Il caso. La
raffinera non aveva sospeso l’attività della centrale
turbogas malgrado l’ordinanza del sindaco.
Allarme-ozono,
a giudizio i vertici dell’Api
La centrale
Turbogas, l’ossido di azoto (nox) nell'aria, l'allargamento
del buco dell'ozono a Falconara, le notti insonni dei
cittadini, le ordinanze e le richieste di riportare la
situazione entro limiti di sicurezza accettabili. Ebbene,
secondo il sostituto procuratore della Repubblica Marco
Mansi, di fronte a questa concatenazione i vertici del
petrolchimico Api non si sarebbero mossi come avrebbero
dovuto, violando così la legge. Si potrebbero sintetizzare
così le motivazioni che hanno spinto il pm col pallino
dell'ambiente, poco prima del suo trasferimento da Ancona, a
firmare un decreto di citazione a giudizio per i
responsabili del complesso industriale da anni “separato in
casa" coi falconaresi. Vincenzo Saronne, dirigente dello
stabilimento dal 15 marzo '86 al 30 giugno 2000, Franco
Bellucci, che lo sostituì fino al 4 maggio 2001, e Clemente
Napolitano, legale rappresentante dell'azienda, sono
chiamati sul banco degli imputati il prossimo 14 gennaio.
L'accusa è di aver “bypassato" - senza sospendere la
produzione come loro richiesto, ma affidandosi a manovre
tecniche di contenimento e riduzione - gli articoli 650
(“inosservanza dei provvedimenti dell'autorità") e 674
(“gettito pericoloso di cose", ovvero “emissioni di gas")
del codice penale. Reati che secondo il pm sarebbero stati
commessi in concorso tra loro e in esecuzione del medesimo
disegno criminoso nella caldissima estate di due anni fa.
Quella scandita dalle due ordinanze emanate in tutta fretta
(27 luglio) dal sindaco Carletti per la limitazione del
traffico veicolare e quindi per abbattere le concentrazioni
di nox nell'aria che avevano fatto saltare i livelli di
allarme e scattare l'emergenza ozono. Ma soprattutto
l'estate dell'ordinanza n° 150 (3 agosto), con la quale il
primo cittadino intimò all'Api di «mettere immediatamente in
atto tutti quegli interventi tecnologici possibili per una
drastica riduzione delle emissioni di ossidi di azoto senza
escludere la riduzione della produzione, l'attuazione di
fermate di impianto». L'impianto è quello della centrale
termoelettrica Igcc Turbogas connessa alla raffineria. E
visto che l'impianto continua a girare e l'inquinamento
pure, il sindaco s'arrabbia e invia all'Api un atto di
diffida (16 agosto). Tre giorni dopo l'Arpam, dati alla
mano, evidenzia la mancata ottemperanza dell'ordinanza e
Carletti chiede aiuto al prefetto, ovvero l'urgente
«riduzione delle tonnellate di greggio lavorate dalla
raffineria e/o la fermata del nuovo impianto Igcc». Scatta
quindi un nuovo ultimatum, stavolta prefettizio (21 agosto):
l'ordine è di «sospendere l'attività dell'impianto Igcc
della raffineria Api fino al ristabilimento delle condizioni
meteorologiche sfavorevoli all'inquinamento». L'Api non
sospende, e in alternativa all'antieconomico stop della
Turbogas annuncia una soluzione “leggermente diversa" come
la definisce in una intervista Tv l'ing. Bellucci: una
temporanea riduzione del livello di lavorazioni della
raffineria e della Turbogas. Il prefetto nomina una
commissione costituita da Arpam, Ufficio ambiente del Comune
e vigili del fuoco (23 agosto) per valutare l'efficacia di
quella soluzione e l'organismo lo stesso giorno la promuove
perché capace di ridurre le emissioni. Morale: l'ordinanza
sindacale 150 del 3 agosto, quella del “braccio di ferro", è
da considerarsi in sostanza rispettata, Carletti la revoca
(31 agosto) e quindi vengono meno anche le ragioni
d'efficacia di quella prefettizia. Questione archiviata, per
l'Api, che poi arriverà addirittura a chiedere un
risarcimento dorato al Comune proprio per la riduzione delle
sue attività. Ma non per il pm Mansi, attivato da un esposto
dei comitati dei residenti trasformatosi ora in processo. |