Il territorio e la storia di Costabissara

 

Il territorio del Comune di Costabissara per la sua morfologia geografica, che presenta aree di pianura e di collina, di risorgive e di corsi d’acqua, e per la sua vicinanza ad una città di antiche origini come Vicenza, è un’ area archeologica significativa come poche. I numerosi siti rinvenuti ed i monumenti del passato che interessano il territorio ci dicono molto della sua storia e della storia in generale. Gli americani dicono “touch the past”, “tocca con mano il passato” osservando il territorio. E’ quello che noi vogliamo illustrarvi di seguito.

Antonio Calgaro, Presidente del Gruppo Archeologico Bissari

Costabissara 2012

 

Se ci portiamo sulle nostre belle colline, sul dosso chiamato “osservatorio”, appena sotto Madonna delle Grazie, e spaziamo con lo sguardo sull’orizzonte, vediamo sorgere dalla verde pianura eleganti colline mentre alle nostre spalle alti monti proteggono dai venti freddi del Nord. La vegetazione è rigogliosa e la fauna numerosa e abbondante. Un habitat ideale per l’uomo. E pertanto questo territorio non poteva non essere frequentato dall’ uomo al suo primo apparire sulla terra.

     L’uomo, come essere dotato di autocoscienza, unico fra gli esseri viventi, apparve sulla terra circa 1.800.000 anni fa con il Pleistocene. Si differenziava completamente dagli ominidi, dai quali fisicamente si era evoluto.La Bibbia dice che Iddio “dopo averlo creato” gli soffiò in faccia “lo spirito della vita”.

     Viveva nell’Africa equatoriale ma dopo qualche tempo emigrò verso il Nord e, attraverso il Medio Oriente, raggiunse l’Europa. Non abbiamo ancora testimonianze dirette della sua presenza sul nostro territorio per un primo lungo periodo, in primo luogo perché la popolazione mondiale alla fine del Paleolitico, cioè 12.000 anni fa, era solo di 6 milioni di individui circa (nel vicentino  un migliaio), in secondo luogo perché il territorio nel Paleolitico subì grandi sconvolgimenti naturali con le quattro glaciazioni che si alternarono a periodi particolarmente caldi. Ogni testimonianza quindi è stata spazzata via.

       Le prime tracce che testimoniano l’esistenza dell’uomo antico nei territori limitrofi, le abbiamo sui Colli Berici a Mossano nella grotta di San Bernardino, dove viveva l’uomo del Paleolitico a partire da circa 300.000 anni fa. Le tracce consistono principalmente in selci lavorate che servivano da punte di lance per la caccia e da utensili per i lavori domestici.

     Nel Paleolitico l’uomo, che viveva solo di caccia e raccolta ed era nomade all’inseguimento delle grandi mandrie di animali, in piccoli gruppi di circa 30 individui, non ha registrato un grande progresso tecnologico. Solo nella parte finale del Paleolitico si avvalse dell’arco e delle piroghe e creò le prime forme d’arte con i meravigliosi dipinti rupestri. Ma questo lunghissimo periodo servì a creare nell’uomo il senso morale, i principi di convivenza, la cura della famiglia, il sentimento della propria dignità, la pietà verso il prossimo e la riflessione sull’aldilà. E non è poco.

La “Via Longa” è un antico sentiero che, partendo dal nucleo originario di Costabissara (Via Roma), porta sulle colline. Raggiunge a metà percorso il pianoro chiamato “ Passado” e quindi arriva, presso Madonna delle Grazie, sul crinale della lunga catena di colline che si estende da Sud verso Nord. Lì incrocia una via altrettanto antica che percorre tutto il crinale, da Creazzo a Priabona e poi oltre fino a Monte Magrè.

     Ambedue le vie, che si prestano a piacevoli passeggiate, risalgono al periodo preistorico chiamato Neolitico, che va dal 10.000 a.C. al 4.000 a.C. circa. Agli inizi del Neolitico cessa l’ultima era glaciale. Le temperature aumentano e l’ambiente naturale cambia totalmente. Il nostro territorio, con quello europeo, passa dalla tundra desertica gelata, percorsa da mandrie di grossi animali, alla foresta con alberi ad alto fusto popolata da numerosi piccoli animali. L’uomo da nomade, dietro alle grosse mandrie, diventa stanziale a cacciare con l’arco, a pescare ed a raccogliere frutta, legumi, miele, uova, chiocciole ed altro. Ma, quello che è più importante, è che con il Neolitico assistiamo alla più grande rivoluzione di cui l’uomo abbia mai beneficiato: la scoperta dell’allevamento e dell’agricoltura, a cui seguì l’uso della ceramica e della tessitura.

     L’uomo del Neolitico preferiva insediare il proprio villaggio, di poche capanne di legno, lungo i corsi d’acqua, sulle sponde dei laghi o lungo le coste dei mari.

     Nel territorio di Costabissara allora scorreva l’Orolo, all’incirca nell’alveo dove ora scorre la Roggia Bagnara. Sulla sua riva destra si presume l’uomo del “Neolitico” abbia creato un villaggio così come fece  presso il lago di Fimon, a Sovizzo, a Santorso ed in altri luoghi vicini, dove è accertata la sua presenza. Questi primi abitanti di Costabissara avevano la necessità di frequentare le colline percorrendo la “Via Longa”, per cacciare, per procurarsi la legna e per portare al pascolo gli animali (pecore, capre e mucche). Ma anche per raggiungere dall’alto altri villaggi lontani per conoscersi, scambiare merci e celebrare assieme riti sacri propiziatori.

     Il “Neolitico” era ricordato dagli antichi poeti e storici come la “Età dell’Oro” dato che la natura incontaminata era particolarmente generosa, ma soprattutto perché non c’erano guerre in quanto l’avidità non aveva ancora avvelenato l’animo umano.

 

L’ampia collina che sovrasta Costabissara è da pochi decenni chiamata “Le Pignare” mentre prima si chiamava “Monte della Chiesa”. Formata da rocce calcaree, presenta sulla sommità una profonda dolina, che le dà l’aspetto di un vulcano oppure di una grande torre difensiva. All’interno di questa dolina nel 1970, a seguito di uno scavo per realizzare una piscina, emerse una grande quantità di ceramica. Il sito fu segnalato alla Soprintendenza dal Gruppo Archeologico “Bissari”. La ceramica risultò tipica dell’Età del Bronzo. La più antica era databile al 1500 a.C. circa. Il materiale rinvenuto è ora esposto presso il piccolo museo archeologico del Centro E.Conte. Abbiamo così la prima testimonianza certa dell’insediamento dell’uomo a Costabissara.

     L’Età del Bronzo (IV-II millennio a.C.) segue al lunghissimo periodo del Paleolitico, dell’uomo cacciatore e raccoglitore, durato quasi 2 milioni di anni e poi al Neolitico, dell’uomo agricoltore e pastore (X-V millennio a.C.). L’Età del Bronzo segna appunto l’ utilizzo del bronzo, un metallo composto da rame e stagno. Il bronzo servirà a fabbricare asce per tagliare il legno e falcetti per tagliare il grano ma anche e soprattutto, spade per combattere. La conflittualità, la guerra diventerà da allora il grande problema. Con l’Età del Bronzo inizia la storia con le battaglie, con popolazioni che invadono altri territori, con gli imperi dominanti. Inizia la storia anche perché nel IV millennio a.C. si scopre la scrittura.

     In Europa l’Età del Bronzo inizia con la civiltà megalitica, poi quella delle palafitte e delle terramare. Alla fine dell’Età del Bronzo in Italia abbiamo la civiltà appenninica. La popolazione si insedia sulle colline appunto per essere maggiormente protetta dai malintenzionati. E’ il caso dell’insediamento delle Pignare, di una tribù di una trentina di individui che hanno trovato protezione dentro la dolina.

     Ma l’Europa, e l’Italia, sono marginali rispetto alle grandi civiltà che si sviluppano. La prima, agli inizi del IV millennio a.C., è la civiltà mesopotamica dei Sumeri, con “il palazzo” che governa la città. La seconda è la civiltà egiziana con “lo stato” a struttura piramidale. La terza è la civiltà minoico-micenea quando “la sovranità” incomincia essere data al più capace e al più carismatico, ad Aiace piuttosto che ad Achille, ad Ettore piuttosto che a Paride.

     A Costabissara arrivava l’eco di queste civiltà perché nel II millennio a.C. alla foce del Po’, ad Adria, arrivavano le navi micenee a caricare il rame proveniente in parte dalla Val d’Astico e quei mercanti raccontavano della morte del giovane faraone Tutankamon (1340 a.C.) e della Guerra di Troia (1174-1184 a.C.).

 

La Pista dei Veneti è un’antica strada tortuosa, che attraversa tutto il Veneto dall’Adige al Piave, lungo le pendici dell’arco di colline che racchiudono a Nord la pianura veneta allora fitta di boschi e di paludi. Nel tempo il percorso venne  rettificato, fino ai giorni nostri, dando luogo alla così detta  Pedemontana. Nel 2003 il Gruppo Archeologico “Bissari” intraprese un “Progetto Pista dei Veneti” allo scopo di individuarne il tracciato originario da Costabissara allo sbocco della Valle dell’Astico. Fu quindi allestita una mostra presso la pieve di S.Giorgio. La mostra fu poi richiesta in tutte le maggiori città della Provincia.

     La pista entra nel territorio di Costabissara dalla Via Bagnara provenendo da Creazzo e subito dopo, prima di iniziare Via Martiri della Libertà, gira a sinistra abbandonando la strada asfaltata per la “Strada Vicinale sotto il Monte della Pila”, ora quasi scomparsa. Imbocca quindi, sempre girando ai piedi delle colline, Via San Valentino. Prosegue per Via Roma, per poi salire lungo Via Sant’Antonio, alla fine della quale la pista gira a sinistra attorno al castello e, percorrendo il sentiero della Tornassa, arriva a S.Zeno. Lungo Via Palazzetto, raggiunge infine Località Pilastro.

    Interessante notare come la pista lungo via Sant’Antonio tagliasse a metà le proprietà dei conti Bissari. Ma questi non poterono mai eliminare il problema data l’importanza della via di transito.

    La Pista dei Veneti sorse ed ebbe grande rilevanza durante l’ Età del Ferro, cioè nel primo millennio a.C. quando si formarono in Europa i vari popoli. Si sviluppò allora la civiltà dei Veneti e attorno si svilupparono quelle degli Etruschi, dei Reti, dei Celti, degli Illiri. Il senso di appartenenza ad una stessa etnia veneta era dato dalla lingua comune e da una stessa credenza religiosa, quella che si riferiva alla grande madre, la dea Reitia.

     Gli scambi commerciali fra le popolazioni emergenti si intensificarono e la Pista dei Veneti assunse un fondamentale ruolo di intermediazione fra le due aree produttive complementari del Mediterraneo e dell’Europa Centrale. Sulla via transitava in particolare l’ambra proveniente dal Baltico. Dal canto loro i Veneti si imposero per l’allevamento ed il commercio dei cavalli.

     Ma non poteva mancare il commercio del ferro il nuovo metallo da tutti ricercato sia per costruire utensili da lavoro che spade per combattere. A Costabissara, sul colle delle Pignare, alla cui base scorreva la Pista dei Veneti, nella recente estate 2012, sono state trovate due aree con una grande quantità di scorie di fusione del ferro.

     Gli abitanti di Costabissara nel 181 a.C. assistettero con tutta probabilità al passaggio lungo la Pista dei Veneti dell’esercito romano proveniente da Genova e diretto nella pianura friulana per allontanare una colonia di Celti che vi si era installata. Sul posto i Romani fondarono Aquileia. Successivamente nel 148 a.C. costruirono la Via Postumia iniziando la romanizzazione del Veneto.

     Così Costabissara entrò con tutto il Veneto nell’ambito delle grandi civiltà mediterranee ed in particolare di quella romana. La sua fisionomia economica e sociale si trasformò completamente. La sua popolazione, che a poco a poco si spostò dal colle Le Pignare ai piedi della collina, passò in poco tempo da appena 50 individui a 160 circa.

 

Le risorgive di Motta,  in località Villaraspa,  sono  la fonte di  una  grande quantità d’ acqua che sgorga dall’enorme serbatoio naturale, che si trova sotto tutta la pianura dell’alto vicentino. Le risorgive, di grande valore ambientale, alimentano l’elegante corso d’acqua del Lattizzon.

     A questa fonte attinsero gli antichi Romani  per portare con un imponente acquedotto l’acqua necessaria alla città di Vicenza. I resti del monumentale acquedotto lungo 6500 metri sono ben visibili in località Lobbia, dove si possono ancora ammirare  cinque arcate a tutto sesto e venticinque pilastri. Anche nel territorio di Motta esistono resti dell’acquedotto, ora però sepolti o inglobati in varie strutture.

     Questa colossale opera d’ingegneria, che un tempo brillava al sole perché ricoperta da blocchetti di calcare, fu progettata nei primi anni del I° secolo sotto il grande imperatore Cesare Augusto. Allora la città di Vicenza stava trasformandosi da poco più di un villaggio con case in legno, in un importante municipium con un grande foro dove facevano bella mostra un grande tempio, un teatro, le terme, nonché eleganti ville e case decorose. Questa rivoluzionaria trasformazione sociale coinvolse tutto il Veneto a partire dal 148 a.C. quando, senza alcun intervento militare, i Romani costruirono la Via Postumia, che partiva da Genova, passava per Verona, Vicenza e Treviso e finiva ad Aquileia.

     I Romani più che grandi guerrieri erano grandi ingegneri. Più che con le legioni, conquistarono il mondo con le grandi opere, con le grandi infrastrutture delle quali beneficiavano tutte le popolazioni. Nel 49 a.C. Roma concesse la cittadinanza romana a Vicenza e alle altre città del Veneto.

     Naturalmente Costabissara seguì le sorti di Vicenza, come tutto l’ampio territorio della Provincia, ed il piccolo villaggio di appena un centinaio di abitanti fu favorevolmente coinvolto in questo grande cambiamento sociale. Fra l’altro fu proprio la costruzione dell’acquedotto romano a dare origine al centro di Motta fino ad allora semplice dosso alluvionale paludoso e soggetto a frequenti alluvioni. La zona delle risorgive fu bonificata per installarvi il “caput acquae”, un serbatoio di captazione delle acque da cui far partire l’acquedotto, e di conseguenza si insediarono sul posto un certo numero di addetti al controllo ed alla manutenzione del tutto.

 

Le fondamenta di una grande “villa rustica” romana sono state scoperte nel 1970 dal Gruppo Archeologico “Bissari” all’incrocio fra via Mascagni e via Carducci. Una parte di questa vasta area è stata salvata facendone un parco alberato. Il sito è ben segnalato e testimoniato da un rocco di colonna e da una stele in trachite. Le fondamenta delle mura sono state interrate per una migliore conservazione.

     La villa rustica aveva la funzione di fattoria per la coltivazione dei campi e per l’allevamento degli animali ma anche per la produzione industriale (tessuti, ceramica, attrezzi di lavoro, carri). Si trattava quindi di una vera fabbrica (fabrega). La villa era gestita dal “villicus” e abitata dalla sua famiglia e da molti schiavi. Il padrone viveva normalmente in città nella “villa urbana”. Non è detto che fosse un romano. Poteva essere un ricco veneto. Dal 49 a.C. i Veneti erano cittadini romani a tutti gli effetti.

     Dai reperti rinvenuti emerge che la villa fu abitata dal I al VI secolo, che corrisponde a tutto il periodo imperiale di Roma. Fu un lungo periodo caratterizzato anzitutto dalla “pax romana”. Le guerre si combattevano solo ai confini dell’Impero. Quindi un periodo di continuo progresso e di benessere.

     C’erano dei momenti di crisi ma sempre superati dall’intervento di imperatori “illuminati”, che all’occorrenza mettevano in atto riforme radicali. Ricordiamo fra questi Traiano (98-117), Settimio Severo (193-211), Costantino (306-337), Teodosio (379-395), Giustiniano (527-565).

     La villa rustica di via Mascagni, è un simbolo di questo periodo particolarmente felice. Altre di queste ville sono state scoperte lungo tutto il percorso pedemontano che porta da Costabissara a Bassano. Questo a seguito di estese bonifiche su tutto il territorio vicentino ed a seguito di importanti infrastrutture come la “strada regia” che portava, e porta tuttora, da Vicenza a Schio oppure la strada “trozo Maran” che da Vicenza correva lungo l’acquedotto di Motta per poi puntare su Santorso o meglio sul Monte Summano, sulla cui cima c’era un luogo di culto.

     Con la romanizzazione del nostro territorio si passa in sostanza da una civiltà, quella dei Veneti Antichi, basata su agglomerati cittadini indipendenti fra loro, ad una complessa struttura statale con istituzioni per la sicurezza sociale, una magistratura per la giustizia, organi statali per le necessarie infrastrutture (acquedotti, strade, bonifiche, luoghi di culto, teatri). Le abitazioni stesse sono ora in muratura con tetti coperti da tegole, in luogo di capanne in legno con tetti di paglia.

       Da ultimo ricordiamo che, fra gli oggetti ritrovati durante gli scavi della villa, c’è la preziosa statuetta in bronzo del dio egiziano Annubi. Quando Cesare conquistò l’Egitto organizzò poi un memorabile trionfo a Roma con la presenza di Cleopatra e dei suoi dignitari. Divenne allora di moda in Italia la cultura e la religione egiziana. Qualcuno della “familia rustica” di Costa fu attratto dalla figura del dio egizio degli inferi Annubi con la testa canina.

Il dosso collinare dove sorge la chiesa di S. Giorgio è il luogo di riferimento per tutta la storia di Costabissara. La prima popolazione accertata, che abitò Costabissara nell’età del Bronzo e del Ferro, viveva nei pressi di quello spiazzo, che fu  frequentato anche nel periodo romano. I primi cristiani poi lo confermarono luogo sacro e vi edificarono la prima chiesa della comunità, forse subito dopo la costruzione della chiesa di San Felice e Fortunato a Vicenza. Alla fine del VI secolo arrivano i Longobardi e le danno il nome di “Chiesa di San Giorgio”.

       Quell’ antica pieve, della quale si ha notizia a partire dal 1186, fu riedificata nel 1456. Si mantenne l’originario orientamento est-ovest, le strutture altomedievali con pronao, il tetto a capanna e l’abside in cotto. La chiesa patì restauri successivi, ed  in particolare quello del 1859 con l’aggiunta degli attuali portali, rosoni e pinnacoli di imitazione gotica.

       Rimase chiesa parrocchiale di Costabissara fino al 1920 quando fu edificata la nuova chiesa di San Giorgio in pianura. Nel 2005 fu restaurata ma l’abbondante intonaco esterno le ha tolto molto del calore che le dava il precedente sasso a vista.

       In ogni caso la sua posizione e le sue strutture essenziali suscitano spontaneamente un reverente ricordo delle nostre prime origini cristiane. Nel 380 Teodosio aveva proclamato il cristianesimo religione ufficiale dell’ impero e sicuramente anche gli abitanti di Costabissara di allora furono attratti da questo grande evento. Il primo e più vicino loro riferimento per partecipare al nuovo culto fu la basilica di San Felice e Fortunato, cui abbiamo accennato.

       La prima basilica di San Felice e Fortunato, a lato della via Postumia in ambito cimiteriale, fu eretta quando nel 381 le reliquie di San Felice furono traslate da Aquileia a Vicenza. La basilica fu poi ampliata nel V secolo nelle forme attuali facendone uno dei più maestosi monumenti sacri del cristianesimo delle origini. Negli stessi anni sorse in centro a Vicenza il Duomo.

       Furono anni di grande fervore religioso e soprattutto di grandi cambiamenti sociali. I nuovi grandi concetti predicati dal Cristianesimo, la dignità dell’uomo, la carità verso gli altri, il senso dell’uguaglianza perché tutti figli di Dio, trasformarono su altre basi i rapporti fra gli uomini.

La chiesa di San Zeno, in bella posizione panoramica a ridosso della località San Zeno, ha una storia difficile da ricostruire, in quanto non abbiamo testimonianze scritte sulle sue origini. I pochi documenti scritti rinvenuti (il più antico è del 1427) ci dicono che nei secoli passati la chiesetta fungeva da romitorio a dei frati francescani, i quali vi officiavano delle messe, soprattutto per le rogatorie del 25 aprile, per il buon esito delle semine. A memoria d’uomo poi sappiamo che la chiesetta, fino agli anni millenovecentocinquanta e da quasi un secolo, era “occupata da due famiglie che vivono in due locali con sovrastante granaio e un corpo di fabbrica, proseguimento dell’annessa sacrestia” (L’Avvenire d’Italia, 28.9.1940).

     Abbandonata a se stessa, subito dopo la chiesetta crollò. Fortunatamente intervenne nel 1970 il Gruppo Archeologico “Bissari”, allora già attivo, ripristinandone il tetto e salvandola da un completo degrado. Fu messo in salvo anche un antico affresco con la figura di un Santo, forse proprio San Zeno. Attualmente il Comune di Costabissara è intervenuto ad acquisire la chiesetta, a restaurarla ed a ripristinarne l’affresco.

     Con il primo restauro, il Gruppo Archeologico “Bissari” ebbe l’accortezza di esaminarne nei dettagli tutti gli elementi costruttivi, perché potessero dirci qualcosa sulle origini della stessa. Venne pubblicata una relazione esaustiva, ripresa nella rivista “Vicenza” del gennaio 1980. A conclusione della ricerca si dice: “L’arco del portale d’ingresso della chiesa, a tutto sesto, la razionale e pur complessa struttura della finestrella absidale, la profondità dell’aula e la voluta anti monumentalità dell’abside ad arco ribassato e la stessa pulizia e regolarità delle pietre dell’abside, possono far supporre la tardo romanità della costruzione originale. Tale antichità viene convalidata anche dai frammenti di embrici e dai mattoni di fattura romana ovunque visibili, dal frammento ornamentale a forma di foglia di quercia, rado ma marcato, da un pezzo di lesena dipinto di rosso e dai mattoni d’imposta dell’arco medesimo. Tutto, insomma, la definisce come una testimonianza storica e di costume del mudus aedificandi romano nei nuclei di provincia, seppure filtrato poi attraverso i secoli da altre culture. La tardo romanità di San Zeno si identifica perciò tra il VI e l’VIII secolo d.C., riscattando questo oratorio, così umile, dignitoso, e nello stesso tempo così potente nei suoi valori di equilibrio e ponendolo tra le chiese del vicentino paleocristiano”.

     Ad avvalorare la tesi esposta noi aggiungiamo l’analogia delle tombe scavate nella roccia con quelle di San Cassiano nei Berici, datate VI secolo. Storicamente poi si sa che quei secoli erano caratterizzati da una grande fede religiosa, che si manifestava nel monachesimo ed in particolare, nel vicentino, nel culto di San Zeno, grande vescovo africano di Verona. Sono secoli poi nei quali cambiano le istituzioni sociali. Decadono le strutture amministrative romane fondate sul latifondo. Il popolo, illuminato dalla fede, si aggrega nei villaggi attorno alle chiese e prende coscienza della propria identità e dignità. E così anche a Costa Fabrega.

Antonio Calgaro