Michele Giannantonio
L’Eye Movement Desensitization and Reprocessing
(E.M.D.R.) negli adulti
e adolescenti abusati sessualmente in età infantile
Congresso AIAMC 2001
INTRODUZIONE
L’Eye Movement Desensitization and Reprocessing (EMDR) nasce come
interevento elettivo nella terapia del Disturbo Post-traumatico da Stress
(PTSD) e, in particolar
modo nelle fasi iniziali del suo consolidamento clinico e teoretico, ha calibrato
il proprio protocollo di intervento standard sul PTSD generato da combattimenti
bellici, catastrofi naturali e provocate dall’uomo. L’abuso sessuale,
soprattutto se avvenuto nell’infanzia, in modo prolungato ed all’interno
di un contesto familiare (ovvero il tipo di abuso sessuale sul quale concentrerò ora
la mia attenzione), è un tipo di evento traumatico che può presentare
caratteristiche peculiari: elementi dissociativi da marcati ad assenti, alterazioni
mnestiche e codifiche mnestiche stato-dipendenti, massicci meccanismi di repressione
operanti anche per decenni, condizionamento negativo dell’evoluzione
del sistema comportamentale dell’attaccamento, presenza di memorie somatiche
di difficile gestione da parte del paziente, disturbi sessuali, difficoltà nell’instaurazione
e nel mantenimento della relazione terapeutica. L’abuso sessuale intrafamiliare
si accompagna abitualmente alla trascuratezza emotiva ed alla violenza psicologica,
in alcuni casi anche a quella fisica. Di fronte ad un quadro clinico così complesso
(laddove la presenza di PTSD è semplicemente uno dei possibili
esiti psicopatologici, e con ogni probabilità non il più frequente),
l’intervento
con l’EMDR richiede modificazioni rispetto al protocollo standard di
intervento per il PTSD ma, soprattutto, l'inserimento all'interno di un intervento
clinico
di respiro decisamente più ampio rispetto all’impiego di algoritmi
terapeutici ridotti all’essenziale. Il sottoscritto ritiene che, al momento
attuale, lo studio più approfondito sull’argomento sia una pubblicazione
di Laurel Parnell del 1999. Personalmente, ed in modo concorde con quest’ultimo
autore, ho verificato la notevole efficacia nell’operare con l'EMDR -
anche molto direttivamente - sulla storia di attaccamento del paziente al fine
di colmarne
le falle evolutive o eliminare gli ostacoli per il conseguimento di questo
fondamentale obiettivo terapeutico.
Specificità dell’abuso sessuale
intrafamiliare
Rispetto alla quasi totalità degli eventi
traumatici che possono coinvolgere una persona nel corso della vita, l’abuso
sessuale intrafamiliare presenta alcune specificità che generano
riflessi sia a livello psicopatologo che psicoterapeutico. Fonte del trauma
L’abuso sessuale intrafamiliare, a differenza della maggior parte
dei traumi, interpersonali e non, è caratterizzato dall’avere
la fonte del trauma in una persona che, al contrario, dovrebbe fornire
contenimento, rassicurazione
ed aiuto nel superamento dei traumi stessi. Questo è particolarmente
vero quanto l’abusatore è un genitore. In questo caso l’abuso,
oltre ad essere un trauma di per sé, tende ad interferire significativamente
nello sviluppo del sistema comportamentale dell’attaccamento. Ciò può comportare
la creazione di Modelli Operativi Interni (cfr. Bowlby) disfunzionali, ovvero
rappresentazioni del Sé e dell’Altro nonché strategie
interpersonali disadattive, come la letteratura sull’attaccamento indica
ampiamente. In casi di particolari gravità, si è in presenza
di marcate alterazioni del normale senso di continuità e coesione
del Sé nel tempo e nello
spazio (come nei Disturbi Dissociativi e nel Disturbo Borderline di Personalità,
che in anamnesi risultano frequentemente associati ad abusi sessuali intrafamiliari),
problemi tipicamente accompagnati da importanti deficit nella regolazione
delle emozioni.
Frequentemente l’abuso sessuale intrafamiliare viene
attuato senza l’impiego
della violenza fisica, ma attraverso attività mistificatorie, fintamente
ludiche, plagiando il minore, portandolo alla convinzione distorta che
sia lui stesso ad essere responsabile dell’accaduto. Tale visione
del Sé e
dei fatti convive frequentemente con la rappresentazione dell’abusante
percepito come il reale responsabile degli eventi, ingenerando grande senso
di confusione e stallo nella rielaborazione del trauma, congiuntamente
a sentimenti
di vergogna, colpa, indegnità e sfiducia nelle persone.
Coinvolgimento
del corpo
Molti traumi riguardano il corpo, ma l’abuso sessuale lo coinvolge
anche sul piano della sessualità, potendo generare nella vittima
molti tipi di atteggiamenti verso il proprio corpo: sentimenti di indegnità,
vergogna, schifo, controllo costante delle emozioni, dei bisogni e dei
desideri oppure,
al contrario, la percezione del proprio corpo come dello strumento essenziale
per interessare all’Altro ed entrare in relazione, esponendosi
pertanto al rischio di ulteriori traumatizzazioni, anche da parte dei
terapeuti.
Esclusione delle informazioni
I meccanismi di esclusione selettiva delle informazioni (cfr. Bowlby)
sono abitualmente presenti come esito dell’esposizione ad eventi
traumatici, spaziando dall’amnesia
post-traumatica generata da meccanismi dissociativi, fino al semplice
evitamento cognitivo di elementi mnestici variamente connessi alle esperienze
traumatiche.
Nei casi di abuso sessuale intrafamiliare è possibile osservare
tutte le possibili combinazioni nell’impiego di tali meccanismi;
se l’abuso è particolarmente
grave e/o prolungato, è anche possibile che l’elevata presenza
di stress nel tempo possa avere fisicamente impedito l’ordinario
processo di memorizzazione degli eventi, rendendoli di fatto non adeguatamente
memorizzati
in forma episodica ed impossibili da recuperare in tale forma, se non
per mezzo della produzione involontaria di pseudo-ricordi o falsi-ricordi.
Allo stesso
modo, è possibile che per effetto delle esperienze traumatiche
la mente si organizzi in sottosistemi parzialmente autonomi, come già mostrato
alla fine dell’800 da Pierre Janet e riscoperto dalla recente letteratura
nord-americana in tema di psicotraumatologia.
Accorgimenti tecnici
Un quadro così complesso comporta che si debba abbandonare la
vana aspettativa di trattare chirurgicamente alcuni episodi traumatici
ed osservare in seguito
la persona che si ristabilisce spontaneamente attraverso ecologiche concatenazioni
di cambiamenti autogestiti. Ciò può accadere, ma è decisamente
raro. È innanzitutto necessario, infatti, individuare gli eventi
sui quali lavorare, a volte difficili da recuperare, e che necessitano
di tempo per essere
affrontati anche solo verbalmente dal paziente. La possibilità di
padroneggiare verbalmente gli eventi traumatici è precondizione
per il successivo trattamento con l’EMDR, pena il forte rischio
di esporre la persona a ricordi nei confronti dei quali si troverebbe
impreparato. Non potendo avere la certezza che il preliminare
lavoro supportivo e di ricostruzione anamnestica generi la sicurezza
e la stabilizzazione necessaria del paziente, è spesso necessario
dedicare un tempo significativo all’apprendimento di tecniche di
rilassamento, possibilmente di autoipnosi, senza evidentemente trascurare
l’eventualità che si rendano indispensabili
interventi farmacologici, anche molto protratti nel tempo. L’apprendimento
di queste ultime tecniche, infatti, può risultare utile per aiutare
il paziente a recuperare il controllo emozionale dopo che ha esperito
un notevole
coinvolgimento emozionale. Oltre a ciò, l’impiego di tecniche
ipnotiche orientate all’esplorazione interiore, all’installazione
di risorse (ovvero la facilitazione dell’accesso a risorse di natura
diversa che il paziente stenta ad impiegare spontaneamente) oppure alla
desensibilizzazione
nei confronti di materiale mnestico disturbante, può essere utile
laddove il pazienti sia in stallo durante l’impiego dell’EMDR.
In alcuni casi è anche necessario lavorare affinché il
paziente impari semplicemente a decodificare più correttamente
le proprie emozioni e sensazioni, prima di iniziare il trauma work in
senso stretto.
Non è possibile, in psicoterapia, avere la pretesa
di ricostruire la verità fattuale
dei ricordi di una persona. Nei casi di abuso sessuale intrafamiliare,
però,
tipicamente il paziente sarà particolarmente interessato a capire
la cosiddetta “realtà dei
fatti”. In assenza di prove certe, i ricordi dei pazienti dovranno
essere trattati come ricordi e dovrà essere fornito il minor numero
di suggerimenti ed interpretazioni possibili, essendo molto elevato il
rischio di introdurre
elementi estranei alla realtà dei fatti oppure costruire falsi
ricordi tout court.
L’intervento sugli episodi traumatici mette
frequentemente in rilievo le caratteristiche scisse o dissociative di
questi pazienti. In particolare, adottando
le caratteristiche di persone forti e sicure (si vedano i concetti di “autosufficienza
compulsiva” di Bowlby e di “falso Sé” di matrice
psicoanalitica), questi pazienti possono negare o svalutare l’esistenza
di problemi e di emozioni fortemente disturbanti, anche allo scopo di
tacitare sentimenti di colpa,
vergogna o fragilità. L’accesso a queste componenti può essere
fornito bypassando le sovrastrutture razionali lavorando direttamente
sulle sensazioni fisiche del paziente oppure facendo riferimento a rappresentazioni
visive di
sé stesso in diversi momenti della sua vita. Molto utile è il
lavoro effettuato sull’immagine infantile che il paziente ha di
sé stesso
(o “bambino interiore”), che consente di evidenziare gradualmente
gli intensi bisogni emotivi e le paure legate alla perversione della
sua storia di attaccamento. Possono anche essere presenti ulteriori parti
del Sé o
stati dell’Io, come persecutori, difensori regressivi, difensori
aggressivi. Tali sottosistemi del Sé possono apparire spontaneamente
oppure impiegando tecniche come quelle elaborate da John ed Ellen Watkins
nella cosiddetta “Terapia
degli Stati dell’Io”, possibilmente impiegando, a mio giudizio,
dispositivi atti a modulare lo stato di coscienza al fine di minimizzare – paradossalmente – la
possibilità che si producano artefatti dovuti a mera suggestione
o autosuggestione.
Quando ci si trova di fronte ad un organizzazione psichica
così complessa
e frammentata l’obiettivo è di ridurre tale complessità,
ridurre la differenza esistente fra le diverse parti, portare le parti
all’integrazione
o almeno alla cooperazione reciproca. Il semplice affidarsi alla libera
attività associativa
del paziente, paradigma metodologico dell’EMDR, può infatti
portare a ripercorrere decine di eventi variamente connessi ai problemi
presentati dal
paziente, ma in tali condizioni spesso con efficacia davvero moderata.
Attraverso un impiego più diretto e teoreticamente orientato dell’EMDR,
invece, è davvero
possibile aiutare la persona ad aiutarsi, ovvero a fare sì che
sia lei stessa ad occuparsi di aiutare il bambino al quale sono accaduti
gli eventi traumatici,
in tal modo abreagendo le emozioni represse o dissociate ed integrando
gradualmente le parti scisse del Sé. Ciò consente, inoltre,
di modificare i modelli operativi interni correlati alla storia di attaccamento
del paziente
non solo occupandosi di ciò che è accaduto ma anche di
ciò che,
purtroppo, non è accaduto. Da un certo punto di vista, infatti,
un tale tipo di approccio terapeutico rappresenta il tentativo di intervenire
sulla storia
di attaccamento del paziente, rielaborata attraverso dispositivi solo
apparentemente virtuali, ma che di fatto esercitano un profondo effetto
a livello comportamentale,
emotivo ed interpersonale. Uno spostamento così marcato sull’aspetto
(visivamente) virtuale dell’EMDR comporta dimestichezza con l’impiego
di tecniche di visualizzazione e di rielaborazione immaginativa: a tale
scopo si può fare ampio uso di strumentazioni proprie della psicoterapia
ipnotica, come ampiamente esposto da Laurel Parnell (1999).
Conclusione
L’impiego dell’EMDR nel trattamento dei disturbi connessi all’abuso
sessuale intrafamiliare avvenuto in età infantile è uno strumento
di grande utilità che per essere impiegato adeguatamente deve sottostare
ad alcune direttive, alcune delle quali sono le seguenti: 1) essere inscritto
all’interno di un intervento terapeutico di ampio respiro che non può esimersi
dal colorarsi teoreticamente; 2) prevedere anche notevoli e sistematiche deviazioni
dal protocollo standard dell’EMDR impiegato per il trattamento del PTSD;
3) orientarsi alla rielaborazione degli eventi traumatici in senso stretto, ma
anche ad un attivo e sistematico intervento sulla storia di attaccamento impiegando
molteplici dispositivi terapeutici; 4) essere consapevole che in questo ambito
psicoterapeutico l’ottenimento di risultati definitivi e duraturi in breve
tempo è un’eventualità molto infrequente. |