Se esiste una Laura Kibel, è perché per migliaia di anni, vale a dire dalla comparsa dell’uomo fino ad oggi, l’essere umano ha voluto rappresentare se stesso, la propria condizione esistenziale, attraverso un altro da se: il TOTEM, la MASCHERA, che più che nascondere serve a rivelare, le ombre, le statue,le bambole, le marionette, i burattini. Dunque, precursore della Kibel è l’arte stessa del rappresentare. Se ci spingiamo molto lontano nel tempo e nello spazio troviamo il PAALT’AL, una forma teatrale coreana che utilizza il piede per rappresentare una farsa. |
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Altri semi da cui può essere germogliato il teatro della Kibel, sono Hugo e Ines, una coppia di artisti che fanno un tipo di spettacolo in cui l’utilizzo dei piedi e ginocchia è essenziale (e geniale), ma non preponderante come negli spettacoli della Kibel. Molto probabilmente senza Hugo e Ines non ci sarebbe stato il Teatro dei Piedi della Kibel. Lei infatti non si presenta come inventore, come scopritore di una forma d’arte, ma come artista che, incontrata la forma, la indaga, la distorce, la fa sua. |
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Il “silenzio” verbale dei suoi personaggi non ha bisogno di una voce narrante, perché l’artista ha trovato il modo di far raccontare a loro stessi, la loro storia attraverso il gesto. In questo, forse il suo maestro potrebbe essere Obraztsov, il cui percorso artistico ha molti punti in comune con quello della Kibel. Come Obraztsov anche la Kibel ha iniziato a interessarsi di arte pittorica, come lui si è dedicata alla musica, lui solo al canto, lei anche agli strumenti musicali, per approdare infine al Teatro di Figura. |
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Altri “maestri” simbolici sono certamente Victoria Chaplin e Jean Baptiste Thierrée . |
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Solo così si può animare il suo teatro. In quel modo così preciso e tale da produrre un incantato sconcerto in chi la vede. Di nuovo si potrà obiettare che la Kibel è una burattinaia, non un’attrice: ed è qui che facciamo una scoperta, la Kibel si trova in una specie di terra di mezzo. E’ qualcosa di diverso da un’attrice, ma è anche qualcosa di diverso da una burattinaia. O meglio ella è contemporaneamente attrice e burattinaia, ma soprattutto, contemporaneamente burattinaia e burattino. Volendo sottoporre l’affermazione alla prova del nove, possiamo metterla a confronto con alcuni burattinai, ma sarà sufficiente prenderne ad esempio uno per tutti, quello con il quale, a nostro avviso, ha maggior affinità: Obraszov. Vedremo che, al termine dello spettacolo troveremo da un lato il burattinaio, e dall’altro i suoi burattini. Con la Kibel è diverso: al termine dei suoi spettacoli noi non avremo la Kibel da un lato e i burattini dall’altro, quanto piuttosto l’artista e un’infinità di capi d’abbigliamento e accessori minuti, vale a dire il guardaroba dei suoi burattini. Ma dove sono spariti i personaggi che abbiamo appena visto? Scomparsi? Fuggiti? In realtà il burattino che cerchiamo è qui sul palco che ringrazia per gli applausi, il burattino perduto è la Kibel stessa, alcune parti del suo corpo, i piedi, la gambe, le mani. Viene così a configurarsi una situazione paradossale, un teatro di burattini senza burattini. Un teatro attoriale, allora? Forse, ma senza attori in scena, perché la Kibel, in quanto attrice, una volta in scena, scompare. Siamo di fronte ad un fenomeno particolare in cui dobbiamo postulare o l’assenza sia del burattino che dell’attrice (ma allora chi è di scena?) o la presenza di entrambi, in una sorta di fusione, di compenetrazione reciproca. In questa condizione anfibia il nostro strano essere, colui che sta in scena, è sia parte del mondo dei burattinai, sia parte del mondo dei burattini. Egli, il burattinaio, muove se stesso burattino. |