Passiamo ora dalla singola vignetta all’intera tavola. La costruzione della pagina è di primaria importanza nella realizzazione di un fumetto perchè influisce un po' su tutti i fattori che abbiamo sin qui analizzato. L'argomento è però delicato perchè vi entra in modo preponderante anche lo sceneggiatore oltre che il disegnatore, e spesso anche l'editore. Tutto ciò può sviare il lettore nella ricerca dello stile del disegnatore.
Approfondiamo questo discorso: Prima di iniziare la stesura delle vignette viene abbozzato un Lay-Out per organizzare forme e volumi nella tavola; capita però che sia lo stesso sceneggiatore a fare il lay-out in modo da avere un controllo più forte sul contenuto e la sua organizzazione. Leggendo un qualsiasi fumetto di Alan Moore ci si rende facilmente conto del controllo totale che ha sul disegnatore. Un caso opposto di sceneggiatore che lascia molta libertà ai disegnatori è Alfredo Castelli; come racconta egli stesso in un divertente articolo, è troppo pigro per fornire indicazioni precise per cui spesso riempe il plot di "vedi un po' te come risolvere la scena...". Altre volte addirittura usa questo metodo quando non sa come mandare avanti la storia e così facendo spera che il disegnatore trovi lo spunto al posto suo. In fin dei conti, come lui stesso ammette, si può permettere un tale comportamento.
Caso diverso, ovviamente, riguarda gli autori completi e, spesso; i comics americani. In questi ultimi infatti, lo sceneggiatore fornisce il soggetto e il numero di tavole occupato da ogni singola scena; sta poi al disegnatore organizzare il lay-out e mandare avanti la narrazione. Altro caso molto diverso ma che ugualmente diminuisce l'importanza del disegnatore è il lavoro redazionale fatto sul fumetto finito. Un esempio storico è l'adattamento italiano de l' Eternauta di Ohestherld e Solano Lopez. Originariamente il fumetto fu pubblicato in un formato più largo che alto che era tutto il contrario delle riviste italiane. Ruggero Giovannini dell' Eura Editoriale si assunse il compito di rimontare le vignette in formato italiano e così comparvero vignette tonde che prima non esistevano, le didascalie furono riposizionate, i disegni vennero tagliati o prolungati, ecc. Non si sta dicendo che è un brutto adattamento -anzi, il contrario- ma essendo frutto di un' interpretazione personale è pur sempre uno snaturamento delle intenzioni dell'autore, e quindi ci può sviare nella nostra analisi.
Dopo questo lungo preambolo passiamo finalmente ad occuparci della tavola, soffermandoci maggiormente su quei punti che enfatizzano il contributo del disegnatore. Le linee guida su cui baseremo l'analisi sono le seguenti:
A) Tavola come "unità narrativa" o scena.
B) Reticolo di vignette (gabbia).
C) Bordi e margini fra vignette.
D) Dialoghi, ballons e didascalie.
E) Titoli e Rumori.
F) Bilanciamento, equilibrio e armonia dei vari elementi.
Ricordiamoci sempre che l'ideazione della pagina precede ogni altra idea sul disegno (come già accennato per il lay-out). Quindi se la nostra analisi parte dal fumetto compiuto per risalire alle sue componenti e idee, l'autore invece inizia da quest'ultime per arrivare al lavoro finito.
La prima idea da seguire nell'analisi della tavola è la sua unità narrativa . La tavola, anche nel bel mezzo di una vicenda, deve avere una specie di inizio e una specie di fine (possibilmente con sorpresa) e quindi costituire un' unità . Il modo più semplice è concepirla come scena, ma anche se la scena è più lunga di una tavola questa deve avere comunque una sua unità interna.
Un esempio molto evidente sono quei fumetti a strisce quotidiane (Flash Gordon; l'Uomo Ragno a strisce; Dick Tracy; ecc.) in cui la narrazione prosegue nei giorni successivi e non come in Linus in cui le strisce sono autoconclusive. Ebbene, in queste striscie si ha una prima vignetta che riassume gli eventi precedenti, un corpo che manda avanti la narrazione e un'ultima vignetta con colpo di scena per coinvolgere il lettore e indurlo a leggere la puntata seguente. Tutto questo in 3-6 vignette!!!
Un grande compositore di tavole concepite come unità narrativa è uno sceneggiatore, ma con grande conoscenza del disegno: Alan Moore. Le sue tavole sono sempre costruite con scrupolo e maestria e vanno quindi ben studiate per imparare la loro impaginazione.
Scelto cosa mettere in scena bisogna subito pensare a come esporlo nella tavola, cioè al tipo di griglia in cui disporre le vignette. Una prima suddivisione è tra gabbie regolari ed irregolari. Nella prima sono inclusi gli schemi con vignette di dimensioni uguali (o con minime variazioni sul piano orizzontale) disposte in maniera simmetrica. Watchman di Moore e Gibson e il Tarzan di B. Hogart ne sono un esempio perfetto. Anche Pratt segue una griglia regolare, le vignette affiancate sono più vicine fra loro rispetto a quelle che stanno sotto. Si ottiene così un effetto di striscia ( quattro strisce in una tavola) che rimanda alla linearità e consequenzalità del cinema. Fra le griglie irregolari (usate maggiormente fra gli autori più giovani) è impossibile non citare i comic book di supereroi, l'avanguardia francese degli anni '70, ecc. Gabbie irregolari, dinamiche e con grandi vignette hanno un forte impatto visivo ma non mandano molto avanti la narrazione ( e l'esempio ottimale sono i supereroi americani moderni, con le loro numerose splash-pages). Invece reticoli fitti e regolari sono densi di raccontato. Con questi reticoli la narrazione va avanti a grandi passi dicendo molte cose ma, forse, coinvolgendo meno il lettore per una certa staticità. Gli esempi sono molti: ogni singola vignetta (e ce ne sono solo due in una tavola, e sempre di uguali dimensioni) dell' Alan Ford di Magnus e Bunker racconta tantissimo e spesso è un'intera scena compiuta. La densità di parlato, particolari ed avvenimenti di Watchman è ottimamente raccolta da una griglia fitta e regolare di piccole vignette. I racconti brevi ed umoristici di Pazienza sono brevi grazie alle fitte vignette, non certo per il contenuto. Altro bell'esempio è Quando Soffia Il Vento di R. Briggs, in cui le numerossissime piccole vignette ben sottolineano una piccola storia di piccole persone immerse però in una vicenda enorme: lo scoppio della bomba atomica a Londra. Infine smentiamo quanto detto sulla staticità delle vignette uguali citando Squeak The Mouse di Mattioli: la gabbia regolare e senza eccezioni, le vignette tutte quadrate e di uguali dimensioni, e nonostante questo, il dinamismo che Mattioli riesce a rappresentarvi è eccezionale, a livello dei cartoni animati che però possono contare su un vero movimento. E sempre restando fra le eccezioni citeremo Le avventure di Luther Arkwright di Bryan Talbot che, utilizzando una griglia dinamica e irregolare, riesce invece a mostrare e raccontare tantissimo.
Le basi su cui si fondano le griglie sono i bordi che delimitano le vignette e i margini (bianchi o colorati) fra queste. Che tali fattori siano importanti si può capire dal già citato esempio di Corto Maltese: i bordi piccoli e anonimi concentrano l'attenzione sulle sole vignette, mentre gli spazi bianchi sono più piccoli fra i quadri affiancati in orizzontale che quelli in verticale. Si ottiene così un effetto striscia all'interno della tavola che rimanda alla linearità della pellicola cinematografica. A proposito dei bordi c'è da dire che Pratt, che all'inizio li rendeva sottili e poco ingombranti, li ha sempre più inspessiti via via che il suo segno diventava più sintetico, piatto e decorativo. Quindi il bordo diventa importante come decorazione, cioè cornice, del disegno.
Dino Battaglia è forse l'artista che maggiormente ha sfruttato i bordi e i margini a fini narrativi. L'uso che ne fa va oltre a valori decorativi o di base della griglia, ma diventano essi stessi strumenti espressivi come ogni altro segno della tavola. Un'ottimo esempio di un'analisi di una tavola di Battaglia si può trovare nel già citato Barbieri.
Altri esempi di un uso narrativo di bordi e margini sono ormai entrati nei canoni del fumetto e passano quasi inosservati. Per esempio dei bordi irregolarmente ondulati o con i vertici curvi che possono rappresentare un sogno o un ricordo; oppure la linea in basso può rappresentare un pavimento che può anche spezzarsi facendo precipitare i protagonisti nella vignetta sottostante (come in Little Nemo di W. McCay). In questo caso si parla di segno metanarrativo perchè più che servire alla narrazione, diventa oggetto della narrazione il segno stesso. Gli spazi bianchi possono essere riempiti di disegnini oppure di commenti dell'autore, come nei fumetti di Altan o in Orion di M. Shirow; ecc.
Numerosi ed interessanti esempi si possono trovare ne Il Linguaggio Dei Comics, cap. di R. Gubern.
Un altro uso innovativo dei bordi e delle vignette è quello utilizzato da Miller e poi da un po' tutti gli americani (ma in realtà le radici affondano nell'avanguardia francese degli anni '60-70 e addirittura in Will Eisner negli anni '40) e cioè disegnare una splash-page e poi, dentro questa, sovrascrivere vignette piccole e provviste di bordi precisi ed evidenti. In questo modo tali vignette sembrano in alto sopra la tavola, con un effetto un po' tridimensionale e anche di successione temporale.
Infine ultima menzione per Andrea Pazienza che nel suo Le Straordinarie Avventure Di Penthotal elimina bordi e mrgini per creare un'unica tavola senza alcuna distinzione fra una vignetta e l'altra se non il suo contenuto narrativo. L'ennesima prova della genialità di questo autore.
Parliamo adesso dei dialoghi contenuti nelle vignette. Questo punto poteva essere trattato nel capitolo 6 sulla composizione, però spesso i dialoghi non restano limitati nel quadro ma fuoriescono per assolvere altre funzioni. Specialmente in questi ultimi anni il fumetto ha raggiunto una maturità espressiva che lo ha spinto a inventare nuovi usi e significati ai suoi componenti; il dialogo è forse l'elemento che più si è evoluto fondendo con una naturalezza sorprendente la scrittura letteraria (con tutti suoi codici) con la scrittura grafica e ottenendo risultati nuovi e nientaffatto banali.
In generale i fumetti con molti dialoghi affidano la narrazione, appunto, alle parole, mentre quelli con pochi dialoghi l'affidano alle immagini. Un esempio negativo sono le riduzioni fumettistiche di opere letterarie o cinematografiche hanno molti dialoghi, da qui la loro pessima resa, mancanza di fluidità e pesantezza nella lettura. Un eccezione può essere il Dracula di Roy Thomas e Mike Mignola che è la fedele riduzione del film di F.F. Coppola che a sua volta è la riproduzione abbastanza fedele del libro originale di Bram Stoker. Thomas, sceneggiatore specializzato nella riduzione a fumetti di opere letterarie, musicali e cinematografiche, soffre proprio di una certa prolissità che predomina sul disegno. Nel caso di Dracula invece, la narratività dei disegni di Mignola riesce a compensare la verbosità dei testi dando luogo ad un ottimo fumetto.
Un altro caso di pessima resa dei dialoghi, ma almeno con sotto uno scopo ben preciso, è la serie di Druuna di P. E. Serpieri. I troppi dialoghi presenti risultano pesanti, prolissi e inutili perchè non fanno che ripetere quello che già gli splendidi disegni mostrano al meglio. Sono i disegni infatti a portare avanti la narrazione; allora perchè mettere tutti quei dialoghi? Lo scopo principale è quello di rallentare la lettura del quadro per far soffermare più a lungo il lettore e fargli godere maggiormente i disegni. Inoltre si allunga anche la durata dell'azione rappresentata nella vignetta, dilatando così il tempo della storia raccontata. Un ultimo esempio riguarda Howard Chaykin, i cui fumetti, pur essendo notevoli sotto il profilo grafico, si affidano molto ai dialoghi sarcastici. Inoltre tali dialoghi sono abbastanza criptici e richiedono un grosso impegno per scoprirne il significato. Tutto ciò rende la lettura lenta e difficile ma non priva di soddisfazione quando il senso è finalmente ricostruito.
Arrivando finalmente all'elemento più strettamente visivo, iniziamo ad elencare dei punti guida:
a) Dimensione e posizione delle nuvolette.
b) Forma e colore dele nuvolette.
c) Didascalie.
d) Dimensione, colore e tipo di caratteri contenuti nelle nuvolette.
a) La dimensione dei balloons è importante per dare più o meno importanza alle varie parti della vignetta: più sono grossi e meno spazio lasciano al disegno. In scene dove è predominante il dialogo (nei fumetti di Martyn Mystere per esempio) il disegno a volte si riduce solo ad un volto, stretto in un angolino del quadro mentre tutto il restante spazio è occupato dalla nuvoletta. Un caso limite molto originale e ricercato è presente in Una Partita Impegnativa di Magnus, dove la storia è raccontata da lo Sconosciuto, vecchio eroe ben noto di Magnus. Ebbene, se nella prima parte è il volto dello Sconosciuto ad introdurre e commentare la storia, da un certo punto in poi questo scompare lasciando il posto ai soli occhiali da cui partono le nuvolette. Davvero un interessante trovata che non fa perdere in leggibilità a causa della forte simbologia associata agli occhiali dello Sconosciuto, che lo identificano senza tema di errori, e per di più un'idea nuova ed originale.
Comunque, in generale, la dimensione dei balloons deve essere attentamente calibrata fra il non coprire troppo il disegno e il non far perdere leggibilità ai dialoghi con scritte troppo piccole. Importante è anche il posizionamento dei balloons sia, appunto, per non coprire parti importanti delle figure, ma anche perchè, in presenza di più nuvolette, deve essere chiaro quali vanno lette per prime e quali seguono. La cosa non è così banale come potrebbe apparire, basti pensare ai Manga originali che adottano una convenzione di scrittura ribaltata rispetto a quella occidentale. Gli esempi di cattiva successione delle nuvolette che rendono confusa la lettura si sprecano, come pure le soluzioni ben risolte ( Asterix di Goscinny e Uderzo, Pazienza, i fumetti Bonelli, ecc.) Il posizionamento delle nuvolette, infine, può assumere anche un aspetto narrativo, per esempio quando parte da una vignetta e sconfina in quelle successive. Si forma così una sorta di legame fra i due quadri che può essere sia spaziale che temporale. Un semplice esempio è quello contenuto in Voglia Di Cane di Silvio Cadelo.
b) La forma della nuvoletta ha carattere squisitamente grafico. Può avere forma rotonda (Toppi, P.E. Serpieri) o rettangolare, sembrare una vera e propria nuvola, essere unitaria o frammentata o addirittura può essere del tutto assente, lasciando le scritte disperse nel disegno. La casistica è estremamente vasta e sempre aperta a nuove invenzioni e la scelta è quasi sempre dovuta alla ricerca di equilibrio e armonia, oltre che, naturalmente, della leggibilità.
Nei fumetti seriali (supereroi, albi di Bonelli, manga, ecc.) la forma dei ballons è diventata standardizzata: massima chiarezza, forme immediatamente riconoscibili, carattere neutro in modo che si adattino ad ogni possibile situazione. Spesso in questi casi forma e lettering non sono opera del disegnatore, ma vengono aggiunti in fase editoriale.
Invece un esempio d'autore è senza dubbio Dino Battaglia il quale curava da sè forma e contenuti e non permetteva ingerenze in fase editoriale. Nei suoi fumetti della maturità forma e contenuto deli balloons variano di continuo fondendosi con naturalezza con la vignetta e i suoi margini, e creando un tutto unico. Non è mai, insomma, una semplice nuvoletta appiccicata sopra il disegno.
Altro aspetto della forma dei balloons è il cono che parte dalla bocca del parlante. Questo serve proprio ad indicare chi è che sta parlando e può avere varie forme: a freccia, un semplice trattino, a bolle, o anche mancare del tutto se non c'è possibilità di confusione su chi sta parlando. Un uso interessante di questo cono lo fa Davide Mazzuchelli ne La Città Di Vetro. Tale cono non si ferma in prossimità della bocca di uno dei protagonisti, come ci si spetterebbe, ma vi prosegue dentro come a dare l'idea che la voce provenga dalla profondità della gola, o del cuore, o addirittura dall'anima. Un effetto straniante per il lettore che ben descrive la schizofrenia del parlante. Vari interessanti esempi sull'uso metanarrativo delle nuvolette e delle scritte in esse contenute si trovano ne Il Linguaggio Dei Comics di R. Gubern che abbiamo già citato.
c) Le didascalie erano molto usate nel fumetto degli inizi, quando ancora si cercava di dargli una parvenza di letterarietà, o meglio, quando ancora non si conosceva altro che la narrativa letteraria. Poi pian piano con l'assunzione di metodiche cinematografiche le didascalie sono scomparse o ridotte a semplici "più tardi..." ecc. Miller invece l'ha di nuovo portata alla ribalta dotandola di senso e contenuti nuovi. Niente più scritte letterarie o indicazioni dell'autore, ma parole, urli,pensieri, commenti e lo stesso inconscio fatto parola indipendentemente dalla consapevolezza del parlante. Insomma, un vero e proprio Flusso di Coscienza alla J. Joyce. E non solo un'unica didascalia dentro o a margine della vignetta, ma tante piccole didascalie, similmente ai dialoghi nei ballons. Anche per le didascalie vale quindi, più o meno, quanto detto per le nuvolette e le forme e le dimensioni sono le più varie possibili.
d) Parliamo infine del lettering contenuto dentro le nuvolette e le didascalie. l'autore ha a disposizione molte variabili, il tipo di carattere, il colore, il posizionamento e la grandezza del testo all'interno del balloon, la scrittura a mano o al computer, l'omogeneità dello scritto o la sua continua variabilità, l'allineamento o la sua mancanza, il grassetto, ecc. Le scelte sono al solito numerose e dipendenti dall'effetto che si vuole ottenere e al messaggio che si vuole comunicare. Infatti con il disegno del carattere e la sua variazione è possibile comunicare il tono, il volume e le altre proprietà della voce; cosa per esempio impossibile in letteratura dove deve essere scritto se la frase è gridata, oppure pronunciata con astio, o se è detta con amore,ecc.
In Asterix e i Goti di Goscinny e Uderzo i barbari goti parlano, appunto, con caratteri gotici. Nei fumetti di fantascienza i robot spesso, e banalmente, parlano con font di computer per sottolineare la loro articicialità. Nei fumetti Disney quando Paperino parla a Paperina le sue frasi sono circondate di cuoricini. Gli esempi più o meno efficaci potrebbero continuare all'infinito.
L'esempio d'autore è il solito Dino Battaglia che, come già accennato per i punti precedenti, tratta il testo come un qualsiasi altro elemento grafico dei suoi disegni. A questo punto vorrei farvi notare le volte che abbiamo citato Battaglia in questo capitolo, a dimostrazione di quanta cura e impegno metteva nella realizzazione di questi particolari che, fino ad allora, erano considerati solo aspetti secondari.
Anche Pazienza curava molto le scritte rendendole, si può dire, calde e spontanee. Spesso invece, specie nel fumetto seriale, il lettering non è appannaggio dell'autore ma aggiunto solo in fase redazionale. In questo caso viene ricercata una neutrlità che porta alla massima leggibilità e omogeneità. Il risultato quindi, al di là della suoa bontà, non ci interessa ai fini della valutazione dello stile dell'autore.
I titoli e i rumori hanno ormai raggiunto un grado di integrazione fra scrittura e immagine irraggiungibile da ogni altra forma d'arte o media.
Esaminiamo per primi i titoli.
Fu Will Eisner, negli anni '40 con le tavole di Spirit, a fare un uso dei titoli che andava al di là della parole, dandoli forti connotazioni grafiche. La prima pagina di ogni avventura di Spirit è sempre diversa a livello di trovate grafiche/narrative e i titoli vi si perdono dentro diventando parte integrante del disegno. La creatività e l'innovazione mostrate da Eisner anche solo in queste prime tavole dei suoi fumetti basterebbero ad affiancarlo ai grandi maestri di quest'arte. Fantasiosi sono anche i titoli Disney in cui almeno una delle parole richiama graficamente l'argomento e il genere della storia. Begli esempi sono anche i titoli dei capitoli di Voglia di Cane di Cadelo che si riservano un'intera pagina e giocano molto sul design e l'impaginazione e le cui scritte richiamano modi antichi di presentare gli argomenti: "capitolo uno: in cui si viene a sapere come Voglia di Cane...". Notevole è anche Gli Ultimi Giorni di Pompeo, fumetto del mai troppo citato Andrea Pazienza, in cui ogni tavola della storia, in alto, presenta il titolo circondato di disegni e segni grafici sempre diversi che creano un ambiente ed un'atmosfera adatti a sottolineare e completare la narrazione. Questa trovata è un evoluzione di quanto ha fatto Moebius ne Il Garage Ermetico Di Jerry Cornelius, dove ogni capitolo (che spesso sono solo di due o tre pagine) riporta il titolo e un riassuntino surreale della storia.
Infine anche per i titoli più classici si può notare una continua ricerca stilistica ormai indistinguibile dall'evoluzione del design dei loghi.
I rumori, per il fatto stesso di essere onnipresenti nei fumetti, assumono un'importanza ancora maggiore dei titoli e sono uno degli elementi grafici maggiormente caratterizzanti la tavola. Per questo ne parliamo qui e non nel paragrafo sulla vignetta.
Uno degli esempi più significativi è tratto da Sin City di F. Miller in cui il BLAM di una pistola ripetuto tre volte è reticolo della tavola, striscia, vignetta e rumore allo stesso tempo. Un'intuizione grafico/narrativa magnifica da parte di Miller, di grande effetto drammatico. Molto bravo nel porre i rumori dentro e fuori dalle sue vignette è un altro americano: Howard Chaykin. Con il solo uso di font computerizzati riesce a creare un effetto ossessivo, grottesco e raffinato che, unito ai testi sarcastici e ai disegni moderni e ironici riescono a creare uno stile spiazzante e per niente banale. Come esempio si può riportare il rumore dei passi degli androidi in Time 2. Un uso geniale dei rumori è fatto in Watchman di A. Moore e D. Gibbons, e da allora da molti altri, dove essi sono completamente ...assenti. Questa assenza provoca una certa aria di freddezza e distacco dalla vicenda che ben completa il senso di tutto il fumetto, dove razionalità e passione si rincorrono, si combattono e si originano l'uno nell'altro. Da notare la maestria di Gibbons che, con i suoi segni, riesce a suggerire i rumori pur non disegnandoli direttamente. Anche B. Talbot in Le Avventure Di Luther Arkwright non fa uso di rumori e linee cinetiche. L'effetto ricercato è però diverso da quello di Gibbons, Talbot usa infatti un segno minuto che richiama quello dei grandi incisori classici (Dhurer, Dorè, ecc.). Il silenzio delle vignette allora, aumenta l'effetto di classicità e monumentalità richiesto dall'epica della storia.
Tutti gli elementi sopra esposti devono trovare una sistemazione logica nella tavola, senza trascurare il fatto che devono essere significanti anche all'interno delle singole vignette. In generale basta un'occhiata per rendersi conto (magari inconsciamente) se la tavola che ci apprestiamo a leggere è squilibrata in qualche sua parte oppure i vari elemnti sono ben bilanciati fra loro. La forma della gabbia, la distribuzione dei neri e dei bianchi, la forma e la dimensione delle vignette, ecc., tutto deve contribuire a creare un insieme armonico.
Le tavole di Guido Crepax, per esempio, sono in prevalenza bianche e con numerose piccole vignette. In queste sono dispersi alcune macchie nere (i capelli di Valentina, alcune zone in ombra, ecc.) che assumono, per la loro incisività, maggiore importanza. L'effetto globale è quello di una scacchiera, dove sono distribuiti simmetricamente i bianchi e i neri. Una rigorosa simmetria è anche alla base dei fumetti Belgi della linea chiara (Black E Mortimer di E. P. Jacobs e Tin Tin di Hergè). In queste tavole le nuvolette e le didascalie, sempre della stessa forma, sono messe in alto nella vignetta, inoltre le vignette sono disposte simmetricamente intorno ad un asse verticale (raramente orizzontale ) che divide letteralmente in due la pagina. Spesso nei manga giapponesi le vignette più importanti narrativamente sono piccole e messe nel centro della tavola, circondate da vignette grandi e dinamiche ma dal contenuto descrittivo più che narrativo.
Dialoghi, rumori e didascalie possono attirare l'attenzione su alcune vignette rendendole quindi più importanti delle altre; anche i colori, la forma e la dimensione delle vignette possono essere usate per creare punti di accentramento dell'attenzione che aiutano, è questo il punto da tenere presente, a rafforzare la narrazione. In generale si può dire che esistono regole di composizione delle tavole analoghe a quanto visto nel capitolo 6 sulla composizione nella vignetta, cioè ci deve essere un legame che armonizza le varie parti della tavola.
Finora ci siamo soffermati sulle singole vignette o su intere pagine di vignette viste nella loro totalità. Adesso ci occuperemo della messa in serie delle vignette, cioè del montaggio. Anche per questo aspetto influisce prevalentemente il volere e il valore dello sceneggiatore, per cui, dopo una rapida sintesi teorica, prenderemo in esame numerosi esempi che mostrano particolarmente la capacità e lo stile del disegnatore.
Prima però vorremmo riportare un esempio di un autore, K. Otomo, molto istruttivo e significativo. Dopo ci concentreremo sullo stile dei disegnatori. Nel suo Sogni Di Bambini, Otomo racconta di una investigazione della polizia su un uomo che si è suicidato buttandosi da un palazzo. Viene interrogata una donna come testimone, e qui inizia la sequenza che ci accingiamo a descrivere. La prima Tavola (pagina 27 dell'edizione Comic Art) mostra l'avvicinarsi di due poliziotti alla sala interrogatori, dov'è tenuta la testimone. Questa viene presentata solo nell'ultima vignetta. Il senso di urgenza dato dalle parole e dalla rapidità dei movimenti dei due poliziotti contrasta con il numero elevato di vignette (ben 5) occorse per arrivare alla testimone. Essendo il fumetto un linguaggio ellittico, la situazione poteva essere risolta in 2-3 vignette. Il perdere tutto questo tempo serve allora ad accrescere l'aspettativa e a dare importanza alla scena. Le tavole 2 e 3 mostrano il racconto della testimone: sono tavole lente e ricche di dialogo, i disegni sono statici e con molti primi piani. Solo l'ultima vignetta della terza pagina mostra la novità: la vittima indossava un cappello da bambino. L'importanza di questa vignetta è sottolineato dalle sue maggiori dimensioni e dal tono scuro che contrasta con le vignette precedenti. Le prime due vignette della Tavola 4 mostrano due agenti che lasciano rapidamente la stanza alla ricerca dei nuovi indizi dati dalla testimone. Sembrerebbe che l'interrogatorio sia finito, per questo i due agenti vanno via. Invece le successive quattro vignette mostrano ancora l'interrogatorio che continua; ci dicono che il berretto appartiene ad un dato bambino. L'ultima vignetta della quarta tavola mostra il bambino interrogato dai due agenti. Tale inchiesta continua per sei quadri della Tavola 5. Infine la settima ed ultima vignetta ci riporta al commisariato per la conclusione dell'interrogatorio della testimone. Ora si può vedere che la successione degli avvenimenti non è lineare: i due agenti partono alla volta del bambino quando ancora non è mostrata la testimone che racconta della sua identità. Anche la testimonianza del bambino è mostrata prima della conclusione dell'interrogatorio della donna. Perchè questo mischiare tempi e lupghi quando era molto più semplice mostrare una progressione lineare? Perchè cinque tavole di dialoghi sarebbero certo risultate più noiose e il montaggio parallelo è servito a renderle più dinamiche e coinvolgenti. Il rischio è di rendere più difficile la lettura e di creare confusione, ma la maestria con cui sono montate le vignette non fanno perdere il senso della narrazione e nemmeno appesantiscono la lettura; al contrario, la rendono più stimolante.
Torniamo adesso alla messa in serie di vignette. Montare due vignette significa associare fra loro le immagini con un qualche tipo di legame. Il fumetto è un linguaggio ellittico; il lettore è già abituato a costruire una sequenza e una logica negli spazi fra una vignetta e l'altra. Tutto questo torna a vantaggio del fumettista che si può sbizzarrire in montaggi arditi e impegnativi, e trovare le associazioni più originali ed efficaci. I principali tipi di associazione fra vignette sono i seguenti:
-Associazione per identità.Quando gli elementi della prima vignetta ricompaiono, tutti o quasi, nella seconda, anche se in tempi, luoghi e inquadrature diverse ( per esempio l'inquadratura di un posacenere con sigaretta accesa e poi la stessa immagine del posacenere ma con la sigaretta ormai consumata e spenta).
-Associazione per analogia o per contrasto. Quando i due quadri sono simili ma non gli stessi, oppure, pur nella stessa ambientazione, sono completamente estranei l'un l'altro. Per esempio la stessa inquadratura di due donne nella stessa posa ed espressione, ma una bionda e l'altra mora.
-Associazione per transitività o per prossimità. Quando il secondo quadro è la logica conseguenza temporale o spaziale del primo. Per esempio un Campo/Controcampo durante un dialogo; Oppure un personaggio dice che andrà a letto in una vignetta e nella seconda è già l'alba e lui si sta svegliando. Questo tipo di montaggio è sicuramente il più intuitivo e sfruttato.
-Associazione per accostamento. Quando non c'è nessun legame fra le due vignette, semplicemente sono accostate l'un l'altra. Questo crea un effetto di frattura (mentre il montaggio in genere tende a legare), di fine e di nuovo inizio, che pùò essere cercato dall' autore. Per esempio quando finisce una scena e , con una grande vignetta panoramica, ne inizia una nuova.
A questi punti si possono ricondurre tutti i tipi di montaggio usati nel fumetto (e non solo). Il montaggio analitico usato da G. Crepax e nel fumetto giapponese, per esempio, si può ricondurre all'associazione per prossimità; il montaggio parallelo (o alternato) si può ricondurre all'associazione per accostamento ( ma sempre in coppia con un altro tipo di montaggio per le due sequenze separate); ecc.
Se in un fumetto predominano le associazioni per identità, prossimità e transitività, si ottiene un risultato compatto e fluido, di lettura scorrevole.
Se predominano invece le associazioni per analogia e contrasto, si ottiene una minore scorrevolezza a vantaggio però di una maggiore varietà e movimento. In pratica questo tipo di montaggio crea più frattura fra un quadro e l'altro, ma offre un'esperienza di lettura più sofisticata.
Infine è difficile trovare, nel fumetto, casi in cui predominano l'associazione per accostamento (forse in qualche fumetto di avanguardia) perchè ne deriva troppa frammentarietà e non supporta adeguatamente la narrazione.
Rimandiamo al libro di S. McCloud Capire Il Fumetto, capitolo 3, per un maggiore approfondimento del montaggio e del meccanismo mentale che vi è alla base, la Closure.
Essendo un componente fondamentale del fumetto la casistica sul montaggio è numerosa.