RIFLESSIONI DI UN NON FALCONARESE
Ebbene sì, sono stato invitato a lasciare
Falconara. Seriamente. Non scherzo. Ma andiamo per ordine.
Riunione cittadina, animi accesi per
l’alienazione di stabili comunali. In attesa, discussioni accademiche.
Tema: reperimento fondi in alternativa alla vendita.
Stando ad uno dei presenti, unica fonte
certa la raffineria API, che nel passato si è dimostrata sensibile ai
problemi della città: l’elencazione va dalla pavimentazione del parco
Kennedy, a illuminazioni varie e, poi, contributi a scuole. La
discussione si anima, prende una piega di scontro frontale: non posso
non ricordare al mio interlocutore gli incidenti del passato, i morti, i
rischi per la salute, gli sversamenti di idrocarburi in mare, dei fumi
perennemente buttati in atmosfera, del catrame sulle spiagge, dei
rumori, dei sibili, delle puzze e altro ancora. Tutte cose che non
hanno, non possono, non potranno mai venire ripagate da nessuna
elargizione economica. Altri presenti si inseriscono, certamente non con
la mia rabbia, ma comunque critici nei confronti del mostro incombente
su Falconara.
Il mio interlocutore si scatena: un padre
campato oltre cent’anni; loro, giovani, con i piedi l’estate sempre
intrisi di catrame; l’aria salubre del mare che annulla i pericoli;
nessuno è mai morto a causa della raffineria; i falconaresi devono
esserle riconoscenti per il sicuro benessere dato ai tanti che nel tempo
vi hanno lavorato.
Le voci si alzano: rispondo che no i
falconaresi all’API devono richiedere il rispetto per la salute dei
cittadini, il rispetto del territorio e dell’ambiente e che per questo
non servono le elargizioni dei trenta denari per sovvenzionare uno
spettacolo teatrale, fregandosi dello sversamento che ha causato la
chiusura della stagione balneare per almeno dieci giorni e non sapere
ancora adesso cosa mai è finito in mare. E, in ultima analisi, l’API se
ne deve andare da Falconara, anche alla luce del fatto che il petrolio è
una delle fonti energetiche in via di esaurimento e che le due centrali
termiche previste arrecherebbero un danno irreversibile alla città.
Altro che riconoscenza! L’API deve andarsene! Ho urlato. Se ne vada lei
da Falconara! E’ stata la risposta, piccata, dell’interlocutore.
A interrompere la discussione l’inizio
della riunione.
Riflessioni sull’andamento dei lavori:
pochezza degli interventi, soprattutto di quelli di alcuni politici. E
constatazione certo non edificante, che la solidarietà ha un occhio solo
e una volta risolto il “mio” problema d’altro non mi interessa. Una
città amorfa, Falconara, davvero. Senza un progetto, senza prospettive,
senza voglia di lottare. Parole tante, ma vuote, insulse che si
compendiano perfettamente con la nullità delle cronache locali
pubblicate su giornali a cui però tutti i falconaresi sembrano pendere
come unica fonte di verità.
Aveva ragione quel signore: me ne andrò
davvero da Falconara: e i falconaresi si tengano pure l’API e quanto di
veleno manda in atmosfera per addormentare e le coscienze, e fortificare
la loro indolenza. Un favore: evitate di dare l’appellativo di
“turistica” alla città di Falconara, lasciate perdere di bearvi di
quella cretina parola, sbandierata ai quattro venti: “movida”, movida un
c…
Come potete parlare di turismo con la
stagione chiusa al 31 agosto; come potete parlare di turismo con
sversamenti un giorno sì e un altro sì; come potete parlare di turismo
quando negli infimi bar della spiaggia ti fanno pagare un “Crodino due
euro e cinquanta”; come potete parlare di turismo in una città senza
cultura in cui funziona un unico cinema e per alcuni giorni soltanto a
settimana; dove alle undici di sera cade il coprifuoco e non puoi bere
neanche un caffè; come potete parlare di turismo dove le uniche cose
sociali di un certo valore le ha messe in campo un comitato cittadino:
davvero non era possibile coinvolgere la cultura falconarese per rendere
la stagione 2007 più viva e articolata? Soldi, mancano i soldi.
Ritornello falso perché le forze e le capacità ci sono. Ma andate a
vedere nei piccoli paesi della provincia di Ancona quante cose semplici
sono state realizzate. O forse, e qui sta il vero busillis: Falconara
possiede il più alto tasso di egoismo, di incultura, di disinteresse per
il sociale. Basta osservare il contegno dei giovani. “Brutti, sporchi e
cattivi”, titolava un film di alcuni anni fa. E per loro, dico i giovani
(non tutti, ben s’intende) di Falconara, aggiungerei anche cretini per
il comportamento incivile tenuto per le vie della città, sugli autobus,
e della loro incapacità di rapportarsi con gli altri e persino di
mettere insieme due parole. E che dire dei falconaresi adulti…
spaventati dagli zingari, dagli extracomunitari, dai mendicanti, dai
ladri. Tirchi fino all’inverosimile. Disinteressati di ogni cosa che non
rappresenti esclusivamente il proprio tornaconto.
Con un campionario del genere cosa
importano i progetti di un recentissimo passato che prevedevano un
impulso alla città tale da farla proiettare a competere con altre
consorelle più importanti dell’intero Adriatico. Non si è creduto ad un
modo di essere diverso, più partecipativo, più grande. Falconara è
ricaduta nell’abulia: non aveva nulla, non avrà nulla. Si pensa al
rimessaggio per tre catorci di barche: ma anche questo ad esclusivo
vantaggio dei soli falconaresi; il pensato teatro non serviva, non c’è
che l’imbarazzo della scelta, Ancona, Montemarciano e limitrofi; e di
centri culturali il falconarese non sa che farsene. La scuola di musica,
poi? Inutile, sono tutti vecchi in città, quindi soldi sprecati. Ma si
attende, però, la costruzione del campo di rugby. Quello sì tanto
importante!
E l’API, intanto, continuerà a sopperire
alle necessità: elargirà computer alle scuole e tutti, ma proprio tutti,
a scappellarsi in ringraziamenti. Fa niente se assieme ai computer ti
spedisce in atmosfera tonnellate di polveri sottili, di fumi, di miasmi
insopportabili. L’API è intoccabile, rappresenta il futuro per
Falconara, per queste e per le nuove generazioni.
Avevo veramente deciso di andarmene da
Falconara; e invece, no: mentre scrivevo queste note mi dicevo che
lottare è necessario che non si può, non ci si deve arrendere di fronte
all’ineluttabile perché nulla è ineluttabile. Mi dispiace per il mio
interlocutore di quella sera. Ma non mi stancherò di affermare che si
può vivere bene, e meglio, senza l’API, e continuerò a dirlo a lui e a
tutti coloro che la pensano così. E siccome di queste cose non sono il
solo a predicare, rimando alla lettura (ma vorranno spendere due soldi
per sapere, tirchi come si ritrovano, cosa vuol dire inquinamento) di un
libro appena uscito a firma del magistrato Felice Casson, “La
fabbrica dei veleni”. Lo leggano e ne riparleremo.
Athos Geminiani |