18 dicembre '98: Nelle vie dell'Iraq strangolato dall'embargo

Bagdad ostenta una vita normale, tra un bombardamento e l'altro,

nelle vie e nei mercati dove si cerca l'essenziale per andare avanti.

E le famiglie, se possono, si muovono unite, per non essere sorprese

divise dagli attacchi.

Ma, tutto va avanti anche sotto le bombe. Quando le luci non si spengono,

i pedoni e le auto continuano a circolare, e non si arrestano neppure

le decine di feste del giovedì sera...

Persino nei due ospedali che oggi gli iracheni mostrano colpiti dalle esplosioni

e affollati dai feriti, non c'è traccia della tensione di una città sotto attacco.

E ora, come da anni di fronte a ogni minaccia di raid aereo, gli iracheni

rispondono nello stesso modo:

"Non abbiamo paura delle bombe, siamo figli delle bombe...

L'unica preoccupazione è che finisca l'embargo", dice la gente.

Per spiegare quale sia l'anima di un popolo tanto resistente alla violenza della guerra,

ma prostrato davanti alle privazioni provocate dalle sanzioni,

lo scultore Mohammed Ghani ci porta nel suo studio di Bagdad,

tra decine di progetti che si trasformeranno in statue solo quando

la fine dell'embargo lascerà arrivare di nuovo materie prime semplici ma indispensabili,

come il legno e i metalli.

E, tra i progetti, ce n'è uno che si chiama proprio embargo.

-------(Ghani spiega scultura di madre col ventra squarciato da cui esce un bimbo che tende al seno smunto)-------

Insomma, dice Ghani, le bombe fanno meno male all'anima irachena del milione e mezzo di vittime

che, secondo le stime, sono state provocate dall'embargo. E, tra queste, cinqecentomila bambini...

Muoiono negli ospedali, privi dei medicinali più comuni, come l'Ampicillina,

l'antibiotico in grado di fermare infezioni che altrimenti uccidono senza scampo.

Bambini già predisposti alle malattie da una malnutrizione che in pochi anni è saltata dal 5 a oltre il 32 %.

,,,"Più missili, più sanzioni, più bombe, più sanzioni, credete che questo cambierà la situazione? Io no!",

diceva un uomo oggi al mercato, mentre la gente tentava di vendere o di barattare poveri oggetti personali

per acquistare il cibo e gli altri generi necessari ad affrontare la ricorrenza islamica del Ramadan,

un mese intero di digiuno durante il giorno, con pasto dopo il tramonto.

Sorprende il contrasto tra le merci esposte sui banconi e nei negozi,

fino all'offerta di un Natale cristiano in piena regola, e l'impossibilità per la gente di approfittarne.

Con il danaro ridotto a carta straccia, il valore del dinaro iracheno caduto in queste ore

a meno di una lira, mentre ne valeva oltre 5.500 prima della guerra.

Il paradosso di una paese gonfio di ricchezze e di cultura antica, messo in ginocchio dal braccio di ferro

tra il suo rais e il resto del mondo.

Ricchezze che si sente pulsare ovunque andando in giro, Dall'acqua del Tigri e dell'Eufrate,

bene raro in Medio Oriente, in cui si bagnano i pellegrini iraniani diretti alla città santa di Kerbala

coperta d'oro e d'argento da Saddam per mantenere a freno la protesta...

Al petrolio che salta fuori dalla sabbia in zone come quella di Kirkik...

Ai mille siti archeologici, dove il dittatore costruisce i suoi colossali palazzi presidenziali,

quasi una sfida alla grandezza del passato, come a Babilonia, al Sud...

E dove i contadini, invece, coltivano la fertile terra di Mesopotamia,

come all'interno delle mura di Ninive, al Nord...

E ormai, solo per i contadini arricchiti dall'embargo fabbricano oggetti gli artigiani

un tempo raffinati del mercato dell'oro di Mosul.che non nascondono il pianto

sul destino del loro popolo...

Gli iracheni che ora possono mostrare al mondo i propri musei solo quando sono colpiti dalle bombe

come durante gli ultimi attacchi...

Un paese dove gli stranieri come noi salgono sul minareto a spirale di Sanarrah

non per ammirare i monumenti lasciati da millenni di storia,

ma per cercare con gli occhi il palazzo presidenziale di Saddam colpito dai missili...