'assessore Regionale Amagliani ancora una volta non si smentisce. Anziché dare giustificazioni sulla sua metamorfosi repentina sulla vicenda Api, che lo ha visto passare dalle ben note posizioni radicali degli ultimi anni alle posizioni possibiliste e onnicomprensive dell'oggi, risponde come suo costume in modo scomposto, cercando di nascondere il suo imbarazzo allargando il tiro dietro altre corresponsabilità che non centrano. Noi ci siamo riferiti a sue dichiarazioni e non di altri, rilasciate alcuni giorni fa in merito al rinnovo della concessione alla raffineria che ci hanno fatto dire e che ci fanno tuttora dire che il ruolo svolto dall'assessore all'Ambiente non è affatto “perfetto” e coerente come lui sostiene. Riteniamo che sia politicamente sbagliato affermare che oggi non “emergono elementi contrari alla proroga” perché ciò non è vero in quanto esistono atti e documenti pubblici “relazioni CTR, CTU, ecc.” che lui stesso richiama, che attestano situazioni di degrado ambientale e di pericolo per la sicurezza dovuti alla presenza della raffineria. Allora secondo noi è più corretto invertire l'approccio al problema ribadendo che “al momento non esistono le condizioni per il rinnovo della concessione” e che il tavolo istituzionale dovrà lavorare nei prossimi mesi per “costruire le condizioni di compatibilità tra raffineria e città” che non può essere solo una questione di prescrizioni. Ciò non è di poco conto, specie dopo l' intervista rilasciata alcuni giorni fa dal presidente dell'Api. Altra affermazione ribadita, non all'altezza di un amministratore pubblico “perfetto”, è quella che non c'è da chiedere alcuna contropartita all'azienda, quando è ormai noto a tutti che nei programmi regionali concordati a livello governativo è previsto il finanziamento pubblico per centinaia di milioni di euro per spostare la linea ferroviaria e la strada statale, proprio per creare alcune di quelle condizioni di compatibilità da tutti auspicate.

 
GAZZETTA DEL SUD
Il pesce della rada è avvelenato

Le conclusioni di un'indagine della Procura sull'inquinamento di Augusta

Un esame chiarirà se è la causa della nascita di bimbi malformati

di Santino Calisti

SIRACUSA – Il pesce della rada di Augusta è “malato”. La colpa sarebbe dei rifiuti tossici che le industrie del polo petrolchimico hanno scaricato per decenni in mare: un comportamento “giustificato” sino alla metà degli anni Ottanta, in assenza di leggi di tutela dell'ambiente, ma che, stando a una clamorosa recente inchiesta, allo stabilimento Enichem di Priolo avrebbero continuato a tenere sino a pochi mesi fa, violando le severe normative nel frattempo entrate in vigore. Il dato emerge da un esame disposto dalla Procura della Repubblica nell'ambito di una delle tante inchieste che puntano ad accertare in che misura le industrie sarebbero responsabili di terribili malattie e gravi danni all'ambiente. I risultati sono stati consegnati nei giorni scorsi. «Le analisi – puntualizza il procuratore capo della Repubblica Roberto Campisi – non sono state eseguite su un solo esemplare, ma ripetute più volte e su più pesci di varie specie pescati nel mare della rada di Augusta. Tutte sono risultate positive». Nei pesci, in altre parole, sarebbero state trovate tracce di sostanze tossiche prodotte dagli stabilimenti della zona industriale, tra cui il famigerato mercurio, sostanza che potrebbe essere la causa della nascita di bambini malformati, il cui numero, negli ultimi anni è schizzato in alto, sino ad attestarsi su un livello che è quasi tre volte superiore al limite di tollerabilità fissato dall'Organizzazione Mondiale della Sanità. Si chiude, dunque, il cerchio? La Procura della Repubblica, dopo anni di indagini, ha finalmente la prova che la causa delle malformazioni e anche di alcune forme di malattie tumorali è l'inquinamento delle industrie? Non ancora. Alla catena manca ancora un anello, che i magistrati contano di potere aggiungere al più presto. L'anello mancante dovrebbe fornirlo un'altra consulenza, che il procuratore capo della Repubblica Roberto Campisi ha detto che affiderà quanto prima. Servirà a provare che l'avvelenamento dei pesci e dei molluschi della rada di Augusta, finiti per tanti anni sulle tavole di tante famiglie (adesso non più, perché in quello specchio di mare, alla luce delle notizie allarmanti emerse dalle inchieste giudiziarie, la Capitaneria di Porto ha vietato la pesca), può avere causato sull'uomo i terribili effetti su cui si sta indagando. La magistratura ha già un dato scientifico che proverebbe questa relazione, ma si trattrebbe di un dato più statistico che strettamene legato alle vicende di cui si occupa l'inchiesta. Ecco spiegato il motivo per cui si è resa necessaria la consulenza annunciata ieri dal procuratore. Provare ciò che per il momento è solo un'ipotesi, anche se la concatenazione tra gli elementi sin qui raccolti appare ovvia, non è cosa semplice. Quanta sostanza tossica c'è in un pesce avvelenato? E quanto bisogna assumerne per rischiare di ammalarsi o di mettere al mondo figli malformati? Sono queste le principali domande alle quali la magistratura siracusana cerca le risposte con la consulenza che si appresta ad affidare. È il nodo cruciale dell'inchiesta, la ricerca di quello che in gergo giudiziario chiamano “nesso di causalità”. Solo quando questo dato emergerà la Procura della Repubblica potrà dire di avere in mano le carte per trascinare dinanzi al giudice qualcuno con buone possibilità di dimostrarne la colpevolezza. Anche se un precedente abbastanza recente, quello di Porto Marghera, induce ad essere molto cauti. In quel caso gli imputati rispondevano di centinaia di operai che erano morti o si erano gravemente ammalati lavorando, a contatto con sostanze altamente tossiche, negli stabilimenti dell'Enichem. L'esito del processo sembrava scontato, ma poi sappiamo tutti com'è andata a finire.

Un collegamento con l'inchiesta sui rifiuti tossici

di Santino Calisti

SIRACUSA – Delle numerose inchieste che la magistratura siracusana ha avviato da qualche anno a questa parte sulle conseguenze che l'inquinamento delle industrie ha avuto e continua ad avere sulla salute dell'uomo e sulla qualità dell'ambiente, la più clamorosa è senz'altro quella che lo scorso gennaio è sfociata in diciotto arresti di dirigenti e responsabili delle produzioni dello stabilimento Enichem di Priolo. L'inchiesta proprio in questi giorni è tornata “calda”. Al giudice delle indagini preliminari è arrivata l'ennesima richiesta di remissione in libertà dei cinque indagati ancora agli arresti domiciliari: i direttori di stabilimento Giuseppe Genitori d'Arrigo, Giuseppe Rivoli e Gaetano Claves, e i responsabili del settore ambiente e sicurezza e della tenuta dei registri di carico e scarico dei rifiuti Giuseppe Farina e Luigi Russo. La Procura della Repubblica ha preannunciato che il suo parere sarà contrario. Nello stesso tempo per domani è stata convocata una conferenza stampa per commentare le motivazioni dell'ordinanza con cui il Tribunale della Libertà ha annullato tredici dei diciotto arresti. I magistrati vogliono con ogni probabilità evidenziare che è stata riconosciuta l'esistenza di gravi indizi di colpevolezza contro gli indagati. La consulenza annunciata ieri dal procuratore capo Roberto Campisi ( della quale riferiamo nell'articolo accanto ) dovrebbe creare un collegamento tra l'inchiesta sui rifiuti tossici che l'Enichem avrebbe smaltito in violazione delle leggi e quella sui bambini nati malformati, della quale il magistrato ha già a disposizione i risultati di tre accertamenti scientifici. Ci sono poi le inchieste sulle discariche abusive di residui industriali e sulle infiltrazioni di greggio nella falda idrica di Priolo. In relazione a quest'ultima vicenda proprio nei giorni scorsi il pm Maurizio Musco ha disposto il sequestro dei 207 serbatoi della raffineria ex Agip, da pochi mesi gestita dalla società Erg-Med. I magistrati ritengono che i serbatoi, ciascuno dei quali contenere sino a 25 mila tonnellate di greggio, abbiano perdite e il liquido inquinante si infiltra nel sottosuolo. L'allarme è scattato circa un anno fa, quando un agricoltore, Sebastiano Cannamela, si è accorto che dal pozzo che usava per irrigare la sua campagna, veniva fuori non più acqua, ma petrolio. Da quel giorno sono scattati interventi per arginare il pericolo ed evitare, prima di ogni cosa, che le perdite di greggio si espandessero e scendessero più in profondità, raggiungendo la falda da cui viene prelevata l'acqua che arriva nelle case degli abitanti di Priolo. Ma sulla causa del disastro ambientale non c'è ancora piena chiarezza. L'inchiesta della magistratura punta a colmare tale lacuna.

 
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