Il teorema di Tierralegre

ovvero

Storia di un'aviazione appiedata

(pubblicato su O.G., il mensile dell'Ordine nazionale dei giornalisti italiani)

 

   La notte scellerata della Repubblica di Tierralegre cominciò sotto i peggiori auspici. Nessun compromesso sembrava possibile fra i leader dei quindici partiti, riuniti in tutta fretta per risolvere un problema, banale quanto insidioso, che rischiava di trascinare il paese nel caos e nella guerra civile. Le forze armate, solido presidio di una democrazia durata già trent'anni, si stavano trasformando in un fattore di conflitto e di destabilizzazione.

   Tutta colpa dell'aviazione, per anni costituita da una ristretta élite in mano al partito del presidente, ed ora cresciuta oltre ogni previsione per importanza strategica e per capacità tecnologica, tanto da relegare in un ruolo subalterno sia il potentissimo esercito, sia l'oramai quasi dimenticata Marina. E, poiché era diventato chiaro che controllare la forza aerea significava avere in pugno Tierralegre, non solo le opposizioni, ma anche le numerose formazioni che appoggiavano la coalizione di governo, gridavano all'alterazione del gioco democratico.

   E non era servita a trovare una soluzione neppure la grande disponibilità dimostrata, come sempre in casi analoghi, dal partito del presidente. Questo, forte dell'appoggio delle potenze internazionali, sapeva che nessun evento avrebbe consentito alle opposizioni di prendere il potere. Dunque, non c'era ragione di esasperare la situazione negando un certo grado di accesso alle istituzioni. Il fatto era che con l'aviazione tutto diventava più difficile.

   Pochi centri di comando, i mezzi d'azione in dotazione ad un numero ristretto di professionisti, in grado di muoversi rapidamente e di raggiungere ogni punto del territorio, una consistente forza di supporto, priva in pratica di qualsiasi potere, un'organizzazione del lavoro in gruppi, tutti dedicati a far volare piccole unità combattenti, facevano dell'armata dell'aria il più non gestibile problema istituzionale che fosse mai apparso all'orizzonte di Tierralegre.

   Ma, nella notte scellerata, sotto la pressione da un lato di chi agitava lo spettro di una resistenza popolare, e dall'altro di chi minacciava di costituire centinaia di piccole squadriglie aeree private, dal leader di un partito moderato minore saltò fuori la soluzione che contentava tutti. E che, soprattutto, incarnava proprio quella massima salvaguardia degli ideali democratici che si voleva ripristinare.

   Punto primo: se l'aviazione era diventata davvero tanto importante, era necessario affidarne il controllo direttamente al popolo, attraverso l'organo nel quale siedono tutti i suoi rappresentanti, cioè al Parlamento.

   Punto secondo: in base a questo principio, tutto il popolo, cioè elettori o militanti di tutti i partiti, avevano il diritto di far parte delle forze aeree, e ciò in proporzione ai voti ricevuti nelle elezioni generali. Dunque, se si arruolavano cinque piloti del partito del presidente, avevano diritto ad entrare quattro delle opposizioni, tre degli altri partiti di coalizione, due dei partiti minori, uno delle formazioni autonome.

   Punto terzo: si stabiliva la necessità di potenziare enormemente una forza che si era rivelata così importante per la difesa della Nazione. Espandere, si disse, secondo un principio di diversificazione funzionale. Dunque, di aviazioni se ne creavano tre. Una prima, quella convenzionale, già esistente, rappresentava la forza d'attacco. Una seconda, meno vincolata ai compiti istituzionali, avrebbe costituito la forza trainante del cambiamento, con la sperimentazione di nuovi modelli di difesa e una spiccata funzione di sentinella democratica e civile. Una terza forza aerea, poi, avrebbe formato lo strumento per la difesa regionale.

    Il progetto entusiasmò tutti, dai politici, ai commentatori, all'opinione pubblica. In breve, con grande fervore, si diede vita alla seconda aviazione, staccando una costola dalla prima, quindi alla terza, con strutture totalmente nuove. Ma, al contrario di quanto tutti si aspettavano, il risultato di tutto ciò fu disastroso.

    In primo luogo, i politici non sapevano dove trovare le decine di piloti ed ufficiali in grado di lavorare nell'aeronautica e, per di più, avevano bisogno di persone di comprovata fede politica o inclini a farsi condizionare, che rappresentassero i loro interessi. Cominciarono, dunque, ad attingere dall'esercito,  pescando in tutti i ranghi, fin nei soldati semplici. Poi, diedero fondo alle altre armi. Alla fine, tirarono dentro chiunque più o meno volesse cimentarsi.

    Stretti dall'esigenza di non perdere posizioni rispetto agli altri partiti, fecero in modo che i propri protetti fossero rapidamente promossi alle cariche più alte. Ad ogni cambiamento di vento politico o elettorale, l'aeronautica di Tierrallegre fu così attraversata da terremoti nelle gerarchie e negli incarichi chiave. In pochi mesi, i nuovi arrivati, soprattutto gente dell'esercito, occuparono ogni posizione importante e si trovarono nella scomoda posizione di dover far funzionare un organismo di cui poco sapevano.

   Senza poter fermare il treno in corsa, si trovavano a dover mantenere in pugno la situazione e rendere servigi ai loro mandanti. Non poterono far altro che applicare le conoscenze, l'organizzazione del lavoro, le regole belliche imparate e praticate in fanteria, tra i carristi,  paracadutisti, bersaglieri, alpini e assaltatori. Procedure valide per spostare armate e divisioni, migliaia di uomini su ogni terreno, ma capaci di portare al disastro i combattenti del cielo. Riuscire a far decollare un caccia diventò un'impresa complicata e costosissima.

   Eppure, bisognava farlo, nel nome della convivenza democratica. In realtà, degli interessi dei politici, ma questo non si poteva dire apertamente perché, maggioranza e opposizione, ognuno aveva il proprio tornaconto. E allora, in preda ad una specie di febbre del buon funzionamento aviatorio, partì una smisurata campagna acquisti, soprattutto di piloti e di ufficiali che, per evitare sabotaggi da parte dei subalterni, più difficilmente controllabili politicamente, presero in mano ogni fase del lavoro. Riparavano motori, curavano la manutenzione, facevano benzina, gestivano gli hangar, erano nella centrale operativa della torre di controllo, preparavano rotte e pulivano la mensa. Una vera orgia di buona volontà e spirito di sacrificio.

    Ma, a dispetto di ogni sforzo, l'oramai traboccante mega-armata dell'aria riusciva a stento ad assicurare l'ordinaria pattuglia dei cieli di Tierralegre. Insomma, a gestire faticosamente l'ordinario. E, anche se nessuno aveva il coraggio di dirlo ad alta voce, né tanto meno di scriverlo, in caso di attacco nemico o di missione all'estero con le potenze alleate, sarebbe stato uno sfacelo.

   Una realtà della quale all'interno dell'aeronautica non c'era quasi coscienza. La maggior parte degli ufficiali emergenti e dei piloti, anzi, si crogiolavano nell'illusione di essere la più potente forza aerea del mondo. Citavano i dati sul numero di uomini e di aerei, sulle risorse impiegate e sugli apparati tecnologici. Pensavano a quella enorme macchina da guerra come a qualcosa che si sarebbe mosso oscurando il cielo, che avrebbe "marciato" sul nemico, sfondato le linee e invaso territori e città, proprio come se si fosse trattato di un esercito, al cui modello, d’altro canto, si rifacevano.

   Quando due bombardieri, neppure tanto moderni, di un vicino paese in mano a un rais sconclusionato, violarono tutte le difese aeree e sganciarono  una dozzina di bombe burla (cariche di fuochi d'artificio) nel bel mezzo della capitale, proprio di fronte al palazzo presidenziale, fu inventato ogni genere di giustificazione tecnica e di scusa per spiegare come fosse potuto accadere.

   E si agitò lo spettro di un complotto di spie straniere quando il tentativo di ritorsione, neanche a dirlo un'incursione aerea, finì con otto dei dieci caccia super moderni rientrati subito alla base per avaria, un nono caduto in mare e il decimo tirato giù da una contraerea nemica in verità piuttosto casereccia.

   A cambiare la situazione non servirono i chilometrici dibattiti parlamentari che ne seguirono, le polemiche sui giornali, le ripetute sostituzioni in blocco dello stato maggiore con nuovi e più qualificati generali dell'esercito. E neppure le nuove iniezioni economiche, di mezzi tecnici e di personale.

   La situazione si complicò talmente che sembrò sempre più un vaniloquio inadeguato la voce di chi continuava a ripetere che un'aviazione organizzata come se dovesse andare a piedi, affollata da rappresentanti di partito e divisa in tre teste che si fanno concorrenza non aveva la benché minima speranza di arrivare da nessuna parte.

   Fu in queste condizioni che la Repubblica di Tierralegre si trovò dinanzi ad una di quelle prove decisive che ogni democrazia è chiamata ad affrontare periodicamente. A un anno dalle elezioni presidenziali, mentre la congiuntura internazionale stringeva il paese in una difficile crisi economica, si fece largo un nuovo leader politico. Un uomo di grande attrattiva popolare, alla guida di un movimento che raggruppava scontenti, delusi, frange estremiste, una buona fetta di popolazione esclusa dalla ricchezza e buona parte di imprenditori, fin allora agevolati dalla grande libertà di azione lasciata all'iniziativa privata, ora stretti dall'esigenza di far quadrare i conti.

 A capo di un grande impero economico, il nuovo candidato ad assumere la guida del paese poteva contare anche su una piccola ma efficientissima aviazione privata...