ANALISI DELLO STILE

INDIETRO

 

[prima parte]

1. Introduzione

Essere appassionati di fumetti può anche voler dire bisogno di approfondirne la conoscenza. In questo saggio ci occuperemo del disegno fumettistico per arrivare a capire lo stile di un autore.

Il contenuto di una qualsiasi immagine, e quindi anche di un disegno in vignetta, può essere analizzato sotto tre aspetti: la teoria dell’immagine, che si occupa del contenuto formale/estetico anche facendo ricorso alla psicologia della percezione. La teoria dell’informazione, che si occupa del contenuto nuovo/già conosciuto che rende una immagine interessante per le informazioni che fornisce al lettore. Infine, la tesi emozionale, che si occupa del contenuto emotivo di un’immagine ed è la più difficilmente quantificabile in modo oggettivo.

Di teoria dell’immagine avremo modo di parlare durante tutto il corso del saggio, vogliamo quindi ora illustrare brevemente la teoria dell’informazione. Tale teoria tratta del contenuto, o meglio della comunicazione, che esprime un disegno. L’interesse e la comprensibilità di un osservatore verso una immagine è dovuta al grado di armonizzazione fra contenuto originale e contenuto già conosciuto. Un disegno completamente originale sarà interessante al massimo grado ma anche totalmente incomprensibile; invece un disegno senza nessuna novità informativa sarà assimilata senza nessuno sforzo dal lettore ma non risulterà interessante, inspirando noia e repulsione. E’ logico quindi che una immagine con un buon grado di comunicatività sarà una via di mezzo fra questi casi estremi (e astratti). Ora, poiché il nuovo-ridondanza è questione personale , si capisce quanto sia difficile trovare punti fermi in un’analisi del genere. Lo stesso, e ancor più, vale per il contenuto emozionale di un disegno, che dipende strettamente dalla sensibilità e dai ricordi di ogni lettore ed è quindi estremamente variabile.

Per ricavare qualche regola oggettiva nel mare di soggettività che è il disegno, analizzeremo il mattone di base di ogni vignetta, cioè il segno, per poi passare alla sua composizione con altri segni, cioè il disegno. Tutto ciò ci porterà infine a poter distinguere lo stile di ogni disegnatore.

Prima di cominciare richiamaremo ancora alcuni punti:

Il primo, a costo di apparire tediosi, è ricordare una volta di più che qualsiasi valutazione è sempre soggettiva.

Il secondo è che ci serviremo di abbondanti esempi per meglio spiegare i vari concetti.

Il terzo punto riguarda l’impostazione del saggio. Questo è concepito come una serie di regole con cui procedere nell’analisi del disegno. Tali regole sono molteplici e complesse e non possono essere applicate minuziosamente ad ogni singola vignetta. Ciò porterebbe ad un lavoro eccessivo ed anche inutile. Quel che è importante è avere una linea di indagine su cui basarci nell’analizzare il fumetto, soffermandoci solo sui punti importanti (che da autore ad autore possono anche essere diversi) e trascurando tutto il resto. Per es. in Little Nemo di Winsor McCay l’attenzione andrà puntata più sul paesaggio, disegnato sempre con molta precisione, che su gli stessi protagonisti che sono invece tracciati schematicamente. Questo perché in McCay è il paesaggio, o meglio la metamorfosi del paesaggio, il vero protagonista delle vignette. Inoltre dopo aver analizzato a fondo qualche vignetta e dopo esserci fatti un’idea dello stile dell’autore, non è più necessario continuare l’analisi segno per segno, ma sarà sufficiente un’occhiata che permetta di verificare o mettere in dubbio i dati già acquisiti.

Infine il quarto punto riguarda gli artisti citati. Quando ho scritto questo saggio, molti anni fa, ero completamente digiuno di Manga così non troverete citati artisti giapponesi. Questo senza nulla togliere al genio e alla maestria di molti mangaka. Mi scuso per questa imperdonabile carenza.

Ancora un attimo per dire che questo scritto deve molto a tre libri che mi hanno molto influenzato e di cui i capitoli seguenti hanno mutuato, di volta in volta, la struttura e le idee: La tecnica del fumetto di E. Lypszyg; I linguaggi del fumetto di D. Barbieri e La foto: come si compongono e si giudicano le fotografie di E. A. Weber. Per riprendere i temi che ho trattato e per approfondirli, ne consiglio la lettura a tutti

 

2. Le grandi generalizzazioni

2.1. La prima cosa da fare è leggere e rileggere la storia che si vuole analizzare. Infatti, un fumetto è costruito apposta per coinvolgere il lettore e trascinarlo nella realtà degli eventi narrati, si basa insomma su quella sospensione volontaria della realtà che da sempre è alla base di ogni forma di narrativa perché necessaria per accettare per vero ciò che vero non è. Il leggere e rileggere la storia quindi, permette di arrivare ad un certo distacco emotivo indispensabile per lo studio analitico. A questo punto siamo pronti per incominciare. Già ad una prima occhiata possiamo individuare alcune generalizzazioni che ci guideranno durante tutta l’analisi.

2.2. La prima suddivisione riguarda la tecnica adottata dal disegnatore; essa può essere: a) realistica. b) caricaturale (o espressionista o effettista); c) fusione fra realistica e caricaturale; d) variante da vignetta a vignetta.

a) Realista.

Mira a riprodurre sulla carta immagini il più possibile verosimili. Le anatomie, gli ambienti, le prospettive e l’illuminazione vengono rigorosamente rispettate e sono ispirate al mondo reale. Da notare che tali disegni non possono essere più espressivi della realtà. Raggiungere buoni risultati con questa tecnica non è semplice e molti sono i fumettisti bravi tecnicamente ma monotoni nella lettura. E’ importante quindi raggiungere un effetto pittorico ma anche avere la capacità di narrare con il disegno. Come esempio possiamo citare il Marvels disegnato da Alex Ross: poiché la sua tecnica fotografica è assai statica, il che comporta il rischio di non coinvolgere il lettore e di annoiarlo, allora è stato creato l’espediente narrativo del protagonista che fa il fotografo di professione e che quindi vede tutto il mondo in modo fotografico. Notare che nel successivo lavoro di Ross, Kingdom Come, i disegni, pur rimanendo fotografici e monumentali, risultano comunque assai più dinamici. E infatti la storia narra di grandi battaglie.

Autori famosi in questa tecnica sono Arturo del Castiglio, Milo Manara, Alex Raymond, Burne Hogart, Enki Bilal, John Bolton, Richard Corben, Tanino Liberatore, ecc. A proposito di questi ultimi due viene maggiormente usato l’aggettivo di iperrealisti. Anche i supereroi seriali americani e i personaggi bonelliani sono quasi sempre in stile realistico.

b) Effettista.

Alla base di questa tecnica, oggi molto più seguita che in passato, c’è la scoperta dei pittori espressionisti che certe deviazioni dal tratto realista, pur riuscendo comunque a descrivere l’immagine da rappresentare, l’arricchisce di valori psicologici ed emotivi. Il disegno diventa cioè più espressivo. Fu lo stesso Van Gogh ad introdurre il concetto di deformazione espressiva.

Questa tecnica racchiude una tipologia assai vasta che va da figure quasi completamente astratte e irriconoscibili (come in Sienkiewicz) fino ad immagini abbastanza realistiche come in Hugo Pratt. Fra gli altri rappresentanti di questa scuola, ma sono tantissimi, vale la pena citare Mùnoz; Scòzzari; Alberto Breccia (che per ogni lavoro cambia completamente stile, dal quasi realistico Mort Cinder fino al caricaturale còllage di Chi ha paura delle fiabe?); Lorenzo Mattotti; Uderzo; Art Spiegelmann, Dave McKean e praticamente tutti gli autori di strip comiche.

A termine di questo paragrafo vorrei aggiungere una consideazione su quanto, a volte, sia difficile distinguere fra i due stili realista/effettista. Per es. Hugo Pratt è effettista per l’estrema sintesi del suo tratto e per l’uso delle campiture nere, ma è realista per il resto; Bernie Wrighstone è autore realista ma i suoi disegni raffigurano sempre dei mostri dalle anatomie umane molto deformate; Dave McKean in tavole molto astratte mette sempre dei dettagli (volti, mani, ecc) estremamente realistici. E che dire degli autori degli albi bonelliani e superoistici le cui tavole ormai fondono con naturalezza elementi di entrambe le tecniche? Insomma, specialmente oggigiorno è molto confusa la distinzione fra fumetto realista e caricaturale.

Si è già accennato che per distinguere fra questi due stili dobbiamo basarci su alcuni parametri; 1) anatomie; 2) ambienti; 3) prospettive e 4) illuminazione. Ora, la confusione nasce dal fatto che ben difficilmente tutti e quattro i parametri siano rispettati con coerenza. Inoltre c’è da tener conto che un disegno, per il fatto di riportare la realtà sulla carta in due dimensioni e con l’ausilio di linee di inchiostro, nasce di per se stesso più effettista che realista. Allora come andare a capo di tutte queste considerazioni? Semplice, cercando di ricavarne il dato più rappresentativo e importante. Prendiamo ancora come esempio Hugo Pratt: i suoi mondi realistici sono molto affascinanti per l’uso armonioso dei contrasti bianco/nero (cioè l’illuminazione) e per il segno estremamente sintetico, più che per gli ambienti e le anatomie realistiche. Quindi Pratt si può considerare a buon diritto (specie nell’ultimo periodo) un disegnatore effettista; in ogni caso tale si riteneva l’autore stesso. Tutte queste considerazioni ci portano a creare due nuove sezioni, a dire il vero un po’ artificiali:

c) Fusione realista/effettista.

Questo punto si potrebbe benissimo includere nelle due categorie precedenti, ma ci sono autori in cui la fusione fra tecnica realista e caricaturale è così perfetta da meritare di essere citati a parte. Parliamo infatti di artisti del calibro di Will Eisner; Magnus e Frank Miller.

In Eisner ambienti e situazioni assai verosimili e drammatiche sfociano sempre, senza soluzione di continuità, in momenti umoristici facendo mutare conseguentemente anche il segno che da realista diventa caricaturale.

In Magnus invece il segno rimane sempre omogeneo, in situazioni drammatiche come in quelle apertamente comiche, ottenendo così un effetto sempre un po’ grottesco. Impressione che si rafforza di più per il contrasto con gli sfondi assai minuziosi e precisi.

Frank Miller infine, dovrebbe figurare fra gli autori realisti ma quando racconta una storia a fumetti l’unico suo scopo è disegnare immagini efficaci e funzionali alla trama, e per questo si serve di tutto quel che gli capita e quindi anche della deformazione espressiva. Si potrebbe anche dire che Miller "bara", ingannando le leggi del fumetto (o imponendone di nuove?) pur di raggiungere la massima espressività.

d) Variante da vignetta a vignetta.

Di solito un racconto a fumetti ha uno stile grafico omogeneo per tutta la sua durata (e sarebbe un errore se non fosse così). Ci sono però almeno due notevoli eccezioni a questa regola: Moebius e Andrea Pazienza. Anche questi due grandi autori si meritano uno spazio a parte, Moebius perché nel Garage ermetico di Jerry Cornelius varia continuamente il suo stile di disegno pur rimanendo quasi sempre in ambito realista. Pazienza perché ha fatto della disomogeneità del tratto un vero e proprio linguaggio, passando da realista a caricaturale non solo da vignetta a vignetta ma anche all’interno della stessa. Il segno di Pazienza è sempre subordinato alla sua fantasia e creatività: come in Miller l’importante è raccontare, ma, più che in Miller, non ci sono nemmeno regole da ignorare barando, c’è solo l’imperativo di rendere vivo ciò che viene raccontato. E il disegno si piega a questa volontà.

2.3. All’interno di queste due linee principali possiamo poi riconoscere se il tratto è: a) sintetico. b) analitico.

a) Il disegno sintetico è quello che in apparenza si presenta semplice, povero di linee che definiscono contorni e volumi; il tono può essere assente o comunque solo accennato, le ombre non sono mai sfumate ma neri puri. Non è vero che il disegno sintetico sia più semplice del segno analitico perché per essere parimenti descrittivo deve risultare più espressivo e ragionato. Di fronte a molti fumetti di questo tipo proviamo irritazione proprio perché i segni scelti per formare le immagini non sono quelli più efficaci o addirittura sono apertamente sbagliati. In alcuni casi invece la scelta risulta perfetta e desta ammirazione oppure, grosso pregio, risulta così mimetica e funzionale alla storia che non ce ne accorgiamo neppure, non vi prestiamo attenzione.

Come dire, un buon disegno è quando non presenta qualcosa che ce lo fa sembrare sbagliato.

Tale discorso non si può invece fare per il segno analitico che non è un segno mimetico e quindi attrae sempre l’attenzione. Vediamo qualche esempio: Moebius e Pazienza, in virtù del loro continuo variare di stile, passano continuamente da un tratto all’altro. La saga dell’ Incal di Moebius è uno dei vertici raggiunti dal tratto sintetico; per Pazienza, che agli inizi si rifaceva molto a Moebius, possiamo invece indicare l’albo Aficionados. Hugo Pratt è un altro grande artista del tratto sintetico. Come già detto in precedenza, il suo stile realistico-sintetico di Una ballata del mare salato si è fatto via via talmente semplice e povero da diventare effettista, senza tuttavia penalizzare l’espressività e la comunicatività ( come in Y todo a media luz basato quasi tutto su primi piani bidimensionali). Altri esempi sono Didier Còmes (La Donnola e Silenzio) che, analogamente a Pratt, ha via via scarnificato il suo segno; oppure Art Spiegelmann che utilizza un segno infantile nel suo Maus che invece tratta temi impegnativi come l’olocausto degli ebrei. Ancora Mike Mignola, artista raffinato, un vero perfezionista nel ricercare la sintesi più efficace. Infine il tratto sintetico è il marchio di fabbrica di tutta la Linea Chiara (Hergé; Jacobs; Giardino; ecc.).

b) Il disegno analitico è assai particolareggiato e quindi più descrittivo di quello sintetico anche se non è detto che sia più espressivo. Ogni ombra vi è rappresentata, ogni volume è messo in risalto, ogni particolare è sottolineato. Non bisogna però pensare che tali disegni siano pieni di particolari e che quindi risultino di lettura difficile. Vero è invece che un disegno analitico è di più lenta lettura, ma questo può essere proprio lo scopo ricercato dall’autore. Quindi si può dire che lo stile sintetico fa si che l’accento venga posto sulla storia, mentre quello analitico lo concentra sul disegno. Comunque le eccezioni sono così tante che non si può parlare di regola generale. Passiamo agli esempi. Arturo del Castiglio, con la sua tecnica formidabile, riesce a mettere ogni particolare in disegni peraltro leggibilissimi. Sergio Toppi riempie le sue tavole di linee sottili e nervose che poco hanno a che fare con la verosimiglianza della rappresentazione, ma che raggiungono un alto grado decorativo; così pure Dino Battaglia, con i suoi tratti virtuosistici; Moebius ha utilizzato questa tecnica nel suo Arzach, Pazienza ne le straordinarie avventure di Penthotal. Mùnoz, con linee uniformi e precise e con il solo ausilio di bianchi e neri puri (caratteristici del tratto sintetico) riesce a costruire tavole complesse e raffinate, di lettura molto lenta. Altri es. sono Milo Manara, Guido Crepax, Magnus, Alberto Breccia, F. Solano Lopez, Alex Raymond, Winsor McCay, ecc. ma l’elenco potrebbe continuare all’infinito.

Infine occorre sfatare il luogo comune che vuole il tratto analitico sposato con quello realista e il tratto sintetico con quello caricaturale; già gli esempi riportati nelle due categorie indicano una mescolanza non riducibile a regole generali.

3. Teoria dell’immagine

I punti a) e b) del capitolo precedente, sono i primi aspetti che balzano agli occhi alla prima lettura. Sono comunque molto importanti perché stanno alla base dello stile del disegnatore. Adesso andremo ad analizzare altri fattori che portano al compiersi della tecnica che a sua volta porta allo stile. Incominceremo però con una digressione sulla natura del segno che si rifà alla teoria dell’immagine a cui abbiamo già accennato nell’introduzione. Si tratta quindi di nozioni (elementari) sulla psicologia della linea che stanno alla base del processo della visione.

La tesi del campo integrale dice che l’occhio umano riesce a distinguere una forma solo per contrasto. Se non esiste contrasto fra l’oggetto e ciò che lo circonda, si ha un campo omogeneo: non si vede altro che uniformità, cioè una pagina vuota. Inoltre studi psicologici hanno dimostrato che l’occhio comincia a distinguere una figura partendo dal contorno. La linea del fumetto assolve queste due funzioni, contornando la figura e contrastandola per metterla in rilievo rispetto al bianco omogeneo del foglio. Com’è che a un semplice segno, nel nostro caso la linea, noi riusciamo a dare il significato di una forma, di un oggetto? La risposta sta nel funzionamento del cervello che elabora l’immagine recepita dagli occhi cercando di dargli un senso, e per far questo ricorre anche alla memoria visiva. Infatti il cervello, oltre ad acquisire immagini complete, analizza anche segni parziali paragonandoli ad esperienze già memorizzate, al fine di pervenire alla conoscenza e alla valutazione di ciò che ha visto.

Il criterio fondamentale della teoria dell’immagine su cui si basa il disegno, riguarda la differenza fra figura e sfondo; i punti principali di tale teoria sono ripresi dal libro La foto :

a) La figura deve essere in risalto rispetto allo sfondo.

b) La superfice più piccola è in genere la figura, quella più grande lo sfondo.

c) La figura e lo sfondo non possono essere recepiti contemporaneamente.

d) Elementi molto vicini e piuttosto simili da un punto di vista visuale vengono conglobati in una figura unica.

e) Forme chiuse e simmetriche vengono in preferenza intese come figura unica.

Lo sviluppo di questi punti verrà fatto nel cap. 6) poiché su di essi è basata la composizione. Questi brevi appunti sono sufficenti a dare l’idea di come il disegno sia il modo più semplice di rappresentare un’immagine, ma che comunque contiene abbastanza elementi informativi da darci l’idea della figura reale. Possiamo ora analizzare i vari mattoni che compongono la vignetta di un fumetto e di come questi ci permettono di giungere allo stile del disegnatore. Cominceremo dalla linea.

4. Basi del segno

4.1. La linea

Una prima catagolazione può esser fatta fra linee continue o spezzate e fra linee uniformi o modulate.

La scelta della linea adottata dipende dall’effetto che il disegnatore vuole ottenere. Un tratto continuo ed uniforme serve a contornare meglio una figura e la rende più facilmente leggibile. Al contrario la linea spezzata risulta più confusa alla lettura ma dona anche più vivacità e dinamicità al segno. Un tratto modulato poi, serve a dare profondità e a mettere in risalto le parti disegnate con grande spessore rispetto a quelle sottili.

Un esempio di linea continua può essere lo Zanardi di Andrea Pazienza. Un esempio di tratto uniforme sono invece Mùnoz e Altan. La linea spezzata è la più utilizzata, citerò solo Pratt. Ugualmente il tratto modulato si trova in moltissimi fumetti, anche perché spesso associato alla linea spezzata, come ad es. in Ken Parker di Milazzo. Lo strumento usato per ricavare le linee è anch’esso importante per conferirgli certe caratteristiche, il pennino per es. dona una linea grintosa ed analitica, mentre il pennello traccia linee più sintetiche e plastiche.

Da quanto finora riassunto si vede bene quante siano le scelte che un disegnatore attua nel disegnare. Tali scelte saranno condizionate dall’effetto che si vuole ottenere ma anche dalla sensibilità e dalla predisposizione dell’artista. La linea quindi, essendo frutto di una scelta, rivela la personalità dell’autore, ha un proprio carattere ed una sua espressività: in altre parole è alla base dello stile del disegnatore.

4.2. Il tono

Il tono può essere reso dal bianco-nero o dal colore.

a) Bianco-nero.

Tracciando varie linee vicine e regolari (al limite si arriva ad una macchia nera) si crea l’illusione del tono*. Il tono o tratteggio, può avere vari valori dal piatto al graduato. Un tratteggio piatto può servire a rappresentare il colore (cioè la decorazione e la trama di un oggetto) oppure la trama ( cioè la sostanza materica di un oggetto). Il colore, per es., sono i fiorellini o le righe di una camicia, mentre la trama può essere sia il tipo di stoffa di una tenda (con la grana grossa di un velluto o liscia e luminosa come la seta), sia quei segni che ci dicono che un albero è di legno (le venature, ecc.)e una pietra di roccia (l’aspetto cristallino).

I toni piatti sono essenziali in un fumetto perché descrivono le forme che vengono disegnate dandogli significato. Come al solito il tono piatto (ma anche quello graduato) può essere di tipo realista o effettista.

Il tono graduato serve invece a rappresentare l’illuminazione e il volume delle forme e dona quindi tridimensionalità al disegno.

Lo scopo del tratteggio è di rendere più ricca e quindi espressiva l’immagine, variando il contrasto fra bianco e nero (o luce e ombra) e assumendo un valore emotivo oltre che decorativo. Il tono può essere fatto a mano libera, con il retino o a campiture nere; la scelta è guidata, come per la linea, dall’effetto che se ne vuole trarre.

b) Colore.

Sia per la visione in bianco-nero che per la visione a colori abbiamo bisogno di un contrasto per distinguere le forme. Tenendo questo presente il colore in un fumetto ha i seguenti scopi:

-Sostituisce il tratteggio in bianco-nero in modo più realistico, espressivo, con maggior piacere della vista (un immagine colorata attrae di più di una in bianco-nero) perché riesce a fornire più informazioni. Quindi ha la stessa funzione dei toni piatti e graduati del b/n, cioè trama, colore, volume e luminosità. ? Mette in risalto alcune parti del disegno o, al contrario, ne confonde e mimetizza altre.

-Dona emotività al disegno grazie ai significati che da sempre sono stati dati ai vari colori e che sono entrati parte del bagaglio culturale ed emotivo di ogni persona (rosso = pericolo o amore; verde = tranquillià; ecc.). Per una corretta composizione dei colori in una vignetta bisogna tener conto che questi si influenzano fra loro sia da un punto di vista quantitativo che qualitativo. L’effetto dei colori sono:

1) Superfici di colore chiaro sembrano più grandi di superfici scure.

2) un oggetto scuro sembra più peso di uno chiaro.

3) Superfici chiare sembrano più vicine all’osservatore di quelle scure.

4) I colori cosiddetti freddi danno appunto senzazione di gelo, quelli caldi danno calore.

Il colore, in pittura come nel fumetto, è dato secondo le regole del contrasto. J. Itten, nel suo Arte del colore* ha catalogato otto tipi di contrasto utili per poter armonizzare i colori aumentandone l’effetto cromatico. Diamo di seguito l’elenco di questi contrasti senza però analizzarli approfonditamente, compito che rimandiamo a lavori più specifici:

—contrasto simultaneo: che aumenta l’effetto cromatico di una tonalità neutra (grigio) se accostata ad un altro colore; in definitiva la tonalità neutra assume una leggera dominate dell’altro colore.

—contrasto successivo: fa si che, guardando un colore a lungo e poi osservando una pagina bianca, questa assuma una tonalità del colore complementare a quello osservato.

—contrasto di qualità: riguarda le varie sfumature di uno stesso tono.

—contrasto complementare: aumenta l’effetto cromatico se i due colori accostati sono fra loro complementari.

—contrasto di tonalità: aumenta l’effetto cromatico facendo uso solo dei colori base.

—contrasto chiaro-scuro: riguarda l’effetto ottenuto accostando solo colori chiari con colori freddi.

—contrasto caldo-freddo: è analogo al precedente con l’uso di colori caldi e freddi.

—contrasto di quantità: riguarda la grandezza delle superfici vicine colorate con colori in forte contrasto.

Queste considerazioni sono alla base di alcune regolette empiriche (da prendere con molta cautela) su una corretta armonizzazione dei colori:

a) usare meno colori possibile.

b) usare o colori simili o in forte contrasto (per es. complementari).

c) la grande luminosità di un colore deve essere bilanciata dalla bassa luminosità di un altro.

d) idem per colori molto e poco saturi. In questi ultimi due casi il rapporto fra le superfici può anche essere di 3-4 a 1 in favore del colore meno saturo o meno luminoso.

In definitiva la regola che sottende tutte quelle ora esposte è che un’immagine risulta equilibrata e armoniosa se la somma di tutte le tonalità usate dà un grigio medio. Come si vede i criteri che guidano un autore nella scelta dei colori e della colorazione sono molti e complessi.

5. La vignetta

Analizzate le basi del disegno passiamo ora al disegno stesso. Immaginiamo di trovarci davanti ad una tavola di un fumetto, abbiamo appena visto i particolari ora ci concentreremo sulla vignetta completa.

a) Illuminazione.

Se il disegno è realistico dovremmo essere capaci di scorgere un’unica sorgente di luce (a destra, in alto, ecc.) fonte di tutte le ombre. Se le ombre fossero date a caso si perde l’effetto naturalistico. Nel disegno effettista le ombre devono sempre apparire naturali (anche se non sono date rigorosamente) ma ancor più importante è che risultino ben distribuite e con un effetto globale equilibrato. In altre parole le ombre non sono altro che un tono graduato per cui si rimanda al paragrafo 4.2 per la loro analisi.

b) Dinamicità.

c) Figure umane (e vestiti).

Fare particolarmente attenzione alla resa dei vestiti; può sembrare un particolare secondario ma è importantissimo per la credibilità delle figure umane.

d) Figure animali.

e) Sfondo

f) Ambienti naturali e artificiali.

g) Documentazione.

La documentazione è necessaria ad un autore per poter riprodurre ogni particolare di un’inquadratura. Un fumetto sull’Antica Roma richiede che nel disegno appaiono vestiti, armi, edifici, ecc. propri della civiltà romana o che comunque, se inventati, diano al lettore l’impressione di verosimiglianza. In genere non ci si accorge se gli ambienti sono coerenti e ben fatti, ma ci si accorge subito se c’è qualche errore grossolano (come per es. un orologio al polso di Nerone, ecc.).

h) Resa della profondità.

La tridimensionalità di un disegno si può raggiungere in vari modi:

i) Prospettiva rinascimentale.

ii) Sovrapposizione di volumi.

iii) Variazioni di struttura.

iv) Gioco di luci e di ombre.

v) Prospettiva aerea.

La prospettiva può essere applicata rigorosamente per ottenere un effetto realistico, in modo deviante per ottenere un effetto caricaturale più o meno marcato oppure può mancare del tutto in modo da ottenere un effetto bidimensionale (come nelle strisce di Shultz, per es.).

i) Tema principale.

Una vignetta essendo il tassello del racconto, deve mostrare sempre chiaramente il tema principale. In generale questo significa metterlo in primo piano, ma non è sempre così (si vedano i fumetti di Mùnoz e Sampayo dove il tema principale è spesso in secondo piano). Comunque gli elementi secondari, qualunque siano, per non attrarre troppo l’attenzione del lettore devono avere una certa uniformità ed essere meno particolareggiati.

j) Punto focale.

Come già detto è necessario focalizzare la concentrazione del lettore sul tema principale. Occorre tener conto di due regole:

1) Se gli elementi di una composizione sono semplici l’occhio del lettore abbraccerà facilmente tutto il tema e non ci saranno problemi per la composizione, poiché la stessa vignetta offrirà una perfetta unità.

2) Se il motivo del tema è complesso si dovrà determinare attentamente il centro d’interesse. Per far questo si può giocare sui contrasti di tono, sullo spessore delle linee, sulla maggiore o minore quantità di particolari dei vari elementi, utilizzando le linee focali della prospettiva e sezioni auree, mettendo a fuoco solo pochi elementi, scegliendo accuratamente il punto di vista, ecc.

Questi dieci punti (a - j) contribuiscono, possiamo dire, alla bellezza della vignetta; la cura e la bravura con cui vengono realizzati sono indice della capacità del disegnatore. Questo non costruirà mai vignette monotone, con figure statiche e gesti ed espressioni banali. Al contrario, sarà sempre alla ricerca di nuovi segni espressivi, si preoccuperà di rendere le vignette chiare in lettura (in senso narrativo, ovviamente; il disegno può anche essere complesso e confuso), i personaggi saranno ritratti in posizioni e con gesti originali ma anche naturali, senza perdere di descrittività, ma anzi aumentandone l’efficacia.

Un esempio è l’autore americano Mike Mignola, un vero maestro nella costruzione della vignetta, che l’ha spogliata di tutto ciò che non è strettamente necessario. Disegna quindi delle scene povere di elementi e con stile semplificato, ma il gusto della composizione, la gestualità delle figure, l’illuminazione e l’enorme chiarezza ed espressività raggiungono livelli di narratività straordinari.

Altro esempio simile pur con uno stile agli antipodi è Barry Windsor-Smith che al contrario di Mignola usa un tratto realistico e dettagliato ma che raggiunge gli stessi livelli di sofisticatezza, e ancor più, con l’eleganza dei movimenti e dei gesti, frutto di una continua ricerca dell’armonia.

Continuiamo con gli esempi per chiarire i punti sopraesposti. Riguardo le figure umane possiamo citare Hermann, i cui personaggi non hanno mai fisici perfetti ma, alcontrario sono tratteggiati con la pancia, oppure gobbi, con le rughe, ecc. con il risultato di ottenere un ritratto vero più che realistico. Anche le espressioni ed i gesti sono assai naturali e rivelano un’infinita cura nella realizzazione. I fumetti di Hermann sono sempre di lenta lettura perché bisogna osservarli bene per godere degli infiniti particolari (mai esasperati, però) che arricchiscono le sue creazioni.

Per i vestiti vale la pena di analizzare la maestria di David Loiyd in V For Vendetta nel rendere morbide ed eleganti le pieghe delle camice dei protagonisti. Oltre a non perdere in verosimiglianza contribuiscono ad aumentare la bellezza dei disegni.

Per qualche esempio sulla tridimensionalità è impossibile non citare Moebius i cui fumetti descrivono sempre spazi enormi e profondi in cui si muovono i personaggi. Moebius applica le leggi della prospettiva rigorosamente, sfruttando al meglio i punti che abbiamo elencato.

L’illuminazione è molto importante per il fumetto perché ad essa è affidato il compito di rendere le superfici e i volumi, di evindenziare le forme per contrasto e anche di determinare l’atmosfera. Non dobbiamo dimenticare che il tono graduato, che abbiamo visto al parafrafo 4.2. non è altro che una conseguenza dell’illuminazione. Come autore maestro nel rendere le luci possiamo citare Alberto Breccia, le cui tavole sono un gioco sofisticato di zone illuminate in contrasto con zone d’ombra. Tali parti sono così ben amalgamate fra loro da ottenere un insieme armonico ed espressionista. I meriti di Breccia vanno oltre la sua capacità di illuminare le vignette, infatti la sua ricerca dell’espressività è una delle più profonde di tutta la storia del fumetto. Il consiglio è di studiare attentamente le sue tavole.

Importanti sono anche gli sfondi. In certi fumetti gli ambienti sono quasi sempre assenti o comunque troppo sinteticamente accennati, in altri invece sono troppo ricchi di particolari e posti così in evidenza da interferire ed appesantire la lettura della vignetta. In entrambi i casi ne ricaviamo irritazione perché viene rotto l’equilibrio fra lo svolgimento dell’azione e la lettura della vignetta. Il lettore si ritrae dalla narrazione e viene meno la sospensione volontaria della realtà a cui abbiamo già accennato. Quindi gli sfondi sono importanti perché ci dicono dell’ambiente in cui si muovono i personaggi, ma ogni vignetta è diversa dall’altra e ognuna ha il suo proprio rapporto con lo sfondo. A volte è necessario eliminare completamente lo sfondo per concentrare l’attenzione sulle figure, altre volte è lo sfondo che diventa il punto d’interesse della vignetta.

Sull’equilibrio figura/sfondo possiamo citare il solito Andrea Pazienza che passa con disinvoltura da sfondi fitti e particolareggiati a quelli poveri e vuoti. Inoltre questi trascendono il binomio naturalistico-caricaturale contenendo elementi simbolici, fantastici, magari incoerenti con l’ambiente o che, semplicemente, non centrano niente con il contenuto della narrazione. Vanno a far parte della sue vignette anche eventuali scritte, i dialoghi e qualsiasi altro elemento grafico. Questo mosaico di elementi non è però mai oppressivo e stancante, ma risponde ad una esigenza di equilibrio e di armonia che esprimono chiaramente la genialità dell’autore.

Infine qualche parola sugli ambienti naturali e artificiali e sulle figure animali, che fra l’altro, si confonde con quello dello sfondo. Nell’analizzare questi punti è importante notare la resa con cui vengono disegnati i vari elementi: una pietra deve sembrare davvero una pietra, il mare non deve essere liscio come cemento, e così via. Anche qui come sempre non è importante la resa naturalistica di un ambiente, ma bastano alcuni semplici accenni che riescono a dare l’idea efficacemente e senza tema di confusione su ciò che viene rappresentato.

Per tutti valga il consiglio di Hugo Pratt il quale diceva che per mostrare un fucile Garand gli bastava disegnarlo particolareggiato una sola volta, dopodiché bastavano semplici accenni a suggerire il concetto di Garand.

Riguardo gli animali vorrei menzionare un grande e misconosciuto autore italiano, Guido Buzzelli, che nel suo HP disegna dei cavalli veramente magnifici.

 

6. L’inquadratura e la composizione

Questi punti fanno parte di diritto del capitolo 5 ma per la loro importanza ed estensione li trattiamo a parte.

a) L’inquadratura.

I principali tipi di inquadratura, mutuati dal linguaggio cinematografico, sono:

--campo lunghissimo.

—campo lungo.

—campo medio.

—totale.

—figura intera.

—piano americano.

—mezza figura.

—primo piano.

—primissimo piano.

—dettaglio.

Inoltre gli angoli di inquadratura sono:

--inquadratura frontale.

—inq. dall’alto (plongèe).

—inq. dal basso (contre-plongèe).

Tutti questi punti sono noti e intuitivi per cui non ci soffermeremo a descriverli. Gli esempi sui tipi di inquadratura potrebbero non finire mai tante è la varietà e l’importanza che questa assume ai fini della resa estetica e narrativa della vignetta. Ci soffermeremo quindi solo sull’esigenza di cambiare spesso (ma non caoticamente) inquadratura all’interno di un fumetto per non rendere la lettura statica e monotona. Questo soprattutto se c’è da descrivere lunghe sequenze di dialoghi che sono statiche già di per se stesse. D’altra parte la staticità può essere proprio un effetto ricercato dall’autore per cui ben vengano le eccezioni a questa regola.

Generalizzando possiamo dire che un uso dinamico delle inquadrature viene fatta da quegli autori che ricercano un effetto cinematografico nelle loro tavole, mentre inquadrature statiche (frontali e alla stessa altezza del soggetto) sono state usate nel fumetto delle origini o quando si ricerca un effetto di tipo illustrativo o pittorico.

Poiché l’effetto cinematografico è oggi molto utilizzato (per es. nei supereroi americani e nei manga giapponesi) citerò solo qualche autore che invece devìa dalla norma: Magnus, Winsor McCay, Sergio Toppi, Dino Battaglia e altri.

Altro aspetto connesso all’inquadratura riguarda la capacità di cogliere il momento cruciale dell’azione che viene rappresentata. Le vignette, analogamente ai fotogrammi di una pellicola cinematografica, sono attimi congelati dotati di senso narrativo. Il disegno può descrivere pienamente questo senso oppure essere inefficace. Ovviamente non c’è un unico modo che porta alla migliore descrizione dell’azione, la scelta è infinita, ma bisogna porre attenzione a scartare quelle inquadrature che sono evidentemente inefficaci. Il rischio è quello di ingenerare irritazione nel lettore. Per un esempio sull’importanza del momento cruciale vedere il libro I linguaggi del fumetto di Daniele Barbieri*. Nel ricercare la massima descrittività però bisogna stare attenti a non cadere nell’eccesso opposto, ottenendo immagini ridondanti e retoriche. Anche questa teatralità può portare all’irritazione del lettore per l’effetto grottesco che ne risulta.

b) La composizione.

Il termine composizione, riferito al disegno, riguarda la disposizione dei vari elementi sul foglio, entro la cornice della vignetta. Prima di approfondirne la conoscenza cerchiamo di elencare i punti che sono alla base della composizione:

1) rapporto delle masse e dei toni.

2) rapporto figura-sfondo.

3) direzione delle linee.

4) simmetrie.

5) ripetizione di forme uguali o simili.

6) figure geometriche.

7) punti forti e sezione aurea.

I punti 1) e 2) si riallacciano a quanto detto nel capitolo 3 sulla teoria dell’immagine, gli altri riguardano tutti una armonizzazione degli elementi tendenti a migliorare il lato estetico e la chiarezza della vignetta.

Vediamo ora come attuare questa ricerca dell’armonia. È importante far notare che non solo la disposizione degli elementi è importante nella composizione, ma anche gli spazi vuoti fra un elemento e l’altro hanno il loro peso e devono essere considerati anch’essi.

Comporre una vignetta significa selezionare, raggruppare, intrecciare ed equilibrare tutti gli elementi in modo che la scena risulti chiaramente espressa.

a) Selezionare significa semplificare, disegnare solo gli elementi utili alla scena e tralasciare gli altri, in modo da non creare una sovrabbondanza e confondere la lettura.

b) Raggruppare. Gli elementi selezionati devono essere raggruppati in modo da enfatizzare quelli più importanti e mantenere gli altri subordinati, cioè come sfondo.

c) Intrecciamento. Gli elementi selezionati e raggruppati devono poi essere ben disposti sulla scena; si dovrà quindi intrecciarli per poterli leggere chiaramente. Questo si raggiunge creando dei collegamenti fisici o logici fra i vari elementi. Per es. se due protagonisti stanno parlando dentro un bar affollato non solo si devono disegnare vicini e ben evidenziati da tutti gli altri, ma devono anche guardarsi, o sorridere o porgersi un bicchiere di birra, ecc. in modo che ci sia un collegamento che li faccia risaltare.

d) Equilibrio. Tutti gli elementi della scena devono poi essere in perfetto equilibrio di pesi e valori per poter risultare esteticamente piacevoli. L’equilibrio può essere statico o dinamico; il primo è detto anche equilibrio simmetrico poiché gli elementi sono distribuiti simmetricamente intorno ad un asse centrale (che può essere verticale, orizzontale e anche obliquo). Il secondo è detto asimmetrico perché gli elementi non si equilibrano per uguaglianza ma a causa della loro importanza relativa in pesi e valori.

Come si vede nella composizione rientrano un po’ tutti i punti discussi in precedenza nel capitolo 5 sulla vignetta e nel paragrafo sull’inquadratura. Qui risiede l’importanza della composizione, è il passo finale che completa e organizza tutto il lavoro svolto nella costruzione della vignetta. Paradossalmente è anche il primo passo da compiere, infatti un autore, prima di incominciare a tracciar figure, deve pensare a come distribuire le masse e i contrasti all’interno dei bordi della vignetta.

Come esempi abbiamo già citato Mike Mignola come un moderno maestro della composizione, altri grandi classici che si rifanno alla composizione pittorica sono Alex Raymond e Burne Hogart, degni di menzione sono anche gli italiani Magnus e Hugo Pratt, e ancora Alberto Breccia e Mùnoz fra i disegnatori d'avanguardia.

7. L’equlibrio della Tavola

Passiamo ora dalla singola vignetta all’intera tavola. Molti dei punti precedentemente trattati valgono anche per l’analisi della tavola ma adesso li esamineremo in un ottica più larga che tiene conto del legame fra le vignette e della vista d’insieme di tutta la pagina (che può essere adirittura doppia). In particolare tratteremo:

a) Punti di accentramento dell’attenzione e punti secondari.

b) Simmetria.

c) Equilibrio di Baloons, Rumori e Didascalie.

d) Reticolo vignette.

e) Montaggio.

Data l’importanza e l’estensione del Montaggio, a questo verrà dedicato tutto il capitolo 8.

Prima di iniziare a esaminare i vari punti però, è bene precisare che nella grafica della pagina entrano tanto le capacità del disegnatore che dello sceneggiatore, anzi è questo che indirizza le scelte narrative a cui il disegnatore si dovrà attenere.

 

[continua]

 

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