Gesù ci chiama (Mc
1, 16-20)
Questo
brano è meglio conosciuto come “la chiamata dei primi quattro discepoli”, e la
versione di Marco è pressoché identica a quella di Matteo, mentre in Luca e
Giovanni compaiono altri interessanti particolari: Luca ci narra come Gesù
convince Simon Pietro a seguirlo vincendo le sue resistenze con il segno della
pesca miracolosa, mentre Giovanni ci riporta – dopo la chiamata di Filippo
– lo stupefacente colloquio con
Natanaele, nel quale Gesù vince la diffidenza di costui, rivelandogli di averlo
visto sotto un fico, cosa che nessuno avrebbe potuto sapere all’infuori dello
stesso Natanaele e che induce il medesimo a riconoscere in Chi gli parla il
“Figlio di Dio “ e il “re d’Israele”.
Il
senso della narrazione della chiamata dei primi discepoli (sono due coppie di
fratelli, Simone e Andrea, Giacomo e Giovanni) lo si comprende meglio, però,
leggendo i versetti immediatamente precedenti del Vangelo di Marco, dove si
dice che “Dopo che Giovanni fu arrestato, Gesù si recò nella Galilea predicando
il vangelo di Dio e diceva: Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino;
convertitevi e credete al vangelo”.
Dunque
Gesù, dopo aver ricevuto il battesimo di Giovanni, aveva iniziato la
predicazione da solo in Galilea, annunciando l’avvento del regno di Dio.
Ma
già “passando lungo il mare di Galilea” Gesù comincia a chiamare alcuni uomini
e chiede loro di seguirlo, senza dire altro.
E’
un momento importante, molto importante.
La
missione di Gesù non si realizza pienamente e non ha senso senza la
collaborazione di altri uomini, senza il contributo di ciascuno di noi. Per
questo Egli, lungo la strada che percorre, chiama coloro che trova e che a loro
volta stanno percorrendo una strada nella vita.
E
si pone dinanzi a costoro come alternativa esistenziale, con una proposta secca
e concisa, senza troppe spiegazioni: ma è una proposta, all’evidenza,
estremamente interessante, se quelle persone cominciano a rispondere
positivamente.
La
risposta che cercavano a tanti interrogativi, a tanti vicoli ciechi, a mille
domande senza speranza è finalmente giunta, si è presentata lì dinanzi a loro
nella forma concreta di un uomo che li chiama a venir fuori dalla loro
esistenza per cominciare una vita completamente nuova.
Proprio
come Dio aveva chiamato Abramo, dicendogli: “Esci dalla tua terra e va’ nel
paese che Io ti indicherò”. E Abramo non aveva chiesto altre spiegazioni, ma
aveva creduto e giocato la sua vita in quell’invito e nella promessa di vera
vita che lo aveva seguito.
E
proprio come l’angelo Gabriele aveva portato a Maria da parte di Dio la
proposta incredibile di essere Madre del Signore. Anche lì, non c’erano state
molte parole o motivazioni, e Maria aveva scelto col suo sì sul momento, senza
prendere tempo, solo alla stregua della fiducia che riponeva nel Signore.
L’esperienza
inimitabile della sequela di Cristo inizia dunque da un incontro concreto con
Lui, che spontaneamente si propone alla nostra vita – forse quando meno ce lo
aspettiamo – e ci chiama per nome. Incontrare Gesù è una fortuna meravigliosa,
una occasione da non perdere, perché significa incontrare la chiave di volta
per capire tutto il nostro essere e valorizzarlo immensamente, così come
nessun’altra delle tante attività in cui giornalmente ci affanniamo riesce a
fare.
Non
c’è più sicurezza o tradizione o garanzia che valga, perché tutto – anche se
giusto e positivo - diventa comunque secondario davanti ad una figura che
orienta la vita intera di ciascuno di noi.
Perciò
i discepoli chiamati da Gesù lasciano tutto e lo seguono: la percezione della
grandezza di ciò che si prospetta è talmente immensa che nulla di ciò che è la
loro realtà attuale può indurli a resistere, ed essi non si volgono indietro,
ma guardano ad un futuro che si annuncia di una intensità senza pari.
Ma
come fa Gesù ad avere tanta forza di convinzione, senza neanche bisogno di
tanti discorsi ed argomenti, quanto soltanto per mezzo di una chiamata?
Non
dovremmo, in realtà, meravigliarci poi molto di questo. Sappiamo bene anche noi
che quando ci proponiamo a qualcuno chiamandolo, quello ci risponde e ci segue
– qualunque cosa gli proponiamo - nella misura in cui ci riconosce una
credibilità, nella misura in cui sa o almeno intuisce che non gli stiamo
preparando una delle solite buggerature, ma gli stiamo facendo una proposta
seria e vantaggiosa e, soprattutto, siamo in grado di mantenere le promesse che
facciamo.
Questo
è quello che i primi discepoli hanno trovato nella voce di Gesù che li
chiamava: una voce rassicurante, ricca di novità, di speranza, di nuovi orizzonti,
una voce alternativa in mezzo al totale grigiore e all’ingiustizia di una vita
piatta e rassegnata.
Ma
la sola voce non basta. C’è di più.
C’è
uno sguardo. Uno sguardo che ha qualcosa di completamente diverso dagli altri
sguardi.
Come
siamo abituati a sguardi di diffidenza, di invidia, di rancore, di falsa
ammirazione, di ipocrisia, di scherno, che esprimono le infinite maschere poste
nei rapporti con gli altri!
E
quanto spesso siamo anche noi a dispensare ai nostri simili – finanche quelli a
noi più vicini, moglie o marito e figli compresi – sguardi di questo stesso
tipo, così lontani dalla dimensione della verità e della libertà che sola può
portare la pace!
Lo
sguardo di Gesù è tutt’altro, è qualcosa di inimitabile ed inesprimibile.
Non
è questione di magia o di magnetismo, come forse qualcuno potrebbe pensare.
I
vangeli ci parlano abbastanza spesso di questo sguardo.
“Vide
Simone e Andrea mentre gettavano le reti”; “vide sulla barca anche Giacomo di
Zebedeo e Giovanni suo fratello mentre riassettavano le reti”, e li chiamò.
Ma
anche: “Vide Levi seduto al banco” (come non ricordare quel meraviglioso
dipinto del Caravaggio in cui Matteo, indicato dal dito di Gesù e guardato da
Lui, resta impietrito dalla meraviglia, intuendo che il Signore della Vita è interessato
proprio a lui?).
Ed
anche, soprattutto, nell’episodio del giovane ricco, in cui leggiamo: “Gesù,
fissatolo, lo amò”.
E
poi, quando parla ai discepoli della difficoltà di entrare nel regno dei cieli,
anche lì, rispondendo a loro che chiedono chi mai potrà salvarsi, Egli
“guardandoli” risponde che ciò è impossibile presso gli uomini ma non presso
Dio.
Infine,
anche dalla croce Gesù guarda in Giovanni l’umanità intera e l’affida a Maria
(“Donna, ecco tuo figlio”).
Qual
è il segreto profondo di questo sguardo, che lo rende così potente da indurre
persone normali e salde come noi a cambiare la propria vita e a giocarla
nell’esperienza della sua sequela?
Il
segreto è l’Amore.
Gesù
incrocia il suo sguardo con quello dell’uomo e lo scruta nell’intimo della sua
esistenza, fin nelle profondità dell’anima dove nessun altro può arrivare: e
così Egli sceglie ciascuno di noi e ci ama.
Non
ci guarda per giudicarci, non ci fissa per condannarci, non punta l’indice con
severità, ma volge verso di noi uno sguardo ricco di misericordia, di potenza
liberatrice, una sguardo taumaturgico che guarisce dalle infermità, che ci
invita ad uscire da quel ginepraio di peccati nel quale viviamo avviluppati
ogni giorno, forse senza più speranza di uscita, come in un diabolico labirinto
che ci imprigiona e ci impedisce di muoverci liberamente.
Quello
sguardo è l’unica possibilità di vita, è l’unica alternativa ad una esistenza
disillusa che non promette più nulla di positivo. E’ l’Amore del buon
Samaritano che si china sulle nostre ferite, quelle che tanti altri, compresi
coloro da cui ci aspettavamo di più, hanno schivato senza troppi complimenti (o
forse – ciò che è ancora peggio - con tanti complimenti ipocriti).
Accogliere
coscientemente e in piena libertà quello sguardo è dunque già mettere piede
nell’eternità, in una dimensione di vita nuova che non ha più paura della
debolezza, della sconfitta, della morte, perché sa che l’unica cosa che conta
veramente è di restare aggrappati a Colui che solo è in grado di strapparci
definitivamente da quella morte.
E’
così difficile accogliere lo sguardo di Gesù?
Forse
non è poi tanto difficile, per noi che siamo, nell’epoca attuale, così abituati
e pronti ad accogliere molti altri generi di sguardi persuasivi: quello del
potere, quello del sesso, quello della vita comoda e deresponsabilizzata,
quello dell’accumulo di vanti e onori, e chi più ne ha più ne metta.
Ognuno,
purchè si fermi un solo momento a meditare, troverà ben presto qual è lo
sguardo dal quale oggi si sta lasciando sedurre, qual è la direzione verso cui
ha orientato la navigazione della sua esistenza.
Che
peccato e che occasione perduta sarebbe se avessimo scelto di affidare qualcosa
di irripetibile ed importante come la nostra vita all’occhio di qualcuno che è
pronto a prometterci beni tanto immediati quanto effimeri per poi tradirci e
lasciarci nella disperazione e nel non senso!
Per questo l’esperienza della chiamata dei discepoli ci invita a dare una risposta cosciente ed avveduta, a seguire una promessa di novità e rischiare la nostra vita in un cammino che non potrà deluderci, perché guidato da uno sguardo di amore veramente disinteressato per ciascuno di noi.