Archeologia a Costabissara.
5) IL PERIODO ALTOMEDIOEVALE
Sommario:
a) I secoli bui delle invasioni barbariche.
b) L'inizio del feudalesimo e l'incastellamento.
c) La diffusione del Cristianesimo e le prime chiese.
a) I secoli bui delle invasioni barbariche.
Anche nel vicentino i secoli che seguono la caduta dell'impero romano sono bui; il riferimento non è alla gravità della decadenza, quanto all' estrema povertà di documentazione. Anche qui per riempire il vuoto esistente si ricorre a qualche nozione di carattere generale .
Nel periodo di Odoacre, che aveva deposto l'ultimo imperatore romano nel 476, e durante la prima parte del regno di Teodorico, che aveva condotto gli Ostrogoti in Italia, il territorio della penisola viene difeso da nuove invasioni barbariche, assicurando un periodo di pace e di convivenza, sia pure non facile, tra i due popoli. Nella seconda parte del regno la conflittualità si accentua e scoppia una guerra tra goti e bizantini, con tragiche conseguenze per gli abitanti della penisola: la triade apocalittica - la guerra, la fame e la peste - miete vittime anche nel vicentino. La riconquista da parte dell'Impero d'Oriente nel 553 non porta a miglioramenti nella condizione popolare per l'esosità fiscale degli amministratori bizantini. Dal punto di vista politico è importante la decisione di Giustiniano di affidare importanti funzioni amministrative ai vescovi; in tal modo si riconosce uno stato di fatto, che vede nelle chiese episcopali (prima tra tutte quella papale) e nei monasteri i nuovi centri del potere, oltre che religioso, anche culturale, economico e quindi politico.
In tale contesto, nel 568 i Longobardi di Alboino entrano e conquistano l'Italia; quasi certamente seguendo la via Postumia, giungono dalle nostre parti da Treviso ed occupano Vicenza, togliendola ai Bizantini, che si ritirano e si concentrano a Padova. Non sono attestati episodi particolarmente cruenti o distruzioni saccheggiatrici, ma dev'essere intervenuto un qualche accordo di convivenza con le autorità religiose e politiche. Tuttavia l'evento non può che essere traumatico per la popolazione: un esercito barbaro e potente s'impossessa del territorio, impone nuovi comandanti e tutto lascia presagire profondi mutamenti negli usi, nei costumi, nella religione, nelle leggi; la città è nelle mani del duca e del gastaldo e la periferia è divisa in corti con nuovi insediamenti ad un tempo civili e militari; la separazione etnica è rigida e l'elemento romano, al principio, non può che essere di fatto sottomesso.
Col tempo la convivenza tra longobardi e romani migliora, soprattutto per l'introduzione di leggi più vicine al diritto romano e per la, sia pur contrastata, conversione al cattolicesimo dei longobardi; la progressiva integrazione tra i due popoli è alla fine inevitabile. Tuttavia, la politica di avvicinamento alla chiesa di Roma (vi rientra la donazione di Sutri del 728) non è sufficiente ad evitare la chiamata in Italia dei Franchi da parte del papa (che teme l'accerchiamento longobardo dei ducati del Nord e del Sud). Nel 774 Carlo Magno pone fine al dominio longobardo.
L'impero carolingio dura solo pochi decenni (fino all'887) e rimane incompiuto il suo tentativo di costruire un impero universale, fondato sulla fusione di romanità, germanesimo e cristianità. Nel Vicentino il subentro dei Franchi segna probabilmente un trauma, ma poi la sostituzione del potere comitale a quello ducale si rivela per la popolazione un evento dove gli aspetti di continuità mostrano la prevalenza.
b) L'inizio del feudalesimo e l'incastellamento.
Il IX e il X secolo vedono un periodo di disgregazione del potere centrale e la conseguente formazione del sistema feudale italiano. I conti, funzionari pubblici dell'imperatore, perdono gradatamente il loro potere a favore delle famiglie locali più potenti e delle autorità religiose, vescovi ed abati, che acquisiscono diritti, proprietà ed autonomia.
L'autorità regia (da Berengario I del Friuli a Ottone I di Sassonia) si afferma dalla cruenta conflittualità tra grandi feudatari. Come accennato, un aspetto fondamentale di questo complesso e confuso fenomeno sta nella politica regia o imperiale tesa ad acquisire alleati, concedendo ai propri seguaci, ed in particolare ai vescovi conti (che non offrivano preoccupazioni successorie), importanti diritti fiscali o di giurisdizione o di proprietà curtense; tra queste concessioni vi è il diritto di erigere fortificazioni, gradite anche alla popolazione come difesa dalle improvvise, devastanti e ripetute incursioni unghere.
I primi incastellamenti sono semplici torrazzi e recinti di palizzate, luoghi di rifugio temporaneo di uomini e bestie, posti in posizione atta alla difesa; in breve si arricchiscono di opere murarie e di difesa sempre più efficaci, fino a cingere le città ed i villaggi pievani od a costruire i possenti castelli signorili.
Il territorio di Costabissara non sfugge a questo processo generalizzato. Il libro dei feudi cita un castello d'investitura vescovile sul colle di San Zeno, detto "mons castri". Oggi sono visibili solo alcuni resti delle mura e si ricorda il nome di "Donna Berta" che gli è misteriosamente attribuito. Nel 1813 il Maccà così lo descrive: "Di esso esiste un pezzo della sua muraglia di tale altezza, che mirasi anche in lontananza. Essa è grossa tre piedi, ed è formata con pietre rozzamente quadrate a somiglianza delle mura antiche della città di Vicenza; e si mirano anche nella stessa muraglia come nelle dette mura di Vicenza alcuni forami rotondi."
Le fonti citano due altri castelli. Seguiamo il Dalla Cà, che scrive all'inizio del 1900: "Il secondo castello prendeva il nome di Pizamerlo dal nome stesso del colle sopra il quale sorgeva, ed esisteva poco lungi dal primo sopra una collina più alta, a Sud-Est fra la chiesa Parrocchiale di S. Giorgio, e quella di S. Zenone. Di questo non rimane in tale località alcuna traccia che possa dare una benché minima e lontana idea dell'antica sua esistenza. Il terzo, a differenza degli altri due sunnominati, trovavasi pure in collina, ma presso il luogo borgato."
Quest'ultimo castello fu distrutto da Ezzelino III, ma venne poi ricostruito dai Bissari, divenuti feudatari nel 1285; successivamente sono intervenuti vari ampliamenti e trasformazioni, fino all'ultima sistemazione ottocentesca in romantico stile neogotico. Ci si riferisce al castello Bissari-Sforza-Colleoni (poi De Buzzaccarini), nel quale ancora oggi vi sono dei richiami al primo castello bissaro: quattro eleganti finestre gotiche originali abbelliscono il piano superiore del prospetto Nord ed all'angolo Nord-Est lo spessore e la fattura della muratura sembrano la base dell'antico torrione. Si ritiene probabile, attorno al X secolo, un incastellamento, cioè la costruzione di un muro fortificato comprendente oltre alla torre la chiesa di San Giorgio, l'intero declivio e l'attuale villa San Carlo.
c) La diffusione del Cristianesimo e le prime chiese.
Fino al V secolo d.C. sono riscontrate sopravvivenze di culti della paganità; l'introduzione del cristianesimo nel Veneto avviene tra il III e la metà del IV secolo d.C., a partire dai centri maggiori e primariamente da Aquileia e lungo le principali vie di transito; successivamente la nuova religione si irradia gradualmente verso tutte le zone periferiche. La prima comunità cristiana di Vicenza ben presto si presenta caratterizzata da fervore e da prosperità e sono molti i benefattori che decidono di finanziare basiliche, cappelle e sacelli.
La tesi prevalente vede Vicenza dipendere dalla diocesi di Padova fino al VI secolo e diventare sede vescovile dal 589/591 col primo vescovo Oronzio, che aderisce allo scisma antipapale dei Tre Capitoli promosso dal patriarca di Aquileia. Nel 568 il territorio di Vicenza è invaso dai Longobardi, che restano a dominarlo per due secoli finendo col fondersi con la popolazione locale. Portano, come in precedenza gli Ostrogoti, il Cristianesimo ariano, assai diverso da quello teologico del IV secolo: è un cristianesimo adattato allo spirito semplice e bellicoso dei barbari paganeggianti, sfruttato abilmente dal re Alboino per unificare in chiave nazionale varie tribù germaniche; San Michele arcangelo, con la spada sguainata e lo sguardo truce, ne è il simbolo principale.
La conflittualità tra la chiesa ariana e quella cattolica (a sua volta divisa tra romana e scismatica) corrisponde alla profonda diversità culturale dei due popoli, ma i Longobardi assicurano una convivenza sostanzialmente pacifica; anche gli edifici religiosi riflettono il dualismo tra esuberanza barbara e semplicità classica. Dopo alterne vicende si giunge nel 698 all'adesione di tutto il popolo longobardo al cattolicesimo ed alla contemporanea fine dello scisma aquileiese; all'insegna del cavaliere vittorioso San Giorgio, la chiesa cattolica riprende unita la propria espansione, supportata vigorosamente dal potere politico anche nella successiva dominazione carolingia (nel 774 è la completa sottomissione dei Longobardi ai Franchi di Carlo Magno).
Nel territorio di Costabissara è probabile che la primitiva chiesetta di San Giorgio sul colle, che poi diventerà parrocchiale, trovi la propria origine in quei momenti, a servizio di una fara (comunità parentale armata) longobarda. Risale a quel periodo anche la chiesetta oltre l'Orolo di Santa Maria in Favrega; si conosce la data di fondazione, che risale al 752, ma l'attuale non conserva che qualche traccia medioevale più recente; era dipendente dal potente monastero di Nonantola nel Modenese, al cui fondatore, S. Anselmo, vennero donate terre vicentine dal figlio del duca longobardo del Friuli Vettari, pure di origine vicentina. Al di qua dell'Orolo, in località "campi San Pieri" (via Piave) dalle arature sono emerse tracce di un'altra chiesetta risalente a quei periodi e loro contemporanea doveva essere un'altra cappella, alla quale si attribuiscono alcune fondazioni trovate nell'aia e nella vigna di una casa cinquecentesca dietro villa San Carlo. Ma il maggior interesse archeologico è oggi per la chiesetta di San Zeno, costruita in epoca longobarda o carolingia, situata su un declivio a nord est di quella di San Giorgio.
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La chiesetta di San Zeno, dedicata al vescovo africano di Verona Zenone, vissuto nel IV secolo, è posta sulle pendici dell'omonimo colle, in posizione dominante sulla pianura; probabilmente era in relazione col sovrastante castello, citato come vescovile nel libro dei feudi. Il Maccà nel 1813 localizza la chiesa sotto la cerchia dei resti delle mura del castello e la descrive come povero romitorio di un frate. |
La fondazione della chiesa risale forse già ai secoli VII-VIII ed è tra le più antiche cappelle protocristiane del vicentino; mentre altre chiese coeve risentono dell'influsso longobardo (cristianesimo ariano), quella di San Zeno meglio rappresenta la continuità con la tardo romanità (cristianesimo cattolico); infatti, sia l'impianto che alcuni elementi originali (come l'arco del portale e la finestrella absidale) sono semplici, equilibrati nelle proporzioni ed eleganti. Numerosi sono gli interventi successivi: di ampliamento in larghezza ed in altezza, di costruzione di divisori e di ricostruzioni delle strutture; sono via via sempre più rozzi ed orientati a criteri di modesta funzionalità abitativa.
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E' costituita da un'unica navata, che costituisce il corpo di fabbrica originario lungo m. 12,70 e largo m. 5,20; l'abside, rivolta ad oriente, ha un raggio di m. 2,15. In adiacenza, successivamente, è stato costruito un altro corpo con finalità probabili di sacrestia o romitorio; di quest'ultimo rimangono solo le fondazioni, ora interrate, ed una piccola parte di elevato. |
Le parti murarie che più conservano l'assetto originario sono il muro di facciata, con un arco a tutto sesto di impronta romana, e la parte absidale ad arco ribassato, classica ed antimonumentale; caratteristici sono il pavimento e lo zoccolo interno, che corre lungo le pareti laterali con funzione di sedile, ricavati direttamente dalla roccia del monte. Sul pavimento sono scavate tre tombe. Ovunque si rintracciano mattoni ed embrici di fattura romana.
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Facciata prima e dopo il parziale ripristino
(si è
abbattuta la parte superiore non originale, adibita a granaio; fino
all'ultima guerra vi abitavano due famiglie di contadini).
La copertura originaria doveva essere a capriate semplici, ma non ne resta nessuna traccia; sono però numerosi gli embrici di fattura romana.
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Fianco
prima e dopo il parziale ripristino;
a questa parete era addossata la parte ampliata, adibita a sacrestia o romitorio sono diversi i mattoni romani utilizzati o riutilizzati
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Il muro
esterno dell'abside; l'edera copre la classica finestrella; assieme
all'arco d'ingresso rappresentano gli elementi originari della costruzione
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Due delle tre tombe scavate sul pavimento, costituito dalla nuda roccia. Ossa umane trovate attorno alla chiesa denunciano un uso cimiteriale. Parte del sedile corrente lungo i lati della navata. |
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Frammenti di plutei, a
probabile chiusura dell'altare, con eleganti decorazioni con occhielli ad
ogiva annodati e combinati con diagonali incrociate.
Frammenti di architrave di "pergula", in pietra di Vicenza, con decori superiori a "cani correnti" ed inferiori a treccia biviminea; risentono dell'influsso bizantino. |
Affresco di
Angelo: è l'unico trovato al momento del recupero; si è operato lo
strappo dal muro per la sua salvaguardia.
In una visita arcipretale del 1639 l'altare, probabilmente spostato rispetto alla posizione originaria, si presentava "decentemente ornato da pitture raffiguranti la Vergine, S. Zenone e S. Francesco". In quell'epoca l'oratorio veniva ufficiato in rare occasioni (principalmente in occasione della festa dell'Immacolata), portando dalla parrocchiale gli arredi sacri a cura della popolazione; una visita vescovile del 1768 constatava la presenza di un frate francescano eremita, che conservava mele cotogne sull'altare, uova, frumento, camicie ed altro a suo uso sul pavimento. Si cita anche un campanile con una campanella benedetta pendente. |
Secondo l'ipotesi di Attilio Previtali l' impianto originario della chiesa di San Giorgio è longobardo, dovendosi risalire al periodo seguito alla vittoria del re cattolico Cuniperto sull'ariano Alachis (688-700). Si è già citata l'ipotesi di un incastellamento di tutta l'area, suffragato da alcune tracce di muratura, ma di questo e della chiesa di San Giorgio primitiva non esistono resti archeologici tali da assicurare una seria datazione. L'orientamento è comunque quello classico delle prime chiese, con la facciata ad occidente e l'abside ad oriente; le pareti che si incontrano con un angolo di 82° simboleggerebbero l'inclinazione del capo di Cristo crocefisso.
Le fonti scritte rimandano comunque a tempi assai antichi. Un primo documento scritto è del 1186; si tratta della conferma papale del privilegio di decima sulle culture concesso dal vescovo di Vicenza Pistore ai Canonici (a reiterazione di quanto concesso subito dopo il 1000 dal vescovo Girolamo), nella quale si cita la chiesa parrocchiale di Costa Fabbrica. Quanto accaduto successivamente è interessante, ma va oltre l'ambito della presente ricerca.
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rilievo Ceccon,
Lovato, Menin, Traverso anno
accademico 1988-89; Istituto Universitario di Architettura di Venezia
(degli stessi Autori il prospetto della facciata) |
La Chiesa attuale è frutto di una ricostruzione, attorno alla metà del 1400 in periodo veneziano, ad opera dei Bissari, alla cui giurisdizione familiare il Vicariato di San Giorgio apparteneva. L'aspetto attuale dipende soprattutto dal restauro operato nel 1859, che ha conferito un aspetto neogotico. Nel 1868 si è abbattuto il campanile di mattoni a cipolla e si è costruito quello oggi esistente. |
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