MESSAGGERO |
Api,
l’ultima parola spetta alla Regione
Dopo la sentenza del Consiglio
di Stato che nega il rinnovo della concessione le reazioni
di istituzioni e azienda
FALCONARA - Un chiarimento
che apre nuove possibilità, come vagliare se rilasciare il
rinnovo della concessione anche per un periodo inferiore ai
20 anni. La interpreta così Massimo Binci, (Verdi),
assessore provinciale all’ambiente, la sentenza del
Consiglio di Stato che ha dichiarato «inammissibili i
ricorsi presentati dall’Api sull’annullamento del rinnovo
ventennale rilasciato dal Ministero». Assessore, cosa
significa questo per la Provincia? «Una conferma delle
posizioni prese dagli enti. E’ un modo per chiarire e
ripartire dalla richiesta di rinnovo che l’Api aveva già
presentato in Regione. E’ sempre una richiesta anticipata
che va vagliata». Si aprono nuovi scenari, quindi? «Lo
scenario è quello attuale. Ma è inammissibile dare il
rinnovo senza un contestuale progetto di dismissione. La
Regione, in base ai dati raccolti e che sta ancora
raccogliendo, come lo studio Svim, prenderà una decisione».
Pesa in questo momento tale sentenza? «Noi Verdi non siamo
per il rinnovo. Io stesso nel consiglio comunale di
Falconara, quando si votò per la realizzazione della
centrale Igcc, fui l’unico a votare contro perché, per me,
non era urbanisticamente ed ambientalmente compatibile. Ci
dissero che l’ammortamento degli investimenti era previsto
entro il 2008. Se ora il piano di rientri sui crediti è
diverso, l’azienda deve portare i documenti in Regione e
mostrarli. In fondo, si potrebbe decidere di non optare per
il rinnovo anticipato per altri 20 anni, ma di darlo a fine
scadenza e per meno anni». Su quest’eventualità abbiamo
sentito Marco Amagliani, assessore regionale all’ambiente.
«E’ una delle verifiche che è possibile fare – ammette – Ma
gli scenari non cambiano con questa sentenza. E’ solo la
conferma che Regione e Comune avevano ragione e che ora la
competenza è regionale. Questo significa tavolo
istituzionale tra gli enti e anche tra le parti sociali».
Infine, anche per il primo cittadino falconarese, Giancarlo
Carletti, la sentenza rappresenta «una riprova di quanto con
pacifica passione civile si è contestato fino ad oggi». Dal
canto suo, la funzione Affari Legali dell’Api precisa in una
nota che «sia il Tar Marche che il Consiglio di Stato hanno
annullato il rinnovo ministeriale non per aver stabilito
l'incompatibilità della Raffineria, bensì per aver (a
giudizio del Ministero e dell’Api, in modo erroneo)
individuato una carenza procedimentale nell'iter
amministrativo, adottato dal Ministero per tale rinnovo».
Carletti sommerso dai
fischi sindacati e lavoratori infuriati
FALCONARA - Consiglio
comunale rovente quello di ieri sera. All’ordine del giorno
la presentazione dei progetti di riqualificazione dell’area
a nord della città alla presenza dell’architetto Oriol
Bohigas. Ma pesava la decisione del Consiglio di Stato di
non concedere ulteriore rinnovo, dopo il 2008, alla
raffineria Api. I sindacati e i lavoratori hanno fatto
sentire la loro voce presentandosi all’appuntamento con
striscioni e cartelloni. Una manifestazione composta e
pacifica fino a quando non ha fatto il suo ingresso il
sindaco Carletti. Subito sommerso dai fischi il sindaco
contrario all’Api e al rinnovo della concessione. Fischi dai
lavoratori ma fischi anche dagli abitanti del palazzo che
ospita il centro Più dove si è svolta l’assemblea.
Preoccupazione per l’atmosfera troppo agitata, tanto che
qualcuno ha pensato di chiamare anche i Carabinieri. La
contestazione è rientrata dopo qualche battibecco fra
Carletti e contestatori. I sindacati erano presenti dalle
18. Un centinaio di dipendenti ha presidiato la sala per
protestare «nei confronti di una giunta di sinistra che
sembra aver messo come uno dei suoi ultimi obiettivi la
questione occupazionale». Diversi gli striscioni e i
cartelli delle Organizzazioni Sindacali, uno dei quali
riportava «Falconara vive con l’Api, come noi». Mentre lo
slogan delle Rsu che d’ora in poi li unirà nella lotta è
«insieme per il lavoro nella sicurezza di tutti».
“Nicole” non fa più paura
al Cònero La chiazza maledetta è evaporata
Sospiro di sollievo in tutta
la riviera Oggi verrà travasato il carburante rimasto nella
cisterna
NUMANA - Mercantile a picco
davanti a Numana, l'ambiente per ora sembra non correre
rischi, ma i dubbi sulle cause del naufragio della "Nicole",
37 anni di vita, restano. La chiazza di gasolio è evaporata,
facendo tirare un sospiro di sollievo a tutta la Riviera del
Conero. Resta da pompare il carburante rimasto nella
cisterna interna al cargo. L’operazione sarà compiuta oggi,
col travasamento nel rimorchiatore “Città di Ravenna". Ieri
giornata intensa, sia sotto il profilo degli interrogatori a
carico dei quattordici membri dell'equipaggio ucraino,
comandante e capomacchine in testa, sia per ciò che riguarda
le operazioni di recupero del carburante disperso in mare e
di quello ancora nel cuore dei serbatoi della nave. Non
esistono, inoltre, conferme sul tipo di materiale disperso
in mare, dovrebbe trattarsi di feldspato, un minerale
naturale utilizzato per la lavorazione del vetro, ma sugli
eventuali effetti dannosi per l'ambiente marino bisognerà i
sopralluoghi odierni. Sul fronte dell'inchiesta ancora non
sono ancora partite denunce nei confronti del comandante o
di altri membri dell'equipaggio, visto che ancora la procura
della Repubblica non ha ricevuto alcun fascicolo. Tra oggi e
domani, intanto, è probabile che gran parte dell'equipaggio
venga rimpatriato. Rimarranno ad Ancona di certo il
comandante, Anatoliy Nokhrin, 63 anni, ed il capomacchine
che ieri pomeriggio non sono stati interrogati a fondo in
quanto hanno partecipato alle operazioni di recupero del
carburante disperso, di quello da prelevare dai serbatoi e
dell'opera di bonifica. Interrogatori che hanno richiesto
l'utilizzo di un interprete viste le difficoltà di
comprensione linguistica, nessun marinaio parla un inglese
corretto e tanto meno l'italiano. I marinai sono difesi
dallo studio legale Mordiglia-Mauro specializzato in diritto
marittimo. Il tratto di mare dove ieri si è sversato il
carburante è stato proprio «tirato a lucido» dal “Città di
Ravenna" il comandante Ignazio Frisoni da bordo riferisce
che il lavoro della sua unità è quasi completo. E,
azzardando un parere, ipotizza che il cargo liberiano sia
affondato per aver imbarcato troppa acqua. Dal rimorchiatore
marinai con anni di esperienza osservano che forse la
“Nicole" non doveva ancorarsi per affrontare l'Adriatico di
prua, ma avrebbe fatto meglio a mettersi di poppa. Gli
avvocati Maurizio e Giuseppe Mauro. Che avvertono: «Non
bisogna trarre conclusioni affrettate, aspettiamo i
risultati dell’inchiesta. Siamo di fronte ad un errore del
comnandante? Strano ci risulta che abbia esperienza da
vendere». Potrebbero essere state le avverse condizioni
meteo dei giorni precedenti all'arrivo davanti alle coste
del Conero ha provocare infiltrazioni d'acqua che poi hanno
fatto colare a picco il mercantile "rivership", cioè
utilizzata per tratte fluviali. Impossibile per ora parlare
di guasti o di falle nello scafo, controlli che si potranno
fare solo una volta recuperato ed analizzato il relitto. E
sui tempi di recupero incombe il rischio dell'abbandono da
parte della società armatrice del Belize assicurata con una
compagnia ucraina. Se le operazioni di recupero si
dimostrassero più costose del valore della nave la compagnia
saluterebbe tutti e a quel punto toccherebbe allo Stato
accollarsi l'onere del recupero. Dall'acqua spuntano
l'albero di poppa e parte del fumaiolo e la presenza della
nave in quel punto rappresenta un ostacolo alla navigazione.
In attesa del recupero, che non avverrà di certo nel giro di
qualche giorno, la zona è stata segnalata ed evidenziata
dalla capitaneria di porto di Ancona. Tecnici ed esperti
però tranquillizzano sul versante inquinamento marino: flora
e fauna non dovrebbero correre rischi. Gran parte del
gasolio è evaporato e le oltre 60 tonnellate stivate nella
nave verranno recuperate oggi attraverso il pompaggio
dell'idrocarburo: «L'ambiente pare salvo - spiega
l'assessore regionale all'ambiente Marco Amagliani - per
cui, nonostante il livello di attenzione resta, la nostra
preoccupazione è legata al transito di altre carrette del
mare più pericolose in un mare chiuso come l'Adriatico.
Fosse andata a picco una petroliera sarebbe stata una
tragedia. Il governo deve farsi carico di una normativa
precisa e applicabile». Danno ambientale evitato, ma
numerosi restano gli interrogativi irrisolti. La "Nicole",
varata nel 1966, battente bandiera del Belize, era diretta a
Porto Levante in Veneto, con a bordo un carico di oltre
tremila tonnellate di un minerale. Un'imbarcazione vetusta
dunque, forse sovraccarica, ma a quanto si dice costruita
per la navigazione fluviale. Inadatta dunque a solcare i
mari? Sebbene si tratti di materiale di per sé non
inquinante, se si tratta di felspato, sono sconosciute le
sue reazioni chimiche, una volta avvenuto il contatto con
l'acqua. Per questo è stato avviato uno studio da parte
dell'Arpam. Quanto alla rimozione del relitto, che
costituisce dato il basso fondale (12 metri) un ostacolo
sulla rotta verso Ancona, occorrerà attendere. «Premeremo
prima sul proprietario, che è di nazionalità liberiana -
spiega il capitano Izzo - auspicando in seconda battuta un
intervento da parte dello stato italiano che potrebbe
avvenire in tempi brevi a patto che si risolvano questioni
burocratiche molto complesse».
IL FATTO
IL PRIMO ALLARME - Alle 17 di
domenica la Capitaneria nota un cargo fermo al largo di
Numana. Una motovedetta esce in perlustrazione. E ad un
controllo, il comandante risponde che tutto è a posto.
L’SOS - Alle 22,45 la
“Nicole" lancia l’sos. Imbarca acqua, sta affondando.
Scattano i soccorsi. L’equipaggio viene tratto in salvo. Ma
il cargo affonda. E lascia una scia di gasolio.
IL PERICOLO - La “Nicole", un
vecchio cargo da 2.406 tonnellate battente bandiera del
Belize,era partita dal porto turco di Gulluk e diretta a
Porto Levante, sul litorale di Rovigo, con un carico di
minerali. Costruita nel ’66, ha con sè 64 tonnellate di
gasolio da trazione che lentamente si sversa in acqua. La
chiazza, all’alba, è lunga sette miglia e larga, nel punto
dell'affondamento, una quarantina di metri.
IL PIANO - Scatta il piano
antinquinamento. Uomini della Capitaneria e del ministero
dell’Ambiente calano attorno allo scafo un ferro di cavallo
costituito da panne galleggianti antinquinamento. tenuto
ancorato da un lato da una motovedetta della Capitaneria,
dall' altro dal rimorchiatore Città di Ravenna.
IL SOLLIEVO - Ieri il cessato
allarme. Non c' è più nessuna traccia della striscia di
gasolio da trazione fuoriuscita dal natante, solo un odore
di combustibile nell' aria. Il carburante affiorato è stato
completamente prosciugato, grazie all’evaporazione, come
confermato dal tecnico del ministero per l’Ambiente. E
quello rimasto nella pancia del cargo verrà pompato via
entro le prossime ore.
IL MISTERO - Solo l'inchiesta
sommaria della Capitaneria di porto potrà stabilire se vi
siano estremi di reato nel comportamento dell' equipaggio e
nel ritardo con cui ha lanciato l' SOS. In quel caso verrà
trasmesso un rapporto alla procura della Repubblica, con la
conseguente iscrizione dei responsabili nel registro degli
indagati. Sullo strano naufragio di questa nave vecchia 37
anni e concepita per la navigazione fluviale, si continua a
indagare: potrebbe aver imbarcato acqua a causa delle murate
troppo basse, colta dal mare in tempesta, o per essersi
posizionata male.
Sirolo: «Fermate quelle
pseudo imbarcazioni»
Il sindaco Misiti: «Viviamo
di turismo». Si ribella anche il sindaco di Venezia
ANCONA - «Non è la prima
volta che una nave affonda con il suo carico inquinante
mettendo in pericolo l’ambiente. Purtroppo non sarà neanche
l’ultima se non verranno presi provvedimenti seri per
impedire che carrette vecchie e vetuste continuino a solcare
i mari». E’schietto il sindaco di Sirolo Giuseppe Misiti,
che rileva amaramente come «ci si ricordi della necessità di
intevenire solo quando i fatti accadono. Ritengo che sia
ormai ora di prendere provvedimmenti seri e confido nella
sensibilità del Ministro dell’ambiente affinché l’Italia si
faccia promotrice a livello europeo di una legge che
salvaguardi il mare e che possa impedire a queste pseudo
imbarcazioni di costituire mine vaganti contro l’ambiente e
contro la nostra economia turistica». Il naufragio della
“Nicole" continua a produrre appelli per un mare più sicuro.
E non solo dalle Marche. Una «chiusura immediata» dei porti
dell'Adriatico alle petroliere senza doppio-scafo, le navi
ecologicamente più pericolose: è il «segnale italiano» che
il sindaco di Venezia ed europarlamentare Paolo Costa ha
chiesto ieri di lanciare al ministro dei Trasporti Pietro
Lunardi. L'invito è stato rivolto durante un incontro che
Lunardi ha avuto a Bruxelles con la Commissione per le
politiche regionali, i trasporti e il turismo (Rett) del
parlamento europeo. Costa ha invitato il ministro «ad
adoperarsi» perchè il semestre italiano di presidenza
europea affronti «in modo deciso» il tema della sicurezza
marittima. Un'eventuale chiusura dei porti adriatici,
segnale «anticipatore di una più generalizzata politica
europea», secondo la nota, dovrebbe essere «naturalmente
accompagnata da uguali disposizioni relative ai porti
sloveni e croati». E se anche la campionessa mondiale di
immersione in apnea Angela Bandini, preoccupata per l'
affondamento della nave “Nicole" a Numana, in un mare molto
amato e frequentato dai sub, tira un sospiro di sollievo per
la catastrofe ambientale sventata, il coordinatore regionale
della Lega Pesca Simone Cecchettini avverte: «Navi così -
dice Cecchettini - non devono più transitare e attraccare
nei porti dell' Adriatico. Chiediamo che il Governo approvi
velocemente il decreto ipotizzato ieri dal ministro per l'
Ambiente Altero Matteoli» per il divieto di transito delle
petroliere monoscafo. «Il nostro mare - conclude la Lega
Pesca - è una risorsa viva, che dobbiamo tutelare ogni
giorno».
Le scialuppe a San
Benedetto
Trascinate dalla corrente,
sono state ripescate
SAN BENEDETTO - Sono
state avvistate ieri mattina a sette miglia al largo della
costa sambenedettese due delle imbarcazioni di salvataggio
della Nicole. Le scialuppe, uno scafo rigido di sette metri
e un battello autogonfiabile, erano alla deriva a sette
miglia dalla spiaggia. Sono stati i pescatori che stavano
rientrando in porto a segnalarne la presenza alla
Capitaneria di Porto, che ha fatto uscire subito una
motovedetta. Le due imbarcazioni di salvataggio sono state
recuperate e rimorchiate in porto per evitare il rischio di
collisioni con qualche barca in transito. Il personale della
Capitaneria ha spiegato che le scialuppe di salvataggio si
sganciano automaticamente nel momento in cui la nave sta
affondando. Stessa cosa deve essere successa l’altra notte
davanti alle coste di Numana. I battelli alla deriva sono
stati trascinati con facilità, a causa dello scarso peso,
verso sud dalla corrente e la notte scorsa sono arrivati
davanti alle coste sambenedettesi. La Capitaneria di Porto
ha avvisato i motopesca della possibile presenza in mare di
altre scialuppe alla deriva, chiedendo ai pescatori di
segnalarle immediatamente.
Ancona, portacontainer
contro la diga foranea
Si stacca la fune del
rimorchiatore, la “Rajha Brooke” urta la scogliera
ANCONA — S’è sfiorato un
altro naufragio, ad Ancona, poche ore prima l’affondamento
del Nicole. La notizia, inizialmente oscurata dal frastuono
informativo intorno al cargo colato a picco, è trapelata
soltanto nella giornata di ieri. Questa volta l’incidente
marittimo si è verificato proprio davanti al porto dorico,
mentre la portacontainer "Rajha Brooke" stava entrando nello
scalo marittimo al traino di un rimorchiatore. Per motivi su
cui sta indagando la Capitaneria di porto, la cima del
traino si è staccata. L’imbarcazione, rimasta
improvvisamente in balia di se stessa nella difficle manovra
di ingresso, è finita contro gli scogli del molo foraneo,
all’altezza del faro rosso. La banchina non ha riportato
danni mentre il natante ha ricevuto una brutta botta sulla
fiancata. C’è stato l’intervento dei marinai della
Capitaneria di porto e del Registro navale italiano (Rina)
per verificare il pericolo di infiltrazione d’acqua. Dopo
un’ulteriore ispezione dei periti del German Lloyd Register,
la portacontainer è stata ritenuta in grado di riprendere la
navigazione. Cosa che è avvenuta qualche ora dopo, quando la
“Rajha Brooke" ha proseguito nella sua rotta per Malta. Il
caso viene seguito per conto della società armatrice
dall’avvocato Giuseppe Mauro anche se, per il fatto che la
banchina foranea non ha riportato danni, la vicenda dovrebbe
chiudersi senza nessuno strascico. Nemmeno il tempo di
esaminare la pratica e gli ufficiali della Capitaneria si
sono trovati alle prese con un’emergenza ben più grave:
quella del Nicole. Entrambe le vicende sono seguite dallo
studio legale Mordiglia-Mauro, tra i pochi in Italia
specializzati in diritto della navigazione. |
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IL RESTO DEL
CARLINO |
Comitati
all'attacco sul fronte dell'Esino
FALCONARA — Insistono,
imperterriti i Comitati dei quartieri di Fiumesino e
Villanova sulla proprietà della sponda destra del fiume
Esino. Lo fanno questa volta con documenti alla mano che
dimostrano come la sponda sia di proprietà pubblica.
«Nonostante le numerosissime sollecitazioni dei Comitati —
ha detto Massimo De Paolis — sulla questione della proprietà
della sponda destra del fiume Esino, ovvero di una porzione
di essa, il Comune, la Provincia e la Regione tacciono
incredibilmente». I Comitati hanno ottenuto dall'Agenzia del
Demanio di Ancona un documento datato 10 ottobre 2002 dove
viene specificato che « il confine tra il demanio e la
proprietà Api sulla sponda del fiume Esino coincide con la
recinzione posta sul cordolo esterno della strada di
proprietà Api parallela allo stesso fiume Esino». Per i
rappresentanti dei quartieri ciò significa che la sponda
destra del fiume, zona foce, è interamente di proprietà
demaniale, cioè pubblica. «Le conseguenze di questa
situazione patrimoniale sono notevolissime — ha ribadito
ancora una volta Loris Calcina — perché innanzitutto
risulterebbe non vero ciò che è stato affermato dai
dirigenti Api, secondariamente perché il pesantissimo
inquinamento da idrocarburi avrebbe leso un bene pubblico».
I Comitati, alla luce di questi nuovi risvolti, chiedono a
Comune, Provincia e Regione se la palancolata, che occupa
quel tratto, ha le prescritte autorizzazioni. In sostanza
domandano un interessamento diretto degli Enti preposti
affinché si chiariscano situazioni al momento ancora oscure.
Almeno è così per i Comitati.
Si discute dell'Api, botte
al sindaco Carletti
Calci, pugni e urla. Così
hanno accolto il sindaco Carletti (foto) gli oltre cento
lavoratori della raffineria Api di Falconara, riuniti
nell'assemblea pubblica indetta dal Comune per presentare la
bozza del progetto urbanistico, presentato dall'architetto
spagnolo Oriol Bohigas. I lavoratori hanno atteso l'arrivo
del sindaco fuori dalla sala di via Roma dove si teneva la
seduta straordinaria del Consiglio comunale. Quando, verso
le 21.10, Carletti è arrivato, era accompagnato dal
dirigente dell'ufficio ambiente Paolo Angeloni, dal
dirigente del settore urbanistica Furio Durpetti, dal
presidente del Cam Gianni Marescia e dall'assessore
Terranova, anch'essi presi di mira. Per fermare
l'aggressione sono intervenuti polizia e carabinieri. A
tanto è arrivato il «braccio di ferro» sulla raffineria.
«Sentenza superata:
resteremo»
FALCONARA — Sarà il 2008
l'anno che decreterà la fine della permanenza della
raffineria sul territorio falconarese? O sarà semplicemente
il proseguo di un'attività che soddisfa il fabbisogno
energetico di tutta la regione pur avendo un impatto
ambientale notevole? A due giorni dalla sentenza del
Consiglio di Stato, che ha ribadito su vecchia istanza della
raffineria che con il 2008 si concluderà un capitolo
importante della vita industriale delle Marche, l'Api spiega
l'iter procedurale che ha indotto a questi risultati. «Le
decisioni richiamate — dice l'Api — riguardano altrettanti
ricorsi presentati in via eccezionale al Consiglio di Stato
che si esauriscono in motivazioni di natura esclusivamente
tecnico-procedurale, dato che nel merito dell'argomento si
era già espresso lo stesso Consiglio di Stato. In altri
termini — spiega — l'annullamento del rinnovo della
concessione, che era stato rilasciato dall'allora ministero
dell'Industria, era avvenuto definitivamente con la sentenza
dell'aprile dello scorso anno». In quell'occasione, l'Api
aveva di conseguenza avanzato l'istanza di rinnovo
all'amministrazione regionale divenuta nel frattempo, a
seguito della devolution verso le Regioni, competente al
rilascio del provvedimento richiesto. L'Api ricorda inoltre
che «sia il ministero sia la raffineria di Ancona,
ritenevano e ritengono tuttora che la sentenza del Consiglio
di Stato dell'aprile scorso e la precedente sentenza del Tar
Marche fossero il frutto di evidenti, clamorosi errori nella
valutazione dell'iter procedimentale seguito dal Ministero
nella emissione del rinnovo». Fu proprio in quel caso che
decisero di tentare la via dei ricorsi, che in via
eccezionale il codice di procedura consente, consapevoli,
d'altro canto, che l'eccezionalità di detti rimedi
costituiva un'alea molto forte sull'esito degli stessi. Le
ultime decisioni del Consiglio di Stato hanno quindi
stabilito che non ricorrevano quelle condizioni eccezionali
di ammissibilità, ma l'Api sottolinea che «non hanno in
alcun modo più affrontato le questioni di merito». Secondo
la raffineria quindi, nessuna novità c'è nella decisione di
ieri. Nella nota ricorda che sia il Tar Marche che il
Consiglio di Stato hanno annullato il rinnovo ministeriale
non per aver statuito nel merito l'incompatibilità della
raffineria, bensì per aver (a giudizio del ministero e della
società petrolifera, in modo erroneo) individuato una
carenza procedimentale nell'iter amministrativo adottato dal
ministero per il rinnovo medesimo. Definiscono quindi la
divulgazione della notizia da parte del Comune come
un'operazione «strumentale e tendenziosa». Si è concluso
così l'ultimo, ma non definitivo, capitolo dell'eterna
battaglia legale tra raffineria e Comune di Falconara. Ora
la patata bollente è passata nelle mani della Regione, che
ha prorogato il tempo limite entro cui avrebbe dovuto
decidere sul futuro dell'industria petrolifera.
«Perché tanta fretta sul
Prg?»
FALCONARA — Assindustria e
Democratici di sinistra sono ormai ai ferri corti. Una serie
di botta e risposta quelli che si rimandano che accendono il
dibattito politico. L'associazione degli industriali
controbatte a quanto affermato dal segretario dei Ds,
Giancarlo Scortichini imputandogli argomentazioni «vaghe e
di principio, perché non sa, o non vuole, entrare su
contenuti che possono rivelarsi scomodi». «Spostare
l'attenzione su Assindustria dicendo che tutela solo il
proprio interesse e quello di un'azienda sul territorio —
dice Assindustria — appare un infelice tentativo di
distrarre l'attenzione per evitare di rispondere agli
interrogativi che gli imprenditori di Falconara, tutti, e
non solo uno, pongono da troppo tempo all'amministrazione».
Si riferiscono al progetto di riconversione dell'area
attualmente occupata dall'Api sulla quale è stata prevista
una destinazione di tipo turistico. L'associazione degli
industriali ribadisce inoltre la posizione dell'architetto
Oriol Bohigas che ha ravvisato nell'industria petrolifera
non un ostacolo ma un elemento in grado di contribuire al
mantenimento dello sviluppo cittadino e uno strumento per
rendere fattibile proprio l'obiettivo strategico del Prg.
«Vogliamo chiedere di nuovo — si domanda Assindustria —
quali sono le motivazioni che inducono l'amministrazione ad
una richiesta di accelerazione dei tempi per l'approvazione
del Prg. Tutta questa pressione sembra giustificarsi solo
con motivazioni politiche, che scavalcano il reale benessere
della cittadinanza e sembrano invece il tentativo di
precostituirsi dei vantaggi sui programmati tavoli di
concertazione». Per quanto riguarda poi il paragone tra un
piano industriale e quello di un'amministrazione,
Assindustria sostiene che è «superfluo dire che si
sviluppano in maniera diversa». «Non dimentichiamo —
sostengono — che anche il primo, pur ponendosi obiettivi
ambiziosi e d'avanguardia, non dovrebbe esimersi da
caratteristiche come la concretezza, la fattibilità, la
stima dei tempi, la presenza di risorse che possono
favorirne la realizzazione proprio a vantaggio della
collettività di cui l'amministrazione deve tener conto».
Insomma il Prg non può ignorare le esigenze degli operatori
economici sul territorio, pena la decadenza del tessuto
locale.
Sindacati «Il Comune ci
farà perdere anche l'ultimo treno»
FALCONARA — «La posizione del
Comune sta mettendo a rischio l'impianto cargo della città».
Le organizzazioni sindacali regionali della Filt-Cgil,
Fit-Cisl e Uilt-Uil riconfermano la contrarietà alla
chiusura dello scalo merci ferroviario falconarese anche
perché — dicono — «le Marche sono state già penalizzate nel
recente passato». Chiedono al presidente della Giunta
regionale, Vito D'Ambrosio di convocare al più presto un
incontro congiunto con le organizzazioni sindacali, le
istituzioni locali e Trenitalia-cargo. Un faccia a faccia
chiarificatore per comprendere la posizione delle Ferrovie,
ma anche della Regione rispetto alla proposta del Comune che
potrebbe portare alla chiusura dell'impianto di Falconara.
Mancinelli, Talenti e Fioretti (Cgil, Cisl e Uil) promettono
battaglia: «Svilupperemo tutte le iniziative sindacali
necessarie per impedire che si realizzi un disegno di
ulteriore impoverimento delle attività ferroviarie». Già due
mesi fa le segreterie regionali avevano denunciato la
pericolosità di delocalizzare lo scalo merci, proprio perché
il suo paventato spostamento avrebbe comportato una perdita
di almeno 100 posti di lavoro.
Sindacati Sit-in e
striscioni in via Roma: no alla chiusura
FALCONARA — Sit-in davanti al
centro comunale di via Roma delle Rsu (Cgil, Cisl e Uil)
dell'Api prima dell'atteso incontro dell'architetto spagnolo
Oriol Bohigas con la cittadinanza. Striscioni con scritte a
caratteri cubitali sono comparsi davanti alla sede generale
di tutti i servizi sociali forniti dal Comune. Una protesta
silenziosa e contenuta per mettere in evidenza e quindi
ribadire il 'no' alla chiusura della raffineria e il 'sì' al
lavoro nella sicurezza. «La decisione del Comune di
presentare un piano regolatore che non prevede l'attività
industriale in quell'area e la proclamazione di
incompatibilità ambientale — ha commentato il sindacalista
Uil Andrea Fiordelmondo — non sono né condivisibili né
comprensibili perché non tengono conto degli studi Enea e
Arpam. I due elaborati — spiega Fiordelmondo — asseriscono
che con le dovute prescrizioni e con le dovute migliorie
tecniche la compatibilità esiste. Non è oltretutto
giustificabile — sottolinea — una presa di posizione del
sindaco e della giunta comunale che appartengono ad un'area
culturale e politica che dovrebbe essere vicino al mondo
operaio e che non tengono invece in considerazione il
problema occupazionale».
Un altro incidente in mare
Un altro incidente in mare,
oltre a quello ben più grave che ha coinvolto l'imbarcazione
Nicole, si era verificato domenica scorsa all'ingresso del
porto. Protagonista, durante la mattinata, una nave porta
container andatasi a schiantare contro una barriera
frangiflutti. L'incidente ha avuto conseguenze solo per
l'imbarcazione, denominata Rajha Brooke, che ha subito
qualche danno. Immediato però è stato l'intervento dei
soccorritori, anche tramite lo studio legale Mordiglia
Mauro, che hanno rimesso in classe la nave. La Rajha Brooke
ha potuto così, più tardi, riprendere il largo con il suo
carico.
«Fauna senza rischi»
NUMANA — La fauna ittica del
mare del Conero non corre pericoli rilevanti dopo
l'affondamento della «Nicolè». «In primo luogo — spiega
Corrado Piccinetti (foto), il direttore del Laboratorio di
Biologia marina dell'Università di Bologna, che ha sede a
Fano — perché il quantitativo di carburante disperso in
acqua non è molto consistente e poi perché d'inverno, con
l'abbassamento delle temperature, i pesci si sono spostati
più a largo». Fra le circostanze «fortunate» di un naufragio
che avrebbe potuto provocare una catastrofe ecologica in
un'area protetta il prof. Piccinetti annovera anche la
natura del carburante: «Il gasolio non ha la stessa
consistenza del petrolio grezzo. E poi mi pare che la
perdita della sostanza dai motori della Nicole abbia avuto
un effetto di diluizione notevole». Nella letteratura
scientifica invece non esistono studi che riguardino i
possibili effetti sull'ecosistema marino del feldspato, un
minerale costituito da silicati di alluminio e potassio o
sodio e calcio. Anche in questo caso però Piccinetti esclude
una minaccia per la fauna ittica, anche se «prima di
esprimersi bisognerebbe conoscere il grado di solubilità del
materiale e se sia stato pretrattato oppure no». Il dato più
confortante resta la scarsità di pesce in quel tratto di
mare nella stagione fredda: «Se l'incidente fosse accaduto
d'estate sarebbe stato molto peggio, vista la massima
concentrazione ittica sotto costa».
Il fatto che la striscia
...
ANCONA — Il fatto che la
striscia di gasolio, peraltro monitorata da Capitaneria di
Porto, Protezione civile e Arpam, sia scomparsa, dimostra
che il naufragio della Nicole non è neppure lontano parente
di altri catastrofici inabissamenti. Ciò non toglie, però,
che di interrogativi a cui dare una risposta ce n'è
un'infinità e che questo episodio, seppur a lieto fine,
riaccende i riflettori su un problema mai sopito: le vecchie
«carrette» che solcano abitualmente i nostri mari, compreso
il «lago» Adriatico. Ma perché la Nicole è affondata? Finché
l'istruttoria amministrativa aperta dalla Capitaneria non
sarà terminata, non potranno essere date risposte certe.
Anche l'avvocato Maurizio Mauro, legale difensore della
Barrier Marine Management Ltd, con sede in Liberia, manager
della nave invita alla prudenza. «Sarebbe bene — scrive
l'avvocato in una nota — per evitare giudizi affrettati,
tenere presente che la motonave Nicole è una nave fluviale
con determinate caratteristiche costruttive e che durante la
traversata dal porto di imbarco della merce, Gulluk
(Turchia), ha incontrato condizioni meteomarine avverse con
onde che sovrastavano la coperta, sommergendo i boccaporti
delle stive. Inoltre il comandante della nave ha deciso di
dare fondo e di mettersi alla cappa, proprio per contrastare
la violenza del mare, giusto in considerazione della
struttura e le dimensioni di tale nave di tipo speciale. In
quanto capo della spedizione, il comandante ha deciso di
assumere le decisioni che riteneva più consone durante la
navigazione. Sarà l'inchiesta formale, successiva a quella
sommaria, a dare indicazioni più precise sulle cause che
hanno determinato l'affondamento della nave. Solo con il
recupero del relitto sarà possibile constatare le condizioni
della nave dopo la tempesta che, prima della partenza dal
porto di caricazione era in classe (vale a dire con tutti i
documenti di bordo in ordine), idonea quindi alla
navigazione e al trasporto». L'ipotesi più plausibile e che
la Nicole avesse già manifestato problemi, anche per colpa
del mare agitato (che comunque, come ha riferito il
comandante Izzo non poteva causare un sinistro tale).
L'equipaggio evidentemente ha creduto di potercela fare, di
poter aspirare tutta l'acqua entrata dal boccaporto con le
pompe di sentina. Ma forse o la portata dell'acqua era tanta
o l'impianto di pompaggio non ha funzionato a dovere.
Intanto il comandante Nokhrin che, interrogato anche ieri ha
detto di non aver opposto resistenza alle offerte di aiuto
della Capitaneria e i 13 marittimi ucraini, sono stati
alloggiati presso l'albergo Fortuna. Resteranno a
disposizione delle autorità marittime fino a quando non
verrà fatta piena luce sulla vicenda.
«Così passano le carrette
del mare»
ANCONA — «Ci voleva
l'incidente della Nicole per tornare a parlare sulla
sicurezza riguardante la navigazione nelle nostre acque?».
E' questa la domanda che si pone Paolo Baldoni, segretario
nazionale dell'Ansep Unitam, l'associazione nazionale che
raggruppa le aziende di servizi ecologici portuali e di
tutela dell'ambiente marino. Paolo Baldoni è un esperto di
mare e ambiente e sta lavorando a livello ministeriale per
formulare nuove leggi riguardanti la sicurezza delle nostre
acque. Spiega Baldoni: «La lingua di mare Adriatico di
fronte ad Ancona è infatti un luogo di passaggio per tutte
quelle imbarcazioni che, oltre ad attraccare nel porto
dorico, proseguono per poi ormeggiare in uno dei tre grandi
porti quali Ravenna, Venezia e Trieste». E allora perché
così tante carrette del mare ci navigano sotto al naso? La
risposta è tutt'altro che un giallo. «Tutte le navi a doppio
scafo saranno a pieno regime solo nel 2014 — spiega Baldoni
— poi, quando gli Stati Uniti d'America hanno imposto il
doppio scafo ai propri armatori, molti noleggiatori europei
hanno acquistato, a prezzi bassissimi, quegli stessi navigli
a scafo unico, per piazzarli in Italia e in Europa». Le
acque del nostro mare quindi «sono a continuo rischio, non
solo per il passaggio delle petroliere, ma soprattutto a
causa di queste carrette poco sicure e che trasportano quasi
sempre del gasolio o delle merci che potrebbero essere, in
caso di affondamento, altamente inquinanti». Continua
Baldoni: «C'è poi da considerare anche il fatto che molte di
queste imbarcazioni riversano in mare i propri rifiuti
nocivi all'ambiente, mentre non potrebbero». Ad occuparsi di
antinquinamento è la direttiva europea 59/2000 «che impone
alle navi di scaricare tutti i rifiuti e le acque di sentina
in porto». Conclude Paolo Baldoni: «Purtroppo essa è ancora
in fase di approvazione da parte del governo Italiano quindi
bisogna accelerare sui tempi, investire sulla sicurezza e
sulla professionalità degli equipaggi perché sarebbero
sufficienti 20mila tonnellate di greggio per far scomparire
l'Adriatico».
Se la «Nicole» non ha
falle ...
ANCONA — Se la «Nicole» non
ha falle e non ci sono state collisioni, se è vero che il
comandante e l'equipaggio hanno fatto tutto il possibile,
allora perché questo cargo diretto a Porto Levante (Rovigo)
si è inabissato a due sole miglia dalla costa di Numana? A
dare una spiegazione plausibile è il dirigente del reparto
ambientale marino Aurelio Caligiore, inviato ieri sul luogo
in cui si è inabissato il relitto dal direttore del
ministero dell'Ambiente Aldo Cosentino. Anche Caligiore nota
che la nave è a chiglia piatta, concepita per i fiumi e i
mari interni dell' ex Urss, e che era abilitata alla
navigazione marina entro 20 miglia dalla costa. «E al
momento non ci sono motivi — osserva l' inviato del
Ministero — per ritenere che la Nicole abbia infranto questi
suoi limiti». Il carico, 3.150 tonnellate di feldspato
proveniva da una cava turca, destinato alla lavorazione di
vetro, maiolica e ceramica. Ma per appurare con assoluta
certezza che non sia in alcun modo potenzialmente pericoloso
per l' ambiente, questa mattina i sommozzatori del Nucleo
della Guardia Costiera di San Benedetto si immergeranno per
prelevarne alcuni campioni da analizzare. Per spiegare l'
affondamento Caligiore ha ipotizzato che potrebbe esservi
stato un lento, progressivo appesantimento della zona
prodiera, tanto che da Porto Recanati la nave è stata vista
fortemente appruata. Forse l' equipaggio, 14 uomini tutti
ucraini, meno il comandante russo Anatolii Nokhrin, 63 anni,
si è illuso di riuscire a far fronte con i propri mezzi all'
acqua che entrava, e che invece un pò alla volta ha fatto
perdere il controllo della nave. Soltanto ipotesi (l'
inchiesta amministrativa è ancora in corso, e Nokhrin è
stato nuovamente sentito ieri) ma chiunque ha esperienza di
navigazione sa che il comandante di una nave è sempre
piuttosto restio ad accettare aiuto, perché chi per primo
risponde all' appello può accampare legittimi diritti sia
sulla nave in difficoltà sia sul suo carico. Il tratto di
mare dove si è sversato il carburante è stato «tirato a
lucido» dal Città di Ravenna; il comandante Ignazio Frisoni
da bordo riferisce che il lavoro della sua unità è quasi
completo; e, azzardando un parere, ipotizza che il cargo
liberiano sia affondato per aver imbarcato troppa acqua.
L'appello della
campionessa
ANCONA — Fioccano i commenti
e le reazioni all'affondamento della «Nicole». Lega Pesca si
dice preoccupata per «queste imbarcazioni non sicure, senza
doppio scafo — dice il coordinatore regionale Cecchettini —.
Siamo fortunati che non ci siano state drammatiche
conseguenze per l'ambiente e per l'economia della pesca.
Chiediamo che il Governo approvi il decreto ipotizzato dal
ministro Matteoli per il divieto di transito delle
petroliere monoscafo». Il Wwf Marche chiede che l'Italia
ratifichi subito la Convenzione internazionale sulla
responsabilità civile e sul risarcimento dei danni da
inquinamenti determinati dal carburante delle navi, oggi non
coperti da forma assicurativa obbligatoria» ed esprime
preoccupazione per l'episodio: «La maggior parte del
combustibile si depositerà sui fondali e l'equilibrio marino
verrà alterato». Italia Nostra osserva che «solo grazie al
caso i danni non sono stati irreparabili. Bisogna impedire
il transito a navi non sicure». La giunta provinciale ha
approvato un odg proposto dall'assessore Patrizia Casagrande
che invita governo, Parlamento italiano ed europeo «ad un
sollecito impegno per definire accordi internazionali per
impedire il trasporto via mare con navi che non diano
assoluta sicurezza». Paola Magliola, capogruppo dei Verdi
osserva che «l'Adriatico non può sostenere alcun tipo di
incidente. Il 21 gennaio presentai una mozione che mira a
sottoporre le navi a un'attenta analisi allo Stretto di
Otranto». Anche il sindaco di Senigallia Luana Angeloni
auspica che si faccia «chiarezza» sull'episodio, e auspica
che le carrette del mare non solchino più l'Adriatico». Il
sottosegretario alla difesa Francesco Bosi chiede
«l'adozione di un decreto interministeriale che costituisca
la base normativa per consentire a Marina militare, Guardia
costiera e Guardia di finanza di poter intervenire a tutela
delle nostre coste». La campionessa mondiale di immersione
in apnea Angela Bandini, preoccupata per l'affondamento
della nave in un mare molto amato e frequentato dai sub,
tira un sospiro di sollievo per la catastrofe sventata, ma
chiede che venga garantita «la massima prevenzione e
sicurezza per queste imbarcazioni».
Gli operatori alla carica:
«Un danno all'immagine»
NUMANA — Sull'onda della
polemica, un mare di proteste. Che s'allargano a macchia
d'olio, proprio come quella chiazza che l'altro giorno ha
messo fifa a mezza Italia e a tutti (proprio tutti) quelli
che sul Conero hanno anche solo l'ombra di un'attività.
Tuona Marco Massacesi, hotel Mimosa, Numana: «Le
preoccupazioni ci sono. Rovinare la stagione è un attimo.
Visto e considerato che si lavora due mesi all'anno, con
queste carrette qui si rischia di brutto». Un silenzio
assordante la protesta di Alessandro Franceschini, socio
proprietario dell'hotel Bellavista, pure questo di Numana:
«Non ho parole. Ho consultato anche il mio studio legale.
Sono preoccupato, vediamo cosa si riuscirà a fare. Certo, è
un episodio grave, questo della Nicole. Basta, è ora di dire
basta. E' un danno alla nostra immagine». Già, danno
all'immagine: «E che dire di quel servizio che in mattinata
(ieri, ndr) ha trasmesso il tg mattutino della Rai, col
cargo a picco, il Conero e una spiaggia invasa da liquame
nero? Che c'entra?». Annarita Nicoletti, presidente degli
albergatori, batte sullo stesso chiodo: «Hanno giocato col
montaggio delle immagini». Un montaggio «montato», l'ha
bollato un pugno di albergatori. Continua Nicoletti: «Siamo
stati fortunati, poteva andare peggio. Ma è anche vero che
siamo tranquilli. Non è successo niente, la Capitaneria, le
autorità ci hanno rassicurato. Adesso seguiamo
l'evoluzione». Di «danno all'immagine» parla Stefano
Marchetti, uno dei titolari dell'hotel K2, Numana: «Ci vorrà
vent'anni — dice — prima che tolgano questa nave. Anzi,
direi che qualche appassionato di immersione potrebbe
approfittarne per farvi una bella escursione». Stesso
coretto a Sirolo. Sull'onda della protesta. |
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CORRIERE ADRIATICO |
Sfiorata la rissa al consiglio con Bohigas
Violenta contestazione dei dipendenti della
raffineria al sindaco
Dalle parole ai fatti. Amministratori
spintonati in via Roma. L'assessore Terranova in difesa di
Carletti. Tensioni anche in aula. Dibattito sospeso più
volte.
Altro che tappeti rossi per Oriol Bohigas,
architetto catalano al quale il Comune ha affidato il
progetto guida per lo sviluppo della città. L'ospite d'onore
di Falconara è stato accolto da un'atmosfera di tensione
fuori, del centro comunale "Più" di via Roma. Doveva essere
una manifestazione pacifica il presidio dei sindacati dei
lavoratori dell'Api che volevano cogliere l'occasione per
far sentire la preoccupazione per il loro posto di lavoro e
un pizzico di gloria alla speranza di non veder smantellare
insieme con le cisterne della raffineria pure il destino
loro e delle famiglie. E invece la foga di far valere le
proprie ragioni gli ha preso la mano. E al cospetto dei
personaggi-simbolo di quelle istituzioni che stanno mettendo
in discussione la presenza futura dei petrolchimico sono
cominciate a volare parole grosse, insieme con spintoni e
tentativi di centrare l'avversario di turno con calci e
schiaffi. Un brutto principio di rissa. E così è cominciata
con una rissa sfiorata la seduta straordinaria del consiglio
comunale che ha visto sostituire i lustrini
dell'appuntamento importante per l’amministrazione e per
Falconara con l'ombra di una pagina non certo edificante di
vita cittadina. Alle 18 le Rsu e i rappresentanti della
categorie erano presenti, puntuali con tanto di striscioni.
A dargli man forte c'erano pure le avanguardie dei comitati
di Villanova e Fiumesino. Il clima di nervosismo montava.
Fino a toccare l'apice attorno alle 21, quando sono
cominciati a sfilare gli amministratori. Urla e spintoni e
qualche tentativo di colpire gli avversari del Palazzo hanno
fatto da contorno alla scomoda passerella e non hanno
risparmiato neppure il sindaco Carletti. A proteggerlo,
facendo scudo col proprio corpo, l'assessore Terranova. Per
sedare gli animi sono dovuti intervenire gli agenti della
municipale e sono stati apertati municipale i carabinieri. A
gettare benzina sul fuoco degli scontri verbali, e non solo,
alcuni botta e risposta al veleno. Come quello che ha visto
protagonista il capogruppo dei Ds Giancarlo Scortichini.
"Vogliamo tutelare i cittadini", ha detto rivolgendosi alla
folla che gli si accalcava attorno. "Ma non tutelate gli
operai", è stata la risposta, con tentata aggressione.
Stessa scena con Marescia, il presidente del Cam, che se l'è
vista brutta, e l'assessore Canonico. L'onda di tensione ha
fatto il suo ingresso pure in aula, dove neppure il minuto
di silenzio osservato per commemorare i due ragazzi morti
nel tragico incidente della notte tra sabato e domenica è
bastato per placare gli animi. Dalla platea, composta per
gran parte da lavoratori della raffineria sono a più riprese
volate proteste e veri e propri insulti all’indirizzo del
relatore di turno. Intemperanze che hanno costretto
l'architetto Oriol Bohigas ad interrompere più volte
l'illustrazione del suo progetto. E che non hanno giovato al
dibattito che comunque è proseguito secondo la scaletta, e
scandito dal preambolo del sindaco e dagli interventi dei
capigruppo, del dirigente dell'Ufficio urbanistica Durpetti,
dell'architetto Picciafuoco. Chi si aspettava un segnale
chiaro dalla serata di ieri è stato accontentato. Il
percorso verso la definizione delle linee strategiche che
correranno sullo sfondo dello sviluppo di Falconara sarà
lungo, tortuoso e non privo di insidie. Non sarà facile far
quadrare il cerchio della definizione dei piano regolatore e
soprattutto della compatibilità della raffineria con
l’ambiente circostante. Sul piano dei contenuti il messaggio
dei sindacato è chiaro e inequivocabile. “Il Prg da adottare
– fanno notare – non tiene conto dell’attività industriale
presente nell’area”. E la lotta contro chi “politicamente si
è espresso in questi giorni per l’incompatibilità della
raffineria con il territorio” è ufficialmente aperto. |
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LA SICILIA |
Dibattito
sulla costituzione di parte civile
La forte preoccupazione per i
recenti fatti legati all'Enichem e alle ripercussioni che la
vicenda, ora nelle mani della giustizia, ha provocato
sull'ambiente sono stati alla base di un Consiglio comunale
«aperto» cui hanno partecipato i sindacati e associazioni
ambientaliste. Unanimi sono apparse le posizioni di sindaco,
consiglieri e partecipanti al civico consesso che hanno
ribadito che «il lavoro non si può barattare con la salute»
e che è presupposto indispensabile che le industrie del polo
petrolchimico si adeguino alle norme in materia di
sicurezza. «Si è trattato di una seduta di approfondimento -
dice il presidente Ferdinando Messina - per acquisire pareri
e documentazioni che permetteranno al Consiglio comunale già
nella prossima seduta (prevista domani, ndr) di decidere se
costituirsi parte civile nel procedimento penale a carico
dei responsabili dell'Enichem e mettono a rischio
l'occupazione, a mio parere - aggiunge il presidente Messina
- solo i lavori necessari per la bonifica del sito darebbero
occupazione per almeno altri dieci anni, dopo, si potrebbe
avviare una seria programmazione per la riutilizzazione del
sito, è inutile trascinare una realtà senza futuro, senza
garanzie». Il sindaco Titti Bufardeci ha evidenziato che la
costituzione di parte civile del Comune, potrebbe
rappresentare una «scelta poco opportuna dal momento che le
indagini sono tuttora in corso» le posizioni degli
ambientalisti, dei consiglieri dell'opposizione e del
coordinatore cittadino di Forza Italia Nunzio Cappadona sono
sembrate fugare ogni dubbio. Se, da una parte, il presidente
del circolo «Chico Mendes» di Legambiente Paolo Tuttoilmondo,
ha consegnato un documento nel quale si evidenzia il danno
alla salute, dall'altra, Cappadona ha detto subito «il
Comune si costituisca parte civile senza aspettare, non
bisogna confondere la giustizia con il risanamento
ambientale».
Divisioni su «Goletta
verde»
In seguito agli ultimi
sviluppi dell'azione politica sul caso Enichem, il
presidente provinciale dei Verdi, Enzo Perez, stigmatizza in
un comunicato, il silenzio «attivo» della stessa azienda; la
semplice sostituzione dei dirigenti indagati e la
concomitante chiusura degli stabilimenti non sarebbero una
risposta ai gravi problemi in atto: «Solo attraverso la
nomina di un commissario straordinario, che si assuma la
responsabilità per l'emergenza dei rifiuti tossici, si potrà
superare la semplicistica e non risolutiva proposta della
Casa delle libertà, di ricorrere alla Goletta Verde». Ma il
segretario provinciale dei verdi punta il dito contro il
commissariamento di alcuni enti. L'on. Marco Lion,
capogruppo dei Verdi in Commissione ambiente alla Camera,
rafforzando la posizione della segreteria provinciale
aretusea in una nota, conferma che «sono la salvaguardia
della salute e la bonifica ambientale ad avere la priorità a
Priolo. La minaccia di chiudere gli impianti - dice - è solo
un ricatto cui bisogna rispondere con il meccanismo della
riconversione industriale. Il capogruppo alla Camera invoca
una maggiore trasparenza dei bilanci aziendali, perché si
possa uscire dal tunnel della demagogia». Fin qui i Verdi.
Il senatore Roberto Centaro puntualizza che «Goletta Verde
non è una soluzione al problema. E' soltanto un rilevatore
necessario ad individuare le strategie da adottare in
futuro. E' chiaro che il problema dev'essere risolto
attraverso un 'accurata programmazione politico-industriale
che attualmente - rileva infine Centaro - è all'impasse».
Enichem: no ai «ricatti»
Salvatore Maiorca Vertice a
Roma al capezzale della chimica, dell'ambiente e del lavoro.
I rappresentanti di Cgil, Cisl e Uil e della Fulc si sono
incontrati ieri a Roma col ministro per l'Ambiente, Altero
Matteoli, alla presenza del sottosegretario Togni e dei
direttori generali Mascazzini e Agricola. Oltre agli
esponenti delle confederazioni e della Fulc nazionale
all'incontro erano presenti i tre segretari provinciali di
Cgil, Cisl e Uil di Siracusa, Zappulla, Scatà e Munafò, i
tre segretari di Filcea, Femca e Uilcem, Carnevale, Spagna e
Sorrentino. All'incontro al ministero dell'ambiente c'era
anche una delegazione di rappresentanti degli enti locali
della provincia. Il sindacato ritiene interlocutorio
l'incontro col ministro Matteoli, esprimendo cautela e la
necessità di mantenere alta la vigilanza sulla vicenda dell'Enichem
di Priolo. Il ministro Matteoli ha confermato la sostanziale
condivisione della impostazione del sindacato nazionale e
siracusano, che rivendica due scelte: il risanamento del
territorio, nell'ambito del quale sia prevista la
riconversione della tecnologia dell'impianto cloro-soda da
celle a mercurio a celle a membrana, e l'accordo di
programma per la chimica. Sindacato e ministro hanno inoltre
ribadito di rigettare ogni ipotesi di ricatto su ambiente,
industria e livelli occupazionali, privilegiando invece
scelte di politica industriale per la chimica sostenibile.
Il ministro Matteoli ha convocato per venerdì prossimo l'Eni
e riconvocato i sindacati entro 15 giorni, periodo durante
il quale prenderà contatti anche col ministro delle Attività
produttive. Matteoli ha affermato che affida alla politica,
cioè al governo, il ruolo di indirizzare le scelte dell'Eni
in quanto azienda a partecipazione statale. Sposando la
posizione del sindacato siracusano il ministro ha ribadito
di guardare con attenzione all'accordo di programma, uno
strumento necessario da realizzare, al tavolo nazionale,
insieme all'azienda e alla Regione siciliana. Cgil, Cisl e
Uil sottolineano peraltro che quella del ministro Matteoli
non rappresenta ancora la posizione del governo, dato che il
ministro più direttamente competente, Marzano, e il
presidente del Consiglio, non si sono ancora espressi. Di
conseguenza sulla vicenda Enichem non si scioglie il nodo
del governo. Invece il senatore dei Verdi, Sauro Turroni,
rileva che «l'unico accordo di programma accettabile deve
andare nella direzione della bonifica di Priolo, facendo
gravare i costi sull'Enichem, responsabile
dell'inquinamento». E precisa che «a tutti stanno a cuore
gli operai ma ciascuno deve fare la sua parte». Intanto non
c' è più traccia nelle acque della rada fra Priolo e Santa
Panagia, a nord di Siracusa, della macchia di idrocarburi
segnalata il giorno prima, nel mare antistante i pontili del
petrolchimico. Il sopralluogo dell'unità disinquinante
«Supergabbiano 4» ha consentito di accertare che delle
striature notate il giorno prima, per un tratto di circa un
miglio, non c' è ormai traccia. La macchia era stata
attribuita allo sversamento da una petroliera in transito al
largo. |
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FAMIGLIA CRISTIANA |
Le Priolo
d'Italia (Giuseppe Altamore)
Sono 1.136 gli impianti a
rischio nel nostro paese
Un’indagine dell’Oms, sulle
15 aree industriali più pericolose, rivela una realtà
drammatica: la mortalità tocca livelli anche del 70 per
cento in più rispetto alla media nazionale.
«Sempre più verde, sempre più
trasparente, sempre più gradita alla collettività. Ormai
verso la chimica "verde" si procede a passi sempre più
spediti...». Il tono trionfalistico dell’Ecos, patinata
rivista dell’Eni, il gruppo multinazionale cui fa capo l’Enichem,
stona un pochino con la cronaca di questi giorni. Ma eravamo
nel 1999 e l’impianto industriale di Mantova aveva appena
ricevuto la prima certificazione ambientale Emas (Environment
management system). Un riconoscimento importante da esibire
in faccia ai soliti detrattori dell’industria chimica.
Certificazioni, bilanci ambientali, programmi di
autoregolamentazione, come il responsible care, che si sono
sommati a quel "premio", avrebbero dovuto avviare una nuova
strategia aziendale e, soprattutto, rassicurare l’opinione
pubblica all’insegna del «sempre più verde, sempre più
trasparente». Ma parte di quelle buone intenzioni è rimasta
sulla carta. Almeno a giudicare dai risultati. E non solo
nell’area di Priolo, cui dedichiamo un servizio nelle pagine
seguenti.
Secondo l’ultima "Mappatura
del rischio industriale in Italia", realizzata dall’Apat
(Agenzia per la protezione dell’ambiente e per i servizi
tecnici), sono 1.136 gli impianti a rischio in Italia. Oltre
il 22 per cento sono concentrati in Lombardia, in
particolare nelle province di Milano, Bergamo, Brescia e
Varese. Vere e proprie bombe ecologiche responsabili non
solo del degrado ambientale, ma dell’incremento di varie
malattie, soprattutto tumori, come puntualmente è stato
sottolineato in un rapporto dell’Oms (l’Organizzazione
mondiale della sanità). Buona parte delle industrie a
rischio sono impianti chimici o petrolchimici di cui l’Enichem
rappresenta una fetta consistente.
I freddi dati forniti dall’Oms
paiono usciti dalla penna di una qualche associazione
ambientalista. Numeri comunque agghiaccianti: in Italia,
ogni anno, 800 persone perdono la vita perché hanno la
sfortuna di vivere in una delle 15 aree a rischio esaminate.
Lo studio commissionato dal ministero dell’Ambiente, avverte
l’Oms, si riferisce al periodo 1990-94, ma completa
un’analisi iniziata nel 1981. Sono gli unici dati ufficiali
che un Paese industrializzato come l’Italia può esibire.
Perché, paradossalmente, sempre secondo l’Oms, c’è una seria
difficoltà ad avere dati e informazioni più efficaci e
aggiornati come, invece, avviene più puntualmente nel resto
d’Europa.
Lo studio dell’Oms esamina le
zone dove sono concentrati i cosiddetti poli industriali (Augusta-Priolo,
Brindisi, Crotone, Gela, Massa-Carrara, Manfredonia,
Portoscuso e Taranto) e le aree più complesse, cioè con
diversi impianti distribuiti su un territorio vasto
(Conoidi, Lambro-Olona-Seveso, Napoli, Po di Volano, Po
Polesine, Sarno e Val Bormida). In questi territori si muore
più che altrove di malattie respiratorie, di cirrosi, di
tumore polmonare e pleurico e di tumore della vescica negli
uomini.
Una storia emblematica è
quella del petrolchimico di Brindisi. Era il 1959 quando
l’allora presidente del Consiglio, Antonio Segni, posava la
prima pietra del petrolchimico, magnificando «i cerchi
concentrici di benessere» che ne sarebbero derivati; al
contempo due famosi esponenti della politica e della società
brindisina si chiedevano perplessi che fine avrebbero fatto
i rigogliosi terreni agricoli e la costa incontaminata che
si stendeva, tra dune di sabbia e macchia mediterranea, tra
Fiume Grande e Punta Cavallo sino alle Saline. Era quello –
secondo Montedison – «un paesaggio arcaico, immutabile,
forse lo stesso che contemplò Diomede (l’eroe greco che.
secondo la leggenda, fondò Brindisi, ndr.)», il quale sempre
secondo Montedison, dopo il 1959, non avrebbe potuto che
ammirare quanto era stato realizzato in 44 mesi, cioè
«torri, serbatoi, impianti industriali: un paesaggio del
nostro tempo, forse meno poetico, ma ricco di promesse per
il futuro».
Troppi tumori in quelle aree
Un futuro che per molti è
stato di morte. Lo studio dell’Oms evidenzia un tasso di
mortalità superiore del 48 per cento rispetto alla media
nazionale. Ma se consideriamo soli i maschi si arriva al 55
per cento. I tumori alla trachea, bronchi e polmoni sono
superiori del 36 per cento nei maschi e addirittura del 97
per cento nelle donne rispetto alla media regionale. Una
strage che si consuma lentamente a causa della lunga
incubazione di alcuni tumori, che possono manifestarsi anche
dopo decenni. Oltre all’Enichem, nell’area operano altre 70
aziende a rischio.
Ritorniamo a Mantova. Il polo
industriale è costituito da tre insediamenti. Ritroviamo
ancora l’Enichem, che copre 130 ettari, a circa cinque
chilometri dal centro di Mantova, al momento l’unico
stabilimento attivo in Italia per la produzione di stirene a
partire dal benzene. È segnalata una frequenza di leucemie e
linfomi fra la popolazione femminile, sino al 70 per cento
in più rispetto alla media nazionale. Il mercurio lo si
trova anche nella prima parte del basso corso del Mincio e
nei tessuti dei pesci.
Ci vorranno molte generazioni
e ingenti risorse per bonificare i siti industriali: nel
1995 era già stata calcolata una spesa di 30.000 miliardi di
lire.
Quella marea rossa
sfuggita ai controlli
In carcere anche un
funzionaria della Provincia
Diciotto persone sotto
inchiesta, tra cui alcuni dirigenti dell’Enichem. Chi doveva
vigilare sugli scarichi selvaggi?
Il mare rosso di Priolo,
ventimila volte malato col suo record di veleni al mercurio.
Le inquinatissime onde scoperte dalla magistratura davanti
allo stabilimento Enichem, un territorio dove i rifiuti
tossici, mai registrati come tali, venivano smaltiti come se
fossero normali. Nascosti in fusti a doppio fondo o
mescolati ai calcinacci, partivano per le discariche del
territorio nazionale. Ovenivano versati dentro copertoni di
gomma e poi bruciati. Oppure finivano in mare attraverso i
pozzetti dello stabilimento. Arresti in massa a Priolo,
diciotto in carcere due settimane fa tra dirigenti del
settore che produce clorosoda e un funzionario della
provincia. Con accuse che il capo della Procura di Siracusa,
Roberto Campisi, colloca nella strategia «del disprezzo per
la vita umana e per l’ambiente, in un’attività di impresa
fortemente connotata dalla volontà di ridurre i costi».
Arresti collegati ad altre inchieste che sono in corso e
riguardano l’inquinamento delle falde acquifere, le
malformazioni neonatali e l’incremento delle patologie
tumorali nella zona.
Si nasce male e si muore
troppo nella costa di Priolo. Trenta chilometri fra Siracusa
e Augusta con tre grandi raffinerie (Esso, Erg, Agip oggi
inglobata dalla Erg) e due centrali elettriche dell’Enel.
Qui i benefìci economici di uno sviluppo industriale, che i
sindacati definiscono «selvaggio e incontrollato», hanno
fatto salire il prodotto interno lordo alle vette siciliane,
ma hanno anche portato un tasso di malformazioni neonatali
tre volte superiore alla media nazionale (5,5 per cento
contro 1,5) e morti di cancro più della media regionale.
Rischio ambientale, paura del
futuro da disoccupati e tante domande a Priolo dopo la botta
degli arresti. Chi doveva controllare le scorie mercuriose e
il traffico di rifiuti? E perché una legge siciliana
consente l’ingresso di qualsiasi tipo di rifiuto? Nella
Sicilia dei commissari, per l’acqua, per il traffico, anche
i rifiuti ne hanno uno: il presidente della Regione
Salvatore Cuffaro, che ha nominato un suo vice, Felice
Crosta. «Tutto in regola in Sicilia», dice il
vicecommissario. I controlli a Priolo, in base all’articolo
20 del decreto Ronchi, doveva farli la Provincia, non li ha
fatti a dovere e un suo funzionario è stato arrestato. Per
il resto, «nessun rifiuto può entrare in Sicilia, può solo
uscire, perché questa è una Regione dichiarata in emergenza
rifiuti come la Campania, la Calabria e la Puglia».
Obiezione: c’è però un’ordinanza della Protezione civile,
maggio ’99, che consente alcune deroghe all’ingresso. «È
vero», spiega Crosta, «ma entrano solo quelli destinati al
recupero, non allo smaltimento».
La Sicilia non è il Far-West
dei rifiuti, ma la marea di mercurio che sbatte sulle coste
di Priolo – il più grosso polo chimico e petrolchimico di
raffinazione del greggio ed energia d’Europa – ha alle
spalle una marea di inerzie e responsabilità istituzionali.
Un consorzio sotto inchiesta
Il Piano di disinquinamento,
varato per decreto nel ’90 con un finanziamento di 400
miliardi di lire, non ha fatto un passo avanti, e solo tre
mesi fa sono stati accreditati i primi cinque milioni di
euro. La società che ha il compito di smaltire i rifiuti
mercuriosi di Priolo, la Ias, un consorzio fra enti pubblici
e privati, è sotto indagine della Procura per ipotesi di
inquinamento e ha più generali che soldati: 50 dipendenti a
fronte di un consiglio di amministrazione passato due mesi
fa da 7 a 17 consiglieri. E oggi che l’Eni ha deciso di
mettere la chimica su un binario morto, e annuncia entro il
2003 la fine della produzione del clorosoda a "celle di
mercurio", perché non intende investire cento milioni di
euro nella riconversione non inquinante a "celle di
membrana", il segretario provinciale della Cgil di Siracusa,
Pippo Zappulla, inizia con gli altri sindacati la battaglia
per il clorosoda pulito. «Va mantenuta una produzione
pulita, che non danneggi la salute e l’ambiente; è
un’infamia mettere la comunità di fronte alla scelta: o
inquinati o disoccupati». |
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