MESSAGGERO |
“Carrette del mare”, varato il decreto. Lion: “Ma all’api
non cambia le cose”
Porti
italiani vietati alle, vecchie carrette del mare,
soprattutto se trasportano materiali inquinanti come
greggio, olii o catrame. Lo stabilisce un decreto varato
ieri dal Consiglio dei Ministri con cui si anticipa
l'entrata in vigore di analoghe disposizioni a livello
europeo. Il decreto, tuttavia, entrerà in vigore solo dopo
60 giorni dalla sua pubblicazione in Gazzetta. Questo - ha
spiegato il ministro delle Infrastrutture Pietro Lunardi per
consentire alle navi già imbarcate o che hanno già
predisposto piani di viaggio, di avere il tempo necessario
per adeguarsi alla nuova normativa. Il decreto, predisposto
da Lunardi e dal ministro dell' Ambiente, Altero Matteolì,
stabilisce infatti che «fino all'entrata in vigore di norme
dell'Ue di analogo effetto, è vietato l'accesso ai porti, ai
terminali off-shore ed alle zone di ancoraggio nazionali
delle navi cisterna a scafo singolo di qualsiasi
nazionalità, di età superiore ai 15 anni e di portata lorda
superiore alle 5 mila tonnellate, che trasportino
combustibile pesante, oli usati, greggio pesante, bitume e
catrame». Motivo di soddisfazione? Problema, indubbiamente
grave, ormai in via di soluzione? Motivi di sollievo per chi
teme che da un momento all'altro possa verificarsi una
qualche catastrofe. irrimediabile in Adriatico e, magari,
proprio davanti alle nostre coste? Non la pensa certamente
così l'onorevole marchigiano dei Verdi, Marco Lion che
ricorda il caso «Nicole», la carretta del mare colata a
picco in Adriatico il 27 gennaio, che «ha tenuto col fiato
sospeso I'intera regione Marche per solo 64 tonnellate di
gasolio che per poco non si sono riversate in mare».
«Oltretutto - indica il deputato dei Verdi con questa
limitazione di stazza, restano autorizzate a circolare le
tre navi cisterna (la "Tigullio", la "Rapallo" e la "Ronco”
che sono tutte monoscafo, utilizzate per il trasbordo di
materiali altamente inquinati tra la raffineria Api e i vari
depositi costieri dell'Adriatico. Queste navi sono state
varate più di vent'anni fa e costituiscono quotidianamente
un rischio per le coste marchigiane». «La nostra richiesta -
ha concluso Lion - era di impedire, come hanno fatto Spagna
e Francia due mesi fa, I'accesso a tutte le carrette dei
mari che trasportano prodotti altamente inquinanti, nella
zona economica esclusiva italiana, e non solo ai porti.
Siamo stanchi delle azioni raffazzonate di questo governo,
che ancora una volta ha prodotto un decreto d'immagine, che
non tutela né l'ambiente né la sicurezza dei cittadini». Per
quanto riguarda la posizione della raffineria era già stato
puntualizzato nel caso della "Nicole", nave provvista di
doppio fondo ma non di doppio scafo, che le normative
vigenti erano state del tutto rispettate. Normative che da
quanto si può capire continueranno a restare valide per le
tre navi che fanno rotta sulla raffineria.
Paura a New
York: a fuoco una raffineria
NEW YORK - Un'esplosione
potentissima. Una palla di fuoco alta centinaia di metri.
Una colonna di fumo nero e pestilenziale di quasi due
chilometri. Alle dieci e dieci del mattino ieri a New York,
i fantasmi dell'undici settembre sono tornati per tutti alla
mente. Ma le autorità sono state veloci a rassicurare la
popolazione: l'esplosione che aveva scatenato l'inferno alla
raffineria di Staten Island era solo un incidente. Niente
terrorismo. C'è comunque voluto del tempo perché le cose
tornassero normali. La protezione civile ha vietato agli
aerei di sorvolare la zona, creando caos anche nella
circolazione dei tre aeroporti della zona. Bloccato il
canale Arthur Kill, che separa la costa occidentale di
Staten Island dalla costa del New Jersey, e che serve da
corridoio di navigazione per il porto di Newark, pochi
chilometri a nord. Centinaia di persone sono state evacuate
dalla zona a ridosso della raffineria e a tutti coloro che
vivono nel raggio di due chilometri è stato consigliato di
rimanere chiusi in casa, per evitare l'aria fortemente
inquinata. Se i morti in questa spettacolare catastrofe sono
stati solo due, si deve al fatto che nell'attuale situazione
di allarme terrorismo i controlli sulla raffineria erano
raddoppiati. Così a perdere la vita nell'esplosione di una
chiatta che trasportava 100 mila barili di benzina, esplosa
pare per una scintilla da elettricità statica, sono stati
due uomini addetti al carico, mentre il resto del personale
si è salvato e non ci sono state perdite fra gli abitanti.
Grazie ai sistemi di sicurezza, inoltre, le fiamme non si
sono propagate alle immense cisterne piene di carburante da
riscaldamento distanti poche decine di metri, né al gasdotto
che parte dalla raffineria e attraversa mezza America. Per
Staten Island, che l'undici settembre perse centinaia dei
suoi cittadini nell'inferno delle Torri, è stata una brutta
giornata: «Ma poteva essere peggio - ha reagito la signora
Jennifer Wall -. Molto, molto peggio». |
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CORRIERE DELLA
SERA |
Raffineria
esplode: fumo sui grattacieli New York rivede il dramma
delle Torri
Il disastro per un errore
durante le operazioni di carico. Vittime due operai
NEW YORK - Un boato, come
allora. Il pennacchio, denso e nero sopra la skyline e sui
ponti di Manhattan, come allora. Alle dieci e un quarto di
questa ennesima mattina di paranoia americana, gli impiegati
escono dagli uffici del centro e salgono sui tetti a
scrutare la paura, la loro stessa psicosi, che s’espande nel
cielo assieme alla nuvola dell’incendio, aspettando di
sentire l’odore di carburante, plastica e macerie, come l’11
settembre: non è così, questo non è un altro 11 settembre,
ma la gente si comporta ormai come se ogni giorno fosse un
remake della data più spaventosa nella storia degli Stati
Uniti. Pochi minuti dopo le dieci, una chiatta che doveva
trasportare 110 mila barili di propano è esplosa davanti a
una raffineria della Exxon nel canale Arthur Kill a Staten
Island, il quartiere più periferico tra i cinque che
compongono la grande New York, le fiamme sono alte quanto un
palazzo di tre piani, il fumo sale per centinaia di metri.
Parrebbe un errore umano, lo è quasi di sicuro: un incidente
nelle operazioni di carico e scarico. Due operai sono morti,
un terzo è ustionato gravemente: ma l’Fbi di Washington non
esclude sulle prime l’ipotesi del terrorismo, perché
raffinerie, petroliere, impianti chimici e industriali sono
nel mirino dei kamikaze, l’attentato contro un cargo
francese nello Yemen e, secondo alcuni, il rogo di Tolosa
del settembre 2001 lo dimostrano. Tanto basta. Tutto è
sempre possibile in questi giorni infami e dunque il primo
effetto della notizia appena passata sulle breaking news
delle tv nazionali è l’aumento di un dollaro a barile del
greggio. Questa è New York oggi, questa è l’America. In
questa gente a naso in su sopra i tetti di Manhattan, nella
corsa degli speculatori del petrolio, nei toni delle prime
interviste - «cosa ha provato in quel momento» e delle prime
risposte, «ecco un nuovo 11 settembre, mi sono detto» - si
svela il senso del nostro quotidiano da confusi occidentali
catapultati in un assurdo clima di guerra: se non ci
ammazzano Osama e Saddam, ci ucciderà il batticuore. Col
cuore in gola parlano i testimoni, gli abitanti di Staten
Island, alle undici di mattina. «Primo pensiero? Il
terrorismo. Ero pronta a scappare, la mia casa ha tremato
dalle fondamenta», dice Donna Foley, all’incrocio della
statale 440 dove sono state piazzate le transenne che
isolano la zona per «motivi di sicurezza». «Il boato era
uguale a quello delle Torri», spiega ai microfoni e ai
taccuini un giovanotto baffuto tra i banchi della frutta a
Woodbridge, New Jersey, proprio di fronte al canale
dell’esplosione. Forse non è vero. Ma tutti i boati
diventano uguali in una nazione dove un sempre sorridente
ministro per la Sicurezza, Tom Ridge, ha innalzato da dieci
giorni il livello d’allarme (siamo all’arancione, secondo
posto dall’alto nel semaforo dell’angoscia) consigliando in
diretta tv ai cittadini di «comprare nastro adesivo e
sigillare porte e finestre» finché quelli non l’hanno preso
così sul serio che il Paese è stato travolto da un’ondata di
demenza collettiva, qualche pazzo ha avvolto la casa intera
nella plastica, la foto ha fatto il giro del mondo e il
ministro ha dovuto attenuare: «Non è il caso di sigillarvi
dentro, però state pronti». Ciò che è successo a Staten
Island è, fino a prova contraria, una tragedia del lavoro:
ma bisogna aspettare che arrivi sul posto il sindaco Mike
Bloomberg per vedere ricollocata la storia nei confini della
ragionevolezza. Bloomberg è certamente meno spettacolare di
Giuliani, di sicuro non suscita gli entusiasmi (e i rancori)
del suo predecessore. E ha per le mani un deficit di
bilancio che renderebbe impopolare anche Magic Johnson. Però
è un uomo pieno di buonsenso. Quando il ministro Ridge ha
lanciato la sua campagna per il nastro adesivo, lui s’è
affrettato ad ammonire i newyorchesi: «Mi pare una
stupidaggine, non obbedite». E adesso è qui, a mezzogiorno e
mezzo, nel sole e nel freddo della mattina di Staten Island,
a dire parole ragionevoli: «Non c’è assolutamente motivo per
pensare che questo sia altro che un terribile incidente
industriale, anche se non conosciamo le cause che l’hanno
provocato». Attorno ha ancora le fiamme, il fuoco divampa
sul canale, il fumo viene portato dal vento verso Nord-est,
cioè verso Manhattan. La zona di Arthur Kill è stata
evacuata, i trenta operai superstiti della raffineria
salvati. Le barche della guardia costiera, i furgoni dei
pompieri e le macchine della polizia hanno stretto in una
cintura tutta l’area. Il sindaco pensa ai due lavoratori
morti nel rogo, «preghiamo per loro», pensa ai suoi
concittadini: «Il fuoco sarà presto estinto completamente».
Nelle ore appena passate le linee telefoniche con Staten
Island si sono ingolfate. Molti, al lavoro a Manhattan,
hanno chiamato casa: «Sei in salvo? Non ti muovere e tieni
chiuse le finestre». Duecento vigili del fuoco sono arrivati
sul posto in pochi minuti. Outerbridge Crossing e il ponte
di Verrazzano sono stati chiusi. David Kendrick, polizia di
Woodbridge, ha sentito tremare l’ufficio. «Siamo a tre
miglia dal disastro», dice: «Dobbiamo tenere lontani gli
spettatori, questo non è uno spettacolo». Ma l’America vuole
guardare. S’era svegliata con un’altra sciagura negli occhi:
il rogo in una discoteca di Rhode Island, morti a dozzine ma
nessun sospetto di terrorismo. La raffineria di Staten
Island ha fatto girare le telecamere verso New York.
Bloomberg dice: «Il fumo si dissiperà in fretta». Non così
l’ansia. Quando la Cnn cambia breaking news , capiamo che
l’allarme da noi è finito, ma solo per ora. |
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LA STAMPA |
Brivido
attentato a New York In fiamme una raffineria Exxon
Centralini della polizia
impazziti, i vigili del fuoco escludono subito l'atto
terroristico
L'esplosione della
piattaforma galleggiante di una raffineria di Staten Island
ha fatto correre un brivido attraverso New York, che per
breve tempo ha temuto che fosse realmente avvenuto
l'attentato terroristico da una settimana preannunciato dai
più alti responsabili della Cia e dell'Fbi. Tutto è iniziato
alle 10.10 di ieri mattina (le 16.10 in Italia) quando una
forte esplosione ha fatto tremare le case degli abitanti di
Staten Island - uno dei cinque grandi quartieri di New York
- in un raggio di diversi chilometri. La reazione iniziale
di molti è stato l´incubo di un nuovo 11 settembre 2001. Non
a caso si è registrata un'impennata di telefonate ai numeri
di emergenza e di contatti al nuovo sito Internet «Ready.gov»
del governo, nel quale si trovano dettagliate informazioni
su che cosa fare per fronteggiare i diversi tipi di attacco
terroristico: convenzionale, chimico, batteriologico o
radiologico. «Qui a Staten Island abbiamo subìto molti lutti
per l'11 settembre e molte famiglie hanno rivissuto attimi
di terrore» ha testimoniato il deputato locale Vito Fossella.
La colonna di fumo nero, denso, alto sul cielo di New York -
che oltre l'Hudson sfiorava i grattacieli di Manhattan -
riproponeva a occhio nudo le immagini drammatiche seguite
all'attacco dell'11 settembre 2001 da parte degli
aerei-missili di Al Qaeda. Nell'incertezza sulle cause, e
obbligato dalla nuvole di fumo, l'Fbi ha mandato sul luogo
una squadra di agenti anti-terrorismo per accertare quant'era
avvenuto, mentre le autorità dell'aviazione civile per
alcune ore sospendevano il transito di voli in un raggio di
tre chilometri, creando alcuni ritardi al vicino aeroporto
internazionale di Newark. Come già avvenuto in precedenti
disastri, la prima preoccupazione delle autorità è stata
quella di rassicurare la popolazione, nell'intento di
evitare panico e conseguenze negative sulla vita (e
l'economia) della città. Un portavoce dell'Fbi ha subito
fatto sapere che «l'incidente non ha nulla a che vedere con
il terrorismo». Poi il sindaco, Michael Bloomberg, arrivato
a poche decine di metri dalla zona in fiamme, ha spiegato i
fatti: «E' un incidente industriale. Una chiatta si stava
rifornendo di quattro milioni di galloni di benzina quando,
per ragioni che ancora non conosciamo c'è stata una forte
esplosione. Due persone che lavoravano sulla chiatta
risultano dispersi, e temiamo il peggio per loro. Dei trenta
lavoratori della Exxon Mobil solo uno è ferito, e si trova
ora in ospedale in condizioni critiche. Non c'è
assolutamente alcuna ragione per ritenere che si sia
trattato di qualcosa di più di un tragico incidente». La
raffineria appartiene alla società petrolifera Exxon Mobil,
che ha aggiunto ulteriori dettagli: la piattaforma conteneva
110 mila barili di benzina senza piombo e l'esplosione è
avvenuta durante il rifornimento con il deposito di
terraferma, dov'erano immagazzinati anche gasolina, un
combustibile per riscaldamento, e altri derivati dal
greggio. L'intervento delle squadre di emergenza, con il
sostegno dei guardacoste, è riuscito a confinare l'incendio
alla piattaforma esplosa (e affondata) e a un'altra nelle
strette vicinanze. Nel giro di tre ore le fiamme erano
domate. Il bilancio finale è di un dipendente morto, uno
disperso e uno gravemente ustionato. A subire il maggior
danno è stato l'importante scalo portuale di Newark, nel New
Jersey, che è stato chiuso al traffico delle imbarcazioni.
Parte della chiatta è affondata nel porto con una gran
quantità di benzina a bordo. La rapidità delle smentite
sulla matrice terrorista non hanno impedito che la notizia
dell'incidente, appena arrivata a Wall Street, contribuisse
a un aumento del prezzo del petrolio che, anche sulla scia
dei timori iracheni, è arrivato a quota 35,65 dollari. «La
preoccupazione degli operatori sta nel fatto che il danno
riguarda un importante deposito di carburante di una delle
maggiori strutture del Porto di New York - spiega Ed
Silliere, vicepresidente di Energy Merchant -. Dobbiamo
aspettare che l'incendio sia del tutto domato per conoscere
con certezza l'entità dei danni». Il comune ha disposto
controlli sull'aria di New York per accertare l´eventuale
presenza di sostanze tossiche. |
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REPUBBLICA.IT (on
line) |
New York,
raffineria in fiamme paura e vittime a Staten Island
Il rogo dopo lo scoppio di
una chiatta con 110mila barili di benzina Dal porto si alza
oltre i grattacieli una lunga colonna di fumo nero
Due le vittime della
sciagura. Escluso l'atto terroristico
NEW YORK - Una violenta
esplosione. Poi le fiamme, che sono divampate liberando un
fumo nero visibile a diversi chilometri di distanza. E' il
devastante incendio che da questa mattina alle 10.00 (le
16.00 in Italia) sta distruggendo una raffineria di petrolio
della Exxon Mobil a Staten Island, uno dei cinque quartieri
di New York a sud di Manhattan. Un terribile rogo, che
secondo la Cnn avrebbe provocato anche alcune vittime. Il
bilancio, provvisorio, parla di due morti. Dalle immagini
trasmesse in diretta dalle tv "all news" americane si
capisce che sarà molto difficile, pure se le fiamme sono
sotto controllo, spegnere il grande rogo. Il fuoco avvolge
completamente la struttura e parte del greggio brucia
direttamente dall'acqua: l'impianto sorge infatti sulle rive
dell'Arthur Kill Channel. Sopra i grattacieli di Manhattan
si può vedere un ampio pennacchio di fumo nero, e la scena
ricorda - per fortuna con drammaticità incomparabilmente
minore - quanto si vide nel cielo della metropoli americana
l'11 settembre. A scanso di equivoci, comunque, l'Fbi ha
escluso, per ora, che all'origine dell'episodio ci possa
essere un atto di terrorismo. Secondo la Cnn le fiamme si
sono propagate dopo l'esplosione di una chiatta che
conteneva 110mila barili di benzina e che è successivamente
affondata. L'incidente sarebbe avvenuto durante un
rifornimento. Sul posto sono al lavoro 250 vigili del fuoco.
Intanto, anche a causa di questo incidente a New York, le
quotazioni del greggio di riferimento salgono a Londra oltre
la soglia dei 32 dollari. Il contratto del Brent per
consegna ad aprile viene scambiato attualmente sull'International
Petroleum Exchange della capitale inglese a quota 32,20
dollari al barile, il 2% in più rispetto ai 31,56 dollari
segnati in chiusura di ieri. |
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GAZZETTA DEL SUD |
Porti
vietati alle carrette del mare
Un decreto del governo
“anticipa” la legislazione europea: mai più petroliere
fatiscenti cariche di veleni
Esultano Wwf e Greenpeace,
incontentabili i Verdi: «Misura insufficiente»
ROMA – Porti italiani vietati
alle vecchie carrette del mare, soprattutto se trasportano
materiali inquinanti come greggio, olii o catrame. Lo
stabilisce un decreto varato ieri dal Consiglio dei Ministri
con cui si anticipa l'entrata in vigore di analoghe
disposizioni a livello europeo. Il decreto, tuttavia,
entrerà in vigore solo dopo 60 giorni dalla sua
pubblicazione in Gazzetta. Questo, ha spiegato il ministro
delle Infrastrutture Pietro Lunardi, per consentire alle
navi già imbarcate o che hanno già predisposto piani di
viaggio, di avere il tempo necessario per adeguarsi alla
nuova normativa. Il decreto, predisposto da Lunardi e dal
ministro dell'Ambiente, Altero Matteoli, stabilisce infatti
che «fino all'entrata in vigore di norme dell'Ue di analogo
effetto, è vietato l'accesso ai porti, ai terminali
off-shore ed alle zone di ancoraggio nazionali delle navi
cisterna a scafo singolo di qualsiasi nazionalità, di età
superiore ai 15 anni e di portata lorda superiore alle 5
mila tonnellate, che trasportino combustibile pesante, oli
usati, greggio pesante, bitume e catrame». «Il decreto
interministeriale – ha detto Matteoli – entra in vigore il
60. giorno dalla sua pubblicazione perché ci sono navi che
hanno già lasciato i porti ed è giusto che concludano il
viaggio». Ambedue i ministri hanno poi spiegato che il
provvedimento è stato assunto con un certo ritardo rispetto
alle intenzioni iniziali perchè si è cercato di fare
adottare una normativa analoga anche ai paesi dell'ex
Jugoslavia in modo tale da evitare che le carrette del mare
possano circolare nell'Adriatico. «Purtroppo – ha concluso
Mateoli – i ritardi che rischiavamo aspettando ci hanno
indotto a firmare questo decreto». Una misura
«insufficiente», una «vera presa in giro». Così i Verdi
commentano il decreto. «Ancora una volta – osserva il
deputato Marco Lion – il governo fa le cose a metà. È
incomprensibile aver ristretto il provvedimento solo alle
navi di oltre 5.000 tonnellate e soltanto per l'ingresso ai
porti o ai terminali off-shore». I rischi di incidenti,
aggiunge, «sono presenti soprattutto durante la navigazione
e a prescindere dalla stazza dei natanti, anzi
un'imbarcazione piccola in particolari condizioni
meteorologiche corre più rischi delle più grandi e più
stabili petroliere». «L'applicazione del provvedimento è una
grande vittoria per gli ambientalisti, che a fianco degli
armatori avevano spinto il Governo ad emanare questo
decreto». Questo il commento di Legambiente e Wwf. «Adesso –
aggiungono – ci auguriamo che la nuova normativa venga
estesa al più presto a tutto il Mediterraneo perché la
protezione delle 12 miglia di acque territoriali non basta
certo a tutelarci dai disastri possibili nelle acque dei
Paesi circostanti». «Grazie al decreto, gli armatori saranno
costretti a rinnovare la flotta circolante. È urgente però
ridurre il traffico petroliere che solcano i nostri mari,
sviluppando le energie alternative (eolico, solare e piccolo
idroelettrico)»: così il direttore scientifico di Greenpeace,
Fabrizio Fabbri, commenta il decreto interministeriale. «La
misura presa – spiega Fabbri – andrebbe estesa al più presto
a tutte le navi che trasportano sostanze pericolose. Il
greggio che ogni anno viaggia intorno alle nostre coste è
pari a ben 123 milioni di tonnellate, che raggiungono i 170
se si considerano anche i prodotti della raffinazione.
Questa cifra – sottolinea – rappresenta la metà dell'intero
traffico petrolifero del Mediterraneo». |
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IL PICCOLO -
giornale di Trieste |
«Nei mari
italiani accesso vietato alle carrette»
Un decreto firmato dai
ministri dell’Ambiente e dei Trasporti vieta l’ingresso nei
porti delle navi con più di 15 anni che trasportano
materiali inquinanti
Il provvedimento sarà valido
«fino all’entrata in vigore di norme dell’Unione europea di
analogo effetto»
ROMA - Porti italiani
off-limits per le carrette del mare, cioè le navi cisterna a
scafo singolo con più di 15 anni ed una portata superiore
alle 5 mila tonnellate, che trasportano combustibile
pesante, oli usati, greggio pesante, bitume e catrame. Lo
prevede il decreto interministeriale firmato dai ministri
dell'Ambiente, Altero Matteoli e delle Infrastrutture e dei
Trasporti, Pietro Lunardi. Il provvedimento sarà valido
«fino all'entrata in vigore di norme dell'Unione europea di
analogo effetto» ed entrerà in vigore fra 60 giorni. Questi
due mesi serviranno a consentire alle navi già imbarcate o
che hanno già predisposto piani di viaggio, di avere il
tempo necessario per adeguarsi alla nuova normativa. «Il
ritardo di due-tre settimane per l’emanazione del decreto -
hanno spiegato Matteoli e Lunardi - è dovuto alle
consultazioni fatte con gli altri Paesi che si affacciano
sull'Adriatico, per invitarli ad adottare lo stesso nostro
approccio. Ma, visti i ritardi, abbiamo deciso di andare
avanti noi, intanto». Una decisione in questo senso, hanno
proseguito, «va comunque presa a livello europeo. A seguito
dell' affondamento della Prestige ne abbiamo parlato negli
ultimi mesi del 2002 e c'è l'intenzione di accelerare i
tempi. I viaggi delle carrette del mare sono dannosi e vanno
controllati». La misura viene giudicata una presa in giro
dal verde Marco Lion. Ancora una volta, osserva, «il Governo
fa le cose a metà. È incomprensibile aver ristretto il
provvedimento solo alle navi di oltre 5.000 tonnellate e
soltanto per l'ingresso ai porti o ai terminali off-shore».
I rischi di incidenti, aggiunge, «sono presenti soprattutto
durante la navigazione e a prescindere dalla stazza dei
natanti, anzi un' imbarcazione piccola in particolari
condizioni meteorologiche corre più rischi delle più grandi
e più stabili petroliere». Soddisfatte invece le
associazioni, che invitano però a fare un passo avanti.
«Grazie al decreto - rileva Greenpeace - gli armatori
saranno costretti a rinnovare la flotta circolante. È
urgente però ridurre il traffico petroliere che solcano i
nostri mari, sviluppando le energie alternative».
L'associazione ricorda poi che «il greggio che ogni anno
viaggia intorno alle nostre coste è pari a ben 123 milioni
di tonnellate, che raggiungono i 170 se si considerano anche
i prodotti della raffinazione. Questa cifra - sottolinea -
rappresenta la metà dell'intero traffico petrolifero del
Mediterraneo». Per Legambiente e Wwf, «l'applicazione del
provvedimento è una grande vittoria per gli ambientalisti,
che a fianco degli armatori avevano spinto il Governo ad
emanare questo decreto». Adesso, aggiungono, «ci auguriamo
che la nuova normativa venga estesa al più presto a tutto il
Mediterraneo perché la protezione delle 12 miglia di acque
territoriali non basta certo a tutelarci dai disastri
possibili nelle acque dei Paesi circostanti». La misura,
proseguono, «è un esempio virtuoso, tanto più rilevante per
il fatto che giunge pochi mesi prima del passaggio di
presidenza dell'Ue in mani italiane. Sollecitiamo quindi con
forza l'Italia affinché sostenga in quella sede l'estensione
del provvedimento a tutti i porti europei». |
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GAZZETTA DEL
MEZZOGIORNO |
Porti
vietati per le carrette del mare
ROMA - Porti italiani off
limits per le carrette del mare, cioè le navi cisterne a
scafo singolo con più di 15 anni ed una portata superiore
alle 5.000 tonnellate, che trasportano combustibile pesante,
oli usati, greggio pesante, bitume e catrame. Lo prevede il
decreto interministeriale firmato dai ministri
dell'Ambiente, Altero Matteoli e delle Infrastrutture e dei
Trasporti, Pietro Lunardi. Il provvedimento sarà valido
«fino all'entrata in vigore di norme dell'Unione europea di
analogo effetto» ed entrerà in vigore fra 60 giorni. Questi
due mesi serviranno a consentire alle navi già imbarcate o
che hanno già predisposto piani di viaggio, di avere il
tempo necessario per adeguarsi alla nuova normativa. «Il
ritardo di due-tre settimane per l'emanazione del decreto -
hanno spiegato Matteoli e Lunardi - è dovuto alle
consultazioni fatte con gli altri Paesi che si affacciano
sull'Adriatico, per invitarli ad adottare lo stesso nostro
approccio. Ma, visti i ritardi, abbiamo deciso di andare
avanti noi, intanto». Una decisione in questo senso, hanno
proseguito, «va comunque presa a livello europeo. A seguito
dell'affondamento della Prestige ne abbiamo parlato negli
ultimi mesi del 2002 e c'è l'intenzione di accelerare i
tempi. I viaggi delle carrette del mare sono dannosi e vanno
controllati».
I VERDI - La misura viene
giudicata una presa in giro dal verde Marco Lion. Ancora una
volta, osserva, «il Governo fa le cose a metà. E'
incomprensibile aver ristretto il provvedimento solo alle
navi di oltre 5.000 tonnellate e soltanto per l' ingresso ai
porti o ai terminali off-shore».
LE ASSOCIAZIONI AMBIENTALISTE
- Soddisfatte invece le associazioni, che invitano però a
fare un passo avanti. «Grazie al decreto - rileva Greenpeace
- gli armatori saranno costretti a rinnovare la flotta
circolante. È urgente però ridurre il traffico petroliere
che solcano i nostri mari, sviluppando le energie
alternative (eolico, solare e piccolo idroelettrico)».
L'associazione ricorda poi che «il greggio che ogni anno
viaggia intorno alle nostre coste è pari a ben 123 milioni
di tonnellate, che raggiungono i 170 se si considerano anche
i prodotti della raffinazione. Questa cifra - sottolinea -
rappresenta la metà dell' intero traffico petrolifero del
Mediterraneo». Per Legambiente e Wwf, «l'applicazione del
provvedimento è una grande vittoria per gli ambientalisti,
che a fianco degli armatori avevano spinto il Governo ad
emanare questo decreto». Adesso, aggiungono, «ci auguriamo
che la nuova normativa venga estesa al più presto a tutto il
Mediterraneo perché la protezione delle 12 miglia di acque
territoriali non basta certo a tutelarci dai disastri
possibili nelle acque dei Paesi circostanti». La misura,
proseguono, «è un esempio virtuoso». |
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