Michele
Giannantonio
Eye Movement Desensitization and Reprocessing (E.M.D.R.) e psicoterapia
del Disturbo Post-Traumatico da Stress: considerazioni critiche e linee
di tendenza
Questo articolo è stato pubblicato sulla "Rivista di
psicoterapia Cognitiva e Comportamentale", 2001, 1: 5-23
Riassunto
L'Eye Movement Desensitization and Reprocessing (EMDR) è una
forma di psicoterapia relativamente recente nota soprattutto per la sua
discussa efficacia nella psicoterapia del Disturbo Post-Traumatico da
Stress (PTSD), ma anche per l'accesa polemica che ruota attorno ad essa.
Nel presente articolo viene valutata la più recente letteratura
sull'efficacia dell'EMDR nella psicoterapia del PTSD, prestando una particolare
attenzione alla comparazione con altre forme di psicoterapia ed alle
critiche concettuali e metodologiche che sono state rivolte a questa
metodica. Una review della letteratura porta con un ragionevole grado
di certezza ad affermare l'efficacia dell'EMDR nella psicoterapia del
PTSD. È invece necessaria ancora molta ricerca per dipanare le
incertezze relative ai meccanismi specifici sui quali si basa l'efficacia
dell'EMDR. Vengono infine accennate alcune attuali linee di tendenza
nell'evoluzione dell'EMDR.
Parole chiave: EMDR, Disturbo Post-Traumatico da Stress
Summary
Eye Movement Desensitization and Reprocessing (EMDR) is a relatively
recent model of psychotherapy known especially for its controversial
effectiveness in Post-Traumatic Stress Disorder (PTSD) psychotherapy,
but also for the intense polemic centred on it. In the present article
the most recent literature about effectiveness of EMDR in PTSD psychotherapy
is evaluated, paying a particular attention to the comparison with other
forms of psychotherapy and to the conceptual and methodological criticisms
addressed to this psychotherapeutic approach. A review of literature
leads to assert - with a reasonable degree of certainty - EMDR efficacy.
On the contrary, extensive research is still required to dispel doubts
concerning the specific mechanisms on which the efficacy of EMDR is based.
Finally, some of the current trends in EMDR development are mentioned.
Keywords: EMDR, Post-Traumatic Stress Disorder
Cenni storici
L'Eye Movement Desensitization and Reprocessing (EMDR) è un approccio
psicoterapico creato dalla Psicologa americana Francine Shapiro nel 1987.
Chiamato inizialmente "EMD", era originariamente concepito
come uno strumento utile a persone con Disturbo Post-Traumatico da Stress
(PTSD) in quanto l'impiego di determinati movimenti oculari sembrava
consentire un rapido ed efficace effetto decondizionante nei confronti
delle memorie traumatiche presentate dai reduci di guerra e dalle vittime
di stupro. Successivamente la metodica è stata via via affinata
concettualmente ed empiricamente, mutando il nome in "EMDR" nel
momento in cui la Shapiro si è resa conto che la procedura da
lei creata produceva molto di più di una semplice desensibilizzazione,
modificando profondamente la rete di informazioni e ricordi connessa
al trauma oggetto dell'intervento (Shapiro, 1995). Questa comprensione
si è accompagnata ad una più fine articolazione della metodica.
L'EMDR, inoltre, si è trasformata progredendo su due versanti:
1) da un lato, con un approccio estremamente pragmatico, ha incorporato
al suo interno spunti teoretici ed applicativi provenienti da differenti
paradigmi psicoterapeutici allo scopo di potenziarne l'efficacia e la
flessibilità (Shapiro, 1995); 2) dall'altro lato, il punto precedente
ha consentito l'applicabilità della metodica ben oltre i limiti
dell'originario ambito del PTSD.
Attualmente nei differenti Paesi del mondo le persone che hanno effettuato
un training organizzato dall'EMDR Institute sono circa 30.000. In Italia
i primi corsi sull'EMDR sono stati condotti nel febbraio 1999 e sono attualmente
coordinati dall'Associazione per l'EMDR in Italia , a sua volta riconosciuta
e patrocinata dalla EMDR Europe.
Il dibattito attuale sull'EMDR
L'EMDR è - per così dire - nell'occhio del ciclone. Sono ormai
moltissimi i clinici che la utilizzano, aumentano le pubblicazioni che la
riguardano, ma contemporaneamente prolificano le critiche rivolte alla metodica
ed alle ricerche orientate a valutarne l'efficacia terapeutica, comparendo
saltuariamente toni indecorosi. Probabilmente si tratta di una questione
mutifattoriale, ed alcuni degli elementi più importanti coinvolti
nella diatriba mi paiono essere i seguenti. Innanzitutto, il dibattito pro
o contro l'EMDR sembra avere assunto per molte persone un aspetto ideologico
e, si sa, l'ideologia non va d'accordo con la ricerca scientifica. Inoltre,
sono state prodotte alcune critiche sulla base dell'applicazione dell'EMDR,
ma senza seguire i protocolli previsti dalla ricerca, portando a risultati
negativi circa l'efficacia della metodica (Shapiro, 1999). A molti clinici
l'EMDR è sembrata una tecnica troppo fredda, meccanicistica e semplicistica,
laddove si tratta invece di un approccio creativo alla psicoterapia (Goldwurm,
2000). Altri autori, poi, hanno pensato che si volesse proporre l'EMDR come
una psicoterapia magica sempre funzionante in una sola seduta; tale equivoco
si è generato probabilmente a causa della prima pubblicazione della
Shapiro (Shapiro 1989), laddove l'autrice sosteneva di avere appunto ottenuto
risultati importanti nei confronti del PTSD con interventi di una sola seduta
nel 100% dei soggetti (risultati, però, mai più replicati).
Tale visione parziale dei fatti sarebbe poi stata ulteriormente avvallata
dall'autorevole consenso di Joseph Wolpe (cit. in Butler, 1993; Shapiro,
2000). Una tale concezione eccessivamente magnanima nei confronti dell'EMDR,
però, non è certo quella più attuale e condivisa (Shapiro,
1995, 1999). Molto recentemente è stata nuovamente pubblicata una
ricerca che compara una singola seduta di EMDR con una singola seduta di
intervento comportamentale basato sull'esposizione (Rogers et al., 1999).
Questa non fa che fomentare le incomprensioni ed i settarismi, qualunque
siano i risultati a cui portano ricerche concepite in questo modo.
Dai fautori dell'EMDR, inoltre, sono anche state pubblicate alcune ricerche
metodologicamente dubbie o francamente fragili, che non hanno fatto altro
che attirare gli strali dei critici.
Per ultimo, ma non per importanza, è da osservare che un metodo che
si propone come più efficace o più rapido nella terapia di
alcuni disturbi psicologici e che è supportato da un efficacissimo
meccanismo di diffusione commerciale non può non essere valutato come
un rivale, soprattutto in una realtà sociale, come il Nord America,
dove le spese per la psicoterapia sono pagate dalle assicurazioni.
Alcuni basi teoriche e cliniche dell'EMDR
L'impiego dell'EMDR ha portato la sua creatrice ad adottare come modello
esplicativo dei cambiamenti ottenuti quello della elaborazione accelerata
dell'informazione. Impiegando l'EMDR in psicoterapia, ed in particolare
nel trattamento del PTSD, si ha frequentemente l'impressione che la metodica
riattivi un meccanismo innato ed ecologico, presente in ogni persona,
di elaborazione delle informazioni a contenuto emotivamente pregnante.
Il caso ipotetico migliore, quello al quale la "filosofia" dell'intervento
si ispira, è rappresentato dalla situazione in cui il terapeuta
rappresenta solamente un facilitatore di un processo che il paziente
gestisce in modo completamente autonomo, senza interferenze di sorta.
Si presume, cioè, che il paziente possieda potenzialmente tutte
le risorse necessarie per rielaborare emotivamente e cognitivamente un
evento traumatico. In realtà, in molte situazioni cliniche, questo è semplicemente
un modello di ispirazione al quale bisogna tendere asintoticamente. Un
intervento terapeutico più direttivo e ben più supportato
teoreticamente è infatti indispensabile laddove la rielaborazione
del target di intervento non proceda autonomamente ed efficacemente (i.e.:
Manfield, 1998, Parnell, 1999). A tale scopo, sono state create molteplici
tecniche d'intervento che vengono racchiuse sotto l'unico termine di "cognitive
interwave", ovvero "intervento cognitivo integrativo".
Lo scopo di queste strategie è molteplice: rendere i ricordi emotivamente
meno disturbanti e quindi rielaborabili; introdurre informazioni mancanti
che producano una differente comprensione degli eventi sui quali si lavora;
aiutare la persona a fruire di risorse delle quali dispone ma che risultano
di accesso difficoltoso o al momento impossibile; accelerare il processo
terapeutico; agevolare cambiamenti terapeutici che stentano a generalizzarsi
(Lipke, 2000; Shapiro, 1995, 1999).
La ricerca ha dimostrato come alcuni tipi di stimolazione prodotti dal terapeuta
attivino il processo della elaborazione accelerata delle informazioni. In
particolare, i movimenti oculari orizzontali generati seguendo il movimento
delle dita del terapeuta, sono stati il primo tipo di stimolazione individuata,
casualmente, per questo scopo. È per questo motivo che l'EMDR deve
il suo nome ai movimenti oculari. In realtà, il prosieguo della ricerca
e della pratica clinica sta dimostrando come siano efficaci anche altri tipi
di stimolazione alternata, ovvero rivolta contemporaneamente al target di
intervento e ad uno stimolo esterno ritmico bilaterale proposto dal terapeuta:
altri tipi di movimento oculare, tamburellamenti sul dorso o sul palmo delle
mani, rumori proposti alternatamente ad entrambe le orecchie, l'osservazione
di una luce che scorre su una barra luminosa (per una rassegna sulla ricerca
sulla stimolazione alternata, Lipke, 2000). L'individuazione di questi dispositivi
elicitatori di un'accelerazione nell'elaborazione delle informazioni è certamente
la caratteristica distintiva maggiore dell'EMDR, quella che ha attirato l'interesse
ma anche lo scetticismo di molti clinici. L'utilità di stimolazioni
duali è una scoperta di notevole rilevanza clinica per almeno due
motivi: 1) si sono dimostrate notevolmente efficaci e 2) sono provviste di
notevole flessibilità. Il terapeuta, infatti, può modificarle
molto liberamente adattandole all'andamento del processo terapeutico, sostituendole
con altri tipi di stimolazione se ciò è utile a risolvere difficoltà nel
processo rielaborativo. Durante la continua calibrazione del processo terapeutico,
inoltre, al terapeuta è consentito verificare direttamente o indirettamente
l'efficacia del dispositivo impiegato. L'osservazione della comunicazione
metaverbale del paziente, unitamente ai riscontri verbali che egli fornisce,
sono le fonte sulle quali la stimolazione duale viene continuamente calibrata.
La procedura d'intervento per il Disturbo Post-Traumatico da Stress
(PTSD): il protocollo standard per adulti e adolescenti
L'EMDR è nata come terapia elettiva del PTSD ed ha modellato
la struttura fondante della propria procedura di intervento (nonché le
proprie basi teoriche) su questa patologia. I protocolli di intervento
rivolti ad altre patologie (adeguatamente validati o meno) sono l'adattamento
dell'originale protocollo per il PTSD. Non si tratta però di un
limite metodologico dell'EMDR o di un residuo storico della sua evoluzione.
L'EMDR, infatti, è e resta innanzitutto un intervento efficace
sugli eventi traumatici o altamente stressanti, e come tale interviene
su questi target di intervento adattando le proprie procedure alle peculiarità con
le quali gli eventi traumatici o altamente stressanti si manifestano
all'interno delle differenti manifestazioni psicopatologiche. Il trauma,
infatti, più che essere connesso in modo privilegiato al PTSD,
sembra doversi considerare un elemento trasversale di parte significativa
della psicopatologia (Bremner, Vermetten, Southwich, Krystal, Charney,
1998; Briere, 1997; Williams, Joseph, 1999). Considerando, infine, che
il protocollo EMDR per il PTSD negli adulti e negli adolescenti connesso
ad un singolo evento traumatico è senza dubbio quello maggiormente
consolidato e verificato sperimentalmente, farò riferimento dettagliatamente
solo a questo protocollo, semplicemente accennando in seguito ad ulteriori
applicazione dell'EMDR.
La procedura-tipo o algoritmo di intervento consta di otto fasi specifiche,
composte di elementi "non specifici" (relazione terapeutica, elementi
psicoeducazionali, etc.), di elementi genuinamente specifici (movimenti oculari
o altri tipi di stimolazione adeguata, sequenzialità degli interventi
effettuati) ed elementi mutuati - direttamente o indirettamente - da altre
tradizioni di ricerca (assessment cognitivo e ristrutturazione, esposizione
graduale, abreazione, assecondamento delle libere associazioni, valorizzazione
di immagini a contenuto simbolico, manipolazione delle immagini mentali,
tecniche provenienti dalla tradizione della terapia ipnotica ed altro ancora).
Nelle fasi iniziali viene raccolta l'anamnesi del paziente, viene valutata
l'opportunità dell'intervento e la presenza di condizioni indispensabili
per evitare di ritraumatizzare il paziente o generare un drop-out. In seguito
viene spiegato e calibrato il procedimento terapeutico, e viene verificata
la possibilità di raggiungere una condizione di sicurezza psicofisiologica,
eventualmente in sinergia con tecniche di rilassamento, di ipnosi e/o di
autoipnosi (esercizio del "luogo sicuro").
La fase dell'assessment è di particolare importanza, ed è caratterizzata
dalla costruzione di un'accurata baseline articolata sulle componenti cognitive,
emotive, sensoriali del trauma, con una particolare attenzione rivolta alle
sensazioni fisiche. Un accesso olistico alla memoria traumatica massimizza
la probabilità che abbia effetto l'intervento terapeutico successivo.
In particolare, l'enfasi posta sulle sensazioni fisiche è in accordo
con la ricerca traumatologica attuale che evidenzia un massiccia e cruciale
presenza della componente cenestesica e, in senso lato, implicita, nella
memorizzazione dei traumi (Bremner, et al., 1998; van der Kolk, 1996; van
der Kolk, Fisler, 1995). Le difficoltà di acceso ai ricordi (evitamento,
dissociazione, intrusività, frammentazione, razionalizzazione, banalizzazione,
etc.) sono elementi decisivi nella calibrazione delle modalità d'intervento.
La fase della desensibilizzazione consiste nell'applicazione della stimolazione
alternata più adeguata al paziente che ha avuto accesso al materiale
traumatico. All'interno di questa fase si deve includere ogni forma di risposta
che il paziente esibisce nei confronti dell'intervento, e tipicamente: associazioni
verso altri ricordi, prese di coscienza, cambiamento delle differenti componenti
sensoriali costitutive del ricordo del trauma, modificazione di convinzioni,
abreazioni, e così via. Il compito del terapeuta è di stimolare
la rielaborazione spontanea del trauma, intervenendo solo se strettamente
necessario, evitando interpretazioni o commenti interferenti, ma anche arbitrarie
manipolazioni della direzione della rielaborazione autonoma del trauma. Esistono
alcune importanti eccezioni a questa regola di procedura: 1) se il paziente è in
difficoltà ed in particolare se il processo rielaborativo è in
stallo; 2) se il paziente è sopraffatto dalle emozioni; 3) se il paziente
manca delle risorse cognitive ed emotive per affrontare il problema; 4) se,
piuttosto che eliminare "chirurgicamente" un trauma, dobbiamo anche
ricorrere ad un modello "riparativo" o "integrativo" relativamente
ad esperienze di vita assenti, come nel caso dell'incuria e dell'abuso, sessuale,
fisico o psicologico (Giannantonio, 2000, a, b; Leeds, 1998). Durante il
processo di rielaborazione il terapeuta si ferma periodicamente, calibrando
il proprio procedimento su quanto può comprendere della rielaborazione
che sta avvenendo nel paziente, fermandosi tipicamente quando ha l'impressione
che sia terminato uno step rielaborativo oppure se il paziente appare essere
in stallo. A questo punto il paziente viene invitato a verbalizzare quanto
sta accadendo dentro di lui sotto forma di pensieri, sensazioni, emozioni
e connessioni ad altri ricordi. Questo consente normalmente di comprendere
la modalità e la direzione della rielaborazione in atto, fornendo
inoltre le informazioni necessarie al terapeuta per agevolare la ripresa
del processo nell'eventualità che questi sia impossibilitato.
Quando il coinvolgimento emotivo è notevolmente ridotto o eliminato
si interviene agevolando la ristrutturazione cognitiva delle cognizioni disfunzionali
(o inadeguate rispetto al tempo presente) che usualmente sono associate ad
un trauma. Nello specifico, viene utilizzata una "cognizione positiva" già evidenziata
nella fase di assessment, ovvero quello che il paziente vorrebbe realisticamente
riuscire a pensare su di sé mentre accede al trauma (i.e.: "Ora
sono al sicuro" oppure "Non è stata colpa mia", mentre
accede al ricordo di un incidente automobilistico). Attraverso la stimolazione
alternata si intende integrare il materiale mnestico originario con nuove
informazioni che precedentemente erano inaccessibili emozionalmente e/o cognitivamente
(Lipke, 2000). Effettuata l'installazione si verifica l'eventuale presenza
residua di sensazioni negative presenti mentre il paziente accede al trauma
originario unitamente alla cognizione positiva. Se la ristrutturazione cognitiva
non è completa viene ripetuta o modificata. Se sussistono ancora ricordi
percepibili somaticamente, questi diventano il target d'intervento da stimolare
per mezzo della stimolazione alternata. Spesso l'intervento su questi residui
sensoriali connette il paziente a ricordi variamente collegati al trauma
dal quali si è partiti, portando l'intervento a dirigersi su una rete
mnestica coinvolta nel disturbo presentato dal paziente. Ottenuto questo
obiettivo o, come più comunemente avviene, al termine della seduta,
il paziente viene invitato ad interrompere la fase di rielaborazione orientando
la piena attenzione verso il proprio luogo sicuro. In questo modo si intende
evitare che la rielaborazione del trauma proceda senza soluzione di continuità al
termine della seduta, magari in presenza di ricordi altamente disturbanti.
Il paziente viene infine invitato a monitorare sé stesso fra una seduta
e l'altra e a riferire successivamente l'eventuale presenza di elementi connessi
alla rielaborazione in atto del trauma (pensieri, emozioni, sensazioni, ricordi,
sogni, etc.).
L'inizio di ogni seduta di EMDR dovrebbe poi iniziare con una rivalutazione
dell'opportunità di proseguire il lavoro sul target di intervento
della seduta precedente. In particolare, è necessario effettuare un
nuovo assessment cognitivo, emotivo, percettivo e sensoriale del target sul
quale si sta lavorando, per valutare l'opportunità di un intervento
ulteriore o di uno spostamento del focus d'intervento. Potrebbe essere che
l'intervento termini con la rielaborazione di un singolo evento traumatico,
ma in realtà questa eventualità non è certo la più frequente.
Il trattamento di un evento traumatico sovente porta il paziente a riferire
di altri episodi stressanti o francamente traumatici variamente connessi
al target di partenza, all'interno di una vera e propria rete mnestica.
Il protocollo standard di intervento per il PTSD prevede, inoltre, che sia
clinicamente necessario rielaborare gli eventi traumatici passati, ma intervenire
anche sulle situazioni contingenti attuali che fungono da triggers nei confronti
degli eventi traumatici e, infine, sulle ipotetiche situazioni future che
si presumano possano riattivare i comportamenti disfunzionali connessi alle
originarie esperienze traumatiche. Di conseguenza, è teoreticamente
corretto e clinicamente efficace considerare come target d'intervento non
tanto il singolo evento che il paziente riferisce - appunto - come traumatico,
quanto piuttosto il ricordo in questione all'interno di una specifica rete
mnestica, con connessioni al passato, al presente ed al futuro. Questa non è un'opzione
teoretica arbitraria, ma la formalizzazione di una necessità metodologica
evidenziata regolarmente dai pazienti. Di fatto, l'EMDR consente frequentemente
di potere ripercorrere gli elementi costituitivi nella produzione di ciò che
definiamo comunemente "traumatico", ovvero di evidenziarne l'etiologia
psicobiologica multifattoriale (Briere, 1997; Carlson, Dalemberg, 2000).
Efficacia dell'EMDR nella psicoterapia del PTSD: certezze, dubbi
e prospettive di ricerca
Fino a pochi anni fa la ricerca sull'efficacia della psicoterapia del
PTSD era estremamente esigua (Shapiro, 1995). Negli ultimi anni, invece,
questo settore ha collezionato un crescente numero di pubblicazioni sull'efficacia
delle psicoterapie, e l'EMDR è uno degli approcci terapeutici
che vanta il maggior numero di conferme di efficacia nella psicoterapia
del PTSD. Nonostante le vivaci polemiche ed incomprensioni, questo stato
di cose ha consentito all'EMDR nel 1995 di essere considerata "trattamento
probabilmente efficace" (valutazione A/B) nella terapia del PTSD
dalla Task Force on Psychological Intervention dell'American Psychological
Association. Questa attribuzione di efficacia è spartita solo
con lo Stress Inoculation Training e con le terapie basate sull'esposizione
(Chambless et al., 1998). Più recentemente, l'EMDR è stata
riconosciuta efficace nel trattamento del PTSD anche dall'International
Society for Traumatic Stress Studies all'interno della pubblicazione
delle sue linee guida per il trattamento del PTSD (Chemtob, Tolin, van
der Kolk, Pitman, 2000).
Al di là di ogni ragionevole dubbio, l'EMDR risulta essere una
psicoterapia efficace per il PTSD, come dimostrano innanzitutto recenti
reviews sull'efficacia dell'EMDR e studi meta-analitici sull'efficacia
di differenti approcci terapeutici al PTSD, sia farmacologici che psicoterapeutici
(Cahill, Carrigan, Frueh, 1999; Maxfield, 2000; Shepherd, Stein, Milne,
2000; Van Etten, Taylor, 1998), sebbene il meccanismo esatto del suo
funzionamento sia al momento oscuro ed oggetto di speculazione (vedi
oltre; per una rassegna sulle teorie al riguardo, Shapiro, 1995). A tale
conclusione si arriva anche se vengono adottati rigidi criteri di selezione
nella valutazione della metodologia delle ricerche (Shepherd, et al.,
2000). Infatti, sono attualmente disponibili alcune ricerche ben strutturate
sull'efficacia dell'EMDR nel PTSD, che sembrano non essere vanificate
da sostanziali critiche metodologiche (i.e.: Marcus, Marquis, Sakai,
1997; Rothbaum, 1997; Scheck et al., 1998; Wilson, Becker, Tinker, 1995,
1997), con follows-up fino a 15 mesi (Wilson et al., 1997); con ciò tali
studi si differenziano da una parte non irrilevante di letteratura sull'EMDR,
anedottica o sprovvista di adeguata o verificabile evidenza sperimentale
(Shepherd et al., 2000), diventata bersaglio (a volte correttamente)
di alcuni critici. Fra le ricerche più accreditate alcune sono
caratterizzate dalla presenza di valutatori indipendenti dell'efficacia
dell'intervento con l'EMDR o con altri interventi o dell'inclusione in
una lista d'attesa (Carlson, Chemtob, Rusnak, Hedlund, Muraoka, 1998;
Rogers et al., 1999; Rothbaum, 1997; Scheck et al., 1998; Vaughan et
al., 1994). Le ricerche, globalmente considerate, hanno dimostrato l'efficacia
dell'EMDR in una grande varietà di situazioni traumatiche connesse
al PTSD: guerre recenti o lontane nel tempo, incidenti e ustioni, violenze
sessuali attuali o pregresse, calamità naturali, lutti, azioni
terroristiche.
Sintetizzo succintamente alcuni dati provenienti da alcune fra le pubblicazioni
di maggior rilievo e che non verranno ripresi nel prosieguo.
Rothbaum (1997). Un campione di 21 donne vittime di stupro è stato
trattato con quattro sedute di EMDR da 90 minuti a cadenza settimanale. L'assessment
pre- e post-trattamento (a tre mesi) è stato effettuato da un valutatore
indipendente all'oscuro sul tipo di intervento effettuato. Strumenti psicodiagnostici
utilizzati: PTSD Symptom Scale (PSS; Foa, Riggs, Dancu, Rothbaum, 1993),
Impact of Event Scale (IES; Horowitz, Wilner, Alvarez, 1979), Rape Aftermath
Symptom Test (RAST; Kilpatrick, 1988), State-Trait Anxiety Inventory (STAI;
Spielberger, Goruch, Lushene, 1970), Back Depression Inventory (BDI; Beck,
Ward, Mendelsohn, Mock, Erbaugh, 1961), Dissociative Experience Scale (DES;
Bernstein, Putnam, 1986) più altri reattivi psicodiagnostici meno
noti. Il 90% dei soggetti non ha più soddisfatto i criteri per la
diagnosi di PTSD, contro il 12% dei soggetti di controllo, cioè una
lista di attesa. Un valutatore esterno ha valutato l'elevato grado di adeguamento
al protocollo EMDR.
Wilson et al. (1995, 1997). Un campione di 80 soggetti vittime di traumi
(di cui 37 con diagnosi di PTSD) sono stati trattati con tre sedute da 90
minuti di EMDR, con attribuzione randomizzata ad un terapeuta, con assessment
pre- e post-trattamento effettuato da un valutatore indipendente. Strumenti
psicodiagnostici utilizzati: IES, STAI, Symptom Check List (SCL 90-R; Derogatis,
1992), misurazioni soggettive di intensità del disagio e della ristrutturazione
cognitiva (SUDS: Subjective Units of Disturbance Scale e VOC: Validity of
Cognition Scale) e Post-Traumatic Stress Disorder Interview (PTSD-I; Watson,
Juba, Manifold, Kucala, Anderson, 1991). L'EMDR è risultata globalmente
efficace rispetto ai soggetti in attesa di trattamento nei controlli effettuati
a 30 e 90 giorni. A 15 mesi di distanza è stata registrata una riduzione
dell'84% delle diagnosi di PTSD.
Marcus et al. (1997). Un campione di 67 soggetti con diagnosi di PTSD è stato
trattato con assegnazione randomizzata con tre sedute da 90 minuti di EMDR.
Un valutatore indipendente ha valutato la condizione pre- e post-trattamento
attraverso: SCL-90, BDI, STAI, SUD, IES, Modified PTSD-Scale (Falsetti, Resnick,
Resnick, Kilpatrik, 1993). Il 100% dei soggetti vittime di un solo trauma
e l'80% dei soggetti pluritraumatizzati non hanno più soddisfatto
i criteri per la diagnosi di PTSD, risultati molto superiori rispetto al
controllo, ovvero al trattamento standard del Kaiser Permanente Hospital,
composto da terapia individuale (o cognitiva, o comportamentale o psicodinamica)
più terapia farmacologica, più terapia di gruppo (riferirsi
alla pubblicazione per maggiori precisazioni).
Scheck et al. (1998). 60 donne di età compresa fra i 16 ed i 25 anni,
vittime di stupro, sono state assegnate in modo randomizzato a due sedute
di EMDR o di "ascolto attivo" (Gordon, 1974). La valutazione pre-
e post-trattamento è stata effettuata in modo indipendente attraverso
i seguenti strumenti: BDI, STAI, Penn Inventory for Posttraumatic Stress
Disorder (Hammarberg, 1992), IES, The Posttraumatic Stress Disorder Interview
(PTSD-I; Watson et al., 1991), Tennessee Self-Concept Scale (Roid, Fitts,
1991). L'EMDR si è dimostrata più efficace dell'ascolto attivo
su tutti i parametri. Nonostante la brevità dell'intervento, i valori
registrati dai soggetti trattati con EMDR sono risultati, per tutti gli strumenti
utilizzati, non significativamente diversi da quelli della popolazione generale
o da quelli dei gruppi normativi trattati con successo.
Le ricerche citate sono alcune fra quelle che hanno contribuito ad ottenere
i recenti ed autorevoli riconoscimenti dell'efficacia dell'EMDR. Ciò che
invece è più controverso relativamente all'EMDR nella psicoterapia
del PTSD riguarda i seguenti ambiti:
1. Presenza di studi che indicano l'EMDR come inefficace o di efficacia dubbia.
2. Supposta maggiore efficacia dell'EMDR rispetto ad altre psicoterapie.
3. Supposta maggiore velocità di intervento dell'EMDR rispetto ad
altre psicoterapie.
4. Specificità delle componenti dell'EMDR e loro efficacia terapeutica.
Risultati dubbi o assenti dell'EMDR
A parte le pubblicazioni fondate su presupposti ideologi contrari all'EMDR
o su conoscenze di terza mano - che non verranno prese in considerazione
(i.e.: Thaler, Lalich, 1996) - esistono alcune pubblicazioni che indicano
l'EMDR come inefficace o di efficacia dubbia nella psicoterapia del PTSD,
specialmente nel trattamento dei reduci del Vietnam (i.e. Boudewyns,
Hyer, 1996; Boudewyns, Stwertka, Hyer, Albrecht, Sperr, 1993; Devilly,
Spence, Rapee, 1998; Pitman et al., 1996). In realtà questi studi,
globalmente considerati, incappano in uno o più dei seguenti problemi:
1) impiegano solo una o due sedute di EMDR nel trattamento di reduci
del Vietnam, ottenendo - ovviamente - risultati nulli o dubbi, oppure
2) trattano con l'EMDR solo uno o due episodi traumatici in soggetti
che devono essere considerati, intrinsecamente, pluritraumatizzati (Shapiro,
1999). Studi ben condotti impieganti 12 sedute per ogni soggetto (Carlson
et al., 1998), dimostrano la notevole efficacia dell'EMDR con i reduci
del Vietnam, poiché ad un follow-up di nove mesi il 75% dei soggetti
trattati non soddisfavano più i criteri per la diagnosi di PTSD.
Diversi altri studi, invece, sembrano dimostrarne l'inefficacia o l'efficacia
dubbia dell'EMDR, ma impiegando protocolli di intervento per il PTSD
o le per fobie errati o liberamente modificati (cfr. Shapiro, 1999, 2000
per una rassegna più approfondita) o, infine, ci sono dubbi sulle
competenze professionali impiegate (Shapiro, 1995, 1999, 2000). Alcuni
autori, aprioristicamente, valutano negativamente le riserve mostrate
dalla Shapiro quando sostiene che l'inefficacia di alcune ricerche può essere
dovuta all'incompetenza dei terapeuti. Ma questo, invece, può essere
verosimile. L'EMDR è solo apparentemente una tecnica di facile
applicazione (Goldwurm, 2000), ed anche terapeuti che hanno seguito l'iter
di formazione ufficiale possono essere inefficaci o dannosi, come si
evince anche alla ricerca di Wilson et al. (1995, 1997) laddove, nonostante
si confermi globalmente un'ottima efficacia dell'EMDR nel trattamento
del PTSD e delle memorie traumatiche in generale, un'analisi dell'efficacia
per ogni singolo terapeuta ha mostrato che uno di essi è stato
in parte poco efficace ed in parte dannoso (Wilson, 2000).
EMDR ed altre psicoterapie nella psicoterapia del PTSD
Lo studio meta-analitico di Van Etten e Taylor (1998) indica che l'EMDR
ha una efficacia uguale a quella dello Stress Inoculation Training, ma
porta i pazienti a non soddisfare più la diagnosi di PTSD in un
tempo minore (4.6 contro 14.8 sedute). L'EMDR sembra essere ugualmente
efficace delle terapie comportamentali basate sull'esposizione (Boudewyns
et al., 1993) e del training di abituazione immaginativa accoppiato al
rilassamento muscolare (Vaughan et al. 1994), più efficace del
biofeedback (Foa, Meadows, 1997; Carlson et al, 1998) e dello ascolto
attivo nella tradizione di Carl Rogers (Scheck et al., 1998), meno efficace
della variante cognitivo-comportamentale rappresentata dal Trauma Treatment
Protocol (Devilly, Spence, 1999). L'EMDR è risultata meno efficace
degli SSRIs nel trattamento della depressione associata al PTSD (Van
Etten, Taylor, 1998), ed inoltre la sua efficacia in questo ambito varia
notevolmente all'interno degli studi (Maxfield, 2000) e non è ancora
adeguatamente compresa (Cahill et al., 1999). Rispetto alla terapia comportamentale
basata sull'esposizione, l'EMDR si è dimostrata superiore nel
ridurre i sintomi intrusivi (Van Etten, Taylor, 1998; Rogers et al.,
1999) e più confortevole per i pazienti (Rogers et al., 1999).
Nello studio di Van Etten, Taylor (1998), attraverso la confrontazione
fra 61 studi sulla psicoterapia e la farmacoterapia del PTSD, emerge
che l'EMDR, insieme alla terapia comportamentale (esposizione in vivo,
immaginativa e mista), sembra essere l'intervento più efficace
se paragonato ad un ampio spettro di altre forme di intervento: supporto
psicologico, ascolto attivo, psicoterapia psicodinamica, ipnotica e training
di rilassamento (Van Etten, Taylor, 1998); le pubblicazioni utilizzate
per la comparazione con gli ultimi tre di questi approcci sono comunque
estremamente ridotte, e quindi i risultati non possono assolutamente
considerarsi definitivi. Nonostante l'apparenza di una sostanziale equivalenza
rispetto ai risultati delle terapie comportamentali o cognitivo-comportamentali,
l'EMDR sembra ottenere i medesimi risultati in tempi sensibilmente inferiori
(i.e.: Foa, Rothbaum, Riggs, Murdock, 1991; per una rassegna di comparazioni:
Shapiro, 1995, 1999, 2000). In ogni caso, l'evidenziazione di definitive
ed univoche differenze in quest'ultimo ambito è attualmente impossibile
poiché l'EMDR è stata confrontata con differenti modelli
di intervento comportamentale o cognitivo-comportamentale a causa dell'assenza
di omogeneità fra questi approcci terapeutici (Shapiro, 2000).
L'EMDR, invece, dal 1995 in poi ha adottato un unico protocollo di intervento
per il PTSD (anche se Rosen, 1999, nega tale evidenza) e quindi, laddove
tale protocollo sia stato applicato correttamente e da terapeuti adeguatamente
formati, gli studi degli ultimi cinque anni rappresentano un corpus di
letteratura omogeneo. Inoltre, la quasi totalità delle affermazione
sulla differente efficacia fra EMDR e tecniche cognitivo-comportamentali
si basa su comparazioni effettuate paragonando molteplici ricerche dove
si applica uno o l'altro metodo (Cahill et al., 1999).
Valutazione di componenti specifiche dell'EMDR
Sono state effettuate ricerche impiegando alcune varianti dell'EMDR
allo scopo di valutare l'efficacia di alcune sue componenti specifiche,
innanzitutto i movimenti oculari.
Sanderson e Carpenter (1992), hanno confrontato il risultato del trattamento
di alcuni soggetti fobici sottoposti 1) a EMDR e 2) ad una situazione simile
all'EMDR, ma con l'istruzione di tenere gli occhi chiusi. Hanno riscontrato
risultati positivi paragonabili in entrambe le condizioni. Dalla descrizione
della ricerca, però, sembra si possa dedurre che il protocollo EMDR
non sia stato correttamente impiegato, in particolare non rispettando per
la prescrizione di applicare i movimenti oculari ad ogni nuova associazione
mentale prodotta dal soggetto (Lipke, 2000). Agli stessi risultati di Sanderson
e Carpenter (1992) porta lo studio di Acierno et al. (1994) condotto su un
soggetto sofferente di molteplici fobie, ma applicando l'EMDR con la prescrizione
al soggetto di restare ancorato all'immagine target durante i movimenti oculari,
processo che non è EMDR. Da altri problemi procedurali sembra essere
affetto lo studio di Boudewyns e Hyer (1996), che porta agli stessi risultati
dei due precedenti (Lipke, 2000).
Gosselin e Mattews (1995) e Feske e Goldstein (1997) hanno confrontato il
trattamento dell'ansia in generale, nel primo lavoro, e del Disturbo di Panico,
nel secondo, trattate con EMDR e EMDR con la variante rappresentata dalla
fissazione delle dita del terapeuta, senza che venissero mai mosse. In entrambi
gli studi i soggetti hanno ottenuto miglioramenti da entrambe le condizioni
sperimentali, ma con una differenza significativa di efficacia dei movimenti
oculari rispetto alla fissazione delle dita. Nello studio di Boudewyns et
al. (1993) con i reduci del Vietnam, invece, la sottrazione dei movimenti
oculari non ha prodotto risultati clinici positivi nei soggetti, come si
deduce anche da Montgomery e Ayllon (1994).
Sono a conoscenza di un unico studio che manipoli volontariamente la componente
cognitiva e, nello specifico, che elimini la ricerca della cognizione positiva
dal protocollo EMDR e la conseguente fase di installazione della cognizione
positiva. La ricerca di Cusack, Spates (1999) effettua questa operazione
e non trova una differenza significativa rispetto all'efficacia del protocollo
standard, giungendo alla conclusione che l'aspetto cognitivo è superfluo
nel protocollo standard EMDR. In effetti, avviene non di rado, specialmente
con un PTSD legato ad un episodio singolo e senza comorbilità (come
nel campione degli autori), che l'installazione della cognizione positiva
risulti ridondante per l'efficacia dell'intervento. Se però il soggetto
ha vissuto più esperienze traumatiche e/o si è in presenza
di comorbilità (tipicamente, in presenza di Disturbi di Personalità),
si nota frequentemente che l'installazione della cognizione positiva è una
fase cruciale dell'intervento, in quanto porta il soggetto a rivolgere spontaneamente
la direzione della propria attenzione verso altri ricordi traumatici oppure
verso problematiche che rendono impossibile la completa risoluzione del target
di intervento. Di conseguenza, ritengo errata la deduzione di Cusack e Spates,
poiché è corretto che il protocollo standard includa la fase
da loro eliminata in quanto massimizza la probabilità di efficacia
dell'intervento nel PTSD in generale.
Altre forme di stimolazione alternata
Devilly, Spence e Rapee (1998) hanno sottoposto alcuni reduci del Vietnam
con PTSD a due sedute di EMDR e ad una variante di EMDR, senza movimenti
oculari, ma con l'attenzione rivolta ad una fonte luminosa lampeggiante
ad intervalli irregolari. In entrambi i casi si sono raggiunti miglioramenti
rispetto ai controlli, con una differenza non significativa di maggiore
efficacia dei movimenti oculari.
Renfrey e Spates (1994) in soggetti con PTSD hanno paragonato l'efficacia
di tre diverse condizioni: 1) EMD (la vecchia modalità di applicazione
dell'attuale EMDR), 2) EMD senza movimenti oculari provocati dall'osservazione
delle dita bensì provocati dall'osservazione di una barra luminosa
con una luce oscillante tra i due lati e 3) EMD con osservazione di una luce
fissa. Nell'immediato, tutte le e tre le condizioni hanno prodotto risultati
positivi, ma senza differenze significative fra le tre condizioni. Al follow-up
la condizione EMD standard si è dimostrata superiore, ma il campione
esiguo non consente conclusioni definitive.
Wilson, Silver, Covi, Foster (1996) hanno applicato a soggetti portatori
di memorie traumatiche tre differenti condizioni: EMDR, movimenti alternati
delle dita dei pazienti al tempo di un metronomo al posto dei movimenti oculari
e condizione di quiete al posto dei movimenti oculari. Solo la prima condizione
ha prodotto risultati positivi. Al contrario, Bauman e Melynk (1994) riportano
risultati positivi nella riduzione dell'ansia ottenuti dalla sostituzione
dei movimenti oculari con il tamburellamento alternato su un tavolo delle
dita indice dei soggetti, sincronicamente ad un metronomo. In modo simile,
Pitman et al. (1996), non hanno riscontrato differenze di efficacia fra i
movimenti oculari e il tamburellamento alternato da parte del terapeuta sulle
dita del paziente.
Alcuni autori (i.e. Lohr, Lilienfed, Tolin, Herbert, 1999), constatando
differenze dubbie o assenti fra EMDR e EMDR senza movimenti oculari,
ma provvisto di altre forme di stimolazione alternata (tamburellamenti)
o con fissazione dell'attenzione, concludono che i movimenti oculari
non sono necessari per l'EMDR. La conclusione è errata per il
fatto che molte situazioni scelte per studiare l'aspetto specifico dei
movimenti oculari, ovvero la loro sostituzione con altre stimolazioni
ritmiche, dimenticano che le medesime stimolazione sono impiegate dai
terapeuti EMDR in alternativa ai movimenti oculari, in quanto ritenute
efficaci (Shapiro, 1995; Lipke, 2000). Inoltre, il fatto che sia possibile
ottenere risultanti anche con la semplice fissazione di un punto luminoso
(Devilly et al., 1998), invece di portare inevitabilmente a pensare che
i movimenti oculari siano inutili, dovrebbe indurre alla valutazione
della eventualità che l'accesso ad un ricordo traumatico congiuntamente
ad un elemento nuovo con funzione distraente (la luce luminosa) possa
contribuire alla parziale modificazione di un evento traumatico, per
esempio intervenendo a livello dello rigida associazione esistente fra
elementi percettivi ricordati e risposte emozionali e psicofisiologiche.
In effetti, ci sono indicazioni che portano a considerare realistica
questa eventualità, come ad esempio la tecnica messa a punto da
F. Ochenberg, laddove il terapeuta conta a voce alta da 1 a 100 mentre
il paziente ha accesso al trauma, tecnica che sembra avere un effetto
parzialmente decondizionante nei confronti di un trauma (Ochenberg, 1996).
La tradizione della psicoterapia ipnotica, inoltre, impiega da molti
anni e con efficacia la rottura di schemi associativi come strumento
di desensibilizzazione nei confronti di un trauma (Phillips, Frederick,
1995). In attesa di verifiche sperimentali più precise, sembra
verosimile che la funzione distraente sia una componente non specifica
dell'EMDR, parzialmente responsabile della sua efficacia.
Non mi sembra quindi lecito concluedere, come Lohr et al. (1999), che l'efficacia
dell'EMDR sia semplicemente dovuta 1) a fattori non specifici e 2) ad elementi
mutuati dalla tradizione cognitivo-comportamentale, nello specifico l'esposizione
immaginativa presente nella desensibilizzazione sistematica e nel flooding
e 3) ad elementi di immaginazione mentale guidata, propria di altre tradizioni,
mentre 4) i movimenti oculari sarebbero semplicemente stati aggiunti per
creare una caratteristica distintiva della metodica. Infatti, sebbene sia
estremamente verosimile che parte dell'efficacia dell'EMDR sia dovuta ad
elementi non specifici (come avviene per ogni forma di psicoterapia), l'esposizione
immaginativa impiegata dall'EMDR nel protocollo standard per il PTSD è diversa
significativamente da quella della tradizione cognitivo-comportamentale,
che tende ad essere ininterrotta e con elevati livelli emozionali (Rogers
et al., 1999). Nell'EMDR, infatti, l'immagine del trauma viene adottata come
punto di partenza delle libere associazioni mentali del paziente che, di
norma, si rivolgono a molte altre immagini, contenuti di pensiero ed emozioni.
Non si tratta, cioè, di un meccanismo di abituazione o di inibizione
reciproca rivolto ad una sequenza fissa di immagini, dalla quale non ci si
deve spostare. Ciò che addirittura succede con relativa frequenza è che
il pazienti si distacchi molto rapidamente dall'immagine scelta come target
per rivolgersi ad altro, producendo comunque una desensibilizzazione nei
confronti dell'immagine di partenza. Quindi, sebbene sia verosimile che l'abituazione
generata dall'esposizione sia in parte implicata nel processo terapeutico
dell'EMDR, non può essere considerata l'elemento fondamentale della
sua efficacia.
L'eventualità che l'efficacia dell'EMDR sia dovuta all'impiego di
tecniche di immaginazione guidata, poi, è priva di ogni sostegno.
Tali tecniche possono essere impiegate ed anche con grande efficacia (i.e.:
Parnell, 1999) ma solo quando il processo rielaborativo spontaneo del paziente
si è bloccato o il paziente è sovrastato dalle emozioni. Nei
casi rimanenti, da parte del terapeuta non è prevista alcuna manipolazione
dell'immaginazione del paziente, che può per giunta essere anche assente,
senza compromissione del processo.
Non mi sembra neppure che si possa concludere, come Lohr et al. (1999), che
in attesa della piena, perfetta e completa comprensione di ogni elemento
costitutivo dell'EMDR, non ci sia giustificazione clinica per la sua applicabilità.
Se pure è vero che ci sia ancora molto da comprendere circa i meccanismi
di funzionamento dell'EMDR, la sua efficacia è sostenuta da molte
pubblicazioni, e non si vede perché si debbano richiedere all'EMDR
prerogative mai pretese nei confronti di nessun altro approccio psicoterapeutico
affinché lo si possa impiegare. D'altronde, come affermano gli stessi
autori, la forza e la precisione delle verifiche che vengono richieste all'EMDR è commensurabile
alla forza del clamore che ha suscitato la sua presunta efficacia (ibid.,
p. 200), ma questa, più che scienza, è ideologia.
Considerando globalmente gli studi effettuati per valutare l'efficacia di
alcune componenti specifiche dell'EMDR emerge un quadro complesso e contraddittorio
che necessita certamente di ulteriori approfondimenti. In ogni caso, ciò che
invece si evince con chiarezza è che i movimenti oculari prodotti
dal movimento delle dita del terapeuta non sono certamente l'unico tipo di
stimolazione alternata capace di produrre l'accelerazione dell'informazione
comportante decondizionamento e rielaborazione delle memorie traumatiche. È possibile
che si sia solo all'inizio della scoperta di dispositivi induttori di elaborazione
accelerata delle informazioni (Lipke, 2000). In particolare, sarà forse
opportuno considerare acceleratori di informazioni a valenza traumatica anche
particolari stati di coscienza modificati (Giannantonio, 2000b; Parnell,
1999).
Riferendomi esclusivamente all'EMDR, la ricerca futura dovrà certamente
sottoporre a controllo i tipi di stimolazione alternata che vengono abitualmente
utilizzati dai terapeuti EMDR in alternativa ai movimenti oculari, attualmente
supportati dall'evidenza sperimentale in modo variabile.
Nodi teoretici e limiti delle ricerche
1) Innanzitutto il problema della comorbilità. La maggior parte
delle ricerche esclude dai campioni di trattamento molti soggetti che
presentano diagnosi o problemi addizionali oltre al PTSD (i.e.: disturbi
psicotici in atto o recenti o schizofrenia: Carlson et al., 1998; Cusack,
Spates, 1999; Devilly et al., 1998; Rogers et al., 1999; Vaughan et al.,
1994; rischio di suicidio: Devilly et al., 1998; Marcus et al., 1997;
Wilson et al., 1995, 1997; Disturbo Ossessivo-Compulsivo: Carlson et
al., 1998; Cusack, Spates, 1999; Rogers et al., 1999; Vaughan et al.,
1994; Disturbi di Personalità: Carlson et al., 1998; Rogers et
al., 1999; Vaughan et al. 1994; Disturbo Borderline di Personalità:
Cusack, Spates, 1999; Disturbi Dissociativi: Marcus et al., 1997; Rogers
et al., 1999; Wilson et al, 1995, 1997; abuso di alcool e/o di stupefacenti
in atto o recente: Carlson et al., 1998; Cusack, Spates, 1999; Marcus
et al., 1995; Rothbaum, 1997; Wilson et al., 1995, 1997). I casi in cui
la comorbilità è riportata in modo quantificabile (anche
per i Disturbi dell'Umore e per ulteriori Disturbi d'Ansia oltre al PTSD)
rappresentano una percentuale troppo esigua per permettere conclusioni
anche semplicemente provvisorie (Van Etten, Taylor, 1998). Le scelte
metodologiche di restrizione dei campioni sono certamente corrette, nel
momento in cui si vuole rendere il campione il più omogeneo possibile,
ma in questo modo non esistono ancora elementi indiscutibili che affermino
l'efficacia dell'EMDR in presenza di comorbilità. Considerando,
inoltre, che la presenza di comorbilità nel PTSD è piuttosto
elevata (Briere, 1997; Yule, Williams, Joseph, 1999), ciò induce
a considerare in modo condizionale i risultati relativi alla terapia
del PTSD, che potrebbero variare anche considerevolmente e poliedricamente
in funzione della presenza di altre patologie. Inoltre, potrebbero essere
necessari importanti cambiamenti nel protocollo terapeutico.
A ciò si deve aggiungere, infine, la considerazione che non è affatto
detto che l'algoritmo diagnostico impiegato dal DSM-IV per la diagnosi di
PTSD sia effettivamente esaustivo per la sua valutazione e comprensione (Bremner
et al., 1998; Briere, 1997). Queste ultime due precisazioni valgono, ovviamente,
per ogni forma di psicoterapia che voglia verificare la propria efficacia
nella psicoterapia del PTSD.
2) Il punto 1) si collega necessariamente ad una esigenza di ampio respiro,
ovvero alla necessità di effettuare assessment molto più articolati
ed approfonditi allo scopo di enucleare le differenze di risposta all'EMDR
presentate da differenti gruppi di individui. Ciò richiede anche campioni
consistenti (Shapiro, 2000).
3) Nell'ambito dell'applicazione dell'EMDR in età infantile, e quindi
con importanti adeguamenti procedurali della metodica, attualmente non esiste
ancora la stessa mole di evidenze cliniche disponibile invece per i soggetti
adulti.
4) È necessario che si inizino a pubblicare ricerche che non si riferiscano
solo all'obiettivo di non soddisfare più i criteri per la diagnosi
di PTSD. Se per questo obiettivo l'EMDR è verificata, non lo è affatto
per il completo superamento delle articolate conseguenze dei traumi abitualmente
presenti in soggetti con PTSD. Ciò renderà molto più complessa
la ricerca in quanto l'ottenimento di ambiziosi obiettivi a vasto raggio
comporta l'adozione di maggiore creatività e deviazione dai protocolli
standard di intervento (Manfield, 1998; Parnell, 1999). Queste precisazioni
si intendono rivolte anche ad ogni altro approccio terapeutico rivolto al
PTSD.
5) Deve essere ancora abbondantemente compreso attraverso quali meccanismi
si esplica l'efficacia dell'EMDR, poiché le molte teorie attualmente
esistenti non sembrano essere totalmente convincenti o esaustive (per una
rassegna, Shapiro, 1995). Anche le recenti ricerche e i tentativi di interpretazione
di tipo psicobiologico (i.e. Levin, Lazrove, van der Kolk, 1999), per quanto
utili ed affascinanti, sembrano condurci verso la comprensione di cosa succede
quando si supera un trauma, come è organizzato cerebralmente un evento
traumatico, ma non ci dicono nulla della natura dello specifico intervento
impiegato a scopo terapeutico, ovvero l'EMDR, se non che è efficace.
Gli stessi cambiamenti a livello psicobiologico, infatti, potrebbero essere
raggiunti con differenti dispositivi psicoterapeutici (Giannantonio, 2000b).
6) Deve essere dimostrato se il protocollo EMDR per il PTSD ha la medesima
efficacia in presenza di PTSD parziale o subclinico (Yule, Williams, Joseph,
1999). Pur essendo estremamente verosimile, tale assunto deve essere maggiormente
verificato, anche se ci sono certamente importanti conferme in questo senso
(i.e.: Scheck et al., 1998; Wilson et al., 1995, 1997). Molto meno verificata è l'efficacia
dell'EMDR nei confronti degli eventi traumatici o altamente stressanti presenti
in modo trasversale in molte altre patologie, ma in assenza di PTSD o di
PTSD subclinico.
7) È necessaria una maggiore quantità di ricerche che utilizzi
follows-up a lunga distanza.
Sviluppi contemporanei dell'EMDR
Osservando la letteratura recente sull'EMDR fino ad arrivare al congresso
dell'EMDR International Association tenutosi a Toronto nel settembre
2000, sembra si possano scorgere le seguenti linee di tendenza nell'evoluzione
dell'EMDR.
1) Approfondimento della tecnica di intervento nel PTSD e attenzione rivolta
ad una maggiore accuratezza nella metodologia della ricerca.
2) Ricerche orientate all'indagine della componente psicobiologica del meccanismo
di funzionamento dell'EMDR.
3) Pubblicazioni essenzialmente finalizzate a difendere l'EMDR dalle frequenti
critiche che le vengono rivolte.
4) Approfondimento di ulteriori ambiti clinici in cui l'EMDR sembra dimostrarsi
efficace: Disturbo di Panico, Fobia Sociale e Specifica, Disturbo di Dismorfismo
Corporeo, Disturbo Ossessivo-Compulsivo, Disturbi dell'Alimentazione, Disturbi
Sessuali, Disturbi Dissociativi, Disturbi di Personalità, comportamenti
di addiction (per una elencazione più analitica degli ambiti di applicazione
e di ricerca attuali: Shapiro, 1995, 1999; Lipke, 2000).
5) Si stanno sempre più evidenziando i limiti intrinseci di un approccio
alla psicoterapia essenzialmente rivolto alla rielaborazione di singoli eventi
traumatici ed avente la pretesa di essere virtualmente compatibile con ogni
tradizione di psicoterapia. Il confronto con soggetti pluritraumatizzati,
con frequente comorbilità con Disturbi Dissociativi e di Personalità,
per esempio, sta portando molti autorevoli esponenti del mondo dell'EMDR
ad incorporare nelle proprie procedure operative e nella comprensione teoretica
del processo clinico le risorse provenienti dalla migliore tradizione della
psicoterapia ipnotica (i.e.: Phillips, Frederick, 1995). In particolare,
il modello della "Terapia degli Stati dell'Io" (Watkins, Watkins,
1997), implementato dall'EMDR, viene attualmente sperimentato nella terapia
dei Disturbi Dissociativi, di Personalità, di Panico, Ossessivo-Compulsivo,
Alimentari. In definitiva, l'EMDR sembra stia mutando, implicitamente o esplicitamente,
in un vero approccio alla psicoterapia in senso lato, con un sempre maggiore
apporto teoretico necessario per la sua applicazione, ed in questo modo diventando
probabilmente un corpus di conoscenze e procedure incommensurabile con alcune
tradizioni cliniche.
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