Impatto ambientale di
centrali termoelettriche alimentate a gas metano
di Caldiroli Marco
(Medicina Democratica – Centro per la Salute "Giulio A. Maccacaro",
Castellanza – Varese)
L’utilizzo del metano in centrali
termoelettriche rappresenta una alternativa meno sporca (e non "più
pulita" come spesso si sente dire) rispetto agli altri combustibili
fossili (olio combustibile, carbone, orimulsion, gasolio, etc). Un minor
impatto ambientale nella combustione del metano è conseguito in
particolare ove siano applicate tecnologie a maggior rendimento rispetto
ai tradizionali "cicli a vapore" : la tecnologia matura proposta
sono le centrali a ciclo combinato e con cogenerazione. In questa
configurazione i gas di scarico della prima combustione (turbine a gas)
alimentano con il loro calore residuo una caldaia a recupero che produce
ulteriore vapore. In altri termini si riesce ad utilizzare meglio la
produzione di vapore per la trasformazione in energia elettrica e si fa
in modo da rendere disponibile del vapore utilizzabile
(teleriscaldamento, utilizzi industriali). In questo caso i rendimenti
arrivano al 55 – 60 % . Un ulteriore passo sarà rappresentato dalla
messa a punto industriale delle celle a combustibile, a gas metano, che
possono raggiungere rendimenti globali (elettrici e termici) pari all’82
% con emissioni nell’ambiente estremamente ridotte.
Con il meccanismo attivato in Italia
della liberalizzazione del mercato dell’energia, si è assistito alla
presentazione di numerosissime proposte di impianti termoelettrici a gas
metano (per lo più cicli combinati e cogenerativi) che si
aggiungerebbero agli esistenti impianti ad altri combustibili. In altri
termini si creerebbero degli impatti aggiuntivi a quelli esistenti visto
che non esiste alcuna decisione o programma – se non parziale e di
iniziativa interna dell’ENEL – di "metanizzazione" di impianti
esistenti.
Proviamo a indicare i principali fattori
di impatto ambientale di una "tipica" centrale termoelettrica da
800 MW termici (capace di produrre circa 400 MW di elettricità netti da
immettere in rete) a ciclo combinato, alimentata a gas metano.
Le emissioni all’atmosfera
Supponendo un funzionamento annuo
dell’impianto per 8.000 ore, nonché di una emissione pari a 2.100.000
Nmc/ora, le emissioni principali sono costituite da ossidi di azoto (che
costituiscono un contaminante in cui il metano è "meno competitivo"
sotto il profilo dei fattori di emissione, rispetto a combustibili
fossili tradizionali solidi) che possono essere stimate (emissione pari
a 50 mg/Nmc) pari a 840.000 kg/anno.
Per quanto concerne il monossido di
carbonio, questa emissione può essere stimata in 200.000 kg/anno mentre
il biossido di carbonio (il "gas serra" per definizione) di
questo impianto sarebbe pari a 1.184.000 tonnellate/anno (all’incirca un
centesimo degli obiettivi nazionali di riduzione di questo gas che
l’Italia si è impegnata a raggiungere con il "Protocollo di Kyoto").
Anche se parliamo di gas metano vanno considerati – vista la taglia
dell’impianto – anche inquinanti come le polveri e gli ossidi di zolfo
che sono presenti in tracce (ed in quantità diverse in relazione alla
provenienza del gas, quello a maggior contenuto di questi inquinanti è
quello proveniente dal Nord Europa) : in questo caso, queste emissioni
possono arrivare a circa 30.000 kg/anno di ossidi di zolfo e a 15.000
kg/anno nel caso delle polveri.
Si tratta di valori elevati – anche se
più bassi (eccetto gli ossidi di azoto) rispetto ad una equivalente
centrale a combustibili fossili tradizionali – che peserebbero sull’area
interessata in relazione alle caratteristiche di tale zona e alla
qualità dell’aria, con una diffusione e ricaduta degli inquinanti
determinati dalla situazione orografica e meteoclimatica dell’area oltre
alle caratteristiche dell’impianto.
Un altro tipo di emissione poco
considerato sono gli aerosol o "drift" (si tratta goccioline di
vapore acqueo) che nel nostro caso possono essere stimate in oltre 1
metro cubo all’ora, con un potenziale effetto peggiorativo (nebbie)
della situazione della zona in relazione alle sue caratteristiche in
termini di frequenza di episodi di inversione termica.
I consumi di acqua e gli scarichi
idrici
Di norma le centrali a ciclo combinato
hanno sistemi di raffreddamento ad acqua, ciò comporta, anche in
presenza di un parziale riciclo dell’acqua utilizzata nell’impianto,
elevati prelievi che possono essere stimati intorno a 450 mc/h di acqua
di reintegro (l’equivalente del consumo medio di 31.000 abitanti di una
metropoli del nord Italia), con un effetto sulle risorse idriche –
sotterranee e/o superficiali - della zona in relazione alle loro
caratteristiche e consistenza. In caso di adozione di sistemi di
raffreddamento ad aria possono essere ridotti i consumi di acqua (e
ridotto il rendimento in produzione di energia dell’impianto) ma si
avrebbero problemi in relazione alla dissipazione del calore : la
centrale funzionerebbe da enorme "termosifone".
Inoltre sono prodotti scarichi idrici
(sempre per la taglia considerata), intorno ai 70 mc/h, i quali, anche
se depurati, possono avere forti impatti ambientali sui corpi idrici
superficiali a causa delle relativamente elevate temperature a cui sono
scaricate (fino a 35 °C). Si possono produrre degli effetti negativi
importanti a diverse specie animali e vegetali viventi nei corsi d’acqua
superficiali, anche nel caso in cui gli incrementi di temperatura siano
nell’ordine di uno o pochi gradi in più.
L’impatto acustico e l’uso del
territorio
Una centrale a turbogas come quella
considerata ha macchine che producono un rumore elevato : in diversi
progetti esaminati da chi scrive, si riscontrava il superamento dei
limiti notturni fino a circa 200-300 metri dal confine della centrale,
nel caso in cui i limiti delle aree circostanti fossero quelli previsti
per aree agricole o residenziali. Va segnalato che queste centrali
tendono a condizionare il territorio – in particolare per realizzare la
"promessa" di disponibilità di vapore per industrie – ovvero a
costituire il primo caposaldo di una nuova area industriale fungendo da
attività che opera il superamento di destinazioni urbanistiche
precedenti incompatibili e come attrattore di nuove attività. Pertanto,
paradossalmente, questa problematica tende ad essere superata
contestualmente alla modifica urbanistica necessaria per accogliere la
centrale : il rumore non sopportabile dai cittadini rimane, ma i "limiti"
sono formalmente rispettati.
Da ultimo vanno ricordati gli impatti "indotti",
da valutare in relazione alle condizioni della zona, ovvero a quelli
connessi con la realizzazione di infrastrutture a servizio della
centrale (strade, metanodotti, elettrodotti) con la relativa occupazione
di territorio e di nuovi rischi (elettrosmog piuttosto che emergenze per
incendi o esplosioni).
Qualche mezzo di difesa è alla portata
della popolazione, in particolare tramite la Valutazione di Impatto
Ambientale (anche se in Italia, le direttive europee in materia sono
state recepite solo parzialmente). Questa procedura, che è in primo
luogo un diritto dei cittadini all’informazione e alla partecipazione
alle decisioni in merito oltrechè una valutazione degli impatti
ambientali di un’opera comprensiva delle alternative alla stessa e della
"opzione zero" (la non realizzazione), è obbligatoria per le
centrali di potenzialità superiore a 300 MW termici (in questo caso la
procedura è presso il Ministero dell’Ambiente) e per quelle superiori a
50 MW termici (presso la Regione interessata). A tale proposito va
segnalata la previsione del "decreto sbloccacentrali" approvato
nell’ottobre scorso dal Consiglio dei Ministri.
In questo provvedimento vi è un esplicito
attacco ai poteri degli enti locali. E’ previsto infatti che "Il
parere non favorevole, congruamente motivato, deve indicare, a pena di
inammissibilità, le condizioni e le modifiche progettuali che si
reputano necessarie per un parere favorevole." Questa previsione,
simile a quella prevista nell’art. 12 della legge del 2000 sulla "semplificazione
amministrativa", è finalizzato unicamente a ridurre i poteri degli
enti locali e a piegare questi ultimi alle esigenze di privati. Si
tratta di una questione non puramente ambientale ma anche di democrazia.
Per chi scrive esiste la possibilità di
un utilizzo del gas metano per produrre energia elettrica con un minore
impatto ambientale ed in una fase di transizione rispetto all’utilizzo
estensivo di fonti di energie rinnovabili che deve essere un obiettivo
di tutti non certamente affidabile al "libero
mercato".
Studi effettuati per un utilizzo più
efficiente del gas naturale nell’industria italiana introducendo
tecnologie avanzate di cogenerazione hanno individuato i seguenti "scenari"
volti anche a ridurre l’impatto ambientale della produzione energetica:
- ripotenziamento con turbine a gas
avanzate delle centrali a vapore cogenerative già operanti a gas
naturale;
- ripotenziamento con turbine a gas
avanzate anche delle centrali cogenerative alimentate a olio
combustibile;
- sostituzione e applicazione degli
utilizzi elettrici a metano nelle centrali termoelettriche esistenti,
a basso rendimento.
La stima degli effetti di questi scenari
ipotizzati sono i seguenti, sia in termini di maggiore produzione di
energia elettrica, di riduzione di consumo di combustibili tradizionali,
di effetto sulle emissioni di gas serra e di altri inquinanti.
Effetti degli scenari di
intervento
sugli impianti termoelettrici esistenti |
Scenario A |
Scenario B |
Scenario C |
Maggior consumo di gas
GWh |
45.100
|
154.200
|
0
|
Minor consumo di olio
combustibile
GWh |
0
|
54.300
|
12.200
|
Maggior produzione
elettrica
GWh |
28.300
|
64.800
|
11.300
|
Minor consumo di olio
combustibile per
evitata produzione elettrica
GWh |
74.500
|
170.600
|
29.700
|
Minor fabbisogno energetico
Mtep |
2,53
|
6,06
|
3,60
|
Minori emissioni di
anidride carbonica
Mton |
11,5
|
31,6
|
11,60
|
Minori emissioni di ossidi
di zolfo
Mton |
0,128
|
0,387
|
0,072
|
Minori emissioni di ossidi
di azoto
Mton |
0,041
|
0,118
|
0,048
|
Nota: Per la stima delle emissioni
si sono adottate le seguenti ipotesi :
-
per l'anidride carbonica, da
composizioni medie di gas naturale e olio combustibile;
-
per gli ossidi di zolfo, olio
BTZ con 1 % di zolfo, zolfo assente nel gas;
-
per gli ossidi di azoto, turbine
a gas 25 ppm vd 15 % di ossigeno, caldaie a gas 3 % di ossigeno,
caldaie a olio 300 ppmvd al 3 % di ossigeno.
Fonte: G. Lozza, Politecnico di
Milano, "Scenari tecnologicamente avanzati per un utilizzo più
efficiente del gas naturale nell'industria italiana", vedi nota 3)
In sintesi :
in relazione allo scenario a) si
otterrebbe l’obiettivo di "svincolarci da gran parte delle
importazioni di elettricità o di rinunciare alla costruzione di nuove
centrali termoelettriche per un ammontare indicativo di oltre 6.000 MW";
in relazione allo scenario b) si avrebbe
un raddoppio della energia elettrica generata dagli impianti
cogenerativi potenziati, "gli impianti di cogenerazione industriale
produrrebbero circa 8.000 GWh, quasi la metà dell'energia globalmente
generata oggi per via termoelettrica in Italia, ENEL compresa";
in relazione allo scenario c) i
rendimenti aggiuntivi "libererebbero circa 7.874 Mmc/a" di gas
metano "oltre all'intero consumo ipotizzato nello scenario" a)
(5.864 Mmc/a); si avrebbe "una generazione elettrica aggiuntiva di
circa 11.290 GWh/a ottenuta a parità di consumo globale di gas naturale
e con una riduzione significativa dei consumi di olio".
In altri termini la via della riduzione
del deficit produttivo (al 1998 pari a 40.732 GWh) non è esclusivamente
basata sulla realizzazione di nuove centrali termoelettriche ancorché
basate su cicli cogenerativi a metano a minore impatto ambientale ma ha
nella riconversione, ripotenziamento e miglioramento dell'efficienza
delle centrali esistenti una strada concreta rispettosa degli obiettivi
di riduzione dell'emissione di gas serra e nel contempo in grado di
coprire in buona parte o del tutto l’attuale deficit di produzione di
energia elettrica (ma su questo occorrerebbe anche parlare degli usi
attuali dell’energia e degli elevati risparmi ottenibili con
l’applicazione di tecnologie conosciute). |