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sui referendum del 21 maggio:
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La battaglia è ancora lunga ... scrivevamo soltanto
il 19 aprile del 1999. Facili profeti, potremmo dire.
Sì, non è passato neanche un anno ed eccoci di nuovo
costretti ad occuparci delle medesima questione. E' ormai evidente che
c'"inviteranno" (virgolette d'obbligo) a votare questo referendum sino
a che non ci saremo stancati.
Per questo motivo la memoria storica di queste pagine assume un sapore
particolare. Vale purtroppo la pena rileggerle perché quello che
sta andando in onda in questi giorni è un film sì già
visto, ma con un finale che potrebbe essere diverso.
E le premesse per un brutto finale, diciamocelo francamente, ci sono
già tutte. Pensare di poter temporeggiare con tattiche dilatorie
in ordine al comportamento da tenere (come dimenticare, lo scorso anno,
l’atteggiamento incerto di chi ha accettato le ragioni dell'astensione
soltanto pochi giorni prima del voto?), questa volta potrebbe rivelarsi
fatale.
Molti più quesiti referendari in ballo, quindi molti più
interessi, ma, soprattutto, pochissima chiarezza sui problemi realmente
in campo.
E' di oggi (Congresso dei DS) il no ai referendum cosiddetti "sociali"
da parte del Presidente del Consiglio D'Alema.
Non si tratta, come molti pensano e come è nello stile della
persona, di un no dai mille volti.
Tutt'altro. Si dice chiaramente che si farà l'opposizione ai
referendum non per contestare la matrice liberista che li ha ispirati,
bensì perché è già nell'ordine delle cose una
riforma della società nella stessa direzione, una riforma che va
però governata e non lasciata alla roulette delle leggi di risulta
prodotte dai referendum.
Insomma, nessuna forma di opposizione pregiudiziale sul merito, ma
solo una critica sul metodo. Per il resto, gli obiettivi strategici di
questo Governo, dei radicali e della destra liberale coincidono.
Non una critica all'attacco portato ai diritti in quanto tali e alle
forme che concretamente ne permettono l'esercizio senza condizionamenti.
No, anche per la sinistra "I Care" la società deve rinnovarsi e
con essa le garanzie che sino ad oggi hanno impedito all'impresa, il soggetto
forte, di poter abusare dei diritti dei lavoratori. E del resto, non viviamo
in tempi di pace sociale? Perché mai tutelare i soggetti più
deboli se non c'è conflitto? E in ogni caso, l'interesse dell'impresa
non è alla base dell'interesse di tutta la società e, quindi,
anche dei lavoratori?
Che si rivedano, quindi, tutte le vecchie concezioni fondate sul conflitto
di classe o sul conflitto tra soggetti forti e soggetti contrattualmente
deboli.
E per chiudere il cerchio di questo discorso, non poteva allora mancare
l'adesione convinta al referendum elettorale.
Tolto il conflitto sociale dalle nostre teste, al punto che non si
sente più la necessità di regolarlo giuridicamente, è
bene farlo sparire del tutto anche nelle forme "rappresentate".
Una bella semplificazione attraverso un maggioritario "tosto e puro",
ed eccolo là che il conflitto sparisce pure dai banchi del Parlamento.
Che dire, sempre più liberi di non contare.
Ma non subito, dopo i referendum.
Prima, infatti, ci chiederanno di partecipare alla nostra impiccagione
politica. Perché non è bello che una maggioranza totalitaria
decida su questioni che ancora generano un certo imbarazzo, e per di più
senza ricevere una qualche forma di legittimazione formale da parte delle
minoranze.
Un gioco al gatto con il topo, questo, nel quale è facile correre
il rischio di cadere.
Da un lato c'è chi si sta illudendo che la sinistra possa ritrovarsi
attorno al "no ai referendum sociali", vedi "il manifesto" di questi giorni
e l'invito neanche troppo nascosto di Valentino Parlato di non promuovere
l'astensione (chi scrive spera vivamente di avere frainteso), senza appunto
tenere conto che il no di molti equivale ad un NI con parecchi sì
e pochi no; dall'altro i realisti della politica, gli ossessionati dal
"risultato" che pur di strappare qualche vittoria "formale" sono disposti
a rinunciare alle battaglie di principio, disposti a rinunciare, di fatto,
a quella chiarezza politica senza la quale è illusorio pensare di
poter fronteggiare la deriva liberista e antidemocratica che sta dilagando
nel senso comune.
Non ci sarà quindi da sorprendersi se da domani vedremo dispiegarsi
un vero e proprio muro di fuoco contro l'unica proposta politica, l'astensione,
in grado di affermare la priorità del rispetto dei diritti su ogni
ipotesi di riforma della società fondata sul consenso di una maggioranza
totalitaria.
Chi scrive spera di sbagliare, ma si preannunciano tempi duri.
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In pochi anni il fronte del Sì ha perso milioni di consensi: nel '93, infatti, votarono Sì per il referendum elettorale maggioritario circa 29 milioni di elettori, cifra più che sufficiente per raggiungere il quorum. È allora evidente che la prima domanda da porsi è che fine abbia fatto questo largo consenso per il maggioritario; e la prima conclusione da trarre dal risultato odierno è che - con un gesto politico forte, con un voto di astensione imprevedibile soltanto pochi mesi fa - l'elettorato ha detto NO alle semplificazioni maggioritarie, ha detto No ad un modello di democrazia non partecipata e plebiscitaria, ha detto No ad un modello bipolare coatto dove o si prende quello che passa il convento o ci si butta dalla finestra. La battaglia per la difesa degli spazi di democrazia è però ancora lunga e l'invito è quindi quello di non mollare. Da parte nostra proseguiremo con il massimo impegno: http://www.malcolmx.it/riforme |
![]() delle buone ragioni per un’astensione motivata |
A meno dell'approvazione di una nuova legge elettorale, saremo
ben presto chiamati a votare per modificare il modo di assegnazione del
25% dei seggi attualmente ripartiti con il metodo proporzionale.
Il risultato degli effetti abrogativi del referendum proposto, infatti, sarà quello di destinare questa quota di seggi ai "migliori secondi arrivati" nei collegi uninominali. Per maggiori approfondimenti riguardo alla proposta abrogativa, dalla viva voce dei suoi ispiratori, si consiglia di fare un salto al sito Comitato per la Difesa dei Referendum Elettorali e del Collegio Uninominale. In questa pagina, invece, verranno approfondite le ragioni del NO all'abrogazione
della quota proporzionale, senza però tralasciare di dare largo
spazio alle dichiarazioni dei sostenitori del referendum. Quale miglior
contributo, infatti, per mostrare i contenuti demagogici dell'iniziativa
referendaria, se non le inquietanti semplificazioni portate avanti da chi,
a vario titolo, sostiene l'iniziativa?
Insomma, una bella delega in bianco ai partitocratici: quelli che a
parole combattono un sistema degenerato di potere dei partiti ma che, nella
sostanza, si muovono per rafforzarlo.
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