In Biologia un sistema viene definito come
un insieme di parti che interagiscono tra loro e con l'ambiente
circostante; in un tale contesto la maggiore o minore complessità viene
determinata dal numero delle parti che interagiscono e dalla quantità di
relazioni che possono essere stabilite all'interno e negli scambi con
l'esterno.
L'ambiente in cui viviamo può essere
considerato un insieme di sistemi caratterizzati ognuno da una rete di
interrelazioni fra fattori biotici (cioè legati ai viventi) e fattori
abiotici (cioè legati alla parte non vivente) che coesistono in un
ambito fisico determinato, chiamato ecosistema. L'ecosistema, pertanto,
comprende sia i fattori fisici dell'ambiente che gli esseri viventi che
lo abitano.
Queste brevi note introduttive indicano che
le matrici ambientali - aria, acqua e suolo, cioè i fattori abiotici
dell'ambiente - e tutti i viventi presenti nel territorio considerato,
cioè i fattori biotici, danno origine a relazioni di scambio di
carattere spesso circolare e con vario grado di complessità, che tendono
spontaneamente all'equilibrio. In questo scenario, molte delle attività
umane rappresentano l'elemento perturbatore dell'equilibrio, fino al
punto che l'antropizzazione altera in modo pericoloso e talora
irreparabile le interazioni bilanciate tra gli elementi degli
ecosistemi.
Negli ultimi cinquanta anni, sono state
introdotte nell'ambiente alcune decine di migliaia di nuove sostanze di
sintesi. Per molte di queste, difficili se non addirittura impossibili
da biodegradare, non si conosce la capacità di combinazione, la
reattività, il tipo di prodotti cui possono dar luogo, le condizioni di
reazione e soprattutto la tossicità, per quanto attiene le
caratteristiche e i meccanismi di reazione all'interno di piante ed
animali, uomo compreso.
Pertanto, la definizione dei limiti di
soglia da non superare ed il conseguente rispetto di tali limiti
relativi alla presenza nelle matrici ambientali di sostanze inquinanti
(come l'ammoniaca e le polveri anche di metalli pesanti o l'ipoclorito
di sodio nel mare) non garantiscono la tutela della salute e la
salvaguardia dell'ambiente.
Negli esseri viventi, infatti, oltre agli
effetti acuti derivanti da esposizioni ad elevate concentrazioni di
inquinanti, che determinano danni immediatamente evidenti, devono essere
considerati gli effetti cronici, più subdoli perché emergono anche dopo
diverso tempo, dovuti alla continua esposizione a concentrazioni
subacute.
Quindi, l'esposizione protratta nel tempo a
concentrazioni di inquinanti a basse dosi nell'organismo umano può
provocare patologie di diversa gravità, soprattutto nelle fasce di
popolazione maggiormente a rischio (bambini, anziani, lavoratori
esposti, adulti con determinati quadri patologici preesistenti), mentre
in piante ed animali può dar luogo a fenomeni di bioaccumulo e
bioconcentrazione nei tessuti, che possono produrre effetti anche su
altri viventi, tra cui l'uomo, attraverso la catena alimentare.
Inoltre, le soglie ambientali di sicurezza,
definite per singole sostanze, non tengono conto che molecole più o meno
inquinanti immesse in un sistema complesso subiscono reazioni chimiche
che le trasformano in composti del tutto diversi da quelli originari. In
seguito a ciò, è possibile che negli individui e in tutti i viventi
esposti le risposte a miscele di inquinanti siano differenti da quelle
determinate per i singoli costituenti chimici, a causa di fenomeni
additivi, sinergici, antagonistici.
In un sistema complesso come può essere
considerato l'ambiente che ospita il territorio di Falconara, già in
equilibrio precario per la massiccia antropizzazione dovuta alla
presenza di industrie ed altre realtà che determinano una forte
perturbazione degli equilibri sistemici a causa del carico inquinante
apportato, ci si chiede per quale motivo, prima di autorizzare
l'installazione di strutture ed impianti, non siano stati effettuati
studi di bilancio ambientale.
E' noto che l'etica industriale si fonda sul
principio del profitto, pertanto la scelta di installare impianti di
depurazione degli effluenti da parte di chi produce ed inquina non viene
effettuata per compiacere il legislatore o l'ambientalista, ma per
obbligo o per convenienza. E' del tutto lecito quindi chiedersi quale
può essere stata la logica che ha spinto, da una parte, l'azienda a
scegliere e, dall'altra, le istituzioni ad autorizzare una tecnologia di
abbattimento di ossidi di azoto, sicuramente inquinanti e pericolosi per
la salute, basata sul DeNOx che comporta però un ulteriore complicazione
del sistema ambiente di entità non valutabile.
La presenza del DeNOx può essere
giustificata esclusivamente dalla possibilità per l'azienda di non
riuscire a rispettare i limiti di legge, poiché non rientra nella logica
industriale utilizzare risorse finanziarie e tecnologiche a meno di un
ritorno economicamente vantaggioso. La presenza del DeNOx, infatti, non
garantisce la tutela della salute né la salvaguardia dell'ambiente, in
quanto questa tecnologia, nata per controllare le emissioni di ossidi di
azoto su motori diesel, applicata su scala industriale non assicura le
performance teoriche per la grande difficoltà di mantenere i parametri
di funzionamento in range molto stretti e che devono essere monitorati
continuamente. I problemi legati alla gestione dell'impianto si
traducono inevitabilmente in ricadute fortissime sull'ambiente in
termini di emissioni di ammoniaca, per la difficoltà di rispettare
temperatura di reazione e rapporto stechiometrico tra ammoniaca e ossidi
di azoto, di polveri di metalli pesanti liberate dal catalizzatore (come
il pentossido di vanadio), di solfato e bisolfato di ammonio e altro
ancora.
Queste molecole si addizionano ad un sistema
- atmosfera già complesso per la presenza delle emissioni tipiche da
raffineria (SOx, NOx, composti organici volatili (COV), CO, IPA) e
ulteriormente complicato dall'immissione di composti derivanti dalla
gassificazione del TAR nell'impianto IGCC, alcuni dei quali sono
accertati cancerogeni (benzo-a-pirene; 7,12-dimetilbenz(alfa)antracene;
dibenzopirene, ecc.), altri nocivi o tossici, altri ancora sospettati di
essere mutageni e teratogeni.
In questa miscela, sotto l'azione dei raggi
ultravioletti che fungono da promotori e attivatori, i singoli
componenti possono combinarsi secondo meccanismi di reazione, ancora in
gran parte sconosciuti, dando luogo a inquinanti secondari di cui non si
sospetta neanche l'esistenza e di cui tantomeno se ne conosce il
meccanismo di azione sugli organismi.
La fotochimica dell'atmosfera è dunque
ancora in gran parte sconosciuta; più conosciuti sono, invece, gli
effetti della presenza di polveri in atmosfera.
L'aumento di polveri nell'aria respirata è
associato con un aumento del rischio di mortalità, specialmente fra gli
anziani (di età maggiore di 65 anni) e individui con malattie
cardiopolmonari preesistenti, polmonite e malattie cardiache croniche.
Gli studi epidemiologici evidenziano l'associazione fra esposizione al
PM (particulate matter) ambientale e il maggior rischio di effetti
patologici respiratori e cardiovascolari (aumento nei ricoveri
ospedalieri o visite al pronto soccorso per asma o altri problemi
respiratori, aumento dell'incidenza dei sintomi respiratori, o
alterazioni nella funzione polmonare).
Le risposte biologiche che si verificano nel
tratto respiratorio in seguito ad inalazione controllata da PM
comprendono una serie di sintomi a carico dell'apparato respiratorio
(respiro affannoso, tosse, ecc.), infiammazione e formazione di tumori.
Le risposte osservate dipendono dalle caratteristiche fisico-chimiche
delle polveri, dall'esposizione totale e dallo stato di salute
dell'ospite.
Per quanto riguarda il pentossido di
vanadio, studi sull'inalazione acuta e cronica in lavoratori occupati
nella produzione industriale e nell'uso del vanadio evidenziano che il
tratto respiratorio è il bersaglio primario dell'inalazione da polveri
di pentossido di vanadio. "La maggior parte dei segni clinici riflette
gli effetti irritativi del vanadio sul tratto respiratorio; solamente a
concentrazioni >1000
mg/m3
gli effetti osservati sul tratto respiratorio più basso (bronchiti,
polmoniti) sono più seri.
Riniti, faringiti, bronchiti, tosse cronica
con catarro, respirazione affannosa, respiro corto e fatica sono stati
riportati da lavoratori in seguito a inalazione cronica di polveri di
pentossido di vanadio.
Studi di esposizione acuta e cronica su
animali di laboratorio sostengono che il tratto respiratorio è il
principale bersaglio dei composti di vanadio inalati. I dati sugli
animali indicano che la tossicità del vanadio aumenta con l'aumentare
della valenza del composto e che il vanadio è tossico sia come catione
che come anione.
I test in vitro mostrano che il
vanadio danneggia i macrofagi alveolari influenzando l'integrità delle
membrane alveolari, indebolendo così l'abilità delle cellule fagocitarie,
la vitalità e la resistenza alle infezioni batteriche. La citotossicità,
testata in vitro sui macrofagi alveolari di coniglio, era direttamente
correlata alla solubilità V2O5 > V2O3>
VO2. Anche il pentossido di vanadio dissolto (6mg/ml)
riduce la fagocitosi.
Gli effetti respiratori sugli animali da
laboratorio che seguono all'inalazione acuta da composti di vanadio
includono accresciuta resistenza polmonare e aumento significativo dei
leucociti polimorfonucleati nel fluido di lavaggio bronchioalveolare.
Questi effetti sono stati osservati nelle
scimmie 24 ore dopo un'esposizione a 2800
mg
di vanadio/m3 come pentossido di vanadio" (fonte EPA).
Per tali motivi diventa importante valutare
il bilancio ambientale, soprattutto in riferimento alla tossicologia sui
viventi: qual è l'impatto del DeNOx sull'ambiente? Che cosa comporta
invece il non averlo?
Il DeNOx rappresenta realmente la miglior
tecnologia disponibile per l'abbattimento degli ossidi di azoto?
Sicuramente no, e i dubbi erano presenti nella comunità scientifica già
dal 1998 quando in uno scambio epistolare tra EPA e Goal Line
Environmental Technologies si evidenziava che:
"Use of ammonia for purposes of controlling
NOx emissions only substitutes one airborne health hazard for another.
(…). SCR systems use ammonia injected into the emissions stream as the
method for reducing Nox emissions. The amount of ammonia required by SCR
-and the resulting amount of ammonia slip- increases rapidly with
attempts to achieve lower levels of NOx emissions. For example, in San
Diego a combustion turbine required to meet
a limit of 5 ppm would produce 50 ppm of ammonia. Ammonia slip combines
with nitrogen, sulfur and other chemicals to form ammonium nitrate,
ammonium sulfate and ammonium bisulfate, which would likely violate EPA’s
new PM2.5, standard." (…..)
"Injecting increasing amounts of ammonia
into the air, however, won’t really solve air quality problems or health
problems, it will just trade one type of smog for another. The same
folks who are at risk from ozone -- children, the elderly and people
with respiratory problems -- will be harmed by ammonia slip".
Non è tutto. Gli effetti della presenza
della IGCC ricadranno inevitabilmente anche sull'ecosistema marino a
causa dell'utilizzazione dell'ipoclorito di sodio come antifouling per
l'acqua di raffreddamento della centrale e dell'aumento di temperatura
prodotto. Il cloro svolge una potente azione ossidante, soprattutto nei
confronti della materia organica, ma l'ipoclorito di sodio, ai livelli
di pH tipici dell'acqua marina, si comporta fortemente come clorurante,
formando i cloroderivati organici, tutti ad elevata azione
tossicologica. Il fenomeno è particolarmente grave nel tratto di mare in
oggetto a causa delle caratteristiche chimico-fisiche e morfologiche del
mare stesso: scarso ricambio, basse profondità, elevato contenuto di
sostanza organica, elevata temperatura, ecc..
La prevista immissione nell'ecosistema
marino di quote, anche controllate, di cloro non combinato e quindi
disponibile come cloro attivo determineranno nel tempo un accumulo di
organoclorurati, che inevitabilmente incideranno sulla catena alimentare
e sulla qualità della vita in genere. Infatti, nella letteratura
scientifica i composti organoclorurati sono da tempo riconosciuti
tossici e mutageni per i viventi, con vario grado di compromissione
delle funzioni cellulari e delle attività metaboliche dell'intero
organismo in relazione alle concentrazioni assunte.
I composti organoclorurati, scarsamente
biodegradabili, persistono nell'ambiente e si accumulano negli
organismi, con cui vengono a contatto, concentrandosi nei fluidi e nei
tessuti ricchi di grassi, come latte e carni. Tramite la catena
alimentare, in cui l'uomo svolge il ruolo di consumatore, l'introduzione
di organoclorurati avviene utilizzando animali contaminati e/o prodotti
da essi derivati. Nell'organismo umano, gli organoclorurati si
comportano da distruttori endocrini (EED), cioè sostanze xenobiotiche
che, anche presenti in concentrazioni basse e tali da non provocare
effetti evidenti, possono interferire con l'attività del sistema
endocrino alterando con meccanismi di attivazione o inibizione l'azione
degli ormoni naturali.
Gli studi tossicologici richiedono a volte
anni prima di poter affermare con sicurezza l'innocuità di una molecola
chimica. Occorre, quindi, attivare tutte le misure che possano realmente
garantire protezione e sicurezza a cittadini e ambiente.
Diventa eticamente inaccettabile attendere
di accertare la relazione causa-effetto tra presenza di inquinante e
danno biologico, assicurando nel frattempo il monitoraggio
dell'inquinante stesso, prima di proibirne la liberazione nell'ambiente.
La salute non è un bene negoziabile: sulla
base di questo assunto inalienabile è doveroso da parte delle
istituzioni agire in ottemperanza al principio di precauzione che si
fonda sulla prevenzione dell'effetto e la rimozione della causa e non
sulla rilevazione del danno prodotto.
COMITATO CITTADINO “25 AGOSTO”
COMITATO DEL QUARTIERE VILLANOVA
COMITATO DEL QUARTIERE FIUMESINO
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