RASSEGNA STAMPA 29.01.2003

 

MESSAGGERO
Api, l’ultima parola spetta alla Regione

Dopo la sentenza del Consiglio di Stato che nega il rinnovo della concessione le reazioni di istituzioni e azienda

FALCONARA - Un chiarimento che apre nuove possibilità, come vagliare se rilasciare il rinnovo della concessione anche per un periodo inferiore ai 20 anni. La interpreta così Massimo Binci, (Verdi), assessore provinciale all’ambiente, la sentenza del Consiglio di Stato che ha dichiarato «inammissibili i ricorsi presentati dall’Api sull’annullamento del rinnovo ventennale rilasciato dal Ministero». Assessore, cosa significa questo per la Provincia? «Una conferma delle posizioni prese dagli enti. E’ un modo per chiarire e ripartire dalla richiesta di rinnovo che l’Api aveva già presentato in Regione. E’ sempre una richiesta anticipata che va vagliata». Si aprono nuovi scenari, quindi? «Lo scenario è quello attuale. Ma è inammissibile dare il rinnovo senza un contestuale progetto di dismissione. La Regione, in base ai dati raccolti e che sta ancora raccogliendo, come lo studio Svim, prenderà una decisione». Pesa in questo momento tale sentenza? «Noi Verdi non siamo per il rinnovo. Io stesso nel consiglio comunale di Falconara, quando si votò per la realizzazione della centrale Igcc, fui l’unico a votare contro perché, per me, non era urbanisticamente ed ambientalmente compatibile. Ci dissero che l’ammortamento degli investimenti era previsto entro il 2008. Se ora il piano di rientri sui crediti è diverso, l’azienda deve portare i documenti in Regione e mostrarli. In fondo, si potrebbe decidere di non optare per il rinnovo anticipato per altri 20 anni, ma di darlo a fine scadenza e per meno anni». Su quest’eventualità abbiamo sentito Marco Amagliani, assessore regionale all’ambiente. «E’ una delle verifiche che è possibile fare – ammette – Ma gli scenari non cambiano con questa sentenza. E’ solo la conferma che Regione e Comune avevano ragione e che ora la competenza è regionale. Questo significa tavolo istituzionale tra gli enti e anche tra le parti sociali». Infine, anche per il primo cittadino falconarese, Giancarlo Carletti, la sentenza rappresenta «una riprova di quanto con pacifica passione civile si è contestato fino ad oggi». Dal canto suo, la funzione Affari Legali dell’Api precisa in una nota che «sia il Tar Marche che il Consiglio di Stato hanno annullato il rinnovo ministeriale non per aver stabilito l'incompatibilità della Raffineria, bensì per aver (a giudizio del Ministero e dell’Api, in modo erroneo) individuato una carenza procedimentale nell'iter amministrativo, adottato dal Ministero per tale rinnovo».

Carletti sommerso dai fischi sindacati e lavoratori infuriati

FALCONARA - Consiglio comunale rovente quello di ieri sera. All’ordine del giorno la presentazione dei progetti di riqualificazione dell’area a nord della città alla presenza dell’architetto Oriol Bohigas. Ma pesava la decisione del Consiglio di Stato di non concedere ulteriore rinnovo, dopo il 2008, alla raffineria Api. I sindacati e i lavoratori hanno fatto sentire la loro voce presentandosi all’appuntamento con striscioni e cartelloni. Una manifestazione composta e pacifica fino a quando non ha fatto il suo ingresso il sindaco Carletti. Subito sommerso dai fischi il sindaco contrario all’Api e al rinnovo della concessione. Fischi dai lavoratori ma fischi anche dagli abitanti del palazzo che ospita il centro Più dove si è svolta l’assemblea. Preoccupazione per l’atmosfera troppo agitata, tanto che qualcuno ha pensato di chiamare anche i Carabinieri. La contestazione è rientrata dopo qualche battibecco fra Carletti e contestatori. I sindacati erano presenti dalle 18. Un centinaio di dipendenti ha presidiato la sala per protestare «nei confronti di una giunta di sinistra che sembra aver messo come uno dei suoi ultimi obiettivi la questione occupazionale». Diversi gli striscioni e i cartelli delle Organizzazioni Sindacali, uno dei quali riportava «Falconara vive con l’Api, come noi». Mentre lo slogan delle Rsu che d’ora in poi li unirà nella lotta è «insieme per il lavoro nella sicurezza di tutti».

“Nicole” non fa più paura al Cònero La chiazza maledetta è evaporata

Sospiro di sollievo in tutta la riviera Oggi verrà travasato il carburante rimasto nella cisterna

NUMANA - Mercantile a picco davanti a Numana, l'ambiente per ora sembra non correre rischi, ma i dubbi sulle cause del naufragio della "Nicole", 37 anni di vita, restano. La chiazza di gasolio è evaporata, facendo tirare un sospiro di sollievo a tutta la Riviera del Conero. Resta da pompare il carburante rimasto nella cisterna interna al cargo. L’operazione sarà compiuta oggi, col travasamento nel rimorchiatore “Città di Ravenna". Ieri giornata intensa, sia sotto il profilo degli interrogatori a carico dei quattordici membri dell'equipaggio ucraino, comandante e capomacchine in testa, sia per ciò che riguarda le operazioni di recupero del carburante disperso in mare e di quello ancora nel cuore dei serbatoi della nave. Non esistono, inoltre, conferme sul tipo di materiale disperso in mare, dovrebbe trattarsi di feldspato, un minerale naturale utilizzato per la lavorazione del vetro, ma sugli eventuali effetti dannosi per l'ambiente marino bisognerà i sopralluoghi odierni. Sul fronte dell'inchiesta ancora non sono ancora partite denunce nei confronti del comandante o di altri membri dell'equipaggio, visto che ancora la procura della Repubblica non ha ricevuto alcun fascicolo. Tra oggi e domani, intanto, è probabile che gran parte dell'equipaggio venga rimpatriato. Rimarranno ad Ancona di certo il comandante, Anatoliy Nokhrin, 63 anni, ed il capomacchine che ieri pomeriggio non sono stati interrogati a fondo in quanto hanno partecipato alle operazioni di recupero del carburante disperso, di quello da prelevare dai serbatoi e dell'opera di bonifica. Interrogatori che hanno richiesto l'utilizzo di un interprete viste le difficoltà di comprensione linguistica, nessun marinaio parla un inglese corretto e tanto meno l'italiano. I marinai sono difesi dallo studio legale Mordiglia-Mauro specializzato in diritto marittimo. Il tratto di mare dove ieri si è sversato il carburante è stato proprio «tirato a lucido» dal “Città di Ravenna" il comandante Ignazio Frisoni da bordo riferisce che il lavoro della sua unità è quasi completo. E, azzardando un parere, ipotizza che il cargo liberiano sia affondato per aver imbarcato troppa acqua. Dal rimorchiatore marinai con anni di esperienza osservano che forse la “Nicole" non doveva ancorarsi per affrontare l'Adriatico di prua, ma avrebbe fatto meglio a mettersi di poppa. Gli avvocati Maurizio e Giuseppe Mauro. Che avvertono: «Non bisogna trarre conclusioni affrettate, aspettiamo i risultati dell’inchiesta. Siamo di fronte ad un errore del comnandante? Strano ci risulta che abbia esperienza da vendere». Potrebbero essere state le avverse condizioni meteo dei giorni precedenti all'arrivo davanti alle coste del Conero ha provocare infiltrazioni d'acqua che poi hanno fatto colare a picco il mercantile "rivership", cioè utilizzata per tratte fluviali. Impossibile per ora parlare di guasti o di falle nello scafo, controlli che si potranno fare solo una volta recuperato ed analizzato il relitto. E sui tempi di recupero incombe il rischio dell'abbandono da parte della società armatrice del Belize assicurata con una compagnia ucraina. Se le operazioni di recupero si dimostrassero più costose del valore della nave la compagnia saluterebbe tutti e a quel punto toccherebbe allo Stato accollarsi l'onere del recupero. Dall'acqua spuntano l'albero di poppa e parte del fumaiolo e la presenza della nave in quel punto rappresenta un ostacolo alla navigazione. In attesa del recupero, che non avverrà di certo nel giro di qualche giorno, la zona è stata segnalata ed evidenziata dalla capitaneria di porto di Ancona. Tecnici ed esperti però tranquillizzano sul versante inquinamento marino: flora e fauna non dovrebbero correre rischi. Gran parte del gasolio è evaporato e le oltre 60 tonnellate stivate nella nave verranno recuperate oggi attraverso il pompaggio dell'idrocarburo: «L'ambiente pare salvo - spiega l'assessore regionale all'ambiente Marco Amagliani - per cui, nonostante il livello di attenzione resta, la nostra preoccupazione è legata al transito di altre carrette del mare più pericolose in un mare chiuso come l'Adriatico. Fosse andata a picco una petroliera sarebbe stata una tragedia. Il governo deve farsi carico di una normativa precisa e applicabile». Danno ambientale evitato, ma numerosi restano gli interrogativi irrisolti. La "Nicole", varata nel 1966, battente bandiera del Belize, era diretta a Porto Levante in Veneto, con a bordo un carico di oltre tremila tonnellate di un minerale. Un'imbarcazione vetusta dunque, forse sovraccarica, ma a quanto si dice costruita per la navigazione fluviale. Inadatta dunque a solcare i mari? Sebbene si tratti di materiale di per sé non inquinante, se si tratta di felspato, sono sconosciute le sue reazioni chimiche, una volta avvenuto il contatto con l'acqua. Per questo è stato avviato uno studio da parte dell'Arpam. Quanto alla rimozione del relitto, che costituisce dato il basso fondale (12 metri) un ostacolo sulla rotta verso Ancona, occorrerà attendere. «Premeremo prima sul proprietario, che è di nazionalità liberiana - spiega il capitano Izzo - auspicando in seconda battuta un intervento da parte dello stato italiano che potrebbe avvenire in tempi brevi a patto che si risolvano questioni burocratiche molto complesse».

IL FATTO

IL PRIMO ALLARME - Alle 17 di domenica la Capitaneria nota un cargo fermo al largo di Numana. Una motovedetta esce in perlustrazione. E ad un controllo, il comandante risponde che tutto è a posto.

L’SOS - Alle 22,45 la “Nicole" lancia l’sos. Imbarca acqua, sta affondando. Scattano i soccorsi. L’equipaggio viene tratto in salvo. Ma il cargo affonda. E lascia una scia di gasolio.

IL PERICOLO - La “Nicole", un vecchio cargo da 2.406 tonnellate battente bandiera del Belize,era partita dal porto turco di Gulluk e diretta a Porto Levante, sul litorale di Rovigo, con un carico di minerali. Costruita nel ’66, ha con sè 64 tonnellate di gasolio da trazione che lentamente si sversa in acqua. La chiazza, all’alba, è lunga sette miglia e larga, nel punto dell'affondamento, una quarantina di metri.

IL PIANO - Scatta il piano antinquinamento. Uomini della Capitaneria e del ministero dell’Ambiente calano attorno allo scafo un ferro di cavallo costituito da panne galleggianti antinquinamento. tenuto ancorato da un lato da una motovedetta della Capitaneria, dall' altro dal rimorchiatore Città di Ravenna.

IL SOLLIEVO - Ieri il cessato allarme. Non c' è più nessuna traccia della striscia di gasolio da trazione fuoriuscita dal natante, solo un odore di combustibile nell' aria. Il carburante affiorato è stato completamente prosciugato, grazie all’evaporazione, come confermato dal tecnico del ministero per l’Ambiente. E quello rimasto nella pancia del cargo verrà pompato via entro le prossime ore.

IL MISTERO - Solo l'inchiesta sommaria della Capitaneria di porto potrà stabilire se vi siano estremi di reato nel comportamento dell' equipaggio e nel ritardo con cui ha lanciato l' SOS. In quel caso verrà trasmesso un rapporto alla procura della Repubblica, con la conseguente iscrizione dei responsabili nel registro degli indagati. Sullo strano naufragio di questa nave vecchia 37 anni e concepita per la navigazione fluviale, si continua a indagare: potrebbe aver imbarcato acqua a causa delle murate troppo basse, colta dal mare in tempesta, o per essersi posizionata male.

Sirolo: «Fermate quelle pseudo imbarcazioni»

Il sindaco Misiti: «Viviamo di turismo». Si ribella anche il sindaco di Venezia

ANCONA - «Non è la prima volta che una nave affonda con il suo carico inquinante mettendo in pericolo l’ambiente. Purtroppo non sarà neanche l’ultima se non verranno presi provvedimenti seri per impedire che carrette vecchie e vetuste continuino a solcare i mari». E’schietto il sindaco di Sirolo Giuseppe Misiti, che rileva amaramente come «ci si ricordi della necessità di intevenire solo quando i fatti accadono. Ritengo che sia ormai ora di prendere provvedimmenti seri e confido nella sensibilità del Ministro dell’ambiente affinché l’Italia si faccia promotrice a livello europeo di una legge che salvaguardi il mare e che possa impedire a queste pseudo imbarcazioni di costituire mine vaganti contro l’ambiente e contro la nostra economia turistica». Il naufragio della “Nicole" continua a produrre appelli per un mare più sicuro. E non solo dalle Marche. Una «chiusura immediata» dei porti dell'Adriatico alle petroliere senza doppio-scafo, le navi ecologicamente più pericolose: è il «segnale italiano» che il sindaco di Venezia ed europarlamentare Paolo Costa ha chiesto ieri di lanciare al ministro dei Trasporti Pietro Lunardi. L'invito è stato rivolto durante un incontro che Lunardi ha avuto a Bruxelles con la Commissione per le politiche regionali, i trasporti e il turismo (Rett) del parlamento europeo. Costa ha invitato il ministro «ad adoperarsi» perchè il semestre italiano di presidenza europea affronti «in modo deciso» il tema della sicurezza marittima. Un'eventuale chiusura dei porti adriatici, segnale «anticipatore di una più generalizzata politica europea», secondo la nota, dovrebbe essere «naturalmente accompagnata da uguali disposizioni relative ai porti sloveni e croati». E se anche la campionessa mondiale di immersione in apnea Angela Bandini, preoccupata per l' affondamento della nave “Nicole" a Numana, in un mare molto amato e frequentato dai sub, tira un sospiro di sollievo per la catastrofe ambientale sventata, il coordinatore regionale della Lega Pesca Simone Cecchettini avverte: «Navi così - dice Cecchettini - non devono più transitare e attraccare nei porti dell' Adriatico. Chiediamo che il Governo approvi velocemente il decreto ipotizzato ieri dal ministro per l' Ambiente Altero Matteoli» per il divieto di transito delle petroliere monoscafo. «Il nostro mare - conclude la Lega Pesca - è una risorsa viva, che dobbiamo tutelare ogni giorno».

Le scialuppe a San Benedetto

Trascinate dalla corrente, sono state ripescate

 SAN BENEDETTO - Sono state avvistate ieri mattina a sette miglia al largo della costa sambenedettese due delle imbarcazioni di salvataggio della Nicole. Le scialuppe, uno scafo rigido di sette metri e un battello autogonfiabile, erano alla deriva a sette miglia dalla spiaggia. Sono stati i pescatori che stavano rientrando in porto a segnalarne la presenza alla Capitaneria di Porto, che ha fatto uscire subito una motovedetta. Le due imbarcazioni di salvataggio sono state recuperate e rimorchiate in porto per evitare il rischio di collisioni con qualche barca in transito. Il personale della Capitaneria ha spiegato che le scialuppe di salvataggio si sganciano automaticamente nel momento in cui la nave sta affondando. Stessa cosa deve essere successa l’altra notte davanti alle coste di Numana. I battelli alla deriva sono stati trascinati con facilità, a causa dello scarso peso, verso sud dalla corrente e la notte scorsa sono arrivati davanti alle coste sambenedettesi. La Capitaneria di Porto ha avvisato i motopesca della possibile presenza in mare di altre scialuppe alla deriva, chiedendo ai pescatori di segnalarle immediatamente.

Ancona, portacontainer contro la diga foranea

Si stacca la fune del rimorchiatore, la “Rajha Brooke” urta la scogliera

ANCONA — S’è sfiorato un altro naufragio, ad Ancona, poche ore prima l’affondamento del Nicole. La notizia, inizialmente oscurata dal frastuono informativo intorno al cargo colato a picco, è trapelata soltanto nella giornata di ieri. Questa volta l’incidente marittimo si è verificato proprio davanti al porto dorico, mentre la portacontainer "Rajha Brooke" stava entrando nello scalo marittimo al traino di un rimorchiatore. Per motivi su cui sta indagando la Capitaneria di porto, la cima del traino si è staccata. L’imbarcazione, rimasta improvvisamente in balia di se stessa nella difficle manovra di ingresso, è finita contro gli scogli del molo foraneo, all’altezza del faro rosso. La banchina non ha riportato danni mentre il natante ha ricevuto una brutta botta sulla fiancata. C’è stato l’intervento dei marinai della Capitaneria di porto e del Registro navale italiano (Rina) per verificare il pericolo di infiltrazione d’acqua. Dopo un’ulteriore ispezione dei periti del German Lloyd Register, la portacontainer è stata ritenuta in grado di riprendere la navigazione. Cosa che è avvenuta qualche ora dopo, quando la “Rajha Brooke" ha proseguito nella sua rotta per Malta. Il caso viene seguito per conto della società armatrice dall’avvocato Giuseppe Mauro anche se, per il fatto che la banchina foranea non ha riportato danni, la vicenda dovrebbe chiudersi senza nessuno strascico. Nemmeno il tempo di esaminare la pratica e gli ufficiali della Capitaneria si sono trovati alle prese con un’emergenza ben più grave: quella del Nicole. Entrambe le vicende sono seguite dallo studio legale Mordiglia-Mauro, tra i pochi in Italia specializzati in diritto della navigazione.

 
IL RESTO DEL CARLINO
Comitati all'attacco sul fronte dell'Esino

FALCONARA — Insistono, imperterriti i Comitati dei quartieri di Fiumesino e Villanova sulla proprietà della sponda destra del fiume Esino. Lo fanno questa volta con documenti alla mano che dimostrano come la sponda sia di proprietà pubblica. «Nonostante le numerosissime sollecitazioni dei Comitati — ha detto Massimo De Paolis — sulla questione della proprietà della sponda destra del fiume Esino, ovvero di una porzione di essa, il Comune, la Provincia e la Regione tacciono incredibilmente». I Comitati hanno ottenuto dall'Agenzia del Demanio di Ancona un documento datato 10 ottobre 2002 dove viene specificato che « il confine tra il demanio e la proprietà Api sulla sponda del fiume Esino coincide con la recinzione posta sul cordolo esterno della strada di proprietà Api parallela allo stesso fiume Esino». Per i rappresentanti dei quartieri ciò significa che la sponda destra del fiume, zona foce, è interamente di proprietà demaniale, cioè pubblica. «Le conseguenze di questa situazione patrimoniale sono notevolissime — ha ribadito ancora una volta Loris Calcina — perché innanzitutto risulterebbe non vero ciò che è stato affermato dai dirigenti Api, secondariamente perché il pesantissimo inquinamento da idrocarburi avrebbe leso un bene pubblico». I Comitati, alla luce di questi nuovi risvolti, chiedono a Comune, Provincia e Regione se la palancolata, che occupa quel tratto, ha le prescritte autorizzazioni. In sostanza domandano un interessamento diretto degli Enti preposti affinché si chiariscano situazioni al momento ancora oscure. Almeno è così per i Comitati.

Si discute dell'Api, botte al sindaco Carletti

Calci, pugni e urla. Così hanno accolto il sindaco Carletti (foto) gli oltre cento lavoratori della raffineria Api di Falconara, riuniti nell'assemblea pubblica indetta dal Comune per presentare la bozza del progetto urbanistico, presentato dall'architetto spagnolo Oriol Bohigas. I lavoratori hanno atteso l'arrivo del sindaco fuori dalla sala di via Roma dove si teneva la seduta straordinaria del Consiglio comunale. Quando, verso le 21.10, Carletti è arrivato, era accompagnato dal dirigente dell'ufficio ambiente Paolo Angeloni, dal dirigente del settore urbanistica Furio Durpetti, dal presidente del Cam Gianni Marescia e dall'assessore Terranova, anch'essi presi di mira. Per fermare l'aggressione sono intervenuti polizia e carabinieri. A tanto è arrivato il «braccio di ferro» sulla raffineria.

«Sentenza superata: resteremo»

FALCONARA — Sarà il 2008 l'anno che decreterà la fine della permanenza della raffineria sul territorio falconarese? O sarà semplicemente il proseguo di un'attività che soddisfa il fabbisogno energetico di tutta la regione pur avendo un impatto ambientale notevole? A due giorni dalla sentenza del Consiglio di Stato, che ha ribadito su vecchia istanza della raffineria che con il 2008 si concluderà un capitolo importante della vita industriale delle Marche, l'Api spiega l'iter procedurale che ha indotto a questi risultati. «Le decisioni richiamate — dice l'Api — riguardano altrettanti ricorsi presentati in via eccezionale al Consiglio di Stato che si esauriscono in motivazioni di natura esclusivamente tecnico-procedurale, dato che nel merito dell'argomento si era già espresso lo stesso Consiglio di Stato. In altri termini — spiega — l'annullamento del rinnovo della concessione, che era stato rilasciato dall'allora ministero dell'Industria, era avvenuto definitivamente con la sentenza dell'aprile dello scorso anno». In quell'occasione, l'Api aveva di conseguenza avanzato l'istanza di rinnovo all'amministrazione regionale divenuta nel frattempo, a seguito della devolution verso le Regioni, competente al rilascio del provvedimento richiesto. L'Api ricorda inoltre che «sia il ministero sia la raffineria di Ancona, ritenevano e ritengono tuttora che la sentenza del Consiglio di Stato dell'aprile scorso e la precedente sentenza del Tar Marche fossero il frutto di evidenti, clamorosi errori nella valutazione dell'iter procedimentale seguito dal Ministero nella emissione del rinnovo». Fu proprio in quel caso che decisero di tentare la via dei ricorsi, che in via eccezionale il codice di procedura consente, consapevoli, d'altro canto, che l'eccezionalità di detti rimedi costituiva un'alea molto forte sull'esito degli stessi. Le ultime decisioni del Consiglio di Stato hanno quindi stabilito che non ricorrevano quelle condizioni eccezionali di ammissibilità, ma l'Api sottolinea che «non hanno in alcun modo più affrontato le questioni di merito». Secondo la raffineria quindi, nessuna novità c'è nella decisione di ieri. Nella nota ricorda che sia il Tar Marche che il Consiglio di Stato hanno annullato il rinnovo ministeriale non per aver statuito nel merito l'incompatibilità della raffineria, bensì per aver (a giudizio del ministero e della società petrolifera, in modo erroneo) individuato una carenza procedimentale nell'iter amministrativo adottato dal ministero per il rinnovo medesimo. Definiscono quindi la divulgazione della notizia da parte del Comune come un'operazione «strumentale e tendenziosa». Si è concluso così l'ultimo, ma non definitivo, capitolo dell'eterna battaglia legale tra raffineria e Comune di Falconara. Ora la patata bollente è passata nelle mani della Regione, che ha prorogato il tempo limite entro cui avrebbe dovuto decidere sul futuro dell'industria petrolifera.

«Perché tanta fretta sul Prg?»

FALCONARA — Assindustria e Democratici di sinistra sono ormai ai ferri corti. Una serie di botta e risposta quelli che si rimandano che accendono il dibattito politico. L'associazione degli industriali controbatte a quanto affermato dal segretario dei Ds, Giancarlo Scortichini imputandogli argomentazioni «vaghe e di principio, perché non sa, o non vuole, entrare su contenuti che possono rivelarsi scomodi». «Spostare l'attenzione su Assindustria dicendo che tutela solo il proprio interesse e quello di un'azienda sul territorio — dice Assindustria — appare un infelice tentativo di distrarre l'attenzione per evitare di rispondere agli interrogativi che gli imprenditori di Falconara, tutti, e non solo uno, pongono da troppo tempo all'amministrazione». Si riferiscono al progetto di riconversione dell'area attualmente occupata dall'Api sulla quale è stata prevista una destinazione di tipo turistico. L'associazione degli industriali ribadisce inoltre la posizione dell'architetto Oriol Bohigas che ha ravvisato nell'industria petrolifera non un ostacolo ma un elemento in grado di contribuire al mantenimento dello sviluppo cittadino e uno strumento per rendere fattibile proprio l'obiettivo strategico del Prg. «Vogliamo chiedere di nuovo — si domanda Assindustria — quali sono le motivazioni che inducono l'amministrazione ad una richiesta di accelerazione dei tempi per l'approvazione del Prg. Tutta questa pressione sembra giustificarsi solo con motivazioni politiche, che scavalcano il reale benessere della cittadinanza e sembrano invece il tentativo di precostituirsi dei vantaggi sui programmati tavoli di concertazione». Per quanto riguarda poi il paragone tra un piano industriale e quello di un'amministrazione, Assindustria sostiene che è «superfluo dire che si sviluppano in maniera diversa». «Non dimentichiamo — sostengono — che anche il primo, pur ponendosi obiettivi ambiziosi e d'avanguardia, non dovrebbe esimersi da caratteristiche come la concretezza, la fattibilità, la stima dei tempi, la presenza di risorse che possono favorirne la realizzazione proprio a vantaggio della collettività di cui l'amministrazione deve tener conto». Insomma il Prg non può ignorare le esigenze degli operatori economici sul territorio, pena la decadenza del tessuto locale.

Sindacati «Il Comune ci farà perdere anche l'ultimo treno»

FALCONARA — «La posizione del Comune sta mettendo a rischio l'impianto cargo della città». Le organizzazioni sindacali regionali della Filt-Cgil, Fit-Cisl e Uilt-Uil riconfermano la contrarietà alla chiusura dello scalo merci ferroviario falconarese anche perché — dicono — «le Marche sono state già penalizzate nel recente passato». Chiedono al presidente della Giunta regionale, Vito D'Ambrosio di convocare al più presto un incontro congiunto con le organizzazioni sindacali, le istituzioni locali e Trenitalia-cargo. Un faccia a faccia chiarificatore per comprendere la posizione delle Ferrovie, ma anche della Regione rispetto alla proposta del Comune che potrebbe portare alla chiusura dell'impianto di Falconara. Mancinelli, Talenti e Fioretti (Cgil, Cisl e Uil) promettono battaglia: «Svilupperemo tutte le iniziative sindacali necessarie per impedire che si realizzi un disegno di ulteriore impoverimento delle attività ferroviarie». Già due mesi fa le segreterie regionali avevano denunciato la pericolosità di delocalizzare lo scalo merci, proprio perché il suo paventato spostamento avrebbe comportato una perdita di almeno 100 posti di lavoro.

Sindacati Sit-in e striscioni in via Roma: no alla chiusura

FALCONARA — Sit-in davanti al centro comunale di via Roma delle Rsu (Cgil, Cisl e Uil) dell'Api prima dell'atteso incontro dell'architetto spagnolo Oriol Bohigas con la cittadinanza. Striscioni con scritte a caratteri cubitali sono comparsi davanti alla sede generale di tutti i servizi sociali forniti dal Comune. Una protesta silenziosa e contenuta per mettere in evidenza e quindi ribadire il 'no' alla chiusura della raffineria e il 'sì' al lavoro nella sicurezza. «La decisione del Comune di presentare un piano regolatore che non prevede l'attività industriale in quell'area e la proclamazione di incompatibilità ambientale — ha commentato il sindacalista Uil Andrea Fiordelmondo — non sono né condivisibili né comprensibili perché non tengono conto degli studi Enea e Arpam. I due elaborati — spiega Fiordelmondo — asseriscono che con le dovute prescrizioni e con le dovute migliorie tecniche la compatibilità esiste. Non è oltretutto giustificabile — sottolinea — una presa di posizione del sindaco e della giunta comunale che appartengono ad un'area culturale e politica che dovrebbe essere vicino al mondo operaio e che non tengono invece in considerazione il problema occupazionale».

Un altro incidente in mare

Un altro incidente in mare, oltre a quello ben più grave che ha coinvolto l'imbarcazione Nicole, si era verificato domenica scorsa all'ingresso del porto. Protagonista, durante la mattinata, una nave porta container andatasi a schiantare contro una barriera frangiflutti. L'incidente ha avuto conseguenze solo per l'imbarcazione, denominata Rajha Brooke, che ha subito qualche danno. Immediato però è stato l'intervento dei soccorritori, anche tramite lo studio legale Mordiglia Mauro, che hanno rimesso in classe la nave. La Rajha Brooke ha potuto così, più tardi, riprendere il largo con il suo carico.

«Fauna senza rischi»

NUMANA — La fauna ittica del mare del Conero non corre pericoli rilevanti dopo l'affondamento della «Nicolè». «In primo luogo — spiega Corrado Piccinetti (foto), il direttore del Laboratorio di Biologia marina dell'Università di Bologna, che ha sede a Fano — perché il quantitativo di carburante disperso in acqua non è molto consistente e poi perché d'inverno, con l'abbassamento delle temperature, i pesci si sono spostati più a largo». Fra le circostanze «fortunate» di un naufragio che avrebbe potuto provocare una catastrofe ecologica in un'area protetta il prof. Piccinetti annovera anche la natura del carburante: «Il gasolio non ha la stessa consistenza del petrolio grezzo. E poi mi pare che la perdita della sostanza dai motori della Nicole abbia avuto un effetto di diluizione notevole». Nella letteratura scientifica invece non esistono studi che riguardino i possibili effetti sull'ecosistema marino del feldspato, un minerale costituito da silicati di alluminio e potassio o sodio e calcio. Anche in questo caso però Piccinetti esclude una minaccia per la fauna ittica, anche se «prima di esprimersi bisognerebbe conoscere il grado di solubilità del materiale e se sia stato pretrattato oppure no». Il dato più confortante resta la scarsità di pesce in quel tratto di mare nella stagione fredda: «Se l'incidente fosse accaduto d'estate sarebbe stato molto peggio, vista la massima concentrazione ittica sotto costa».

Il fatto che la striscia ...

ANCONA — Il fatto che la striscia di gasolio, peraltro monitorata da Capitaneria di Porto, Protezione civile e Arpam, sia scomparsa, dimostra che il naufragio della Nicole non è neppure lontano parente di altri catastrofici inabissamenti. Ciò non toglie, però, che di interrogativi a cui dare una risposta ce n'è un'infinità e che questo episodio, seppur a lieto fine, riaccende i riflettori su un problema mai sopito: le vecchie «carrette» che solcano abitualmente i nostri mari, compreso il «lago» Adriatico. Ma perché la Nicole è affondata? Finché l'istruttoria amministrativa aperta dalla Capitaneria non sarà terminata, non potranno essere date risposte certe. Anche l'avvocato Maurizio Mauro, legale difensore della Barrier Marine Management Ltd, con sede in Liberia, manager della nave invita alla prudenza. «Sarebbe bene — scrive l'avvocato in una nota — per evitare giudizi affrettati, tenere presente che la motonave Nicole è una nave fluviale con determinate caratteristiche costruttive e che durante la traversata dal porto di imbarco della merce, Gulluk (Turchia), ha incontrato condizioni meteomarine avverse con onde che sovrastavano la coperta, sommergendo i boccaporti delle stive. Inoltre il comandante della nave ha deciso di dare fondo e di mettersi alla cappa, proprio per contrastare la violenza del mare, giusto in considerazione della struttura e le dimensioni di tale nave di tipo speciale. In quanto capo della spedizione, il comandante ha deciso di assumere le decisioni che riteneva più consone durante la navigazione. Sarà l'inchiesta formale, successiva a quella sommaria, a dare indicazioni più precise sulle cause che hanno determinato l'affondamento della nave. Solo con il recupero del relitto sarà possibile constatare le condizioni della nave dopo la tempesta che, prima della partenza dal porto di caricazione era in classe (vale a dire con tutti i documenti di bordo in ordine), idonea quindi alla navigazione e al trasporto». L'ipotesi più plausibile e che la Nicole avesse già manifestato problemi, anche per colpa del mare agitato (che comunque, come ha riferito il comandante Izzo non poteva causare un sinistro tale). L'equipaggio evidentemente ha creduto di potercela fare, di poter aspirare tutta l'acqua entrata dal boccaporto con le pompe di sentina. Ma forse o la portata dell'acqua era tanta o l'impianto di pompaggio non ha funzionato a dovere. Intanto il comandante Nokhrin che, interrogato anche ieri ha detto di non aver opposto resistenza alle offerte di aiuto della Capitaneria e i 13 marittimi ucraini, sono stati alloggiati presso l'albergo Fortuna. Resteranno a disposizione delle autorità marittime fino a quando non verrà fatta piena luce sulla vicenda.

«Così passano le carrette del mare»

ANCONA — «Ci voleva l'incidente della Nicole per tornare a parlare sulla sicurezza riguardante la navigazione nelle nostre acque?». E' questa la domanda che si pone Paolo Baldoni, segretario nazionale dell'Ansep Unitam, l'associazione nazionale che raggruppa le aziende di servizi ecologici portuali e di tutela dell'ambiente marino. Paolo Baldoni è un esperto di mare e ambiente e sta lavorando a livello ministeriale per formulare nuove leggi riguardanti la sicurezza delle nostre acque. Spiega Baldoni: «La lingua di mare Adriatico di fronte ad Ancona è infatti un luogo di passaggio per tutte quelle imbarcazioni che, oltre ad attraccare nel porto dorico, proseguono per poi ormeggiare in uno dei tre grandi porti quali Ravenna, Venezia e Trieste». E allora perché così tante carrette del mare ci navigano sotto al naso? La risposta è tutt'altro che un giallo. «Tutte le navi a doppio scafo saranno a pieno regime solo nel 2014 — spiega Baldoni — poi, quando gli Stati Uniti d'America hanno imposto il doppio scafo ai propri armatori, molti noleggiatori europei hanno acquistato, a prezzi bassissimi, quegli stessi navigli a scafo unico, per piazzarli in Italia e in Europa». Le acque del nostro mare quindi «sono a continuo rischio, non solo per il passaggio delle petroliere, ma soprattutto a causa di queste carrette poco sicure e che trasportano quasi sempre del gasolio o delle merci che potrebbero essere, in caso di affondamento, altamente inquinanti». Continua Baldoni: «C'è poi da considerare anche il fatto che molte di queste imbarcazioni riversano in mare i propri rifiuti nocivi all'ambiente, mentre non potrebbero». Ad occuparsi di antinquinamento è la direttiva europea 59/2000 «che impone alle navi di scaricare tutti i rifiuti e le acque di sentina in porto». Conclude Paolo Baldoni: «Purtroppo essa è ancora in fase di approvazione da parte del governo Italiano quindi bisogna accelerare sui tempi, investire sulla sicurezza e sulla professionalità degli equipaggi perché sarebbero sufficienti 20mila tonnellate di greggio per far scomparire l'Adriatico».

Se la «Nicole» non ha falle ...

ANCONA — Se la «Nicole» non ha falle e non ci sono state collisioni, se è vero che il comandante e l'equipaggio hanno fatto tutto il possibile, allora perché questo cargo diretto a Porto Levante (Rovigo) si è inabissato a due sole miglia dalla costa di Numana? A dare una spiegazione plausibile è il dirigente del reparto ambientale marino Aurelio Caligiore, inviato ieri sul luogo in cui si è inabissato il relitto dal direttore del ministero dell'Ambiente Aldo Cosentino. Anche Caligiore nota che la nave è a chiglia piatta, concepita per i fiumi e i mari interni dell' ex Urss, e che era abilitata alla navigazione marina entro 20 miglia dalla costa. «E al momento non ci sono motivi — osserva l' inviato del Ministero — per ritenere che la Nicole abbia infranto questi suoi limiti». Il carico, 3.150 tonnellate di feldspato proveniva da una cava turca, destinato alla lavorazione di vetro, maiolica e ceramica. Ma per appurare con assoluta certezza che non sia in alcun modo potenzialmente pericoloso per l' ambiente, questa mattina i sommozzatori del Nucleo della Guardia Costiera di San Benedetto si immergeranno per prelevarne alcuni campioni da analizzare. Per spiegare l' affondamento Caligiore ha ipotizzato che potrebbe esservi stato un lento, progressivo appesantimento della zona prodiera, tanto che da Porto Recanati la nave è stata vista fortemente appruata. Forse l' equipaggio, 14 uomini tutti ucraini, meno il comandante russo Anatolii Nokhrin, 63 anni, si è illuso di riuscire a far fronte con i propri mezzi all' acqua che entrava, e che invece un pò alla volta ha fatto perdere il controllo della nave. Soltanto ipotesi (l' inchiesta amministrativa è ancora in corso, e Nokhrin è stato nuovamente sentito ieri) ma chiunque ha esperienza di navigazione sa che il comandante di una nave è sempre piuttosto restio ad accettare aiuto, perché chi per primo risponde all' appello può accampare legittimi diritti sia sulla nave in difficoltà sia sul suo carico. Il tratto di mare dove si è sversato il carburante è stato «tirato a lucido» dal Città di Ravenna; il comandante Ignazio Frisoni da bordo riferisce che il lavoro della sua unità è quasi completo; e, azzardando un parere, ipotizza che il cargo liberiano sia affondato per aver imbarcato troppa acqua.

L'appello della campionessa

ANCONA — Fioccano i commenti e le reazioni all'affondamento della «Nicole». Lega Pesca si dice preoccupata per «queste imbarcazioni non sicure, senza doppio scafo — dice il coordinatore regionale Cecchettini —. Siamo fortunati che non ci siano state drammatiche conseguenze per l'ambiente e per l'economia della pesca. Chiediamo che il Governo approvi il decreto ipotizzato dal ministro Matteoli per il divieto di transito delle petroliere monoscafo». Il Wwf Marche chiede che l'Italia ratifichi subito la Convenzione internazionale sulla responsabilità civile e sul risarcimento dei danni da inquinamenti determinati dal carburante delle navi, oggi non coperti da forma assicurativa obbligatoria» ed esprime preoccupazione per l'episodio: «La maggior parte del combustibile si depositerà sui fondali e l'equilibrio marino verrà alterato». Italia Nostra osserva che «solo grazie al caso i danni non sono stati irreparabili. Bisogna impedire il transito a navi non sicure». La giunta provinciale ha approvato un odg proposto dall'assessore Patrizia Casagrande che invita governo, Parlamento italiano ed europeo «ad un sollecito impegno per definire accordi internazionali per impedire il trasporto via mare con navi che non diano assoluta sicurezza». Paola Magliola, capogruppo dei Verdi osserva che «l'Adriatico non può sostenere alcun tipo di incidente. Il 21 gennaio presentai una mozione che mira a sottoporre le navi a un'attenta analisi allo Stretto di Otranto». Anche il sindaco di Senigallia Luana Angeloni auspica che si faccia «chiarezza» sull'episodio, e auspica che le carrette del mare non solchino più l'Adriatico». Il sottosegretario alla difesa Francesco Bosi chiede «l'adozione di un decreto interministeriale che costituisca la base normativa per consentire a Marina militare, Guardia costiera e Guardia di finanza di poter intervenire a tutela delle nostre coste». La campionessa mondiale di immersione in apnea Angela Bandini, preoccupata per l'affondamento della nave in un mare molto amato e frequentato dai sub, tira un sospiro di sollievo per la catastrofe sventata, ma chiede che venga garantita «la massima prevenzione e sicurezza per queste imbarcazioni».

Gli operatori alla carica: «Un danno all'immagine»

NUMANA — Sull'onda della polemica, un mare di proteste. Che s'allargano a macchia d'olio, proprio come quella chiazza che l'altro giorno ha messo fifa a mezza Italia e a tutti (proprio tutti) quelli che sul Conero hanno anche solo l'ombra di un'attività. Tuona Marco Massacesi, hotel Mimosa, Numana: «Le preoccupazioni ci sono. Rovinare la stagione è un attimo. Visto e considerato che si lavora due mesi all'anno, con queste carrette qui si rischia di brutto». Un silenzio assordante la protesta di Alessandro Franceschini, socio proprietario dell'hotel Bellavista, pure questo di Numana: «Non ho parole. Ho consultato anche il mio studio legale. Sono preoccupato, vediamo cosa si riuscirà a fare. Certo, è un episodio grave, questo della Nicole. Basta, è ora di dire basta. E' un danno alla nostra immagine». Già, danno all'immagine: «E che dire di quel servizio che in mattinata (ieri, ndr) ha trasmesso il tg mattutino della Rai, col cargo a picco, il Conero e una spiaggia invasa da liquame nero? Che c'entra?». Annarita Nicoletti, presidente degli albergatori, batte sullo stesso chiodo: «Hanno giocato col montaggio delle immagini». Un montaggio «montato», l'ha bollato un pugno di albergatori. Continua Nicoletti: «Siamo stati fortunati, poteva andare peggio. Ma è anche vero che siamo tranquilli. Non è successo niente, la Capitaneria, le autorità ci hanno rassicurato. Adesso seguiamo l'evoluzione». Di «danno all'immagine» parla Stefano Marchetti, uno dei titolari dell'hotel K2, Numana: «Ci vorrà vent'anni — dice — prima che tolgano questa nave. Anzi, direi che qualche appassionato di immersione potrebbe approfittarne per farvi una bella escursione». Stesso coretto a Sirolo. Sull'onda della protesta.

 
CORRIERE ADRIATICO

Sfiorata la rissa al consiglio con Bohigas

Violenta contestazione dei dipendenti della raffineria al sindaco

Dalle parole ai fatti. Amministratori spintonati in via Roma. L'assessore Terranova in difesa di Carletti. Tensioni anche in aula. Dibattito sospeso più volte.

Altro che tappeti rossi per Oriol Bohigas, architetto catalano al quale il Comune ha affidato il progetto guida per lo sviluppo della città. L'ospite d'onore di Falconara è stato accolto da un'atmosfera di tensione fuori, del centro comunale "Più" di via Roma. Doveva essere una manifestazione pacifica il presidio dei sindacati dei lavoratori dell'Api che volevano cogliere l'occasione per far sentire la preoccupazione per il loro posto di lavoro e un pizzico di gloria alla speranza di non veder smantellare insieme con le cisterne della raffineria pure il destino loro e delle famiglie. E invece la foga di far valere le proprie ragioni gli ha preso la mano. E al cospetto dei personaggi-simbolo di quelle istituzioni che stanno mettendo in discussione la presenza futura dei petrolchimico sono cominciate a volare parole grosse, insieme con spintoni e tentativi di centrare l'avversario di turno con calci e schiaffi. Un brutto principio di rissa. E così è cominciata con una rissa sfiorata la seduta straordinaria del consiglio comunale che ha visto sostituire i lustrini dell'appuntamento importante per l’amministrazione e per Falconara con l'ombra di una pagina non certo edificante di vita cittadina. Alle 18 le Rsu e i rappresentanti della categorie erano presenti, puntuali con tanto di striscioni. A dargli man forte c'erano pure le avanguardie dei comitati di Villanova e Fiumesino. Il clima di nervosismo montava. Fino a toccare l'apice attorno alle 21, quando sono cominciati a sfilare gli amministratori. Urla e spintoni e qualche tentativo di colpire gli avversari del Palazzo hanno fatto da contorno alla scomoda passerella e non hanno risparmiato neppure il sindaco Carletti. A proteggerlo, facendo scudo col proprio corpo, l'assessore Terranova. Per sedare gli animi sono dovuti intervenire gli agenti della municipale e sono stati apertati municipale i carabinieri. A gettare benzina sul fuoco degli scontri verbali, e non solo, alcuni botta e risposta al veleno. Come quello che ha visto protagonista il capogruppo dei Ds Giancarlo Scortichini. "Vogliamo tutelare i cittadini", ha detto rivolgendosi alla folla che gli si accalcava attorno. "Ma non tutelate gli operai", è stata la risposta, con tentata aggressione. Stessa scena con Marescia, il presidente del Cam, che se l'è vista brutta, e l'assessore Canonico. L'onda di tensione ha fatto il suo ingresso pure in aula, dove neppure il minuto di silenzio osservato per commemorare i due ragazzi morti nel tragico incidente della notte tra sabato e domenica è bastato per placare gli animi. Dalla platea, composta per gran parte da lavoratori della raffineria sono a più riprese volate proteste e veri e propri insulti all’indirizzo del relatore di turno. Intemperanze che hanno costretto l'architetto Oriol Bohigas ad interrompere più volte l'illustrazione del suo progetto. E che non hanno giovato al dibattito che comunque è proseguito secondo la scaletta, e scandito dal preambolo del sindaco e dagli interventi dei capigruppo, del dirigente dell'Ufficio urbanistica Durpetti, dell'architetto Picciafuoco. Chi si aspettava un segnale chiaro dalla serata di ieri è stato accontentato. Il percorso verso la definizione delle linee strategiche che correranno sullo sfondo dello sviluppo di Falconara sarà lungo, tortuoso e non privo di insidie. Non sarà facile far quadrare il cerchio della definizione dei piano regolatore e soprattutto della compatibilità della raffineria con l’ambiente circostante. Sul piano dei contenuti il messaggio dei sindacato è chiaro e inequivocabile. “Il Prg da adottare – fanno notare – non tiene conto dell’attività industriale presente nell’area”. E la lotta contro chi “politicamente si è espresso in questi giorni per l’incompatibilità della raffineria con il territorio” è ufficialmente aperto.

 
LA SICILIA
Dibattito sulla costituzione di parte civile

La forte preoccupazione per i recenti fatti legati all'Enichem e alle ripercussioni che la vicenda, ora nelle mani della giustizia, ha provocato sull'ambiente sono stati alla base di un Consiglio comunale «aperto» cui hanno partecipato i sindacati e associazioni ambientaliste. Unanimi sono apparse le posizioni di sindaco, consiglieri e partecipanti al civico consesso che hanno ribadito che «il lavoro non si può barattare con la salute» e che è presupposto indispensabile che le industrie del polo petrolchimico si adeguino alle norme in materia di sicurezza. «Si è trattato di una seduta di approfondimento - dice il presidente Ferdinando Messina - per acquisire pareri e documentazioni che permetteranno al Consiglio comunale già nella prossima seduta (prevista domani, ndr) di decidere se costituirsi parte civile nel procedimento penale a carico dei responsabili dell'Enichem e mettono a rischio l'occupazione, a mio parere - aggiunge il presidente Messina - solo i lavori necessari per la bonifica del sito darebbero occupazione per almeno altri dieci anni, dopo, si potrebbe avviare una seria programmazione per la riutilizzazione del sito, è inutile trascinare una realtà senza futuro, senza garanzie». Il sindaco Titti Bufardeci ha evidenziato che la costituzione di parte civile del Comune, potrebbe rappresentare una «scelta poco opportuna dal momento che le indagini sono tuttora in corso» le posizioni degli ambientalisti, dei consiglieri dell'opposizione e del coordinatore cittadino di Forza Italia Nunzio Cappadona sono sembrate fugare ogni dubbio. Se, da una parte, il presidente del circolo «Chico Mendes» di Legambiente Paolo Tuttoilmondo, ha consegnato un documento nel quale si evidenzia il danno alla salute, dall'altra, Cappadona ha detto subito «il Comune si costituisca parte civile senza aspettare, non bisogna confondere la giustizia con il risanamento ambientale».

Divisioni su «Goletta verde»

In seguito agli ultimi sviluppi dell'azione politica sul caso Enichem, il presidente provinciale dei Verdi, Enzo Perez, stigmatizza in un comunicato, il silenzio «attivo» della stessa azienda; la semplice sostituzione dei dirigenti indagati e la concomitante chiusura degli stabilimenti non sarebbero una risposta ai gravi problemi in atto: «Solo attraverso la nomina di un commissario straordinario, che si assuma la responsabilità per l'emergenza dei rifiuti tossici, si potrà superare la semplicistica e non risolutiva proposta della Casa delle libertà, di ricorrere alla Goletta Verde». Ma il segretario provinciale dei verdi punta il dito contro il commissariamento di alcuni enti. L'on. Marco Lion, capogruppo dei Verdi in Commissione ambiente alla Camera, rafforzando la posizione della segreteria provinciale aretusea in una nota, conferma che «sono la salvaguardia della salute e la bonifica ambientale ad avere la priorità a Priolo. La minaccia di chiudere gli impianti - dice - è solo un ricatto cui bisogna rispondere con il meccanismo della riconversione industriale. Il capogruppo alla Camera invoca una maggiore trasparenza dei bilanci aziendali, perché si possa uscire dal tunnel della demagogia». Fin qui i Verdi. Il senatore Roberto Centaro puntualizza che «Goletta Verde non è una soluzione al problema. E' soltanto un rilevatore necessario ad individuare le strategie da adottare in futuro. E' chiaro che il problema dev'essere risolto attraverso un 'accurata programmazione politico-industriale che attualmente - rileva infine Centaro - è all'impasse».

Enichem: no ai «ricatti»

Salvatore Maiorca Vertice a Roma al capezzale della chimica, dell'ambiente e del lavoro. I rappresentanti di Cgil, Cisl e Uil e della Fulc si sono incontrati ieri a Roma col ministro per l'Ambiente, Altero Matteoli, alla presenza del sottosegretario Togni e dei direttori generali Mascazzini e Agricola. Oltre agli esponenti delle confederazioni e della Fulc nazionale all'incontro erano presenti i tre segretari provinciali di Cgil, Cisl e Uil di Siracusa, Zappulla, Scatà e Munafò, i tre segretari di Filcea, Femca e Uilcem, Carnevale, Spagna e Sorrentino. All'incontro al ministero dell'ambiente c'era anche una delegazione di rappresentanti degli enti locali della provincia. Il sindacato ritiene interlocutorio l'incontro col ministro Matteoli, esprimendo cautela e la necessità di mantenere alta la vigilanza sulla vicenda dell'Enichem di Priolo. Il ministro Matteoli ha confermato la sostanziale condivisione della impostazione del sindacato nazionale e siracusano, che rivendica due scelte: il risanamento del territorio, nell'ambito del quale sia prevista la riconversione della tecnologia dell'impianto cloro-soda da celle a mercurio a celle a membrana, e l'accordo di programma per la chimica. Sindacato e ministro hanno inoltre ribadito di rigettare ogni ipotesi di ricatto su ambiente, industria e livelli occupazionali, privilegiando invece scelte di politica industriale per la chimica sostenibile. Il ministro Matteoli ha convocato per venerdì prossimo l'Eni e riconvocato i sindacati entro 15 giorni, periodo durante il quale prenderà contatti anche col ministro delle Attività produttive. Matteoli ha affermato che affida alla politica, cioè al governo, il ruolo di indirizzare le scelte dell'Eni in quanto azienda a partecipazione statale. Sposando la posizione del sindacato siracusano il ministro ha ribadito di guardare con attenzione all'accordo di programma, uno strumento necessario da realizzare, al tavolo nazionale, insieme all'azienda e alla Regione siciliana. Cgil, Cisl e Uil sottolineano peraltro che quella del ministro Matteoli non rappresenta ancora la posizione del governo, dato che il ministro più direttamente competente, Marzano, e il presidente del Consiglio, non si sono ancora espressi. Di conseguenza sulla vicenda Enichem non si scioglie il nodo del governo. Invece il senatore dei Verdi, Sauro Turroni, rileva che «l'unico accordo di programma accettabile deve andare nella direzione della bonifica di Priolo, facendo gravare i costi sull'Enichem, responsabile dell'inquinamento». E precisa che «a tutti stanno a cuore gli operai ma ciascuno deve fare la sua parte». Intanto non c' è più traccia nelle acque della rada fra Priolo e Santa Panagia, a nord di Siracusa, della macchia di idrocarburi segnalata il giorno prima, nel mare antistante i pontili del petrolchimico. Il sopralluogo dell'unità disinquinante «Supergabbiano 4» ha consentito di accertare che delle striature notate il giorno prima, per un tratto di circa un miglio, non c' è ormai traccia. La macchia era stata attribuita allo sversamento da una petroliera in transito al largo.

 
FAMIGLIA CRISTIANA
Le Priolo d'Italia (Giuseppe Altamore)

Sono 1.136 gli impianti a rischio nel nostro paese

Un’indagine dell’Oms, sulle 15 aree industriali più pericolose, rivela una realtà drammatica: la mortalità tocca livelli anche del 70 per cento in più rispetto alla media nazionale.

«Sempre più verde, sempre più trasparente, sempre più gradita alla collettività. Ormai verso la chimica "verde" si procede a passi sempre più spediti...». Il tono trionfalistico dell’Ecos, patinata rivista dell’Eni, il gruppo multinazionale cui fa capo l’Enichem, stona un pochino con la cronaca di questi giorni. Ma eravamo nel 1999 e l’impianto industriale di Mantova aveva appena ricevuto la prima certificazione ambientale Emas (Environment management system). Un riconoscimento importante da esibire in faccia ai soliti detrattori dell’industria chimica. Certificazioni, bilanci ambientali, programmi di autoregolamentazione, come il responsible care, che si sono sommati a quel "premio", avrebbero dovuto avviare una nuova strategia aziendale e, soprattutto, rassicurare l’opinione pubblica all’insegna del «sempre più verde, sempre più trasparente». Ma parte di quelle buone intenzioni è rimasta sulla carta. Almeno a giudicare dai risultati. E non solo nell’area di Priolo, cui dedichiamo un servizio nelle pagine seguenti.

Secondo l’ultima "Mappatura del rischio industriale in Italia", realizzata dall’Apat (Agenzia per la protezione dell’ambiente e per i servizi tecnici), sono 1.136 gli impianti a rischio in Italia. Oltre il 22 per cento sono concentrati in Lombardia, in particolare nelle province di Milano, Bergamo, Brescia e Varese. Vere e proprie bombe ecologiche responsabili non solo del degrado ambientale, ma dell’incremento di varie malattie, soprattutto tumori, come puntualmente è stato sottolineato in un rapporto dell’Oms (l’Organizzazione mondiale della sanità). Buona parte delle industrie a rischio sono impianti chimici o petrolchimici di cui l’Enichem rappresenta una fetta consistente.

I freddi dati forniti dall’Oms paiono usciti dalla penna di una qualche associazione ambientalista. Numeri comunque agghiaccianti: in Italia, ogni anno, 800 persone perdono la vita perché hanno la sfortuna di vivere in una delle 15 aree a rischio esaminate. Lo studio commissionato dal ministero dell’Ambiente, avverte l’Oms, si riferisce al periodo 1990-94, ma completa un’analisi iniziata nel 1981. Sono gli unici dati ufficiali che un Paese industrializzato come l’Italia può esibire. Perché, paradossalmente, sempre secondo l’Oms, c’è una seria difficoltà ad avere dati e informazioni più efficaci e aggiornati come, invece, avviene più puntualmente nel resto d’Europa.

Lo studio dell’Oms esamina le zone dove sono concentrati i cosiddetti poli industriali (Augusta-Priolo, Brindisi, Crotone, Gela, Massa-Carrara, Manfredonia, Portoscuso e Taranto) e le aree più complesse, cioè con diversi impianti distribuiti su un territorio vasto (Conoidi, Lambro-Olona-Seveso, Napoli, Po di Volano, Po Polesine, Sarno e Val Bormida). In questi territori si muore più che altrove di malattie respiratorie, di cirrosi, di tumore polmonare e pleurico e di tumore della vescica negli uomini.

Una storia emblematica è quella del petrolchimico di Brindisi. Era il 1959 quando l’allora presidente del Consiglio, Antonio Segni, posava la prima pietra del petrolchimico, magnificando «i cerchi concentrici di benessere» che ne sarebbero derivati; al contempo due famosi esponenti della politica e della società brindisina si chiedevano perplessi che fine avrebbero fatto i rigogliosi terreni agricoli e la costa incontaminata che si stendeva, tra dune di sabbia e macchia mediterranea, tra Fiume Grande e Punta Cavallo sino alle Saline. Era quello – secondo Montedison – «un paesaggio arcaico, immutabile, forse lo stesso che contemplò Diomede (l’eroe greco che. secondo la leggenda, fondò Brindisi, ndr.)», il quale sempre secondo Montedison, dopo il 1959, non avrebbe potuto che ammirare quanto era stato realizzato in 44 mesi, cioè «torri, serbatoi, impianti industriali: un paesaggio del nostro tempo, forse meno poetico, ma ricco di promesse per il futuro».

Troppi tumori in quelle aree

Un futuro che per molti è stato di morte. Lo studio dell’Oms evidenzia un tasso di mortalità superiore del 48 per cento rispetto alla media nazionale. Ma se consideriamo soli i maschi si arriva al 55 per cento. I tumori alla trachea, bronchi e polmoni sono superiori del 36 per cento nei maschi e addirittura del 97 per cento nelle donne rispetto alla media regionale. Una strage che si consuma lentamente a causa della lunga incubazione di alcuni tumori, che possono manifestarsi anche dopo decenni. Oltre all’Enichem, nell’area operano altre 70 aziende a rischio.

Ritorniamo a Mantova. Il polo industriale è costituito da tre insediamenti. Ritroviamo ancora l’Enichem, che copre 130 ettari, a circa cinque chilometri dal centro di Mantova, al momento l’unico stabilimento attivo in Italia per la produzione di stirene a partire dal benzene. È segnalata una frequenza di leucemie e linfomi fra la popolazione femminile, sino al 70 per cento in più rispetto alla media nazionale. Il mercurio lo si trova anche nella prima parte del basso corso del Mincio e nei tessuti dei pesci.

Ci vorranno molte generazioni e ingenti risorse per bonificare i siti industriali: nel 1995 era già stata calcolata una spesa di 30.000 miliardi di lire.

Quella marea rossa sfuggita ai controlli

In carcere anche un funzionaria della Provincia

Diciotto persone sotto inchiesta, tra cui alcuni dirigenti dell’Enichem. Chi doveva vigilare sugli scarichi selvaggi?

Il mare rosso di Priolo, ventimila volte malato col suo record di veleni al mercurio. Le inquinatissime onde scoperte dalla magistratura davanti allo stabilimento Enichem, un territorio dove i rifiuti tossici, mai registrati come tali, venivano smaltiti come se fossero normali. Nascosti in fusti a doppio fondo o mescolati ai calcinacci, partivano per le discariche del territorio nazionale. Ovenivano versati dentro copertoni di gomma e poi bruciati. Oppure finivano in mare attraverso i pozzetti dello stabilimento. Arresti in massa a Priolo, diciotto in carcere due settimane fa tra dirigenti del settore che produce clorosoda e un funzionario della provincia. Con accuse che il capo della Procura di Siracusa, Roberto Campisi, colloca nella strategia «del disprezzo per la vita umana e per l’ambiente, in un’attività di impresa fortemente connotata dalla volontà di ridurre i costi». Arresti collegati ad altre inchieste che sono in corso e riguardano l’inquinamento delle falde acquifere, le malformazioni neonatali e l’incremento delle patologie tumorali nella zona.

Si nasce male e si muore troppo nella costa di Priolo. Trenta chilometri fra Siracusa e Augusta con tre grandi raffinerie (Esso, Erg, Agip oggi inglobata dalla Erg) e due centrali elettriche dell’Enel. Qui i benefìci economici di uno sviluppo industriale, che i sindacati definiscono «selvaggio e incontrollato», hanno fatto salire il prodotto interno lordo alle vette siciliane, ma hanno anche portato un tasso di malformazioni neonatali tre volte superiore alla media nazionale (5,5 per cento contro 1,5) e morti di cancro più della media regionale.

Rischio ambientale, paura del futuro da disoccupati e tante domande a Priolo dopo la botta degli arresti. Chi doveva controllare le scorie mercuriose e il traffico di rifiuti? E perché una legge siciliana consente l’ingresso di qualsiasi tipo di rifiuto? Nella Sicilia dei commissari, per l’acqua, per il traffico, anche i rifiuti ne hanno uno: il presidente della Regione Salvatore Cuffaro, che ha nominato un suo vice, Felice Crosta. «Tutto in regola in Sicilia», dice il vicecommissario. I controlli a Priolo, in base all’articolo 20 del decreto Ronchi, doveva farli la Provincia, non li ha fatti a dovere e un suo funzionario è stato arrestato. Per il resto, «nessun rifiuto può entrare in Sicilia, può solo uscire, perché questa è una Regione dichiarata in emergenza rifiuti come la Campania, la Calabria e la Puglia». Obiezione: c’è però un’ordinanza della Protezione civile, maggio ’99, che consente alcune deroghe all’ingresso. «È vero», spiega Crosta, «ma entrano solo quelli destinati al recupero, non allo smaltimento».

La Sicilia non è il Far-West dei rifiuti, ma la marea di mercurio che sbatte sulle coste di Priolo – il più grosso polo chimico e petrolchimico di raffinazione del greggio ed energia d’Europa – ha alle spalle una marea di inerzie e responsabilità istituzionali.

Un consorzio sotto inchiesta

Il Piano di disinquinamento, varato per decreto nel ’90 con un finanziamento di 400 miliardi di lire, non ha fatto un passo avanti, e solo tre mesi fa sono stati accreditati i primi cinque milioni di euro. La società che ha il compito di smaltire i rifiuti mercuriosi di Priolo, la Ias, un consorzio fra enti pubblici e privati, è sotto indagine della Procura per ipotesi di inquinamento e ha più generali che soldati: 50 dipendenti a fronte di un consiglio di amministrazione passato due mesi fa da 7 a 17 consiglieri. E oggi che l’Eni ha deciso di mettere la chimica su un binario morto, e annuncia entro il 2003 la fine della produzione del clorosoda a "celle di mercurio", perché non intende investire cento milioni di euro nella riconversione non inquinante a "celle di membrana", il segretario provinciale della Cgil di Siracusa, Pippo Zappulla, inizia con gli altri sindacati la battaglia per il clorosoda pulito. «Va mantenuta una produzione pulita, che non danneggi la salute e l’ambiente; è un’infamia mettere la comunità di fronte alla scelta: o inquinati o disoccupati».

 
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