A.G.A.de.C.

Associazione dei Giovani Amministrativisti della Campania

 

 

TAR CAMPANIA

14 febbraio 2004

Intervento dell’avv. Giuseppe Abbamonte

 

1.- Un paese che cambia, ma senza adeguate aperture alle più ampie comunità, a cui, or sono quasi cinquant’anni, decise di partecipare; premono piuttosto istanze localistiche, fondate sulla situazione di diversità socio-economica tra nord e sud, non cancellate da 150 anni di unità nazionale.

Ed appartengono alla tradizione le istanze localmente diffuse contro l’accentramento, che non ha potuto opporre consistenti risultati nonostante le dimensioni nazionali delle sue strutture e le possibilità di governo della finanza, fatalmente dirottata in vario modo verso le zone economicamente più forti, in una situazione generale in cui il sistema tributario trovava e trova difficoltà a svolgere la sua funzione perequativa.

Accenni questi che meriterrebbero ben maggiori approfondimenti ma qui espressi soltanto a volo d’uccello, per far eco ai rilievi chiarificatori dell’attenta e talora preoccupata relazione del nostro ottimo Presidente, laddove tende a cogliere la funzione della giustizia amministrativa nel sistema costituzionale.

Sistema, deve precisarsi, che con la riforma del 2001 ha fortemente depotenziato, per non dire di più, l’apparato di controllo, sia interno che esterno, nonché, in prosieguo di tempi, forse neppure lunghi, lo stesso coordinamento della finanza pubblica.

E tutto ciò in concomitanza di un ampliato decentramento di funzioni, dove lo stato non è più un soggetto a finalità generali, mentre lo sono i comuni, cui spettano tutte le funzioni amministrative, nei soli limiti derivanti dalle dimensioni dei rispettivi territori – che, peraltro, possono essere ampliati attraverso associazioni di enti locali; né sono mancati tentativi di ampliare la democrazia diretta attraverso assemblee denominate stati generali.

Nessuna critica ma solo un tentativo di puntualizzazione dello stato delle cose, dalle incerte linee evolutive perché, a ben guardare, alla base di talune soluzioni o proposte, più estreme che avanzate, si trovano motivazioni che non è esagerato definire egoistiche e che la politica generale dovrà via via assorbire, dando corpo alle ben diverse esigenze di aggregazione che emergono a livello comunitario, dovendo l’Europa presentarsi unita, per reggere le concretissime sfide dell’oriente e dell’oltre Atlantico, che assumono le forme più varie, dalle merci a basso costo al dollaro debole.

 

 

2.- Nella relazione del nostro Presidente si riafferma la potestà di decidere dell’apparato e non si può certo negare che se un apparato esiste – e costa non poco – deve poter gestire gli interessi di noi tutti, il nostro imprecisamente, forse, detto pubblico. Dizione quest’ultima che genera contrapposizione, laddove ogni soluzione destinata a durare esige leale cooperazione e partecipazione, sia mentre viene elaborata sia quando viene applicata.

Più che una indicazione in tal senso deriva dalla generale applicazione del principio del giusto procedimento di legge, che è tradizionale nell’ordinamento anglosassone, ed è accettato nella L. 241/90 e nella modifica dell’art. 111 Cost..

D’altronde, la contrapposizione tra mio e tuo è insufficiente e non garantisce neppure il buon andamento dei rapporti contrattuali, da interpretare ed eseguire secondo buona fede (artt. 1366 e 1376 c.c.); e già negli anni ’20, Betti aveva posto alla base del rapporto obbligatorio istanze di cooperazione.

Occorre allora domandarsi se le garanzie non stiano anzitutto nella procedimentalizzazione della funzione pubblica, che dovrebbe acquisire gli elementi sufficienti a comporre istanze diverse, anche se inizialmente contrapposte, nel rispetto delle garanzie costituzionali e compensando, secondo legge, i sacrifici che ne derivano, nell’ambito di un sistema idoneo a mantenere gli equilibri socio-economici che lo caratterizzano nella sua essenza e nei suoi svolgimenti.

Prospettiva in cui il processo amministrativo in tutte le sue componenti assume un ruolo fondamentale, a cominciare da responsabili iniziative che ne delimitano motivazioni ed oggetto, alla decisione, frutto di un contraddittorio che, per essere bene informato, richiede l’approfondimento tecnico e fattuale, con l’acquisizione degli elementi che la vicenda processuale anche in fase decisoria, può richiedere, considerando l’elasticità del fondamentale art. 44 T.U. 1054/1924 dove è previsto che l’istruttoria deve essere disposta e continuata quando risulti l’incompletezza degli elementi disponibili.

Ed il metro migliore può essere quello di riferirsi al grado di trasparenza raggiunto nel corso dello svolgimento della funzione amministrativa, conclusa con atti o comportamenti che siano: ciò se è vero come è vero che, specialmente a seguito del depotenziamento del sistema dei controlli e della scarsa regolamentazione della formazione di statuti e regolamenti degli enti locali, l’accertamento della legittimità dell’azione amministrativa viene praticamente differito alla sede giudiziaria.

 

Controllo che, quindi, non può non guardare al procedimento amministrativo nel suo svolgimento, accertando preliminarmente l’osservanza del principio giuridico ed inderogabile della trasparenza, che consente al giudice di pronunciarsi secondo la realtà dei fatti e l’esigenza di corretto funzionamento del sistema; elementi entrambi fondanti per la validità della funzione giurisdizionale, destinata a produrre il giudicato, caratterizzato dalla definitività dell’accertamento, a sua volta assistita dalla presunzione di verità.

Accertamento giudiziario che non potendo operare con continuità sull’esercizio quotidiano della funzione di amministrazione attiva, per poter risultare efficace, dovrà andare in profondità, elaborando, via via che se ne presentino le occasioni adatte, modelli di azione; modelli particolarmente necessari per le amministrazioni che si vanno formando e rinnovando e che mancano, perciò, della necessaria esperienza.

 

 

3.- Ci si può a questo punto domandare quale sia il reale valore della processualcivilizzazione della giustizia amministrativa?

In realtà se la giustizia amministrativa dovesse identificarsi con la giustizia civile, tanto varrebbe negarla.

Essa nasce come garanzia del cittadino nei confronti del Potere, per evitare, come fu detto a suo tempo, che chi si riteneva ingiustamente sacrificato, fosse costretto a cercare giustizia nelle anticamere dei ministeri.

E la vicenda storica ha posto, come ricordato nella relazione, una tutt’altro che trascurabile istanza di controllo che, peraltro, fa più fortemente avvertire l’esigenza di riferirsi al procedimento seguito nello svolgimento della funzione: procedimento che sempre più si presenta come il più significativo riferimento per assicurare la giustizia nell’amministrazione: espressione dello Spaventa, risalente nel tempo ma non superata, avendo portato all’attenzione del giudice l’esercizio del potere nelle sue premesse e nella sua dinamica, prima che nel suo prodotto.

Dinamica che l’atto esprime piuttosto che limita e che si coglie considerando premesse, comportamenti ed effetti e che raramente si arresta, come testimoniato dalle incontenibili accidentalità dei giudizi di ottemperanza, dove emergono continue necessità di chiarificazione e di adattamento agli interessi in perenne divenire, pubblici o privati che siano, fino al punto di domandarsi se tuttora basti il dispositivo di annullamento o il riferimento ad una funzione conformativa – che più chiaramente, potrebbe dirsi sostitutiva, peraltro praticamente esercitata in sede di ottemperanza – non debba assumere opportune forme, sfruttando proprio l’esperienza dei giudizi di ottemperanza e le iniziali aperture del legislatore alle sentenze di condanna ed al previo rinvio all’accordo tra le parti sulla determinazione del quantum dovuto: accordo molto opportunamente ricordato nella relazione.

 

 

4.- Sono tuttavia innegabili alcune realtà storiche: la costruzione della giustizia amministrativa come sindacato di annullamento, l’evoluzione verso forme sostitutive in sede di ottemperanza dopo aver accertato la mancata conformazione al giudicato, la previsione espressa di alcuni tipi di pronunce di condanna, l’istituzione del procedimento monitorio per i pagamenti di somme di danaro.

In realtà, dette forme denunciano scarsa cooperazione nei rapporti tra amministrazione e cittadino, già in sede di svolgimento della funzione amministrativa: situazione che si è aggravata dopo che nelle amministrazioni locali gli atti di indirizzo sono stati conservati agli amministratori elettivi mentre l’esecuzione degli indirizzi e delle normative in genere spetta ai funzionari amministrativi, che ora si vedono rafforzati nei confronti dei politici e degli stessi cittadini con i quali, invece, l’eliminazione -peraltro più apparente del reale – delle motivazioni di parte imputabili ai rappresentanti elettivi, avrebbe dovuto migliorare il colloquio.

La preoccupazione per le responsabilità, tradizionale della burocrazia, ha, invece, spesso rallentato se non paralizzato l’esercizio della funzione pubblica nella sua concreta attuazione, proprio ora che sono cresciute le competenze degli enti locali.

Il problema del controllo da parte del giudice amministrativo, posto in giusti termini nella relazione, si estende così al controllo dell’inerzia e, più ancora, dell’indebito aggravamento delle procedure, particolarmente grave oggi per il diffondersi della pianificazione, dal territorio alle altre attività economiche, tutte ovviamente già condizionate dalla pianificazione del territorio, ed ora anche da piani commerciali sanitari, scolastici, ecc…

L’economia è perciò in gran parte condizionata dalle amministrazioni locali e non può, nell’attuale grave congiuntura, essere ulteriormente ritardata.

A questo punto può essere utile forse un accenno alla delimitazione storica delle competenze del Consiglio di Stato che assisteva il re nell’amministrazione e che, abolito durante la rivoluzione, fu ripristinato, come si dirà anche appresso, dalla riforma napoleonica con il compito di preparare i progetti di legge e risolvere le questioni di amministrazione.

Compiti di cui si avverte più che l’eco nell’art. 100 della Costituzione laddove qualifica il Consiglio di Stato organo di consulenza giuridico amministrativa: dizione che oltre il come fare non esclude il cosa fare.

Spetta ancora oggi questa funzione di risolvere le questioni di amministrazione, per le innegabili e non rare carenze dell’amministrazione attiva, al giudice amministrativo, almeno nel senso di ricordare il dovere di operare?

Ed è davvero scindibile la normativa costituzionale sulla funzione consultiva dalla normativa sulla funzione giurisdizionale degli organi di giustizia amministrativa : funzioni entrambe menzionate nel testo costituzionale che, perciò, vanno intese nel senso della illuminazione reciproca, specialmente quando si tratta di risolvere il problema costituzionale del rapporto tra giudice amministrativo e pubbliche amministrazioni?

Sono interrogativi che mi si sono presentati nel corso di una seconda lettura della relazione e che non sono lievi, attenendo tra l’altro allo stato attuale delle amministrazioni, alle nuove posizioni che cittadini e gruppi sociali vanno assumendo, alla sempre maggior difficoltà di elaborare soluzioni credibili, in una situazione generale di incertezza, che non si attenua e che porta alla cognizione dei giudici istanze dai più diversi ed imprevedibili contenuti, fino al punto che una bene avvertita sentenza della Cassazione (157/2003), alla quale non sono estranee le esperienze comunitarie del Presidente del Collegio, avverte la difficoltà di risolvere le questioni al metro del principio di autorità.

Incertezze in certo senso endemiche nella nostra realtà, individuale e collettiva, dove sono diffuse istanze individualiste e giustizialiste, tanto da doversi domandare con il Candian degli anni ’50: "ed ora per dove?".

 

 

5.- Ma non è con questo sconsolato interrogativo che intendo procedere nel mio dire, bensì evidenziare che quella saggezza di soluzioni e di metodi che l’esperienza giudiziaria consente, va conservata, approfondita e diffusa nella realtà operante, perché, allo stato delle cose, tutto deve essere messo a partito e portato alle conseguenze che la logica ed il sistema consentono.

 

Già la giustizia amministrativa è un modello di azione per l’amministrazione che ne utilizza i precedenti.

Ma, proprio perciò, si può fare di più, potenziando il modello della sentenza guida, con la discrezione che i giudici ben sanno usare sul piano della chiarificazione, fin dove la logica lo consente e sanzionando l’inerzia, fino alla sostituzione, perché in caso di inerzia non vi è sfera di potestà amministrativa da rispettare.

 

 

6.- Il rapporto tra giudice e amministrazione va perciò precisato nel senso che mentre va rispettata la sfera decisionale dell’amministrazione, debbono essere verificate le premesse che condizionano l’azione dell’amministrazione: in questo senso è molto rilevante l’opera del ceto forense cui, secondo legge, spetta di dare forma e contenuti all’iniziativa per il controllo giudiziario, provocando, ove occorra, il controllo di costituzionalità. Ed in proposito la relazione presidenziale si augura pertinenti iniziative.

Sinteticamente, la prospettazione deve essere al meglio motivata e documentata in ispecie in fatto, e le richieste istruttorie allo stato delle cose, ben puntualizzate e contenute nella loro specifica funzione, rinverdendo l’eccesso di potere nella varia articolazione delle sue forme, talora serpentine, facendo propria la secolare ed accorta elaborazione della giurisprudenza amministrativa che tutti dobbiamo sempre meglio assimilare, essendo forse il più delicato e, non di rado impalpabile, degli strumenti professionali.

Esperienza dell’eccesso di potere che ci insegna ad approfondire le premesse tutte, fattuali e giuridiche, di atti e comportamenti, consentendoci nello stesso tempo di conoscere i limiti del controllo, che si può ottenere sin dove la deviazione sarà stata evidenziata.

 

 

7.- Le considerazioni tutte sin qui esposte consentono di delineare il rapporto tra giudice e amministrazione, governato dall’ordinamento costituzionale e dai coerenti ordinamenti processuali.

A punta di penna alcuni svolgimenti sono possibili che valgono anche come considerazioni finali:

  1. la norma costituzionale fondamentale è quella che individua la funzione del giudice amministrativo nel garantire la giustizia nell’amministrazione (art. 100 Cost.) in coerenza con l’art. 24 che garantisce a tutti la difesa giudiziaria per ogni interesse giuridicamente protetto;
  2. particolare attenzione va posta sull’art. 37 L. 1034/1971 che codifica l’interpretazione giurisprudenziale dell’art. 27 n. 4 TU 1054, nel senso di estendere espressamente il giudizio di ottemperanza alle sentenze dei giudici amministrativi, concludendo un iter evolutivo certamente reso possibile dall’atteggiamento giurisprudenziale e coerente con la forma di sentenza riconosciuta ai provvedimenti finali dei Tar nel precedente art. 26: il che significa aver affermato l’esistenza di un comando giudiziale suscettibile di divenire giudicato e di essere eseguito secondo il già ricordato art. 37;
  3. nello studio della posizione del giudice amministrativo rispetto all’amministrazione non va dimenticato l’ampliamento dei poteri istruttori ed, in particolare, della consulenza tecnica di ufficio, che va rapportata al problema della delimitazione della discrezionalità tecnica, precisata con significative sentenze dell’adunanza plenaria (n. 16/89) e della IV sezione (recentemente n. 601/99).
  4. Trattandosi di delimitazione di sfere costituzionali di potestà, deve indagarsi anche sulla rilevanza della funzione consultiva che è all’origine dell’istituzione degli organi che sono poi divenuti anche titolari di poteri giurisdizionali, poteri originariamente concepiti come di controllo e che ora, per il pratico svuotamento della funzione di controllo, svolgono anche una specie di supplenza in detto settore, fermo il potere di decidere in via definitiva le controversie tra cittadino ed amministrazioni pubbliche;
  5. ritorna a questo proposito il testo, più che significativo e aperto all’avvenire, dell’art. 52 della costituzione francese del 1799 in cui si prevedeva "Sous la direction des consuls, un conseil d’Etat est chargé de rédiger les projects de lois ed les règlement d’administration publique, et de rèsoudre les difficultés qui s’élévent en matière administrative" (art.52 Cost. a. VIII 13 dicembre 1799); testo che è alla base dell’evoluzione successiva, tenendo presente che predisposizione dei progetti di legge e di regolamenti, emissione di pareri e decisione di controversie, sono tutte funzioni che comportano la risoluzione, in vari modi e forme, di difficoltà che si incontrano nell’amministrazione;

6) quanto al problema della civilprocessualizzazione esso va dimensionato all’origine, nel senso che è sorto in relazione al nuovo ordinamento probatorio della L. 205, sicchè va inteso nel senso del superamento della convinzione relativa all’insufficienza del regime delle prove nel processo amministrativo che, secondo dottrine francesi era il reale fondamento della discrezionalità; ora, da un lato il fondamento della discrezionalità va ricercato nella legge attributiva del potere secondo che sia più o meno regolato il relativo esercizio e, dall’altro, l’ampliamento dei mezzi di prova esperibili nei confronti della PA, assume l’esigenza costituzionale dell’acquisizione del fatto al processo per l’effettività della garanzia giurisdizionale; ma ciò non significa riduzione del processo amministrativo a processo civile, bensì accentuazione della garanzia giudiziaria;

7) va dedicata adeguata attenzione alle crescenti difficoltà di risolvere i conflitti di ogni tipo secondo il principio di autorità che porta a riconsiderare l’interposizione del giudice amministrativo, non solo come limite all’arbitrio, ma come soggetto idoneo a ricercare, nell’elasticità del sistema, soluzioni idonee a durare, migliorando le scelte non sempre sufficientemente elaborate dall’amministrazione: soluzioni che, a meno di non votarsi al summum jus, che è anche summa iniuria, potrebbero assorbire, in buona parte, se non proprio in tutto, il problema del risarcimento del danno, che non può gravare sulle spalle, certo non larghe, dei funzionari e neppure essere adeguatamente risolto dalla non inesauribile finanza pubblica, mentre sarebbe ben più agevole conformare il rapporto tra autore e vittima del danno secondo legge, in modo da assorbire il danno nella specificità della disciplina individuata nel processo;

8) in realtà i tempi cambiano e ricordando che gli ordinamenti processuali sono i più sensibili al divenire delle comunità, delle istituzioni, degli indirizzi, delle scelte di fondo e dei conflitti di interessi che incorporano, ogni tipo di processo, che aderisca alla materia trattata e porti a soluzioni aderenti ai fatti ed idonee a governarli, deve evolversi non tanto nelle sue sequenze, peraltro non regolate esaustivamente dalle norme processuali, ma, soprattutto, nei suoi contenuti, come dimostra l’evoluzione delle misure cautelari che è alla base della riforma del 2000;

9) specialmente per l’ordinamento delle prove e per il risarcimento del danno, piuttosto indirizzati che regolati dalla riforma del 2000, si pone un notevole problema di implementazione, analogo a quello che tra l’80 ed il 2000 fu risolto con l’ampliamento dei contenuti dei provvedimenti cautelari: ogni implementazione non è agevole ed ogni atteggiamento di contrapposizione non è producente, ma dà luogo ad uso di mezzi indiretti, compreso il ricorso a configurazione di reati, fortemente deformante per la realtà della funzione amministrativa, che, non soltanto nel nostro ordinamento, ha il suo giudice;

10) la strada maestra è quella di non sacrificare la fattualità, elaborare ogni esperienza disponibile, sforzarsi, sia nella fase dell’iniziativa che del giudizio, di pervenire a soluzioni plausibili, idonee ad attuare i principi costituzionali, ormai inscindibili dall’amministrazione, andare alla ricerca di equilibri idonei a garantire, da un lato, il buon andamento dell’amministrazione e, dall’altro, a compensare equamente gli inevitabili sacrifici: il mio ed il nostro, non più il privato ed il pubblico sono realtà entrambe innegabili e condizionanti la civile convivenza: realtà che debbono incontrarsi per alimentarsi piuttosto che distruggersi vicendevolmente!

 

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