Ecco il primo materiale che ho ricevuto sull'intervista. Lo ha raccolto nella fase iniziale della sua ricerca la collega Chiara Giorgetti che ringrazio.
La preparazione dell'intervista
Alcuni esempi di
interviste
Un professore intervista Alessandro Manzoni
Paolo Murialdi, giornalista egli stesso e storico del giornalismo, ha scritto che "l'intervista è una vecchia istituzione del giornalismo scritto, uno strumento utilissimo per dare più immediatezza a un fatto, per portare più vicino ai lettori un personaggio, per ottenere dichiarazioni e pareri importanti, che fanno testo o che sono suscettibili di sviluppi. La radio e, più di recente, la televisione, usando largamente questo strumento che è straordinariamente adatto al giornalismo parlato e visivo, hanno inflazionato e un po' logorato questa vecchia gloria del giornalismo. Tuttavia, ancora oggi una intervista azzeccata spicca in un quotidiano e in un periodico ed è sempre un'arma valida per la stampa" (P Murialdi, Come si legge un giornale, Roma-Bari, Laterza, 1973, pag. 90).
Questa forma di scrittura giornalistica, che sembra sia comparsa per la prima volta nel 1870 in America, riferisce un dialogo svoltosi fra un personaggio di interesse pubblico (legato alla politica, alla cultura o a qualche fatto di cronaca) e un giornalista che lo sollecita con domande.
Un bravo intervistatone deve essere capace di guidare la conversazione sui punti che rivestono maggiore interesse per i lettori e deve pertanto documentarsi sul personaggio da intervistare e sull'argomento dell'intervista in modo tale da essere in condizione di porre le domande opportune, di capire il significato delle risposte e di poter chiedere ulteriori chiarimenti. Un'uguale attenzione per le esigenze dei lettori dovrà esserci al momento di rielaborare il materiale raccolto eliminando da esso le ripetizioni e le digressioni tipiche delle conversazioni orali e trasformandolo in un testo comprensibile e chiaro che, in poche colonne di stampa, riferisca l'essenziale di una conversazione che magari è durata per ore.
Quali tipi di interviste
L'intervista, che già era una forma classica e frequente del giornalismo scritto, si è enormemente diffusa in quello televisivo nel quale è divenuta abituale l'immagine dell'uomo politico, dell'attrice famosa, del campione sportivo assediati dai microfoni dei cronisti ansiosi di registrarne le dichiarazioni. Abbiamo così tanti tipi di interviste secondo le circostanze, la personalità degli intervistati e degli intervistatori, l'occasione per cui certe dichiarazioni vengono rilasciate.
Una forma particolare di intervista è la conferenza stampa che si verifica quando un certo personaggio dà appuntamento al giornalisti, tutti insieme, per rispondere pubblicamente alle loro domande. In questo caso le dichiarazioni raccolte saranno le stesse per tutti i giornali e nessuno in particolare potrà vantarsi di averle avute in esclusiva. Al contrario, l'intervista classica è tanto più preziosa quanto più il personaggio che viene intervistato è difficilmente raggiungibile o notoriamente contrario a rilasciare dichiarazioni. Ma non basta stabilire il contatto: l'abilità del giornalista emerge anche, e soprattutto, dal modo in cui pone le domande e sa utilizzare le risposte per indurre il suo interlocutore a rilasciare dichiarazioni non ovvie e scontate. Naturalmente l'iniziativa per un'intervista può partire anche da colui che desidera farsi intervistare. E il caso di un personaggio pubblico, per esempio del mondo politico, che vuole fare conoscere il proprio pensiero attraverso i giornali e si rivolge a uno di questi perché mandi un suo inviato a raccogliere le sue dichiarazioni. Anche in questo caso si può apprezzare la qualità di un buon giornalista che non accetta di fare solo da portavoce al personaggio in questione, registrando passivamente le sue dichiarazioni, ma lo stimola con le domande costringendolo ad esprimersi su tutte le questioni che possono interessare i lettori.
L'intervista, quindi, ha uno scopo prevalentemente informativo, nelle quali l'attenzione è focalizzata sul problema o sull'evento oggetto del dialogo.
Esiste anche, è facilmente intuibile, un'intervista di intrattenimento, nella quale il vero protagonista è l'intervistato stesso, quando questi è un personaggio famoso del mondo dello spettacolo, dello sport, della cultura , della politica, ecc.
Nell'intervista sono generalmente riconoscibili la tipologia testuale argomentativa (nella parte del dialogo - soprattutto nelle risposte a domande aperte), e la tipologia testuale descrittiva e informativa (nella parte di contorno dell'intervista).
Le "interviste impossibili" costituiscono un particolare genere letterario, a metà tra l'invenzione narrativa e l'analisi critica di un personaggio del mondo della cultura, della storia ecc. Lo scrittore immagina di dialogare con questo personaggio, attribuendogli affermazioni che possono ricalcare suoi effettivi testi, oppure ricavandole dalla interpretazione del personaggio stesso.
Il linguaggio utilizzato e il tono espositivo si differenziano notevolmente da quelli tipici di un testo giornalistico, ma si avvicinano piuttosto a quelli di un testo di invenzione narrativa e di critica letteraria.
L'intervista che leggiamo su un giornale è il risultato di tre fasi distinte e ugualmente importanti di lavorazione:
(Il lavoro destinato alla televisione, di cui non ci occupiamo in questa sede, è ovviamente diverso, ma anche in quel caso sono rintracciabili due momenti distinti perché è raro che l'intervista venga trasmessa in diretta e, nella maggior parte dei casi, viene prima raccolta e poi montata.)
La preparazione dell'intervista
è
definire la tipologia di intervista (informativa o intrattenimento)è
raccogliere informazioni sul tema o sul personaggioè
formulare un proprio progetto sull'andamento del colloquio e preparare una scaletta di domande da porre all'intervistato; esse possono essere aperte o chiuse, cioè con possibilità che l'intervistato risponda esulando anche dai "binari" imposti dall'intervistatore, oppure con una risposta secca, affermativa o negativa.è
le domande preparate in anticipo vengono presentate nella sequenza prevista ma possono ricevere anche un ordine differente in ragione delle risposte e dell'indirizzo che queste imprimono al colloquio;è
l'intervistatore annota le risposte (o le registra per poi riascoltarle) ma anche sulle espressioni del volto dell'intervistato, sulle sue eventuali incertezze, sul luogo in cui avviene l'intervista, sulle interruzioni che si verificano. Insomma su tutto quello che potrà servire poi, al momento della stesura, per rendere il lettore partecipe il più possibile al colloquio (e suggerirgli le stesse sensazioni che il giornalista ne ha tratto)è
il giornalista elabora il materiale raccolto (registrato o in forma di appunti) e lo trasforma in un testo scritto che possa restituire l'immediatezza del linguaggio parlato attraverso il differente registro della scrittura;è
il giornalista ha il preciso dovere morale di non stravolgere le dichiarazioni dell'intervistato deformandone il senso o tralasciandone delle parti rilevanti, ma ha anche il dovere professionale di scrivere un pezzo leggibile, non eccessivamente lungo (e necessariamente ridotto rispetto alla durata reale del colloquio) e che riscuota l'interesse del lettore;è
alcune parti possono essere riassunte e riferite nella forma del discorso indiretto (per esempio: "alla domanda risponde che...");è
altre parti possono essere sottolineate da indicazioni di tipo psicologico (per esempio: "prima di rispondere ha avuto un attimo di esitazione', oppure: "sul suo volto è comparso un sorriso mentre diceva:...");è
in linea di massima in una buona intervista le domande e le risposte si susseguono con un ritmo rapido e, soprattutto le prime, non sono mai troppo lunghe. Alcuni giornalisti preferiscono dividere l'intervista in due parti: un'introduzione in cui riassumono le informazioni generali raccolte, descrivono l'ambiente e/o il personaggio ecc; un resoconto in cui riportano le domande e risposte.
Un professore intervista Alessandro Manzoni
Signor conte...
- Ma che conte e conte. Chi siete, cosa volete?
Mi scusi se la disturbo, caro Maestro (mi permetta almeno di chiamarla così per antica deferenza), ma -veda- io mi sono arrampicato fin quassù per parlare un po' con lei: avrei alcune domande da farle...
- Ancora un'intervista impossibile? Ma non vi è passata questa noiosissima mania di importunare il prossimo nell'aldilà? Non vi basta di infastidire la gente nel vostro bel paese?
Lei ha ragione, signor conte, ma..
- Ho detto che qui non ci sono né conti né marchesi: siamo solo delle povere anime purganti. A proposito, come ha fatto a salire qui sopra? Il vecchio Catone deve essere ormai rimbambito se non si accorge che il Purgatorio è pieno di alpinisti abusivi.
Mi compatisca, non la importunerò troppo a lungo.
- Ma lei sa quanti scocciatori ho dovuto ricacciare indietro a bocca chiusa e penna asciutta? Gazzettieri, scribacchini, critici di ogni risma, medium e spiritisti. Dio ne liberi! (... ) Senta, mi lasci in pace a crogiolarmi fra queste fiamme.
Signor Manzoni, l'ho cercata per tutte le sette balze, inseguito dagli angeli guardiani e attraversando calche di penitenti. Sia compiacente anche in grazia del mio gravoso mestiere...
- Che sarebbe?
Il professore: devo parlare di lei ai diciottenni di oggi e le assicuro che è un compito ingrato. Mi vorrà scusare per la franchezza. dicono che lei è un 'mattone', per di più è poco attuale e divertente, e puzza dì incenso...
- Hanno ragione.
Come?!
- Sì, dico, hanno ragione i ragazzi a pensarla così. Veda, caro pedagogo, la mia peggiore disgrazia è di essere finito sui banchi di scuola e fra le vostre grinfie.
Lei certo non mi incoraggia. Le assicuro che io nutro una sincera ammirazione per la sua arte e mi sono sempre preoccupato di farne conoscere la profonda umanità e bellezza. Eppure...Arrossisco nel confessarle che qualcuno sbadiglia mentre si legge il Natale o l'Adelchi.
- Lei vorrebbe che io dicessi: brutti tempi, caro professore, la scuola è in crisi, come la famiglia, la religione, la patria... Guardi, io non mi incornicio affatto in questo quadretto. Le ripeto: costringere dei ragazzi di tre lustri a sorbirsi il mio romanzo, e per di più con la derrata esplicatoria di maestri e commentatori vari, è un'operazione sadica, altro che! Ma fategli leggere Calvino (l'Italo, naturalmente).
(A. Marchese, Manzoni in Purgatorio, Le Lettere, Firenze 1982, pp. 23-24)
Creare nuovi posti / La soluzione in un libro
Un po' di lavoro, un po' di studio. Alternati. Per tutta la vita. I consigli di un esperto. Per allontanare un futuro fatto di precarietà ed emarginazione
L'Espresso 24 settembre 1i998
Mentre il governo di Romano Prodi è impegnato in una difficile trattativa per il varo della Finanziaria, esce da Einaudi un saggio di Luciano Gallino che lancia un grido d'allarme sulle prospettive dell'occupazione in Italia e nel mondo. Il titolo del volume - "Se tre milioni vi sembran pochi" - indica quanti sono oggi i disoccupati nel nostro paese e richiama quello di una canzone operaia di inizio secolo per rivendicare le otto ore di lavoro. La tesi del professor Gallino, ordinario di Sociologia all'università di Torino, è che, se si lasciano andar le cose per il loro verso, un 80 per cento di lavoratori resi marginali o superflui dal capitalismo. porterà al dominio della disoccupazione, dell'occupazione precaria e della mala occupazione. In questa intervista all'Espresso spiega in che modo si può fronteggiare l'emergenza. .
Prima si parlava di una società dei due terzi, con un terzo di esclusi. Ora lei prospetta una società con quattro quinti di esclusi. Non le sembra una visione un po' catastrofica?
- E' sicuramente una visione catastrofica, ma non viene da me. E' stata prospettata in incontri dei grandi della politica e dell'economia. Il libro vorrebbe essere un contributo per sconfiggere tali profezie..
La tendenza non è ineluttabile?
- No. A condizione che non subiamo il processo mondiale a cui assistiamo ritenendo che non ci sia niente da fare. Se apriamo un'agenda politica sull'occupazione il trend può cambiare..
L'occupazione ha il posto che le compete nel dibattito che precede il varo della Finanziaria?
- Da alcuni mesi il dibattito sull'occupazione occupa finalmente un posto rilevante sulla scena politico-economica, a differenza dei cinque anni trascorsi. In modo un po' incongruo si parla però soltanto di occupazione nel Meridione, dove sicuramente il problema è molto più grave e le soluzioni più difficili. Ma è solo una parte della questione. Il lavoro non scompare o non si degrada solamente nel Mezzogiorno, scompare e si degrada in molte altre parti d'Italia, comprese quelle considerate relativamente prospere..
Come giudica le misure che il governo sta approntando?
- "Alcune vanno nella direzione giusta. Ma ci sono seri limiti di ordine dimensionale, riguardano territori troppo ristretti, come quelli dei contratti d'area, che interessano per ora alcune centinaia di chilometri quadrati. Inoltre sono provvedimenti limitati nel tempo: dopo i primi anni gli incentivi cominciano a diminuire"... [... 1
Alle 35 ore per legge lei contrappone la formazione per legge. Per quale ragione?
- "La riduzione dell'orario di lavoro a 35 ore è del tutto fuori bersaglio. Qualunque lira tolta ai profitti o agli investimenti dovrebbe andare in altre direzioni, in particolare nella formazione permanente. La maggior parte dei giovani incontrano il lavoro troppo tardi e anche le aziende incontrano i giovani troppo tardi. Sarebbe necessario che già nella media superiore e fin dai primissimi corsi universitari il lavoro sotto varie forme - tirocinio, stage - fosse molto più presente e per molte ore l'anno. A loro volta momenti formativi dovrebbero essere inseriti in ogni tipo di attività, non solo nelle imprese ma anche nella pubblica amministrazione. La formazione andrebbe mantenuta per tutta la vita lavorativa: con l'accorciamento dei cicli tecnologici le competenze svaniscono in 10 anni".
Stato sociale: è un modello da difendere?
- Certamente sì. E' da correggere, da modificare anche profondamente, per tener conto del fatto che si vive sempre di più e in condizioni migliori, del calo del tasso di natalità e di molti altri fattori. Ma è una delle invenzioni del XX secolo che permetteranno probabilmente di consegnarlo soltanto al Purgatorio della storia invece che all'Inferno per quello che ha combinato in altri campi.
Il suo libro dà l'impressione, a volte, di nostalgia per lo Stato dirigista. E' così?
- Non del tutto. Il liberismo di cui ci parlano americani, giapponesi, inglesi è un modo per venderci il loro protezionismo. Nessun paese è più protezionista del Giappone, nessun paese è più attento degli Stati Uniti a tutelare le proprie tecnologie. Il mio suggerimento è di non prendere il liberismo altrui come invito alle dimissioni dello Stato, senza guardare ai grandi atti di politica industriale di quei paesi in cui i poteri pubblici hanno sempre avuto una parte determinante..
Lei parla di una miniera di lavoro da sfruttare. Può indicare i comparsi?
- Faccio qualche esempio. C'è l'enorme problema delle infrastrutture - dalle ferrovie alle linee di trasmissione dati ad alta velocità - che è pesante già nel centro-nord ed è gravissimo nel centro-sud. Ci sono città piene di storia e con migliaia di monumenti che cadono a pezzi. Ci sono milioni di famiglie che avrebbero bisogno di servizi prodotti con seri criteri industriali. Anche affrontare i problemi della giustizia significa lavoro per più impiegati, più computer, più cancellieri e naturalmente più giudici..
Lei indica come programma per la sinistra la valorizzazione della grande impresa. Perché?
- In quella che si può ancora definire l'anima di sinistra la grande impresa è sempre vista come il regno oscuro del capitale, con le sue colpe, i suoi poteri non del tutto legittimati. Con la sua potenza, con la sua libertà di movimento, la grande impresa presenta sicuramente problemi per la sinistra, però è necessario valorizzarla perché è l'unica in grado di fare ricerca che a sua volta crea occupazione..
Al contrario, come programma per la destra indica il rafforzamento dell'intervento dello Stato nell'economia. In che termini?
- "Non nel senso di rimettersi a fare panettoni o biciclette. Ma c'è tutta una serie di settori - informatica, avionica, chimica, farmaceutica - in cui l'Italia aveva qualche punto di forza, e li ha di fatto abbandonati. Lo Stato non ha sostenuto né stimolato settori strategici vitali sino al momento in cui potessero camminare con le loro gambe, come invece hanno energicamente fatto gli altri paesi industriali con cui dobbiamo competere.
colloquio con Luciano Gallino -
di Francesco De Vito
Consacrata quest'anno con il premio Pritzker, il Nobel dell'architettura, la sua carriera è iniziata a Genova ma ha presto sconfinato. " Perché noi liguri siamo come la nostra terra: introversi, ma proiettati verso l'esterno"
Venerdì di Repubblica 8 dicembre 1998
GENOVA. Il primo appuntamento con Renzo Piano è al laboratorio Unesco & Workshop a Punta Nave, tra Voltri e Vesima, là dove finisce la Grande Genova e comincia la Riviera di Ponente. Più che un edificio, lo studio dell'architetto - che è da diversi anni "l'ambasciatore di buona volontà" per i problemi delle città dell'Unesco - è una serie di "botteghe" in vetro adagiate su sette "fasce", le tipiche terrazze della collina ligure. Dalla strada, a livello del mare, lo si vede appena, tra le macchie di verde e gli alberi di olivo vecchi di duecento anni, trasportati lassù con l'elicottero. E', Punta Nave, una metafora dell'essenza del lavoro di Piano, che - ha scritto il critico Peter Buchanan - sembra essere l'uso della tecnologia per ottenere un morbido accomodamento non solo con l'Uomo, ma anche con la natura e la tradizione..
In questa intervista in tre parti, il primo atto non poteva svolgersi che a Punta Nave, metà scoglio e metà nave, che Piano paragona a una mongolfiera Postdamer. Il cielo di Berlino è abitato di fantasmi. Certo, se tutti i cantieri sono i luoghi dell'esplorazione, questo ha qualcosa in più, è unico. E' un cantiere postbellico che per un sortilegio drammatico è stato ritardato di cinquant'anni. Ci sento la stessa energia, l'entusiasmo che c'era in Italia durante la ricostruzione del dopoguerra. Questo che è stato il teatro della più grande intolleranza della storia moderna è diventato il teatro della cooperazione tra i popoli. Dei cinquemila operai che ci lavorano soltanto una minoranza è tedesca..
Lei insiste molto sul fatto che ha cominciato dal "fare", dal cantiere, dalla ricerca sui materiali, dalla conoscenza delle tecniche costruttive. Qual è il punto di sintesi tra la prosa del costruttore, la poesia dell'artista, l'impegno sociale, e politico in senso lato, dell'architetto?
- Il punto di sintesi è la città. E' andata in crisi come idea, l'abbiamo maltrattata, specie nella seconda metà del secolo, nella ricostruzione. Calvino diceva che anche nella città più infelice c'è una parte felice. E dobbiamo proteggerla. Invece si è creata una specie di sfiducia nella città. Le città non possono continuare a crescere, devono implodere, non esplodere. Questa è la crescita sostenibile, le periferie che diventano più urbane, i centri storici che riprendono il loro ruolo guida..
PARIGI. Il terzo appuntamento con Renzo Piano è nel suo studio nel Marais. Dove troviamo, verso sera, il tempo per una chiacchierata distesa, che si prolunga camminando verso la sua vicina casa parigina. "Mi piace passeggiare in questo quartiere la domenica mattina" dice "E' un posto dove ti muovi a piedi, dove conosci la gente, dove saluti il panettiere e il libraio. La vita sociale, l'incontro e lo scambio sono necessari tanto quanto in altri momenti è necessario un rifugio. Ecco, Parigi è l'informazione, la socialità al massimo grado, talvolta fino all'eccesso. La Punta Nave è la riflessione, la solitudine. Ho bisogno di entrambe, personalmente e professionalmente. E' un po' come comporre un grande mosaico. Devi lavorare da vicino, perché ogni tessera va collocata esattamente; ma poi ogni tanto devi allontanarti, se non perdi il quadro complessivo".
Mi sembra che anche lei, come Genova, abbia avuto bisogno di andare altrove per trovare la sua forza.
- Io non sono un architetto italiano che ha un ufficio all'estero. Il mio ufficio è qui, a Parigi lavoro e abito dal 1971. Ho sempre portato con me, della mia italianità, un amore riconoscente verso le tradizioni assieme a un istintivo gusto per l'esplorazione. Forse questo è un tratto europeo, forse è specificamente italiano. Certamente è l'eredità di una cultura umanista che consente le più spericolate evoluzioni: sotto c'è sempre la rete di sicurezza del nostro passato. Queste cose le senti appena esci dall'Europa. Quando vai fuori dell'Europa ti senti più europeo, senti che sei diverso.
Che cosa è l'Europa per lei? Che vuol dire questo sentirsi diverso perché europeo?
- L'Europa non dipende dalle invenzioni recenti che sono comunque necessarie, l'euromoneta, l'eurodisciplina, l'eticopolitica: esse servono a mettere ordine. La vera forza dell'Europa sta in questo comune Dna, che è quello umanista, e questo c'è da molti secoli. Mi piace questa visione antica, ma oggi accelerata, dell'Europa, la possibilità che ciascuno con il suo carattere e con la sua specificità provveda qualità complementari a quelle degli altri. Mi piace l'idea di poter arricchire con la leggerezza del mio lavoro di antica origine italiana la sublime ostinazione della cultura tedesca. lo credo che ci siano due tipi diversi di intelligenza: ce n'è una che chiamerei pesante, e che può essere molto pericolosa perché può spingere a crearsi sempre un credo. Ma c'è anche un'intelligenza leggera, quella che resta permeabile alle opinioni altrui, sensibile a qualsiasi segnale: è questa l'unica intelligenza che, accoppiata alla testardaggine, può produrre qualcosa di positivo.
Ma l'Italia, al di là dell'euromoneta e dell'europolitica, in Europa c'è davvero? Le difficoltà che lei ha incontrato a Roma per l'Auditorium le hanno fatto dire che lavorare in Italia è impossibile.
- Ma certo che ci siamo in Europa. L'Europa non può fare a meno di un paese come il nostro, leggermente pazzo. Però bisogna muoversi. Ai giovani dico: andate, ma non per fuggire, per tornare. Che siamo in Europa l'ho capito soprattutto lavorando a Berlino, dove ho avuto un enorme rispetto. Forse perché si sono resi conto che per fare quel lavoro ci voleva una capacità di ascolto che loro non hanno, mentre hanno l'organizzazione, la forza, la produttività. Ecco, per l'appunto, il rapporto tra intelligenza leggera e pesante. Ma se non ho dubbi che siamo in Europa, altrettanto sono convinto che di strada il nostro Paese deve farne molta, per mettersi in pari con gli altri.
In quale direzione?
- Sul piano della pubblica amministrazione, innanzitutto. il vero dramma di Tangentopoli non è che hanno rubato. E' che la corruzione ha rubato gli ingegni, il futuro ai non corrotti. Come nelle storie drammatiche dei bambini scambiati, uno ha rubato il futuro all'altro..
Dunque lei è euroentusiasta, ma italoscettico?
- No, sono italottimista, nonostante tutto. Forse perché non mi pongo neppure il problema. L'Italia è un Paese ricco di ingegni, un paese di grandi generosità, di enorme ricchezza umanistica. Forse dobbiamo avere una cultura più meticcia rispetto all'Europa. Dobbiamo sfondare le frontiere, apprendere le virtù e anche i vizi degli altri. Molti giovani sono chiusi in un cerchio di gesso. Basta alzare il piede: è solo un cerchio di gesso. L'estero non esiste più.
Paolo Garimberti
Bibliografia essenziale:
Fossati-Levis: Promossi in scrittura - Ed. scolastiche Bruno Mondadori
Nicola-Castellano: Prima prova (Strategie e …..) - Petrini
Cremascoli: Guida alla scrittura nel triennio - La Nuova Italia
Degl'Innocenti: Le prove del Nuovo Esame di Stato (metodi …) - Paravia
Fogliato-Testa: Strumenti per l'italiano - Loescher