NOTA

 

NOTE SULLA LEGITTIMAZIONE DI MEDICINA DEMOCRATICA
A COSTITUIRSI PARTE CIVILE
 

Quella della legittimazione dei c.d. "enti esponenziali" a costituirsi parte civile nel processo penale è stata una questione che ha travagliato a fondo, ed, in origine, diviso spesso verticalmente, gran parte della dottrina e della giurisprudenza. Senza voler ripercorrere analiticamente tutte le tappe del percorso teorico e pratico - applicativo, spesso accidentato e tutt'altro che lineare, che ha vissuto la materia in esame, è sufficiente ai diretti fini di causa ricordare che la prima e significativa pronuncia della S.C. che ha conferito acuta organizzazione teorica al principio della legittimazione alla costituzione di p.c. delle associazioni private ha ormai 13 anni. Si tratta della notissima sent. 1\6\1989, della sez. VI, Monticelli, nella quale viene enucleata la categoria della "comune afflizione (la sottolineatura è di chi espone) avvertita da quanti si siano costituiti in sodalizio per amore di ben precisi interessi superindividuali, nella cui cura in modo più pieno hanno ritenuto di realizzare la propria personalità, in sintonia con la sollecitazione solidaristica e partecipativa della nostra Carta Costituzionale". Detta comune afflizione configura, a tutti gli effetti, un danno risarcibile di natura ovviamente non patrimoniale. La statuizione de qua affonda le sue radici in un consistente processo, anche qui sia di natura dottrinale che giurisprudenziale, di revisione critica delle categorie "storiche" del danno risarcibile come delineate dal combinato disposto degli articoli 2056 e 1223 c.c., prevalentemente reputati trasponibili ed utilizzabili anche in ambito penale ai fini della qualificazione del danno risarcibile: si tratta delle categorie dell' "immediatezza" e, per così dire, della "direttezza". In particolare, l'orientamento in questione, nell'individuazione dei danni derivanti da un illecito e, dunque, causa dell'insorgenza dell'obbligazione risarcitoria a carico dell'autore dell'illecito stesso, propugna decisamente una maggiore e più pregnante valorizzazione dell'elemento costituito dal nesso eziologico che lega un fatto illecito ad un danno ingiusto, ridimensionando molto, altrettanto apertamente, proprio le su citate qualifiche del danno stesso. In sostanza, ferma la necessità della sussistenza, e della correlativa, rigorosa prova in ambito processuale, del nesso causale tra condotta e conseguenza dannosa, si asserisce che la logica, spesso inevitabile, pluralità di passaggi intermedi che si frappongono fra l'illecito e la produzione del relativo danno in nessun modo potrebbe risultare ostativa alla piena riconduzione genetica del secondo al primo, alla stregua di parametri di regolarità causale, basati in primis sull'id quod plerumque accidit, ed, in conclusione, alla risarcibilità delle stesse conseguenze dannose. "Il danno da reato", cioè, "può dirsi risarcibile nella sussistenza dell'ordinario rapporto di causalità, a prescindere dal numero di elementi intermedi che si pongano tra il reato ed il danno." (Curtotti, Art. 74 - Legittimazione all'azione civile in Codice di procedura penale. Rassegna di giurisprudenza e dottrina, 1998, 145) A tacere di quell'altra osservazione, tanto radicale quanto difficilmente confutabile in punto di diritto, mossa da un altro filone esegetico, per la quale non è il caso di sforzarsi più di tanto a confutare il dogma della necessaria riferibilità diretta ed immediata del danno all'azione od omissione del soggetto attivo del reato, poiché, in ossequio ad un' "interpretazione rigorosa delle norme" vigenti in ambito penale in materia di danno risarcibile, "nessun articolo di legge richiede espressamente che il danno sia diretto ed immediato" (Guidotti, Persona offesa e parte civile - La tutela processuale penale, 2002, 170). Indipendentemente dalla specifica questione riguardante gli enti esponenziali, l'orientamento estensivo in materia di legittimazione alla costituzione di parte civile, su riportato, risulta ormai pacifico nella giurisprudenza della Suprema Corte, quantomeno nella misura in cui deve intendersi completamente obsoleto l'opposta, arcaica ed ultrarestrittiva, tendenza postulante la necessaria coincidenza in capo all'aspirante parte civile della qualifica di persona offesa e danneggiato da reato. Infatti, "il danneggiato dal reato, cui ai sensi degli articoli 185 c.p. e 74 c.p.p. spetta il risarcimento e che si può, ma non si deve necessariamente, identificare con il soggetto passivo del reato in senso stretto, è chiunque abbia riportato un danno eziologicamente riferibile all'azione o all'omissione del soggetto attivo del reato" (Cass. Pen. Sez. VI, 10\7\2000; nello stesso senso, Cass. Pen. Sez. VI, 20\10\1997 e Cass. Pen. Sez. V, 11\4\2000). L'assunto in questione, decisamente più arioso dommaticamente, risulta, peraltro, di maggiore e più agevole compatibilità con gli altri fermenti teorici e pratici che sono cresciuti e si sono vieppiù affermati sempre intorno alla natura del danno risarcibile, partendo però più specificamente e nevralgicamente da una profonda rielaborazione in chiave estensiva del catalogo dei diritti soggettivi la cui lesione darebbe vita all'obbligazione risarcitoria. Il filone ermeneutico de quo, a sua volta decisamente più avanzato socialmente ed orientato costituzionalmente, caldeggia uno sganciamento dalla lista dei diritti soggettivi di derivazione liberal-ottocentesca e basati sulla eminente centralità della proprietà, e dei suoi derivati, per affermare una consustanziazione di tutta una gamma di situazioni giuridiche soggettive attive, sia di natura individuale sia di natura collettiva, alla persona, fondamentalmente ai sensi degli artt. 2 e 3 Cost., ed affermarne, dunque, la piena tutela, civile e penale, e, dunque, la correlativa risarcibilità in caso di lesione degli stessi; in sintesi, si tratta, nella più parte dei casi, di situazioni riconducibili a tutto l'amplissimo spettro dei diritti inviolabili della "personalità" dell'uomo, "sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua (stessa) personalità". E proprio quest'ultima locuzione contenuta nell'art. 2 Cost legittima, per non dire impone, un approccio radicalmente nuovo al rapporto "diritti - soggetto", passando da una visione asfitticamente individualistica, ad un'altra decisamente più consona alla "sollecitazione solidaristica e partecipativa della nostra Carta Costituzionale", per citare testualmente la statuizione della S.C. su riportata. In conclusiva sostanza, alla stregua delle sollecitazioni, innovative e soprattutto costituzionalmente sensibili, dianzi cennate, del binomio "diritto soggettivo", come anticamente interpretato, per inciso, ancora largamente e pienamente vigente all'epoca della compilazione dell'odierno codice civile, non rimane in piedi praticamente nulla. Non sopravvive il concetto di "diritto", dacché questo non è più soltanto, e, per molti versi, non è più neanche soprattutto, quello alla proprietà, o comunque da questa, lato sensu, proveniente, ma ingloba al suo interno anche vari altri diritti, o, comunque, per esorcizzare da subito qualsiasi sterile disputa meramente terminologica, interessi giuridicamente rilevanti in quanto socialmente apprezzati, di varia altra natura, diritti ed interessi di nuovo conio che invocano legittimamente tutela, in tutte le incisive forme riservate ai diritti "classici". Ma non tiene più neanche il concetto di "soggetto", sempre alla stregua dell'approccio ermeneutico "classico" giacché, è ormai patrimonio acquisito dalla gran parte degli operatori, teorici e pratici, più avanzati del diritto che il "soggetto" può essere di natura individuale, ma può essere anche di natura collettiva. Se ne ricava, dunque, che portatore di un diritto della personalità può essere un'entità monosoggettiva, ossia una persona fisica, ma può anche esser un'entità plurisoggettiva, sia, per calarci nella bipartizione invalsa nel nostro ordinamento, nella veste della persona giuridica sia in quella dell'ente di fatto. "A norma dell'art. 74, l'azione civile per le restituzioni o il risarcimento del danno può essere esercitata, nel processo penale, 'dal soggetto al quale il reato ha recato danno ovvero dai suoi successori universali'. Le puntualizzazioni terminologiche della nuova formula rispetto al progetto 1978 si spiegano - come chiarisce la relazione al progetto preliminare del codice - con l'intento di rendere manifesto che 'legittimati all'esercizio dell'azione civile in sede penale non sono soltanto le persone fisiche e gli enti e le associazioni dotati di personalità giuridica, ma anche figure soggettive non personificate', come associazioni non riconosciute, comitati ecc.: ci si è dunque riferiti al "soggetto danneggiato da reato', in luogo della vecchia formula 'persona alla quale il reato ha recato danno' [….] (Di Chiara, Parte Civile in Digesto delle discipline penalistiche, 1995, 238; nello stesso senso, vd. Giannini, L'azione civile per il risarcimento del danno e il nuovo codice di p.p., 1990, 48). Tuttavia è ben evidente che i principi immediatamente su riportati possono legittimamente fondare la tesi della possibilità della costituzione di p.c. da parte degli enti esponenziali solo quando essi abbiano patito un danno ingiusto direttamente ed esclusivamente alla loro personalità, intesa solo come struttura materiale dell'ente, indipendentemente cioè dagli scopi sociali statutariamente perseguiti; "quando cioè, in breve, siano stati lesi come "enti", e non perché 'esponenziali'. (Guidotti, ibidem, 184). La dottrina più recente ha però realizzato un ulteriore passaggio in avanti e, "complice il superamento del canone del danno immediato e diretto (superamento peraltro ragionevole, giacché il canone non ha fondamento nel testo della legge, riduce l'importanza del solo e vero canone rilevante, il rapporto di causalità, ed introduce un'ingiustificata disparità di trattamento quanto alla risarcibilità dello stesso danno in sede penale o civile) (Guidotti, ibidem, 184), ha direttamente agganciato la tutela della personalità dell'ente esponenziale alla salvaguardia dell'interesse fondativo dello stesso, purché cristallizzato nelle disposizioni statutarie. In tal modo, lo scopo sociale è stato fatto assurgere ad elemento costitutivo ed inscindibile dell'associazione. Se la tendenza innovativa in materia di danno, citata per prima, può ottimamente esser considerata il terreno fertile nel quale è sbocciato il precedente giurisprudenziale sopra cennato, quest'ultimo, ampio e profondo rivolgimento dommatico e culturale in materia di "diritti soggettivi", altrettanto plausibilmente può esser considerato il troncone vitale sul quale è gemmata la sentenza del 21\5\1993, sez. III, Cass., Tessarolo. In quest'ultima viene affermata la avanguardistica massima per la quale l'aggressione, avvenuta con l'illecito penale, al bene giuridico tutelato dalla norma incriminatrice, quando detto bene si identifichi con quello eminentemente tutelato dall'ente esponenziale, alla stregua delle previsioni statutarie di quest'ultimo, ebbene, detta aggressione rappresenta una frustrazione della ragion d'essere dell'ente medesimo ed integra, quindi, a tutti gli effetti una lesione dell'identità personale stessa dell'associazione; conseguenza pratico - processuale dell'assunto de quo non può che esser l'affermata legittimazione dell'ente leso a chiedere il ristoro del danno patito all'autore dell'illecito, in tutte le forme che l'ordinamento mette a disposizione dei soggetti danneggiati ingiustamente per raggiungere l'obiettivo, compresa, quindi, l'azione civile nel processo penale (nello stesso senso, in dottrina, Pennisi, Parte Civile in Enciclopedia del diritto, 1997, 784). Le pronunce di cui sopra tracciarono, in questo modo, la via maestra della legittimazione delle associazioni e degli enti rappresentativi degli interessi lesi da reato a costituirsi parte civile, e, come su brevemente accennato, pur non essendo stata la via in questione assolutamente lineare e progressiva, può oggi tranquillamente affermarsi che, nonostante isolati sussulti "conservatori", che pure si manifestano ancora in parti vieppiù minoritarie della dottrina e della giurisprudenza, la medesima legittimazione degli enti esponenziali ad entrare con la piena qualifica di parte processuale nel giudizio penale costituisce, ormai de iure condito, patrimonio comune del nostro ordinamento. Difatti, fino ad epoche recenti ( ex ceteris, Cass. Pen. 9\7\1997, Sez. III, Perotti) la S. C. ha ribadito il principio in oggetto; a tacere delle ormai innumerevoli pronunce di giudici di merito in tal senso, molte e significative delle quali hanno direttamente riguardato, come si vedrà meglio nel prosieguo, direttamente l'ente rappresentato e difeso dall'esponente difensore. Una volta tracciata, come riferito, la strada maestra della risarcibilità dei diritti della personalità delle associazioni lesi da fatti-reato, occorreva, però, logicamente impedire che la predetta arteria si sovraffollasse da subito di richieste e di richiedenti platealmente infondati, se non temerari, poiché privi di qualsiasi aggancio concreto con la fattispecie concreta, e, dunque, immuni, nella loro "personalità", da qualsiasi reale incidenza lesiva derivata dal fatto tipico posto a base del processo penale. In breve, la S.C., contestualmente alla statuizione del principio in questione, ossia quello della legittimazione degli enti privati alla costituzione di p.c., si preoccupò di disegnare i limiti dommatici e, soprattutto, applicativi del principio stesso al fine di scongiurare le più facilmente prevedibili conseguenze aberranti e lesive del buon funzionamento della giustizia penale, in termini di proliferazione di tentativi di costituzione di parte civile, del medesimo assunto. Puntuale e stringente fu, quindi, la precisazione contenuta nella gran parte delle sentenze che pure ammettevano la possibilità della costituzione di parte civile da parte delle associazioni per la quale non sarebbero stati in alcun modo legittimati a rivestire la qualifica di parte processuale tutti quegli enti e quelle associazioni che avessero dedotto un interesse statutariamente perseguito, alla conservazione ambientale piuttosto che alla salvaguardia della salute, generico e, comunque, caratterizzato da un mero collegamento ideologico con l'interesse pubblico, ossia con il bene giuridico tutelato dalla fattispecie penale. Di conseguenza, un ente esponenziale in tanto sarebbe stato concretamente legittimato a costituirsi parte civile in un procedimento penale, per esempio in materia di danno ambientale, in quanto esso avesse dimostrato che l'interesse perseguito come scopo sociale si fosse evoluto dallo stadio astrattamente e genericamente statutario a quello specifico e concreto alla tutela di un circostanziato contesto ambientale e\o sociale. L'interesse in questione, dunque, veniva fattivamente fatto assurgere dagli associati al rango di concreto scopo dell'esistenza del sodalizio e, dunque, di elemento costitutivo dello stesso. E proprio la concreta attività degli iscritti dell'ente a tutela dell'interesse assunto come centrale nella regolamentazione statutaria dell'ente stesso, nella gran parte dei pronunciamenti giurisprudenziali, diviene la chiave di volta dell'operazione logico - concettuale e, soprattutto, pratico - operativa in questione; ossia della declaratoria di legittimazione degli enti esponenziali a costituirsi p.c. nel processo penale. La concreta attività degli iscritti, posta in essere nelle articolazioni territoriali dell'ente, in pratica, funge da molla di un duplice passaggio evolutivo: il passaggio dell'interesse - scopo sociale da un collegamento meramente generico ed ideologico, e, dunque, destinato a restare processualmente anodino, con l'interesse pubblico, quello sotteso alla norma penale di volta in volta violata, ad un rapporto ben più stringente, vero e proprio incardinamento materiale, con l'interesse pubblico stesso, da un punto di vista empirico; il passaggio da "interesse diffuso", proprio cioè della totalità dei cittadini e, perciò stesso sostanzialmente adespota e processualmente inazionabile da alcuno, ad "interesse collettivo", afferente, cioè, ad una pluralità di persone, storicamente e socialmente ben determinate, anche e soprattutto perché facenti capo proprio all'ente o agli enti che della tutela di quell'interesse hanno fatto la loro attiva ragion d'essere, interesse in quanto tale ben più connotato sostanzialmente e significante processualmente, da un punto di vista teorico. Lo scatto da interesse diffuso ad interesse collettivo, avvenuto grazie all'opera degli attivisti dell'ente esponenziale, costituisce lo spartiacque lungo il quale corre la pressoché totalità delle ormai, lo si ribadisce, molteplici e consolidate pronunce di ammissione di costituzione di parte civile di associazioni ed enti privati; non solo in materia ambientale. Nel caso di specie Se così è, e così pare proprio che sia, Medicina Democratica (MD in seguito) con l'interesse alla tutela della salute pubblica, ed in particolare con l'interesse alla tutela della salute dei lavoratori, non ha certamente un mero collegamento generico o, peggio, ideologico. La storia di MD, di cui si è data solo sommaria contezza nella scheda di identità pure allegata alla costituzione di parte civile, testimonia di un impegno a tutela della salute pubblica, in generale, diuturno, diffuso, utile e visibile sul territorio nazionale; ma, in particolare radicato sul territorio pugliese, e, ancor più, brindisino. Impegno affermato ed apprezzato dalle popolazioni residenti sul territorio regionale, e provinciale in ispecie, nonché riconosciuto dalla pressocchè totalità degli enti pubblici insistenti sui medesimi territori, sia quelli di governo locale, sia, soprattutto, quelli preposti alla tutela della salute pubblica (ed anche qui si rimanda, ad incontestabile riprova documentale di quanto affermato, alla copiosa produzione cartacea che correda la presente costituzione). Organizzazione di dibattiti, incontri e iniziative militanti di ogni tipo di sensibilizzazione, informazione e denuncia dei pericoli incombenti, e, ahimè, dei danni già verificatisi, nel territorio pugliese e brindisino sulla salute pubblica, e su quella dei lavoratori in specie; comunicati e conferenze stampa, e presenza frequente sugli organi di informazione locali sempre su tematiche inerenti la tutela della salute umana, e sui posti di lavoro dipendente in particolare, in provincia ed in regione; interlocuzione costante, con funzioni di denuncia, di controllo ma anche di stimolo e di proposta, con gli enti locali e con gli enti pubblici specificamente preposti alla salvaguardia della salute pubblica; sollecitazione del controllo di legalità sull'operato di enti pubblici e aziende presenti sul territorio, con le ormai solite finalità di tutela del bene salute, a mezzo di denunce ed esposti all'autorità giudiziaria. Questa, molto schematicamente, è l'attività, sulla cui meritevolezza sociale non si ritiene di dover spendere una sola parola di commento, di MD regionale e provinciale, con cui lo stesso ente ha inverato e calibrato sul territorio pugliese e brindisino il suo fondamentale e primo scopo sociale espresso alla lett. a) dell'art. 4 del suo statuto: "tutelare il diritto alla salute, costituzionalmente garantito, dei cittadini, con particolare riferimento ai lavoratori [….] opponendosi con azioni concrete sul piano dell'iniziativa politica e, dove necessario, giuridica ogni qualvolta questo diritto venga leso" (la sottolineatura è dell'esponente). Questa attività è stata possibile sia grazie alla significativa partecipazione, unitamente agli attivisti di MD, diretta ed attiva alle varie iniziative dell'associazione da parte dei diretti interessati alle stesse, ossia i cittadini ed i lavoratori di Puglia e di Brindisi, sia grazie all'apporto, altrettanto fondamentale, di energie umane e competenze professionali medico - scientifiche di altissimo profilo, tra cui primari ospedalieri e responsabili di strutture pubbliche sanitarie. Quest'attività ha avuto come capisaldi di studio e di mobilitazione due filoni centrali: il primo è costituito dall'indagine, e dalla conseguente informazione e denuncia, sulle conseguenze derivanti dagli insediamenti industriali presenti nella regione sulla salute dei lavoratori dei medesimi e delle popolazioni circostanti, con particolare riferimento al polo chimico costituito dagli stabilimenti petrolchimici di Manfredonia e Brindisi. E qui è doveroso un rinvio alla parte della scheda d'identità di MD relativa all'operato ed alle coraggiose e tragicamente puntuali denunce sulla letale nocività di talune produzioni e sul "lavoro che uccide" di due operai: Nicola Lovecchio, dipendente del petrolchimico di Manfredonia, peraltro iscritto a MD, e Luigi Caretto, del petrolchimico di Brindisi. In questa terribile lotta i due operai su citati, che della nocività del lavoro in Puglia sono le due vittime più nobili e significative, hanno avuto regolarmente al loro fianco Medicina Democratica; e questo alacre impegno di MD sul petrolchimico di Manfredonia, insieme a Nicola Lovecchio ha già trovato un gratificante ed emblematico riconoscimento da parte di un Giudice con l'ammissione della costituzione di parte civile nel processo pendente innanzi al Tribunale di Foggia a carico di tutta una serie di dirigenti del petrolchimico stesso, nonché delle aziende che ne hanno avuto negli anni la titolarità ed il controllo, per reati contro la persona e contro l'ambiente. È, altresì, opportuno significare al Giudicante, che questo riconoscimento, indubitabilmente, affonda le sue radici, oltre che nei vari altri meriti di MD regionale, anche nel fondamentale contributo dato dalla stessa MD, unitamente a Nicola Lo vecchio, proprio alla genesi di quel procedimento con l'esposto - denuncia presentato in data 16\7\1996. Il secondo grosso filone di ricerca e d'iniziativa concreta della sezione pugliese, e brindisina in particolare, di MD è rappresentato proprio dall'amianto, in sé, e dalle sue conclamate e devastanti conseguenze sulla salute umana, e dei lavoratori in particolare, nella provincia di Brindisi, anche in grazia della sciagurata massiccia diffusione dell'esiziale elemento in questione nella nostra società. Si ricorda, a tal proposito, ex multis, come maggiormente emblematico dell'autentica campagna imbastita in provincia di Brindisi da MD sull'amianto solo il serrato carteggio tra il responsabile provinciale dell'ente dott. Maurizio Portaluri e la A.U.S.L. Br\1 sulla presenza di fibre di amianto addirittura nella rete idrica (ed anche qui si rinvia a quanto documentato unitamente alla costituzione di parte civile.). Orbene, il processo che ci occupa rappresenta un'autentica, perfetta, paradigmatica fusione tra i due terreni su citati di maggiore e più significativa attività concreta sviluppata dalle articolazioni regionali e provinciali in particolare di MD su citati: nocività del petrolchimico di Brindisi - nocività dell'amianto; si potrebbe operare una sorta di endiadi logica sintetizzando, nocività del petrolchimico anche grazie all'amianto. Questo specifico contesto processuale, nel quale va ad incasellarsi, come la tessera di un mosaico, l'attività pregressa di MD in Puglia ed a Brindisi in particolare, fa sorgere la legittimazione di MD ad avere ingresso con la piena qualità di parte (civile) nel processo stesso. Né potrebbero fondatamente opporsi a questa legittima e logica prospettiva eccezioni fondate sulla peculiarità del capo d'imputazione, con particolare riferimento alla natura dei delitti contestati agli odierni prevenuti, implicanti una "mera" aggressione alla persona, rectius a varie persone, e non già, pure, un'aggressione all'ambiente o all'incolumità pubblica, le quali ultime ipotesi di reato costituiscono, regolarmente, il substrato processuale dei giudizi nei quali gli enti esponenziali trovano ingresso come parti civili. E ciò per tre ordini di ragioni. Il primo: pur vertendosi, effettivamente, in ipotesi di "mera" contestazione di omicidi e lesioni colposi, è di tutta evidenza che essi sono maturati in un ben determinato contesto ambientale, per non dire in un preciso luogo fisico, e per altrettanto puntuali fattori causali; e sia il contesto ambientale (l'insediamento industriale di Brindisi), sia il luogo fisico (il petrolchimico), sia, soprattutto, i fattori causali (la nocività, rectius l'esizialità delle produzioni, dovuta anche e soprattutto a responsabilità, pure di natura omissiva come nel caso di specie, dei soggetti che di quelle produzioni e, del relativo ciclo ed ambiente produttivo, avevano il controllo e il dominio) sono esattamente quello su cui e contro cui MD ha profuso il massimo della sua palese e significativa attività "istituzional - associativa" e proprio per provare a scongiurare eventi funesti come quelli che sono alla base del presente giudizio. Il fatto che la pur instancabile attività dell'ente in questione nel perseguimento del suo scopo - interesse sociale, cioè a tutela della salute dei cittadini e dei lavoratori della provincia di Brindisi, sia stata così tragicamente e criminalmente vanificata dalle condotte omissive degli odierni prevenuti per i quali essi subiscono il processo che ci occupa, costituisce palese cagione di "comune afflizione" (e questa, in questo caso, non è veramente frutto di fictio iuris) dei soci di MD e, dunque, vulnus alla personalità dell'ente e, quindi, ad un elemento costitutivo dello stesso (oltre che, soprattutto, è sempre doveroso puntualizzarlo, all'incolumità fisica, o peggio, alla vita dei poveri operai Esposito Gennaro, Domanico Eleuterio e Fiaccone Antonino, che i reati posti a base di questo giudizio hanno pagato direttamente sulla loro pelle al prezzo supremo che conosciamo). A sostegno delle considerazioni su esposte in tema di contesto ambientale, di luogo fisico e di fattori causali dei fatti per cui vi è processo, vanno evidenziati due dati medico - sanitari, indipendentemente dai capi di imputazione. Il primo di natura medico - clinica: il rapporto causale incontestato tra fibre di amianto e mesotelioma presuppone una incontrollata dispersione di fibre del minerale e quindi l'esposizione di un numero indefinibile di soggetti, dentro e fuori lo stabilimento. Il danno inoltre non è circoscrivibile ai casi riscontrati in quanto l'amianto può provocare altri tipi di tumore, come almeno quelli al polmone e al laringe, ed anche altri casi di mesotelioma possono essere in incubazione per il lungo tempo di latenza tra esposizione e comparsa clinica dei tumori. Il secondo, direttamente riguardante il merito della fattispecie concreta, è rinvenibile addirittura nella relazione di consulenza tecnica disposta dal p.m. in fase di indagini preliminari e redatta dal prof. Assennato e dai dott.ri Pagliara e Petrachi. "I risultati del sopralluogo e dell'analisi chimica evidenziano il rinvenimento di materiali a base di amianto in tutti i reparti oggetto del controllo. L'esposizione pregressa dei lavoratori Enichem a fibre di amianto appare notevolissima, del personale di esercizio e in particolare del personale di manutenzione. Il rischio da amianto appare attualmente ancora perdurante nello stabilimento Enichem e ciò sia a causa delle notevolissime quantità di materiali contenenti amianto, molti dei quali friabili e degradati, tuttora presenti sugli impianti [….]" (p. 17). In pratica, appare tragicamente chiaro che, indipendentemente dagli specifici capi di imputazione, frutto di una legittima valutazione di opportunità processuale del p.m., sulla quale questa difesa non ritiene di esprimere alcuna forma di valutazione, nel petrolchimico di Brindisi si è esposta, da parte degli odierni imputati, sistematicamente e pervasivamente a rischio l'incolumità e la vita di tutti i lavoratori e le lavoratrici dello stesso, nonché la stessa incolumità pubblica delle persone e degli ambienti allocati nei pressi dello stesso sito industriale. Il secondo ordine di ragioni risiede proprio, ad onta di letture superficiali, nei capi di imputazione, più precisamente in una circostanza aggravante contestata agli odierni prevenuti; si afferma, infatti, dal P.M. che i delitti p.e p. dagli artt. 40, co 2, 41 e 589, co. 1 e 2, c.p. sarebbero stati integrati dagli imputati per "[….] inosservanza delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro [….] in violazione dell'art. 21 D.P.R. 303\56, degli artt. 157 e 175 D.P.R. 1124\65". Orbene, le norme da ultimo citate, e quelle cui le stesse rimandano in chiave sanzionatoria, com'è noto, configurano reati di pericolo; più precisamente si tratta della sanzione della mancata adozione, da parte padronale, di misure atte a garantire l'incolumità dei lavoratori, di tutti i lavoratori. Quella presa in considerazione dalle norme antinfortunistiche, cioè, delle quali si assume la violazione ad opera degli imputati da parte dell'Accusa è una dimensione collettiva della salute dei lavoratori, con conseguente trascendimento, sotto il profilo del bene giuridico tutelato dalla previsione legale, della dimensione dei singoli. Se così è, non v'è chi non veda come l'interesse all'applicazione delle norme in oggetto, in via preventiva, ed alla sanzione delle condotte violative di quelle norme medesime, in via repressiva, si sposti, in chiave ovviamente concorrente e non certo alternativa, da ogni singolo lavoratore ad ogni soggetto collettivo, o ente, che della tutela della salute dei lavoratori, nella illustrata dimensione collettiva, abbia fatto un proprio fondamentale scopo sociale, sia a livello di previsioni statutarie sia a livello di concreta e specifica attività sul territorio; e l'interesse de quo non può che riverberare, in ambito processual - penale, in legittimazione all'assunzione della qualifica di parte processuale con finalità risarcitorie, sulla scorta di tutto quanto dedotto nella parte generale di queste note (vd. Trib. Pen. Monza, 8\2\1994). Il terzo ordine di ragioni consiste in una sorta di "argumentatio a fortiori": non si vede come e perché si dovrebbe ammettere la legittimazione di un ente esponenziale come MD, con le più volte ricordate finalità sociali, alla costituzione di parte civile in presenza di un reato contro l'incolumità pubblica, che rivestendo, regolarmente, natura di fattispecie di pericolo ben può essere contestato anche in assenza di un danno concreto alla stessa incolumità pubblica, e non la si dovrebbe ammettere quando il comportamento antigiuridico degli imputati ha creato un contesto ambientale nel quale ed a causa del quale più lavoratori, com'è nel caso di specie, hanno già riportato un terribile danno, e non già una mera esposizione a pericolo, due dei quali, purtroppo, non più e non solo alla loro incolumità, ma addirittura alla loro vita. In sostanza, per tornare ai due pronunciamenti giurisprudenziali riportati all'inizio di queste note, conformandoli al caso concreto, non si capirebbe perché gli iscritti ed i simpatizzanti di MD che hanno profuso ininterrottamente sino ad oggi, nelle forme su illustrate, le loro indefesse energie militanti a tutela della salute pubblica, e di quella dei lavoratori in particolare, dovrebbero provare "comune afflizione" per un reato eventualmente comportante l'esposizione a pericolo dell'incolumità pubblica del territorio di Brindisi, cioè di una fascia indistinta di cittadini, e, invece, dovrebbero risultare insensibili in presenza di un reato che postula ontologicamente un trasmodamento dallo stadio del mero pericolo a quello del danno concreto, un danno circostanziatamente e letalmente prodottosi a carico di due lavoratori ben individuati, e gravemente a danno di un altro lavoratore. Stessa griglia ermeneutica può, e, secondo l'umile parere di questo difensore, deve, applicarsi alla seconda sentenza di Cassazione su citata, quella che affermava la legittimazione alla costituzione di parte civile degli enti esponenziali ancorandola alla risarcibilità del danno da "lesione all'identità personale stessa dell'associazione". E, comunque, e questo può ben esser considerato come un ulteriore e finale motivo della infondatezza di un'eventuale opposizione alla presente costituzione di parte civile basata sulle ragioni dommatiche su ipotizzate, il dato processuale per cui i capi di imputazione in un determinato giudizio riguardino esclusivamente reati contro la persona, ormai, per orientamento giurisprudenziale vieppiù radicato nel nostro ordinamento, anche sulla scorta delle sempre più diffuse e condivise elaborazioni dommatiche e culturali di segno progressivo su citate, non risulta più seriamente ostativo rispetto alla possibilità di costituzione di parte civile di un ente esponenziale. A tal riguardo, due sono le pronunce, tra le altre, che si reputano assolutamente illuminanti ai fini del sostegno dell'assunto di cui al periodo precedente. La prima è stata resa in un processo per violenza sessuale. "La libertà sessuale costituisce un fondamentale ed inviolabile diritto della persona umana, costituzionalmente garantito, non solo quale diritto assoluto individuale, ma anche quale interesse diffuso, che è convertibile in interesse collettivo in favore di quegli enti che presentino uno stabile e preciso collegamento con una zona più o meno circoscritta, in cui, a seguito del verificarsi della concreta lesione, l'interesse si radica e si localizza territorialmente (criterio della c.d. <localizzazione territoriale>); a tali enti va riconosciuta l'esponenzialità sostanziale e, quindi, legittimazione processuale; tali caratteri si riscontrano in un <centro delle donne contro la violenza> localizzato in una regione; l'interesse collettivo imputabile all'ente si soggettivizza nell'ente medesimo, quale diritto soggettivo della personalità suo proprio ed esclusivo, la cui lesione determina un danno immediato e diretto del suo patrimonio morale, lesione civilisticamente risarcibile. (Ass. Campobasso, 13 giugno 1989) La seconda sentenza, decisamente più recente, risulta, se possibile, ancor più pregnante rispetto alla fattispecie che ci occupa. "La persona offesa dal reato è il soggetto titolare del bene giuridico protetto dalla norma penale, mentre il danneggiato è chiunque dalla condotta di reato abbia subito un danno; se normalmente le due figure coincidono, può però accadere che il reato offenda interessi la cui lesione non identifica una figura specifica di danneggiato. La legittimazione e l'interesse degli enti esponenziali a costituirsi parte civile sono condizionati dalla titolarità di una pretesa risarcitoria esattamente e rigorosamente individuata, nel senso che occorre che l'interesse leso coincida con un diritto soggettivo dell'ente, assunto nello statuto a ragione della propria esistenza e attività, per modo che tra l'offesa al bene giuridico e la lesione di tale diritto dell'ente vi sia un rapporto di causalità immediato e diretto. Il Movimento Federativo Democratico - tribunale per i diritti del malato è un ente che, per scopi, diffusione e rappresentatività, è divenuto un centro di condensamento dell'interesse diffuso dei cittadini alla sicurezza delle prestazioni sanitarie, venendosi così a creare quella coincidenza tra l'interesse leso dal reato e il diritto soggettivo dell'ente, che legittima la sua costituzione di parte civile per il risarcimento dei danni derivanti da omicidio colposo di pazienti (sottolineatura di chi scrive) conseguente al difettoso funzionamento di un'apparecchiatura sanitaria. (Trib. Milano, 6-7-1998). Orbene, stante la sostanziale attagliabilità della fattispecie concreta rispetto a quella esaminata e decisa dal Tribunale ambrosiano, se il principio enucleato da quest'ultimo vale per il Tribunale dei diritti del malato, sarebbe ineccepibile, secondo la modesta valutazione di questo difensore, in presenza di un altro ente, quale Medicina Democratica, che può vantare un radicamento, una meritevolezza e una utilità sociali equivalenti a quelli del primo ente, riservare a Medicina Democratica lo stesso trattamento giustamente tributato al Tribunale dei diritti del malato. Assunti i principi di fondo in ordine alla generale legittimazione degli enti esponenziali a costituirsi parte civile nel processo penale, Medicina Democratica, in particolare nella sua articolazione pugliese e brindisina, per le ragioni che ci si è sforzati di illustrare in queste note, risulta in possesso di tutte le carte in regola per aspirare ad avere un ruolo pieno, di parte civile, nel processo che ci occupa. Tanto premesso, ci si riporta alle conclusioni già rassegnate nell'atto di costituzione di parte civile.

Fasano - Brindisi, 29.05.2002

Avv. Stefano Palmisano

 
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