RASSEGNA STAMPA 22.02.2003

 

MESSAGGERO

“Carrette del mare”, varato il decreto. Lion: “Ma all’api non cambia le cose”

Porti italiani vietati alle, vecchie carrette del mare, soprattutto se trasportano materiali inquinanti come greggio, olii o catrame. Lo stabilisce un decreto varato ieri dal Consiglio dei Ministri con cui si anticipa l'entrata in vigore di analoghe disposizioni a livello europeo. Il decreto, tuttavia, entrerà in vigore solo dopo 60 giorni dalla sua pubblicazione in Gazzetta. Questo - ha spiegato il ministro delle Infrastrutture Pietro Lunardi per consentire alle navi già imbarcate o che hanno già predisposto piani di viaggio, di avere il tempo necessario per adeguarsi alla nuova normativa. Il decreto, predisposto da Lunardi e dal ministro dell' Ambiente, Altero Matteolì, stabilisce infatti che «fino all'entrata in vigore di norme dell'Ue di analogo effetto, è vietato l'accesso ai porti, ai terminali off-shore ed alle zone di ancoraggio nazionali delle navi cisterna a scafo singolo di qualsiasi nazionalità, di età superiore ai 15 anni e di portata lorda superiore alle 5 mila tonnellate, che trasportino combustibile pesante, oli usati, greggio pesante, bitume e catrame». Motivo di soddisfazione? Problema, indubbiamente grave, ormai in via di soluzione? Motivi di sollievo per chi teme che da un momento all'altro possa verificarsi una qualche catastrofe. irrimediabile in Adriatico e, magari, proprio davanti alle nostre coste? Non la pensa certamente così l'onorevole marchigiano dei Verdi, Marco Lion che ricorda il caso «Nicole», la carretta del mare colata a picco in Adriatico il 27 gennaio, che «ha tenuto col fiato sospeso I'intera regione Marche per solo 64 tonnellate di gasolio che per poco non si sono riversate in mare». «Oltretutto - indica il deputato dei Verdi con questa limitazione di stazza, restano autorizzate a circolare le tre navi cisterna (la "Tigullio", la "Rapallo" e la "Ronco” che sono tutte monoscafo, utilizzate per il trasbordo di materiali altamente inquinati tra la raffineria Api e i vari depositi costieri dell'Adriatico. Queste navi sono state varate più di vent'anni fa e costituiscono quotidianamente un rischio per le coste marchigiane». «La nostra richiesta - ha concluso Lion - era di impedire, come hanno fatto Spagna e Francia due mesi fa, I'accesso a tutte le carrette dei mari che trasportano prodotti altamente inquinanti, nella zona economica esclusiva italiana, e non solo ai porti. Siamo stanchi delle azioni raffazzonate di questo governo, che ancora una volta ha prodotto un decreto d'immagine, che non tutela né l'ambiente né la sicurezza dei cittadini». Per quanto riguarda la posizione della raffineria era già stato puntualizzato nel caso della "Nicole", nave provvista di doppio fondo ma non di doppio scafo, che le normative vigenti erano state del tutto rispettate. Normative che da quanto si può capire continueranno a restare valide per le tre navi che fanno rotta sulla raffineria.

Paura a New York: a fuoco una raffineria

NEW YORK - Un'esplosione potentissima. Una palla di fuoco alta centinaia di metri. Una colonna di fumo nero e pestilenziale di quasi due chilometri. Alle dieci e dieci del mattino ieri a New York, i fantasmi dell'undici settembre sono tornati per tutti alla mente. Ma le autorità sono state veloci a rassicurare la popolazione: l'esplosione che aveva scatenato l'inferno alla raffineria di Staten Island era solo un incidente. Niente terrorismo. C'è comunque voluto del tempo perché le cose tornassero normali. La protezione civile ha vietato agli aerei di sorvolare la zona, creando caos anche nella circolazione dei tre aeroporti della zona. Bloccato il canale Arthur Kill, che separa la costa occidentale di Staten Island dalla costa del New Jersey, e che serve da corridoio di navigazione per il porto di Newark, pochi chilometri a nord. Centinaia di persone sono state evacuate dalla zona a ridosso della raffineria e a tutti coloro che vivono nel raggio di due chilometri è stato consigliato di rimanere chiusi in casa, per evitare l'aria fortemente inquinata. Se i morti in questa spettacolare catastrofe sono stati solo due, si deve al fatto che nell'attuale situazione di allarme terrorismo i controlli sulla raffineria erano raddoppiati. Così a perdere la vita nell'esplosione di una chiatta che trasportava 100 mila barili di benzina, esplosa pare per una scintilla da elettricità statica, sono stati due uomini addetti al carico, mentre il resto del personale si è salvato e non ci sono state perdite fra gli abitanti. Grazie ai sistemi di sicurezza, inoltre, le fiamme non si sono propagate alle immense cisterne piene di carburante da riscaldamento distanti poche decine di metri, né al gasdotto che parte dalla raffineria e attraversa mezza America. Per Staten Island, che l'undici settembre perse centinaia dei suoi cittadini nell'inferno delle Torri, è stata una brutta giornata: «Ma poteva essere peggio - ha reagito la signora Jennifer Wall -. Molto, molto peggio».

 
CORRIERE DELLA SERA
Raffineria esplode: fumo sui grattacieli New York rivede il dramma delle Torri

Il disastro per un errore durante le operazioni di carico. Vittime due operai

NEW YORK - Un boato, come allora. Il pennacchio, denso e nero sopra la skyline e sui ponti di Manhattan, come allora. Alle dieci e un quarto di questa ennesima mattina di paranoia americana, gli impiegati escono dagli uffici del centro e salgono sui tetti a scrutare la paura, la loro stessa psicosi, che s’espande nel cielo assieme alla nuvola dell’incendio, aspettando di sentire l’odore di carburante, plastica e macerie, come l’11 settembre: non è così, questo non è un altro 11 settembre, ma la gente si comporta ormai come se ogni giorno fosse un remake della data più spaventosa nella storia degli Stati Uniti. Pochi minuti dopo le dieci, una chiatta che doveva trasportare 110 mila barili di propano è esplosa davanti a una raffineria della Exxon nel canale Arthur Kill a Staten Island, il quartiere più periferico tra i cinque che compongono la grande New York, le fiamme sono alte quanto un palazzo di tre piani, il fumo sale per centinaia di metri. Parrebbe un errore umano, lo è quasi di sicuro: un incidente nelle operazioni di carico e scarico. Due operai sono morti, un terzo è ustionato gravemente: ma l’Fbi di Washington non esclude sulle prime l’ipotesi del terrorismo, perché raffinerie, petroliere, impianti chimici e industriali sono nel mirino dei kamikaze, l’attentato contro un cargo francese nello Yemen e, secondo alcuni, il rogo di Tolosa del settembre 2001 lo dimostrano. Tanto basta. Tutto è sempre possibile in questi giorni infami e dunque il primo effetto della notizia appena passata sulle breaking news delle tv nazionali è l’aumento di un dollaro a barile del greggio. Questa è New York oggi, questa è l’America. In questa gente a naso in su sopra i tetti di Manhattan, nella corsa degli speculatori del petrolio, nei toni delle prime interviste - «cosa ha provato in quel momento» e delle prime risposte, «ecco un nuovo 11 settembre, mi sono detto» - si svela il senso del nostro quotidiano da confusi occidentali catapultati in un assurdo clima di guerra: se non ci ammazzano Osama e Saddam, ci ucciderà il batticuore. Col cuore in gola parlano i testimoni, gli abitanti di Staten Island, alle undici di mattina. «Primo pensiero? Il terrorismo. Ero pronta a scappare, la mia casa ha tremato dalle fondamenta», dice Donna Foley, all’incrocio della statale 440 dove sono state piazzate le transenne che isolano la zona per «motivi di sicurezza». «Il boato era uguale a quello delle Torri», spiega ai microfoni e ai taccuini un giovanotto baffuto tra i banchi della frutta a Woodbridge, New Jersey, proprio di fronte al canale dell’esplosione. Forse non è vero. Ma tutti i boati diventano uguali in una nazione dove un sempre sorridente ministro per la Sicurezza, Tom Ridge, ha innalzato da dieci giorni il livello d’allarme (siamo all’arancione, secondo posto dall’alto nel semaforo dell’angoscia) consigliando in diretta tv ai cittadini di «comprare nastro adesivo e sigillare porte e finestre» finché quelli non l’hanno preso così sul serio che il Paese è stato travolto da un’ondata di demenza collettiva, qualche pazzo ha avvolto la casa intera nella plastica, la foto ha fatto il giro del mondo e il ministro ha dovuto attenuare: «Non è il caso di sigillarvi dentro, però state pronti». Ciò che è successo a Staten Island è, fino a prova contraria, una tragedia del lavoro: ma bisogna aspettare che arrivi sul posto il sindaco Mike Bloomberg per vedere ricollocata la storia nei confini della ragionevolezza. Bloomberg è certamente meno spettacolare di Giuliani, di sicuro non suscita gli entusiasmi (e i rancori) del suo predecessore. E ha per le mani un deficit di bilancio che renderebbe impopolare anche Magic Johnson. Però è un uomo pieno di buonsenso. Quando il ministro Ridge ha lanciato la sua campagna per il nastro adesivo, lui s’è affrettato ad ammonire i newyorchesi: «Mi pare una stupidaggine, non obbedite». E adesso è qui, a mezzogiorno e mezzo, nel sole e nel freddo della mattina di Staten Island, a dire parole ragionevoli: «Non c’è assolutamente motivo per pensare che questo sia altro che un terribile incidente industriale, anche se non conosciamo le cause che l’hanno provocato». Attorno ha ancora le fiamme, il fuoco divampa sul canale, il fumo viene portato dal vento verso Nord-est, cioè verso Manhattan. La zona di Arthur Kill è stata evacuata, i trenta operai superstiti della raffineria salvati. Le barche della guardia costiera, i furgoni dei pompieri e le macchine della polizia hanno stretto in una cintura tutta l’area. Il sindaco pensa ai due lavoratori morti nel rogo, «preghiamo per loro», pensa ai suoi concittadini: «Il fuoco sarà presto estinto completamente». Nelle ore appena passate le linee telefoniche con Staten Island si sono ingolfate. Molti, al lavoro a Manhattan, hanno chiamato casa: «Sei in salvo? Non ti muovere e tieni chiuse le finestre». Duecento vigili del fuoco sono arrivati sul posto in pochi minuti. Outerbridge Crossing e il ponte di Verrazzano sono stati chiusi. David Kendrick, polizia di Woodbridge, ha sentito tremare l’ufficio. «Siamo a tre miglia dal disastro», dice: «Dobbiamo tenere lontani gli spettatori, questo non è uno spettacolo». Ma l’America vuole guardare. S’era svegliata con un’altra sciagura negli occhi: il rogo in una discoteca di Rhode Island, morti a dozzine ma nessun sospetto di terrorismo. La raffineria di Staten Island ha fatto girare le telecamere verso New York. Bloomberg dice: «Il fumo si dissiperà in fretta». Non così l’ansia. Quando la Cnn cambia breaking news , capiamo che l’allarme da noi è finito, ma solo per ora.

 
LA STAMPA
Brivido attentato a New York In fiamme una raffineria Exxon

Centralini della polizia impazziti, i vigili del fuoco escludono subito l'atto terroristico

L'esplosione della piattaforma galleggiante di una raffineria di Staten Island ha fatto correre un brivido attraverso New York, che per breve tempo ha temuto che fosse realmente avvenuto l'attentato terroristico da una settimana preannunciato dai più alti responsabili della Cia e dell'Fbi. Tutto è iniziato alle 10.10 di ieri mattina (le 16.10 in Italia) quando una forte esplosione ha fatto tremare le case degli abitanti di Staten Island - uno dei cinque grandi quartieri di New York - in un raggio di diversi chilometri. La reazione iniziale di molti è stato l´incubo di un nuovo 11 settembre 2001. Non a caso si è registrata un'impennata di telefonate ai numeri di emergenza e di contatti al nuovo sito Internet «Ready.gov» del governo, nel quale si trovano dettagliate informazioni su che cosa fare per fronteggiare i diversi tipi di attacco terroristico: convenzionale, chimico, batteriologico o radiologico. «Qui a Staten Island abbiamo subìto molti lutti per l'11 settembre e molte famiglie hanno rivissuto attimi di terrore» ha testimoniato il deputato locale Vito Fossella. La colonna di fumo nero, denso, alto sul cielo di New York - che oltre l'Hudson sfiorava i grattacieli di Manhattan - riproponeva a occhio nudo le immagini drammatiche seguite all'attacco dell'11 settembre 2001 da parte degli aerei-missili di Al Qaeda. Nell'incertezza sulle cause, e obbligato dalla nuvole di fumo, l'Fbi ha mandato sul luogo una squadra di agenti anti-terrorismo per accertare quant'era avvenuto, mentre le autorità dell'aviazione civile per alcune ore sospendevano il transito di voli in un raggio di tre chilometri, creando alcuni ritardi al vicino aeroporto internazionale di Newark. Come già avvenuto in precedenti disastri, la prima preoccupazione delle autorità è stata quella di rassicurare la popolazione, nell'intento di evitare panico e conseguenze negative sulla vita (e l'economia) della città. Un portavoce dell'Fbi ha subito fatto sapere che «l'incidente non ha nulla a che vedere con il terrorismo». Poi il sindaco, Michael Bloomberg, arrivato a poche decine di metri dalla zona in fiamme, ha spiegato i fatti: «E' un incidente industriale. Una chiatta si stava rifornendo di quattro milioni di galloni di benzina quando, per ragioni che ancora non conosciamo c'è stata una forte esplosione. Due persone che lavoravano sulla chiatta risultano dispersi, e temiamo il peggio per loro. Dei trenta lavoratori della Exxon Mobil solo uno è ferito, e si trova ora in ospedale in condizioni critiche. Non c'è assolutamente alcuna ragione per ritenere che si sia trattato di qualcosa di più di un tragico incidente». La raffineria appartiene alla società petrolifera Exxon Mobil, che ha aggiunto ulteriori dettagli: la piattaforma conteneva 110 mila barili di benzina senza piombo e l'esplosione è avvenuta durante il rifornimento con il deposito di terraferma, dov'erano immagazzinati anche gasolina, un combustibile per riscaldamento, e altri derivati dal greggio. L'intervento delle squadre di emergenza, con il sostegno dei guardacoste, è riuscito a confinare l'incendio alla piattaforma esplosa (e affondata) e a un'altra nelle strette vicinanze. Nel giro di tre ore le fiamme erano domate. Il bilancio finale è di un dipendente morto, uno disperso e uno gravemente ustionato. A subire il maggior danno è stato l'importante scalo portuale di Newark, nel New Jersey, che è stato chiuso al traffico delle imbarcazioni. Parte della chiatta è affondata nel porto con una gran quantità di benzina a bordo. La rapidità delle smentite sulla matrice terrorista non hanno impedito che la notizia dell'incidente, appena arrivata a Wall Street, contribuisse a un aumento del prezzo del petrolio che, anche sulla scia dei timori iracheni, è arrivato a quota 35,65 dollari. «La preoccupazione degli operatori sta nel fatto che il danno riguarda un importante deposito di carburante di una delle maggiori strutture del Porto di New York - spiega Ed Silliere, vicepresidente di Energy Merchant -. Dobbiamo aspettare che l'incendio sia del tutto domato per conoscere con certezza l'entità dei danni». Il comune ha disposto controlli sull'aria di New York per accertare l´eventuale presenza di sostanze tossiche.

 
REPUBBLICA.IT (on line)
New York, raffineria in fiamme paura e vittime a Staten Island

Il rogo dopo lo scoppio di una chiatta con 110mila barili di benzina Dal porto si alza oltre i grattacieli una lunga colonna di fumo nero

Due le vittime della sciagura. Escluso l'atto terroristico

NEW YORK - Una violenta esplosione. Poi le fiamme, che sono divampate liberando un fumo nero visibile a diversi chilometri di distanza. E' il devastante incendio che da questa mattina alle 10.00 (le 16.00 in Italia) sta distruggendo una raffineria di petrolio della Exxon Mobil a Staten Island, uno dei cinque quartieri di New York a sud di Manhattan. Un terribile rogo, che secondo la Cnn avrebbe provocato anche alcune vittime. Il bilancio, provvisorio, parla di due morti. Dalle immagini trasmesse in diretta dalle tv "all news" americane si capisce che sarà molto difficile, pure se le fiamme sono sotto controllo, spegnere il grande rogo. Il fuoco avvolge completamente la struttura e parte del greggio brucia direttamente dall'acqua: l'impianto sorge infatti sulle rive dell'Arthur Kill Channel. Sopra i grattacieli di Manhattan si può vedere un ampio pennacchio di fumo nero, e la scena ricorda - per fortuna con drammaticità incomparabilmente minore - quanto si vide nel cielo della metropoli americana l'11 settembre. A scanso di equivoci, comunque, l'Fbi ha escluso, per ora, che all'origine dell'episodio ci possa essere un atto di terrorismo. Secondo la Cnn le fiamme si sono propagate dopo l'esplosione di una chiatta che conteneva 110mila barili di benzina e che è successivamente affondata. L'incidente sarebbe avvenuto durante un rifornimento. Sul posto sono al lavoro 250 vigili del fuoco. Intanto, anche a causa di questo incidente a New York, le quotazioni del greggio di riferimento salgono a Londra oltre la soglia dei 32 dollari. Il contratto del Brent per consegna ad aprile viene scambiato attualmente sull'International Petroleum Exchange della capitale inglese a quota 32,20 dollari al barile, il 2% in più rispetto ai 31,56 dollari segnati in chiusura di ieri.

 
GAZZETTA DEL SUD
Porti vietati alle carrette del mare

Un decreto del governo “anticipa” la legislazione europea: mai più petroliere fatiscenti cariche di veleni

Esultano Wwf e Greenpeace, incontentabili i Verdi: «Misura insufficiente»

ROMA – Porti italiani vietati alle vecchie carrette del mare, soprattutto se trasportano materiali inquinanti come greggio, olii o catrame. Lo stabilisce un decreto varato ieri dal Consiglio dei Ministri con cui si anticipa l'entrata in vigore di analoghe disposizioni a livello europeo. Il decreto, tuttavia, entrerà in vigore solo dopo 60 giorni dalla sua pubblicazione in Gazzetta. Questo, ha spiegato il ministro delle Infrastrutture Pietro Lunardi, per consentire alle navi già imbarcate o che hanno già predisposto piani di viaggio, di avere il tempo necessario per adeguarsi alla nuova normativa. Il decreto, predisposto da Lunardi e dal ministro dell'Ambiente, Altero Matteoli, stabilisce infatti che «fino all'entrata in vigore di norme dell'Ue di analogo effetto, è vietato l'accesso ai porti, ai terminali off-shore ed alle zone di ancoraggio nazionali delle navi cisterna a scafo singolo di qualsiasi nazionalità, di età superiore ai 15 anni e di portata lorda superiore alle 5 mila tonnellate, che trasportino combustibile pesante, oli usati, greggio pesante, bitume e catrame». «Il decreto interministeriale – ha detto Matteoli – entra in vigore il 60. giorno dalla sua pubblicazione perché ci sono navi che hanno già lasciato i porti ed è giusto che concludano il viaggio». Ambedue i ministri hanno poi spiegato che il provvedimento è stato assunto con un certo ritardo rispetto alle intenzioni iniziali perchè si è cercato di fare adottare una normativa analoga anche ai paesi dell'ex Jugoslavia in modo tale da evitare che le carrette del mare possano circolare nell'Adriatico. «Purtroppo – ha concluso Mateoli – i ritardi che rischiavamo aspettando ci hanno indotto a firmare questo decreto». Una misura «insufficiente», una «vera presa in giro». Così i Verdi commentano il decreto. «Ancora una volta – osserva il deputato Marco Lion – il governo fa le cose a metà. È incomprensibile aver ristretto il provvedimento solo alle navi di oltre 5.000 tonnellate e soltanto per l'ingresso ai porti o ai terminali off-shore». I rischi di incidenti, aggiunge, «sono presenti soprattutto durante la navigazione e a prescindere dalla stazza dei natanti, anzi un'imbarcazione piccola in particolari condizioni meteorologiche corre più rischi delle più grandi e più stabili petroliere». «L'applicazione del provvedimento è una grande vittoria per gli ambientalisti, che a fianco degli armatori avevano spinto il Governo ad emanare questo decreto». Questo il commento di Legambiente e Wwf. «Adesso – aggiungono – ci auguriamo che la nuova normativa venga estesa al più presto a tutto il Mediterraneo perché la protezione delle 12 miglia di acque territoriali non basta certo a tutelarci dai disastri possibili nelle acque dei Paesi circostanti». «Grazie al decreto, gli armatori saranno costretti a rinnovare la flotta circolante. È urgente però ridurre il traffico petroliere che solcano i nostri mari, sviluppando le energie alternative (eolico, solare e piccolo idroelettrico)»: così il direttore scientifico di Greenpeace, Fabrizio Fabbri, commenta il decreto interministeriale. «La misura presa – spiega Fabbri – andrebbe estesa al più presto a tutte le navi che trasportano sostanze pericolose. Il greggio che ogni anno viaggia intorno alle nostre coste è pari a ben 123 milioni di tonnellate, che raggiungono i 170 se si considerano anche i prodotti della raffinazione. Questa cifra – sottolinea – rappresenta la metà dell'intero traffico petrolifero del Mediterraneo».

 
IL PICCOLO - giornale di Trieste
«Nei mari italiani accesso vietato alle carrette»

Un decreto firmato dai ministri dell’Ambiente e dei Trasporti vieta l’ingresso nei porti delle navi con più di 15 anni che trasportano materiali inquinanti

Il provvedimento sarà valido «fino all’entrata in vigore di norme dell’Unione europea di analogo effetto»

ROMA - Porti italiani off-limits per le carrette del mare, cioè le navi cisterna a scafo singolo con più di 15 anni ed una portata superiore alle 5 mila tonnellate, che trasportano combustibile pesante, oli usati, greggio pesante, bitume e catrame. Lo prevede il decreto interministeriale firmato dai ministri dell'Ambiente, Altero Matteoli e delle Infrastrutture e dei Trasporti, Pietro Lunardi. Il provvedimento sarà valido «fino all'entrata in vigore di norme dell'Unione europea di analogo effetto» ed entrerà in vigore fra 60 giorni. Questi due mesi serviranno a consentire alle navi già imbarcate o che hanno già predisposto piani di viaggio, di avere il tempo necessario per adeguarsi alla nuova normativa. «Il ritardo di due-tre settimane per l’emanazione del decreto - hanno spiegato Matteoli e Lunardi - è dovuto alle consultazioni fatte con gli altri Paesi che si affacciano sull'Adriatico, per invitarli ad adottare lo stesso nostro approccio. Ma, visti i ritardi, abbiamo deciso di andare avanti noi, intanto». Una decisione in questo senso, hanno proseguito, «va comunque presa a livello europeo. A seguito dell' affondamento della Prestige ne abbiamo parlato negli ultimi mesi del 2002 e c'è l'intenzione di accelerare i tempi. I viaggi delle carrette del mare sono dannosi e vanno controllati». La misura viene giudicata una presa in giro dal verde Marco Lion. Ancora una volta, osserva, «il Governo fa le cose a metà. È incomprensibile aver ristretto il provvedimento solo alle navi di oltre 5.000 tonnellate e soltanto per l'ingresso ai porti o ai terminali off-shore». I rischi di incidenti, aggiunge, «sono presenti soprattutto durante la navigazione e a prescindere dalla stazza dei natanti, anzi un' imbarcazione piccola in particolari condizioni meteorologiche corre più rischi delle più grandi e più stabili petroliere». Soddisfatte invece le associazioni, che invitano però a fare un passo avanti. «Grazie al decreto - rileva Greenpeace - gli armatori saranno costretti a rinnovare la flotta circolante. È urgente però ridurre il traffico petroliere che solcano i nostri mari, sviluppando le energie alternative». L'associazione ricorda poi che «il greggio che ogni anno viaggia intorno alle nostre coste è pari a ben 123 milioni di tonnellate, che raggiungono i 170 se si considerano anche i prodotti della raffinazione. Questa cifra - sottolinea - rappresenta la metà dell'intero traffico petrolifero del Mediterraneo». Per Legambiente e Wwf, «l'applicazione del provvedimento è una grande vittoria per gli ambientalisti, che a fianco degli armatori avevano spinto il Governo ad emanare questo decreto». Adesso, aggiungono, «ci auguriamo che la nuova normativa venga estesa al più presto a tutto il Mediterraneo perché la protezione delle 12 miglia di acque territoriali non basta certo a tutelarci dai disastri possibili nelle acque dei Paesi circostanti». La misura, proseguono, «è un esempio virtuoso, tanto più rilevante per il fatto che giunge pochi mesi prima del passaggio di presidenza dell'Ue in mani italiane. Sollecitiamo quindi con forza l'Italia affinché sostenga in quella sede l'estensione del provvedimento a tutti i porti europei».

 
GAZZETTA DEL MEZZOGIORNO
Porti vietati per le carrette del mare

ROMA - Porti italiani off limits per le carrette del mare, cioè le navi cisterne a scafo singolo con più di 15 anni ed una portata superiore alle 5.000 tonnellate, che trasportano combustibile pesante, oli usati, greggio pesante, bitume e catrame. Lo prevede il decreto interministeriale firmato dai ministri dell'Ambiente, Altero Matteoli e delle Infrastrutture e dei Trasporti, Pietro Lunardi. Il provvedimento sarà valido «fino all'entrata in vigore di norme dell'Unione europea di analogo effetto» ed entrerà in vigore fra 60 giorni. Questi due mesi serviranno a consentire alle navi già imbarcate o che hanno già predisposto piani di viaggio, di avere il tempo necessario per adeguarsi alla nuova normativa. «Il ritardo di due-tre settimane per l'emanazione del decreto - hanno spiegato Matteoli e Lunardi - è dovuto alle consultazioni fatte con gli altri Paesi che si affacciano sull'Adriatico, per invitarli ad adottare lo stesso nostro approccio. Ma, visti i ritardi, abbiamo deciso di andare avanti noi, intanto». Una decisione in questo senso, hanno proseguito, «va comunque presa a livello europeo. A seguito dell'affondamento della Prestige ne abbiamo parlato negli ultimi mesi del 2002 e c'è l'intenzione di accelerare i tempi. I viaggi delle carrette del mare sono dannosi e vanno controllati».

I VERDI - La misura viene giudicata una presa in giro dal verde Marco Lion. Ancora una volta, osserva, «il Governo fa le cose a metà. E' incomprensibile aver ristretto il provvedimento solo alle navi di oltre 5.000 tonnellate e soltanto per l' ingresso ai porti o ai terminali off-shore».

LE ASSOCIAZIONI AMBIENTALISTE - Soddisfatte invece le associazioni, che invitano però a fare un passo avanti. «Grazie al decreto - rileva Greenpeace - gli armatori saranno costretti a rinnovare la flotta circolante. È urgente però ridurre il traffico petroliere che solcano i nostri mari, sviluppando le energie alternative (eolico, solare e piccolo idroelettrico)». L'associazione ricorda poi che «il greggio che ogni anno viaggia intorno alle nostre coste è pari a ben 123 milioni di tonnellate, che raggiungono i 170 se si considerano anche i prodotti della raffinazione. Questa cifra - sottolinea - rappresenta la metà dell' intero traffico petrolifero del Mediterraneo». Per Legambiente e Wwf, «l'applicazione del provvedimento è una grande vittoria per gli ambientalisti, che a fianco degli armatori avevano spinto il Governo ad emanare questo decreto». Adesso, aggiungono, «ci auguriamo che la nuova normativa venga estesa al più presto a tutto il Mediterraneo perché la protezione delle 12 miglia di acque territoriali non basta certo a tutelarci dai disastri possibili nelle acque dei Paesi circostanti». La misura, proseguono, «è un esempio virtuoso».

 
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