Presentazione di Gesù al Tempio (Lc. 2, 22-40)

 

 

Avevamo già letto di recente questo brano del Vangelo di Luca nella Domenica della Santa Famiglia. Oggi – quaranta giorni dopo il Natale - la Chiesa ce lo ripropone in un contesto diverso, che è quello delle domeniche che lo precedono e lo seguiranno, dedicate alla predicazione di Gesù.

In questo differente ambito, alcune espressioni e certe situazioni si collocano in un modo del tutto nuovo e potente (come sempre avviene quando a parlare è la Parola di Dio).

La prima riflessione è, allora, sulla figura di Simeone, il vecchio “giusto e timorato di Dio” che spesso stava nel Tempio e al quale lo Spirito Santo aveva rivelato che non sarebbe morto prima di avere visto il Messia. Lo stesso Spirito Santo lo conduce al Tempio perché riconosca il Signore nel fanciullo che i genitori portavano per la purificazione della madre e per la sua presentazione, affinché, secondo la legge di Mosè, fosse riscattato in quanto primogenito.

Quella di Simeone è una figura meravigliosa che parla profondamente alla nostra vita.

La sua vita terrena è ormai giunta alla fine, ed egli però l’ha vissuta non passivamente o come un alienato, ma appoggiato sulla speranza che gli veniva semplicemente da una promessa dello Spirito Santo: proprio come Abramo e come Maria, Simeone è un altro modello di fede che si pone dinanzi a noi e, con questa sua esperienza di una vita di fervida attesa del Signore, ci ricorda alcune verità fondamentali.

La prima è che l’esistenza umana resta – come tanto spesso accade all’attualità e soprattutto in molti giovani che spesso si aggirano anche nelle nostre case stanchi e senza una meta -  vuota e priva di senso se non è illuminata ed insaporita dall’attesa dell’incontro con l’Autore della vita.

Quell’incontro è infatti l’unico fine esistenziale in grado di ridare vita ad una massa di ossa aride come le nostre: senza quella stessa speranza che fa del vecchio Simeone ancora un giovanotto sprizzante di energia, non c’è più senso a nulla e non ci resta che avvicinarci tristemente (o forse con rabbia), giorno dopo giorno, all’esaurimento dell’esperienza terrena.

Per questo quando il vecchio può finalmente riconoscere nel bimbo Gesù che sta tra le sua braccia Colui che ha orientato tutta la sua esperienza umana, zampilla dal suo animo un canto meraviglioso di benedizione, che non a caso la Chiesa ha prescelto per la  compieta, la preghiera finale di ogni giornata.

La giornata può finire bene, la stessa vita può anche terminare in pace nel momento in cui abbiamo incontrato il Signore, perché Egli è la salvezza, la luce che illumina tutte le genti e la gloria del suo popolo. Una vita senza di Lui è una vita di buio e confusione tremendi.

Occorre però, come Simeone, saper attendere, saper perseverare anche a lungo, per poter essere pronti al momento in cui il Signore vorrà farsi accogliere nelle nostre povere braccia: ecco il valore immenso della perseveranza nella preghiera, che Simeone aveva capito benissimo, se è vero che spesso si recava al Tempio per attendere “il conforto di Israele”. Simeone è un uomo che ha trascorso tutta la sua vita nell’esperienza della fede ebraica, eppure è più cristiano di tutti noi, perché in quella vita egli ha desiderato profondamente di incontrare il Figlio di Dio, l’Unto del Signore: e la sua attesa, la sua speranza non sono andate deluse, perché è vero che chi confida nel Signore non rimarrà mai deluso.

Ma c’è ancora una breve riflessione da fare, e riguarda le parole di Simeone a Maria: “Egli è qui per la rovina e la resurrezione di molti in Israele, segno di contraddizione perché siano svelati i pensieri

di molti cuori. E anche a te, una spada trafiggerà l’anima”.

Queste parole ci aiutano a meglio comprendere quello che stiamo leggendo sulla predicazione di Gesù. Simeone, vecchio saggio e illuminato dalla vicinanza dello Spirito Santo, sa benissimo che Gesù non sarà facilmente accettato, che Israele si dividerà dinanzi al suo Vangelo, che Egli sarà segno di contraddizione nelle case, nel Tempio, nell’intimo di ciascuno.

Vogliamo chiederci perché? Non sarebbe stato più facile che venisse in modo più deciso, più evidente, come forse avremmo fatto noi se fossimo stati Dio? Oppure, al contrario, non avrebbe potuto essere un po’ più accomodante, un po’ meno polemico con i Farisei, i Sacerdoti e gli Scribi, in modo da ottenere un accordo, un modus vivendi, un ruolo riconosciuto e rispettato?

Ebbene, queste sono le tentazioni diaboliche che Gesù ha ricevuto nel deserto ed alle quali si è opposto fermamente, perché Egli è la Verità, e la Verità non può subire compromessi oppure ammettere mezzi termini.

Per questo la Sua predicazione getterà lo scompiglio nel falso ordine umano, nelle categorie in cui abbiamo incasellato la vita, decidendo noi quello che è giusto e quello che non lo è, stabilendo noi a nostro comodo che un embrione può essere fatto fuori, che se uno soffre per una malattia può decidere lui di staccare la spina della vita, che per combattere il terrorismo (e forse non solo per quello) è lecito anche non escludere l’uso di armi atomiche, che nessuno ci deve pestare i piedi altrimenti come minimo gli togliamo il saluto: e ci sarebbero mille altre situazioni così, nelle quali abbiamo stabilito unilateralmente noi qual è la verità, come ci si deve comportare; ognuno di noi le ricerchi per se stesso e le stani, le metta a nudo perché siano illuminate e smascherate.

Gesù viene a dire qualcosa di diverso, di assolutamente nuovo, a parlare di perdono, di Amore, ad abiurare ad ogni sentimento di vendetta e di rancore: questa è quella Parola che nel profeta Malachia purifica “come il fuoco del fonditore e come la lisciva dei lavandai” e che l’apostolo Paolo ci descrive come una spada a doppio taglio, capace di penetrare profondamente in ciascuno di noi, fin nel “punto di divisione dell’anima”.

E’ proprio in quel punto – dove troppo spesso ci fa scomodo andare - che dobbiamo cercare di farci condurre da Gesù, ascoltando ciò che ci dirà, perché sappiamo che Lui non è venuto come un “medico pietoso”, incapace di guarirci, ma è venuto con un potere immenso proprio per “prendersi cura della stirpe di Abramo”, per sanare definitivamente chiunque ammetta di essere peccatore e bisognoso di aiuto, non orgoglioso ed autosufficiente, ma disposto a che i pensieri più reconditi e tremendi del suo cuore siano svelati e dunque adeguatamente combattuti.

Per questo, come dice sapientemente Simeone, l’incontro con Gesù, che si realizza sempre nel totale rispetto della nostra libertà di scelta, è comunque un incontro che cambia la vita: o porta alla rovina o alla resurrezione, o con Lui o contro di Lui.

Ma attenzione: alla rovina ci va solo chi sceglie deliberatamente l’alleanza con Satana. Ricordiamo a questo proposito come si rivolgono a Gesù i demoni quando Lui guarisce persone possedute: “Sei venuto a rovinarci!”: quindi l’unica cosa a cui si riferisce Simeone quando parla di rovina è proprio il Regno di Satana, ma questo purtroppo talora prende forma e sostanza in persone concrete, che rischiano anch’esse la perdizione insieme al Principe del mondo.

L’alternativa, per chi accoglie Gesù, è la resurrezione, la Vita eterna con Lui, un obiettivo che da solo ben può ridare senso a tutto, anche alla malattia, alla prova, alla sofferenza e all’ingiustizia di questo mondo.

Sì, perché Lui per primo è passato attraverso quella stessa sofferenza, ha condiviso totalmente la nostra condizione, si è lasciato crocifiggere per farci capire in un segno tangibile ed inequivocabile che la porta per la Vita è una Croce, è l’addossarsi la nostra debolezza, la nostra sofferenza ed anche quella degli altri, senza mai dire: basta!, ma ogni volta avendo fiducia e, sulla Sua parola, rigettando di nuovo le reti come Pietro.

Lo sa bene Maria, alla quale, sotto quella Croce, “una spada ha trafitto il cuore”, ma quel suo dolore è rimasto un dolore illuminato da una  prospettiva di certezza della promessa ricevuta.

Sembra, allora, davvero provvidenziale e meravigliosa la riproposizione di questa Parola della Festa della Presentazione al Tempio, perché essa può orientare e favorire un ascolto profondo della predicazione del Signore, nella quale l’amore di Dio si svela interamente a chiunque apra l’orecchio e, sull’esempio del vecchio Simeone, sappia benedire Iddio e riconoscere il Suo inviato alla nostra vita, il Salvatore che si fa piccolo come un bimbo per farsi accogliere nelle nostre povere e stanche braccia, pronto a ridarci nuova vita, luce, energia e speranza.