Michele
Giannantonio
Comunicazione
presentata all'XI Congresso Nazionale SITCC: Psicoterapia e
Scienze Cognitive. La realtà clinica tra procedure,
dialogo terapeutico e ricerca scientifica, Bologna, 19-22 settembre
2002
Interventi
riparativi e generativi nelle patologie gravi dell'attaccamento
e nel Disturbo Post-traumatico da Stress: EMDR e psicoterapia
ipnotica
L'attenzione
crescente nei confronti del Disturbo Post-traumatico da Stress (PTSD)
verificatasi negli ultimi anni ha portato allo sviluppo di strategie
di intervento efficaci, come l'Eye Movement Desensitization and Reprocessing,
ma anche alla riscoperta ed al perfezionamento della più antica
delle psicoterapie, la psicoterapia ipnotica. Allo stesso tempo, però,
eventuali toni eccessivamente entusiastici circa l'efficacia di questi
come di altri approcci devono essere ridimensionati se il campo di
applicazione al quale si fa riferimento diventa quello dei disturbi
post-traumatici in senso lato, essendo il PTSD solo una sua modalità espressiva,
sebbene la più studiata e maggiormente sistematizzata (Briere,
1997). Ragionare in termini di singoli eventi traumatici che comportano
lo sviluppo di una psicopatologia ben delimitabile, misurabile e chiaramente
evidenziabile, impostazione riscontrabile non di rado nella letteratura
sul PTSD, rappresenta una seria limitazione concettuale, che comporta
anche importanti implicazioni metodologiche a livello di intervento
psicoterapico. Se in alcuni casi un intervento focalizzato su un trauma
costituisce effettivamente un approccio "riparativo" che
aiuta una persona alla ripresa di un naturale ed autonomo processo
di crescita, ben diversa è però la situazione quando
non si ha a che fare con traumi diffusi, prolungati nel tempo e con
la patologie delle cure (incuria, discuria, abusi di differente tipo).
A tali condizioni si associano, con relativa frequenza, patologie variegate
(in alcuni casi più gravi del PTSD), come i Disturbi Dissociativi
(Briere, 1997), il Disturbo Post-traumatico Complesso (Herman, 1992),
gravi Disturbi di Personalità (Levitt, Marè Pinnel, 1995;
Zelikovsky, Lynn, 1994), ed in generale la creazione di modelli operativi
interni disfunzionali o scissi (Liotti, 1994), condizione che in modo
rilevante caratterizza trasversalmente la sostanza della psicopatologia.
Una tale complessità psicopatologica richiede interventi non
più riparativi, bensì "generativi", e cioè che
intendano produrre molto di più di una "asportazione chirurgica" di
un trauma. Da un certo punto di vista, in alcuni casi si tratta decisamente
del ribaltamento di dignità attribuita dalla distinzione freudiana
tra "l'arte del porre e quella del levare", poiché il
levare non necessariamente è sufficiente a curare la sostanza
del malessere e a garantire un ristabilimento omeostatico, senza contare
che un semplice levare a volte non è neppure possibile se non
dopo un lungo lavoro terapeutico preliminare. Nei gravi disturbi post-traumatici
e nelle gravi patologie dell'attaccamento la partita più delicata
sarà relativa invece ad un "porre" che possa aiutare
non tanto a desensibilizzarsi nei confronti di specifici eventi traumatici,
quanto piuttosto alla ripresa dello sviluppo del sistema motivazionale
dell'attaccamento, alla integrazione di modelli operativi interni frammentati
o gravemente disfunzionali, ed alla integrazione del Sé in senso
lato (Wilson, Friedman, Lindy, 2001).
La ricerca attuale relativa alla relazione tra traumi e psicoterapia,
però, è in
gran parte orientata alla valutazione dell'efficacia di differenti approcci
nel trattamento nel PTSD. Ciò comporta inevitabili circoscrizioni
dei campioni dei soggetti, causando spesso l'eliminazione della gran parte
della comorbilità molto frequentemente associata al PTSD (per una
rassegna nell'ambito dell'EMDR: Giannantonio, 2001), comorbilità che
nella maggior parte delle ricerche supera abbondamentemente il 50% dei casi,
spingendosi sino al 92% (Davidson et al., 1991; Kessler et al., 1999; Kulka
e coll., 1990; Shore et al., 1989). Ne deriva che abbiamo a disposizione
una mole notevole di ricerche che dimostrano l'efficacia di specifici interventi
psicoterapici, ma solamente in relazione ad una modalità espressiva
dei disturbi post-traumatici decisamente ristretta.
Una seconda limitazione dei dati in nostro possesso deriva dalla considerazione
che il DSM-IV (American Psychiatric Association, 1994) riserva la specificità del
concetto di traumaticità solamente ad una determinata classe di eventi
(criterio A1), escludendone altri che peraltro sono frequentemente fonte
non solo di sofferenza (Carlson, Dalemberg, 2000), ma anche di una fenomenologia
psicopatologica ampiamente sovrapponibile al PTSD. Un esempio tra i tanti
può essere l'abuso psicologico vissuto in età infantile da
parte dei proprio genitori.
Un'ultima e decisiva limitazione alla generalizzabilità delle nostre
conoscenze sull'efficacia delle psicoterapie nel trattamento del PTSD, generalizzabilità che
muoverebbe dal PTSD stesso verso l'intero spettro dei disturbi post-traumatici, è rappresentata
dal fatto che per diversi anni si è data probabilmente una importanza
eccessiva alle caratteristiche oggettive degli eventi traumatici e che il
concetto stesso di PTSD sta lentamente cambiando. Mentre nel DSM III-R (American
Psychiatric Association, 1987) gli eventi devono presentare la caratteristica
dell'eccezionalità, nel DSM IV trovano posto nell'algoritmo decisionale
del PTSD anche le reazioni soggettive della persona, che devono includere
paura intensa, orrore, impotenza (criterio A2). L'importanza della grandezza
oggettiva degli eventi traumatici si sta ulteriormente ridimensionando attraverso
la continua raccolta di ricerche ed informazioni relative all'esistenza di
importanti fattori di rischio per il PTSD, di natura psicologica, neurologica,
genetica, interpersonale (per una rassegna: Yehuda, 1999).
Da tali osservazioni si sta consolidando una nuova immagine dei disturbi
post-traumatici, da intendersi come patologie estremamente variegate, solo
in parte facilmente codificabili, sostanzialmente trasversali a buona parte
della psicopatologia, e altamente determinati da variabili complesse, solo
in parte comprese adeguatamente (Briere, 1997; Wilson, Friedman, Lindy, 2001).
Nonostante ciò, in parte rilevante della ricerca sull'efficacia della
psicoterapia nel PTSD aleggia la tacita convinzione che la "bontà" di
una psicoterapia nel trattare il PTSD sia generalizzabile ai disturbi post-traumatici
tout court, e tale efficacia viene quasi sempre misurata come esito del trattamento
di un singolo evento traumatico o di un assemblaggio di eventi affini. Oltre
a ciò, abitualmente l'efficacia degli interventi viene effettuata
essenzialmente attraverso strumenti testistici miranti alla valutazione dei
sintomi di evitamento, intrusione ed iperarousal, ma secondo alcuni autorevoli
autori tali sintomi non esaurirebbero assolutamente il nucleo sintomatologico
del PTSD, lasciando invece scoperte le aree attinenti l'attaccamento, le
strategie interpersonali e la strutturazione del Sé (Wilson, Friedman,
Lindy, 2001).
In definitiva,
nonostante la psicoterapia ipnotica e l'EMDR (ma certamente non solo
queste metodiche) risultino efficaci nel trattamento del PTSD (Foa,
Keane, Friedman, 2000), nondimeno tale efficacia deve essere valutata
all'interno delle considerazioni precedentemente fatte, e quindi eventualmente
sostenuta con opportuni distinguo metodologici e teoretici.
Se inserite all'interno di un progetto psicoterapeutico di ampio respiro,
complesso, polideterministico nella comprensione dei disturbi post-traumatici,
l'EMDR e la psicoterapia ipnotica possono essere strumenti di grande utilità per
il trattamento dei disturbi post-traumatici intesi complessivamente. La storia
stessa della psicoterapia ipnotica, innanzitutto, a cominciare interventi
pionieristici di Pierre Janet nei disturbi post-traumatici e dissociativi
(secondo le terminologie odierne), dalla riscoperta della psicoterapia ipnotica
per il trattamento delle cosiddette nevrosi traumatiche durante la Seconda
Guerra Mondiale, dimostra come un tale approccio si sia costituito e raffinato
innanzitutto per il trattamento di tali patologie (Ellemberger, 1970; Gauld,
1992). Per quanto riguarda l'EMDR, ha dimostrato una grande vitalità nel
sapersi plasmare ed arricchire attraverso i contributi sia tecnici che teoretici
provenienti da differenti tradizioni psicoterapiche (Shapiro, 1995, 2002),
dimostrandosi un ausilio potenzialmente molto prezioso anche nel trattamento
delle patologie più complesse. In particolare, l'implementazione di
strumenti e concetti provenienti della teoria dell'attaccamento (Leeds, 1998),
dalla psicoterapia ipnotica (Parnell, 1999; Shapiro, 2001) e della Terapia
degli Stati dell'Io (Watkins, Watkins, 1997), che a sua volta affonda le
sue radici più profonde in Janet (ibid.), sembrano renderla particolarmente
idonea al trattamento delle variegate manifestazioni di scissione o frammentazione
del Sé (Phillips, Frederick, 1995).
Queste due metodiche, di origine così lontana e apparentemente così differenti,
hanno però in comune alcuni elementi fondamentali, verosimilmente
alla base della loro efficacia nel trattamento di queste patologie:
· entrambe puntano al primato dell'efficacia piuttosto che a quello della
completezza logico-formale di un impianto teoretico, magari elegante e suggestivo,
ma non necessariamente efficace, adattando la terapia al paziente e non viceversa.
· Entrambe tendono all'impiego olistico delle risorse del paziente, razionali,
comportamentali, emotive, somatiche, interpersonali, presupponendo - fino a prova
contraria - che l'individuo possegga fin dall'inizio tutte le risorse necessarie
per il cambiamento. Sono entrambi approcci intrinsecamente psicosomatici e, come
tali, elettivi nella psicoterapia dei disturbi post-traumatici (van der Kolk,
1996).
· Entrambe sono particolarmente efficaci nell'intervento sulla memoria
procedurale, sulla memoria stato-dipendente e nell'integrazione fra i differenti
sistemi di memoria (Giannantonio, 2000b).
· Entrambe puntano all'integrazione degli stati di coscienza, dell'identità personale,
delle reti mnestiche, e delle psicoterapie in genere (Shapiro, 1995, 2001, 2002),
presupponendo anche una concezione intrinsecamente dissociativa della mente (Phillips,
Frederick, 1995).
· Sono molto efficaci nel ridurre l'iperassociazione e la dissociazione,
spesso presenti contemporaneamente come esito di molti traumi (van der Kolk et
al., 1997).
· Entrambe utilizzano dispositivi - la trance ipnotica da un lato, la
stimolazione bilaterale all'interno di un contesto di attenzione duale dall'altro
- che consentono una rielaborazione agevolata degli eventi traumatici, in chiave
primariamente ma non esclusivamente somatica, aiutando a bypassare ma anche a
modificare i meccanismi di esclusione selettiva delle informazioni (Bowlby, 1988)
che impediscono una fisiologica e spontanea rielaborazione degli eventi traumatici,
l'integrazione di essi nella rete delle informazioni e delle risorse esistenti,
l'integrazione delle parti scisse del Sé, la modificazione di modelli
operativi interni disfunzionali.
· Entrambe sono state plasmate da quella tradizione che da Pierre Janet
fino a Bessel van der Kolk (influenzato egli stesso da Janet) ha lavorato efficacemente
sui disturbi post-traumatici impiegando, implicitamente o esplicitamente, un
modello dissociativo della mente umana (Phillips, Frederick, 1995; Pennati, 1995).
· Entrambe consentono una vivida produzione virtuale di esperienze interpersonali
profondamente mutative atte ad integrare le precedenti esperienze di attaccamento
deficitarie o patologiche (Giannantonio, 2000a,b; Manfield, 1998; Parnell, 1999;
Wade, Wade, 2001
Quest'ultimo
punto è di importanza capitale, differenziando entrambi gli
approcci dalla quasi totalità delle abituali metodiche psicoterapeutiche.
Impiegando sia l'EMDR che la psicoterapia ipnotica si nota frequentemente
come - spontaneamente - i pazienti, durante la rielaborazione di un
trauma, alterino secondo modalità ecologiche l'andamento dei
fatti storici. In particolare, questo fenomeno è di grande importanza
quando riferito a specifici eventi che assurgono al ruolo di veri organizzatori
psichici oppure quando riferito a scene nucleari (Guidano, 1987) strettamente
connesse allo sviluppo del sistema comportamentale dell'attaccamento,
esito dell'assemblaggio cognitivo, emotivo e viscerale di situazioni
significative ripetute, prototipiche, solitamente non evitabili e non
intenzionali. In altre parole, è come se i pazienti si ritrovassero
ad avere una seconda possibilità per sperimentare relazioni
interpersonali che potrebbero consentire loro di sviluppare patterns
d'attaccamento più ecologici e meno scissi tra loro. È frequente
la comparsa spontanea di "parti" della persona provviste
delle capacità necessarie per affrontare le situazioni che allora
li hanno soverchiati o resi impotenti, ed anche l'intervento delle
stesse parti o di figure di attaccamento alternative nello svolgimento
di una funzione di accudimento riparatorio e generativo nei confronti
delle parti rimaste - metaforicamente - fuori dal tempo e perciò non
sincronicamente evolute con le parti più adattive. L'EMDR, anche
facendo esplicito riferimento alla Terapia degli Stati dell'Io della
tradizione ipnotica, negli ultimi anni sta implementando sistematicamente
queste strategie autocurative agite spontaneamente dai pazienti (Schmidt,
1998, 1999), organizzandole all'interno di un modello di intervento
che, come attraverso la psicoterapia ipnotica, consente una ripresa
- in senso stretto - dello sviluppo del sistema comportamentale dell'attaccamento,
ritornando esattamente nei momenti critici del suo sviluppo, desensibilizzandoli,
modificandoli, ed integrandoli con esperienze correttive e maturative,
il tutto all'interno di una realtà virtuale profondamente radicata
nella memoria procedurale e nel soma, anche attraverso interventi marcatamente
direttivi. Queste potenzialità rendono EMDR e psicoterapia ipnotica
in grado di affrontare disturbi post-traumatici diversi dal PTSD, ma
anche di occuparsi di aspetti del PTSD attualmente trascurati dalla
ricerca sull'efficacia delle psicoterapie, e non trattabili con approcci
che tendono essenzialmente alla desensibilizzazione o alla rielaborazione
meramente sverbale degli eventi traumatici.
Un tale approccio non può però assolutamente sostituire
la fondamentale funzione trasformativa della gestione della relazione
terapeutica
(innanzitutto l'obiettivo di rendere il setting terapeutico una base sicura;
Bowlby, 1988), ma solo integrarsi e potenziarsi con essa.
E questa sembra davvero essere una buona pratica del "porre".
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