RASSEGNA STAMPA 18.01.2003

 

MESSAGGERO
Il prg dei misteri. «Negli ultimi incontri erano stati condivisi la volontà di sviluppare il territorio e considerare il petrolchimico come risorsa»

«Carletti hai cambiato rotta, perché?»

L’Assindustria coglie in contraddizione Carletti sulla compatibilità Falconara-Api Fa discutere la posizione del Comune di Falconara in merito al rinnovo della concessione Api. I sindacati hanno già detto la loro, e con chiarezza ha parlato anche il direttore della raffineria, Franco Bellucci, che in un’intervista al nostro giornale ha detto senza mezzi termini che «il futuro dell’Api non è pensabile altrove» e che senza rinnovo «sarebbe la chiusura». In questo contesto si inserisce Assindustria di Ancona che si chiede «cosa ha fatto cambiare idea al sindaco Carletti». Un Carletti che di recente non aveva mancato occasione di sottolineare l’incompatibilità del nuovo prg con la raffineria acquisendo una certa forza contrattuale in vista della decisione sul rinnovo della concessione prevista per giugno. Assindustria ora ricorda «al mondo politico locale quanto diverse fossero le posizioni e gli indirizzi emersi nel corso di recenti incontri avuti tra la stessa Assindustria e l’Amministrazione di Falconara. In tali incontri, infatti, era stata condivisa la volontà di operare per lo sviluppo del territorio, favorendo la creazione di attività, risorse e valori. All’interno di questo sviluppo, Assindustria aveva chiaramente ribadito, non trovando dissensi tra le parti, il ruolo della raffineria come risorsa, non solo per la città di Falconara, ma per l’intera regione ed, anzi, per tutta l’Italia Centrale. E proprio in questo senso Assindustria si era impegnata con le parti presenti affinché dagli enti regionali e nazionali venisse riconosciuto il ruolo fondamentale di Falconara per l’erogazione di servizi strategici». Assindustria sottolinea anche il parere dell’architetto Bohigas, che «in occasione dell’esposizione delle linee guida del nuovo Piano Regolatore, ha chiaramente affermato che in una città dai tratti essenzialmente anonimi la raffineria poteva risultare uno dei pochi elementi urbanistici distintivi e che, rispettata la salvaguardia della salute e dell’ambiente, essa risultava perfettamente compatibile con l’attuazione del Piano Regolatore. Dunque, la presenza della raffineria non risultava in contrasto con gli obiettivi perseguiti dal Prg per la valorizzazione della città». Alla luce delle ultime affermazioni di Carletti, invece, «Assindustria deve constatare come le valutazioni della sua giunta vadano in una direzione totalmente diversa. Recentemente, infatti, il Comune di sua iniziativa ha espresso parere negativo al rinnovo della concessione alla raffineria ed ha proposto un Prg che vede l’area su cui si sviluppa l’azienda destinata ad altre attività. In questo modo si prevede l’eliminazione di una realtà importante; eliminazione che, facendo venir meno le risorse economiche necessarie all’attuazione del Prg, potrebbe, di fatto, impedirne la realizzazione». Assindustria parla di «progetti apparentemente affascinanti ma certamente vaghi, che le esperienze passate dimostrano senza possibilità di realizzazione concreta, ad una realtà certa, moltiplicatrice di valore, già pronta a sviluppare energie alternative, con piani coerentemente in linea con quelli della Regione e capace di incidere positivamente sul tessuto imprenditoriale locale. Infatti, se è indubitabile che l’economia regionale si basi prevalentemente sulla piccola e media impresa, è altrettanto vero che questa stessa economia ha bisogno di aziende di dimensioni tali da fare ricerca e stimolare l’innovazione proprio a beneficio dell’imprenditoria locale. Attività che la raffineria ha realizzato e realizza nei confronti del considerevole indotto che le ruota intorno. Come Assindustria, poi, non possiamo dimenticare che sulla base di precise autorizzazioni sono state impegnate risorse economiche e finanziarie che hanno permesso di realizzare un sito all’avanguardia, rispettoso di tutte le normative che regolamentano sicurezza e ambiente. Ci domandiamo, qualora all’azienda venga impedito di procedere nella sua attività, come e da chi queste risorse verranno indennizzate, senza dimenticare il peso drammatico che andrebbe a gravare sulla collettività. Riteniamo, dunque, auspicabile che si torni ad un approccio razionale e concreto nella discussione sulla presenza della raffineria sul territorio, riprendendo gli indirizzi che in più tavoli sono stati condivisi, perseguendoli con determinazione e tenendo in reale considerazione l’utilità e il bene della collettività».

«Nel ’79 vidi neonati senza orecchie»

SIRACUSA - Di punto in bianco i pesci salirono a galla a milioni, gonfi e morti. Banchettarono i gabbiani, e morirono. Era il 1979, nauseabondo il tanfo nella rada di Augusta, davanti alla raffineria della Esso. Nino Condorelli, catanese, 31 anni, pretore, avuti i risultati delle analisi su acqua e pesci sigillò gli scarichi a mare della Raffineria Esso. Gli americani se l’ebbero a male, dissero che per errore era stata aperta una certa valvola, assicurarono che sarebbero stati più attenti e licenziarono 2000 persone. Per il sindacato era difficile raccapezzarsi: come contemperare la difesa del lavoro e quella della salute? E chi non amava la supplenza pretorile, sparava a zero contro “i pretori d’assalto". Ma l’emergenza costrinse il Parlamento ad approvare a tempo di record la legge Merli bis. Condorelli sta per immettersi nella Procura di generale di Brescia. Era Pm a Verona, per 4 anni è stato componente del Csm. E’ vero che quella decisione gliela fecero pagare con il trasferimento? «E’ falso, allora il magistrato aveva forse più garanzie di oggi. Andare via fu una mia scelta personale». Cosa accertò la sua indagine? «Scaricavano mercurio a mare dalla linea cloro-soda». Cosa le suggeriscono gli arresti di ieri? L’accusa è identica. «Sentimenti diversi, l’orgoglio di appartenere ad una magistratura che tutela anche la salute. Ho fatto da apripista. Ma anche la rabbia nel constatare che si debba riparlare di mercurio nel Siracusano». Si rese conto che c’erano problemi di salute anche per l’uomo? «Sì, ho un’immagine indelebile: un neonato di Augusta, la mamma china sulla sua culla, in ospedale. Era privo di orecchie. La sensazione era che ci fosse una relazione tra malformazioni e veleni. Ma emerse un altro dato: 20 anni dopo l’avvento della petrolchimica la curva delle neoplasie schizzava in alto. La statistica poneva Siracusa allo stesso livello delle insorgenze tumorali nelle aree industrializzate del Nord». Cosa accadde, dopo la sua decisione di bloccare la produzione? «Fu approvata la Merli bis. L’obiettivo non era togliere lavoro, ma imporre un modo di produrre ecocompatibile. La legge fu approvata in fretta, su un versante tappava le falle della Merli 1, che consentivano con vari stratagemmi di continuare ad inquinare, sull’altro consentiva alle aziende una sorta di condono, dovevano presentare un piano di riconversione e si impegnavano a comportamenti virtuosi. Evidentemente c’è ancora chi non si è rassegnato».

 
IL RESTO DEL CARLINO
«Sindaco perché sull'Api hai cambiato idea?

FALCONARA — In principio tra Assindustria e Comune fu accordo sulla questione Api, poi con le recenti dichiarazioni del sindaco Carletti (foto piccola) e del 'no' inderogabile della Giunta alla raffineria Api, Assindustria si pone molti interrogativi su quello che considerano un dietro front del primo cittadino ma sono pronti al confronto. «Vogliamo ricordare al mondo politico locale — scrive Assindustria — quanto diverse fossero le posizioni e gli indirizzi emersi nel corso di recenti incontri avuti tra noi e l'amministrazione falconarese. In questi incontri, infatti, era stata condivisa la volontà di operare per lo sviluppo del territorio, favorendo la creazione di attività, risorse e valori. All'interno di questo sviluppo, avevamo chiaramente ribadito, non trovando dissensi tra le parti, il ruolo della raffineria come risorsa, non solo per la città di Falconara, ma per l'intera regione ed, anzi, per tutta l'Italia centrale». Da qui l'impegno di Assindustria con le parti presenti affinché «dagli enti regionali e nazionali venisse riconosciuto il ruolo fondamentale di Falconara per l'erogazione di servizi strategici». Nel documento ricordano poi una delle visite dell'architetto spagnolo Bohigas in occasione dell'esposizione delle linee guida del nuovo piano regolatore. «L'architetto spagnolo — aggiunge l'associazione degli industriali — ha chiaramente affermato che in una città dai tratti essenzialmente anonimi la raffineria poteva risultare uno dei pochi elementi urbanistici distintivi e che, rispettata la salvaguardia della salute e dell'ambiente, risultava perfettamente compatibile con l'attuazione del piano regolatore». Quello che stupisce Assindustria è il cambiamento di indirizzo dell'amministrazione Carletti che ha espresso parere negativo alla concessione. «Il Comune — sottolinea — ha proposto un Prg che vede l'area su cui si sviluppa l'azienda destinata ad altre attività. In questo modo si prevede l'eliminazione di una realtà importante; eliminazione che, facendo venir meno le risorse economiche necessarie all'attuazione del Prg, potrebbe, di fatto, impedirne la realizzazione. Come Assindustria, poi, non possiamo dimenticare che sulla base di precise autorizzazioni sono state impegnate risorse economiche e finanziarie, eccezionali per questa regione, che hanno permesso di realizzare un sito all'avanguardia, rispettoso di tutte le normative che regolamentano sicurezza e ambiente. Ci domandiamo, qualora all'azienda venga impedito di procedere nella sua attività, come e da chi queste risorse verranno indennizzate, senza dimenticare il peso drammatico che andrebbe a gravare sulla collettività. Riteniamo, dunque, auspicabile — concludono gli esponenti di Assindustria — che si torni ad un approccio razionale e concreto nella discussione sulla presenza della raffineria sul territorio, riprendendo gli indirizzi che in più tavoli sono stati condivisi, perseguendoli con determinazione e tenendo in reale considerazione l'utilità e il bene della collettività». Insomma Assindustria chiede il perché di un cambiamento così repentino del sindaco e della sua Giunta sollecitando appunto un incontro.

 
CORRIERE ADRIATICO
No alla concessione, Assindustria sbotta "Perché sull’Api Carletti ha cambiato idea?".

“Carletti, perché il voltafaccia sull'Api?”

Un voltafaccia. Ecco come Assindustria considera il "no" della giunta comunale al rinnovo della concessione alla raffineria. Gli industriali alzano la voce e sbattono il pugno su quel tavolo attorno al quale, dicono, si era individuata una strada maestra verso lo sviluppo. "Era stata condivisa la volontà di operare favorendo la creazione di risorse e valori". E il ruolo della raffineria "era stato ribadito come una risorsa per la città, la regione, e tutta l'Italia centrale". Assindustria ricorda dì essersi impegnata “affinché venisse riconosciuto il ruolo fondamentale di Falconara per I'erogazione di servizi strategici”. Inoltre - prosegue la nota - l'architetto Bohigas in occasione dell'esposizione delle linee guida del nuovo Piano regolatore, ha affermato che in una città dai tratti anonimi la raffineria poteva risultare uno dei pochi elementi urbanistici distintivi e che, rispettata la salvaguardia della salute e dell’ambiente, risultava compatibile con l'attuazione dei Piano regolatore". Dunque, “la presenza della raffineria non risultava in contrasto con gli obiettivi del Prg per la valorizzazione della città". Considerazioni che incocciano contro il no del Comune e la proposta di un Prg che vede l'area su cui si sviluppa l’azienda destinata ad altre attività. In questo modo - osserva Assindustria - si prevede l’eliminazione di una realtà importante, che, facendo venir meno le risorse economiche necessarie all'attuazione del Prg potrebbe, di fatto, impedirne la realizzazione". Gli industriali puntano il dito contro "progetti apparentemente affascinanti ma vaghi, e senza possibilità di realizzazione" sovrapposti "ad una realtà certa, con piani in linea con quelli della Regione e capace di incidere positivamente sul tessuto imprenditoriale locale". Gli industriali fanno notare che “sulla base di precise autorizzazioni sono state impegnate risorse economiche e finanziarie che hanno permesso di realizzare un sito all'avanguardia, rispettoso di tutte le normative che regolamentano sicurezza e ambiente". E allora: "Qualora all'azienda venga impedito di procedere nella sua attività, come e da chi queste risorse verranno indennizzate, senza dimenticare il peso drammatico che andrebbe a gravare sulla collettività?". Infine l'auspicio che “si tomi a un approccio razionale e concreto nella discussione sulla presenza della raffineria sul territorio, riprendendo gli indirizzi che in più tavoli sono stati condivisi, perseguendoli con determinazione e tenendo in reale considerazione l'utilità e il bene della collettività”.

Un "NO" che ha il sapore di un taglio col passato

Il sindaco: "Attenzione a non ripetere gli errori"

Creare le condizioni per il rispetto dell’ “ambiente, della salute, insomma di Falconara”. E' chiara la posizione del sindaco Carletti. Che l'ha ribadita qualche giorno fa proprio su queste colonne. "La raffineria - aveva affermato - si inserisce in un contesto che ha le sue esigenze e le sue caratteristiche, e deve essere compatibile con questo contesto”. In breve, l'Api non può "pregiudicare l'esistente". Il sindaco vuole inoltre fare tesoro degli insegnamenti della storia. "Non bisogna ricadere negli errori de passato aveva ammonito - e occorre fare attenzione ad evitare il degrado del territorio e l'inquinamento atmosferico”. Carletti ne ha fatto una questione di civiltà, di rispetto per la città, e per i lavoratori stessi dell'Api. Nessuna concessione a cuore leggero, fa capire il sindaco, perché per la convivenza tra il petrolchimico e Falconara si gioca il futuro dello sviluppo e della tutela dell'ambiente e della salute. Proprio da questa consapevolezza nasce l'attenzione di Carletti ai valori della chiarezza e della trasparenza. "Quando sono coinvolti interessi di questa portata - aveva anche tenuto a precisare - il principio della delega decisoria affidata alle istituzioni potrebbe limitare i diritti dei cittadini". E invece, aveva sottolineato, "è bene discutere apertamente queste tematiche, farlo nel modo più ampio possibile perché non si possono prendere decisioni che poi rischiano di ripercuotersi sulla pelle della gente".

 
LA SICILIA
E' «giallo» sul piano di risanamento

Lo scandalo. Spariti fondi per 140 miliardi di lire. Per la chiusura dell'impianto 1.300 posti a rischio

Priolo. I nuovi scenari della petrolchimica nel polo siracusano si presentano confusi. Non ci sono certezze. Solo intuizioni. E con esse le richieste di garanzie per l'ambiente e la salute ma anche per il lavoro: quello sviluppo eco-sostenibile di cui tanto si parla ma per cui poco si fa. È ormai scontata la chiusura della linea cloro-soda di Enichem prima del previsto dicembre. A cascata, subito dopo il cloro-soda, è temuta, anche se non accettata, la chiusura di polioli, dicloroetano e altri derivati. Complessivamente sono oltre 600 posti di lavoro diretti e quasi altrettanti nell'indotto. Seriamente in forse anche la sopravvivenza della Dow Italy, che produce ossido di propilene dai polioli, con 97 dipendenti, oltre al personale dell'indotto. In pratica nel polo petrolchimico siracusano resteranno soltanto, nella chimica, la Sasol Italy, con circa 570 dipendenti, che produce intermedi per la detergenza, e l'Air liquide, con circa 70 addetti, che produce ossigeno, azoto e altri gas nobili per l'industria e la sanità, nonchè la raffineria Esso italiana di Augusta, con circa 700 dipendenti, e la nuova Erg Med, risultata dall'accorpamento delle raffinerie Isab ed Agip Petroli, che a regime avrà un migliaio di dipendenti. Fuori dall'ambito petrolchimico restano le centrali elettriche dell'Enel, di Isab Energy e, ora, anche di Erg Med per conferimento dall'Agip. Restano inoltre la Cogema, che produce magnesite, la cementeria e la navalmeccanica di Augusta, la meccanica di Punta Cugno e Marina di Melilli: qualcosa come un altro migliaio di posti di lavoro. E restano i problemi dell'ambiente. Lunedì in prefettura ci sarà un vertice con la partecipazione di rappresentanti del ministero dell'Ambiente e dell'Istituto superiore della sanità. Su tutto aleggia un fantasma: il Piano di risanamento ambientale, con i suoi 140 miliardi di lire versati dal ministero dell'Ambiente, nel 1994, nelle casse della Regione e mai spesi. Solo dieci di questi miliardi, appena qualche mese fa, sono stati dalla Regione assegnati al prefetto di Siracusa per gestire il potenziamento dell'Arpa. Degli altri non v'è traccia. E la loro spesa determinerebbe poi l'assegnazione degli altri fondi previsti dal Piano, fino a concorrenza di mille miliardi. Ci sono schede e progetti, elaborati dall'apposita commissione a suo tempo presieduta da Corrado Clini, direttore generale del ministero dell'Ambiente. C'è un comitato di coordinamento. Ma non ci sono più i soldi per fare le cose previste, schedate, progettate. Sarebbe essenziale recuperarli e fare le cose che ci sono da fare per il risanamento e la tutela dell'ambiente. Comunque si dovrebbe sapere che fine hanno fatto.

 
IL GAZZETTINO
«Già nel '79 pesci morti e il bimbo malformato»

Nulla di nuovo sotto il sole di Siracusa, era già successo 24 anni fa: i pesci salirono a galla a milioni, gonfi e morti. Banchettarono i gabbiani, e morirono. Era il 1979, dalla rada di Augusta, davanti alla raffineria. Nino Condorelli, catanese, 31 anni allora, era uno dei 'pretori d'assalto': ottenuti i risultati delle analisi su acqua e pesci sigillò gli scarichi della Raffineria Esso. «E anche allora - ricorda il magistrato - scaricavano mercurio». L'emergenza, imposta dalla decisione di Condorelli, costrinse il Parlamento ad approvare subito la legge Merli bis. Oggi Condorelli è sostituto Pg a Brescia, dopo essere stato Pm a Verona, ma serba nella memoria un'immagine indelebile: «Un neonato di Augusta, la mamma china sulla sua culla, in ospedale. Era privo di orecchie. La sensazione era che ci fosse una relazione tra malformazioni e veleni».

 
CORRIERE DELLA SERA
Le intercettazioni rivelano summit clandestini per nascondere il mercurio e ingannare i magistrati

Enichem blocca l’impianto dei veleni

Siracusa, allarme per l’occupazione. Matteoli: inaccettabile la logica o inquino o chiudo

PRIOLO (Siracusa) - Tenevano summit per decidere come smaltire illegalmente i rifiuti speciali e si prendevano persino gioco dei magistrati. «Quell’autobotte deve star ferma fino a quando non va via l’amico», avverte uno dei dirigenti, preoccupato che l’autista possa scaricare i rifiuti speciali nel «pozzetto» mentre il pm Musco gira per lo stabilimento. «Non possiamo rischiare che ci fermino l’impianto per tutta la vita», gli fa eco un collega. E quando, in un batter d’occhio, riescono comunque a scaricare nel tombino, esultano con un colorito «u futtemu». C’è questo e tanto altro nelle intercettazioni ambientali che hanno permesso alla Guardia di Finanza di Siracusa di arrestare i vertici dell’Enichem di Priolo. Uno spaccato di disinvoltura e spregiudicatezza sul quale l’azienda sta cercando di correre ai ripari: «Abbiamo sempre agito nel rispetto della legge». Per ora è stato deciso il fermo dell’impianto cloro soda, da cui uscivano gli scarti di mercurio scaricati in mare attraverso i tombini. Ma lo scandalo rischia di incendiare tutta l’area del petrolchimico, con ricadute incalcolabili. In primo luogo c’è l’allarme sociale nei Comuni che respirano l’aria di Priolo. Nella popolazione l’angoscia si condensa in mille storie. Come quella di Giuseppe Romania, 56 anni, che si è ammalato di tumore dopo anni di lavoro al reparto aromatici Enichem. «Scaricavamo il benzene nei tombini e ogni giorno ne respiravamo le esalazioni. Risultato: io e almeno altri sei colleghi ci siamo ammalati di tumore». Il filo rosso delle patologie tumorali attraversa tutte le famiglie di Priolo, Melilli, Augusta, dove si racconta: «Non c’è una sola famiglia che non abbia avuto in casa un morto per tumore». Una verità di popolo che però non avrebbe rilevanza statistica, almeno per il responsabile del registro tumori dell’Asl 8, Anselmo Madeddu. «Per i tumori - dice - la media di mortalità nel comprensorio è in linea con quella regionale, che è leggermente inferiore di quella nazionale. C’è invece un’altissima incidenza di mesotelioma prelurico: 3,5 casi per 100 mila abitanti, contro una media nazionale di 1,5 casi. Ma questa patologia è connessa alle polveri di amianto». Dunque l’Enichem non c’entra. Potrebbe invece essere responsabile per i bambini nati malformati: «In quest’area c’è un’incidenza del 50% superiore alle media nazionale - spiega Madeddu -: 33 casi l’anno per 1.000 nuovi nati, quando in Italia sono 20. Non sappiamo se è colpa del mercurio scaricato dall’Enichem, ma certo il mercurio provoca malformazioni». Su questo è in corso un’altra inchiesta della Procura di Siracusa, che ha acquisito i dati del professor Madeddu. Resta da dimostrare il nesso con il mercurio smaltito nei tombini. Priolo vive anche un allarme occupazionale. I sindacati temono che l’Enichem «approfitti dello scandalo per completare un processo di smobilitazione». «La logica inquino o chiudo è inaccettabile - replica il ministro dell’Ambiente Matteoli -. Sarebbe inammissibile che un’azienda, per giunta pubblica, considerasse questi episodi un pretesto per il disimpegno». Sono 18 gli arresti compiuti nell’ambito di un’inchiesta sullo smaltimento di rifiuti tossici all’Enichem di Priolo, dove il mercurio sarebbe finito nei tombini e poi in mare Nell’area industriale del Siracusano la media dei bambini che nascono con malformazioni è di più del 50% superiore a quella nazionale: 33 casi l’anno per 1.000 nuovi nati contro i 20 in Italia Sulle malformazioni dei neonati sta indagando la Procura di Siracusa: non si sa se dipendano dal mercurio versato in mare dall’Enichem, ma è certo che il mercurio provoca malformazioni Nella maggioranza delle famiglie di Priolo, Melilli, Augusta c’è stato almeno un caso di tumore . Ma per l’esperto dell’Asl non sarebbero direttamente riconducibili all’Enichem

Il medico: denunciai tutto 15 anni fa, nessuno mi ascoltò

Il primario di Pediatria di Augusta: dall’80 l’aumento di piccoli pazienti malformati

SIRACUSA - Il suo osservatorio privilegiato è stato il reparto di Pediatria dell’ospedale Muscatello di Augusta. Nel cuore del polo petrolchimico siracusano. La battaglia del medico Giacinto Franco, uno dei primi a denunciare il sospetto di un legame tra i minori nati con alterazioni genetiche e l'inquinamento ambientale, è fatta tutta di cifre. Quelle sulle nascite di bambini malformati. Dati che da anni ha reso pubblici. E che ora rafforzano il dramma dell’inquinamento nella zona industriale. In provincia di Siracusa il tasso di malformazioni è più del 50% superiore alla media nazionale. «La nostra iniziativa è cominciata nel 1980 - ricorda Franco - quando ci siamo resi conto che qualcosa non quadrava nei nostri dati. La gente ci parlava anche di morie di pesci e di aria inquinata. Abbiamo cominciato a lavorare da allora su questa vicenda di cui soltanto ora le aziende stanno cominciando a dover rispondere. Alla fine degli anni Ottanta presentai il primo esposto alla Procura». Da medico, Franco ha imparato presto cosa vuole dire vivere in una città industriale e curarne la popolazione. Conoscendo pure i processi produttivi e le sostanze inquinanti che hanno segnato la vita della sua comunità. «Dal 1980 al 1990 la percentuale dei nati malformati - spiega il medico - è salita dall’1,5 per cento al 3,6. Nel 2000 ha raggiunto un picco del 5,6. Nel 2001 i numeri sono scesi, 22 casi su 573 nati, pari al 3,5%. Le patologie riguardavano l’apparato uro-genitale, il cuore, i muscoli, lo scheletro. Nel 2000 siamo tornati a denunciare tutto alla Procura. I risultati di quell'inchiesta, però, non sono ancora venuti completamente fuori». Giacinto Franco dall’anno scorso è in pensione. Ora guarda agli sviluppi della battaglia cominciata. «Non posso essere stupito dei provvedimenti giudiziari che hanno investito l’Enichem - dice -. Ciò che è difficile accettare è che il diritto alla salute sia ancora messo in secondo piano rispetto al ricatto occupazionale. Se sono rimasti in funzione impianti obsoleti e gravemente inquinanti, allora vuol dire che le aziende non hanno mai avuto realmente voglia di investire per restare sul mercato. Il prezzo che la popolazione ha già pagato è stato altissimo». Dati allarmanti, gridati per anni anche dalle associazioni ambientaliste della zona. «E’ la conferma di tutto quello che abbiamo denunciato da tanti anni a questa parte - affermano Enzo Parisi e Pippo Giaquinta di Legambiente -, dieci anni fa avevamo già sollevato l’allarme per l’impianto cloro soda chiedendo che fosse ristrutturato, queste sono le conseguenze drammatiche di anni di immobilismo».

 
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