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Riforme.net  -  8 dicembre 2010

Se Berlusconi va, ma il berlusconismo rimane ...


di Franco Ragusa

Sabato 11 la manifestazione del PD contro il Governo Berlusconi, martedì 14 il voto sulle mozioni di sfiducia al Governo.
Due appuntamenti importanti e, al tempo stesso, pieni di insidie.
 
Cominciamo dalla manifestazione dell'11.
Il PD chiama a raccolta "l'Italia che vuole cambiare", dove il cambiamento al momento consiste nel mandare a casa  Berlusconi, poi si va dal Presidente Napolitano e "si vedrà".
Non proprio lo stesso copione per il 14, con anche Fini e Casini  pronti sì per mandare a casa l'attuale Governo Berlusconi, ma per poi cercare di ripartire con un nuovo centrodestra allargato (PDL, Lega, FLI e UDC) e, soltanto in caso negativo, esplorare il "si vedrà" di Bersani.
Riassumendo, se vincono il Fini e il Casini del centrodestra allargato, riavremo lo stesso Governo Berlusconi, Bossi, Fini che sino a quest'ultima settimana si è rivelato in grado di approvare il Patto di stabilità e, noncurante delle proteste esplose in tutto il Paese, la Riforma Gelmini alla Camera.
Se vincerà, invece, il "si vedrà" ("Piano B" per Fini e Casini, "Piano A" per Bersani), ci aspettano: o una sorta di Governo di transizione, o nuove elezioni.
Questo, in sintesi, il panorama politico nel quale dovrebbe riconoscersi "L'Italia che vuole cambiare".
Trascurando il "Piano A" di Fini e Casini, che non cambierebbe evidentemente nulla (e considerato il rischio concreto che possa realizzarsi, non si riesce a comprendere come e perché, anche a sinistra, si sia determinata un'atmosfera così carica di aspettative per la data del 14 dicembre), anche il "si vedrà" di Bersani nasconde non poche insidie.
In primo luogo la contraddizione in termini: se uno vuole cambiare, non può non sapere di quale cambiamento ha bisogno. Mandare a casa Berlusconi è sì una condizione necessaria, ma non per questo sufficiente.
La correttezza istituzionale impone, certamente, il passaggio della crisi nelle mani del Presidente Napolitano, ma non per questo può divenire scorretto esplicitare le proprie soluzioni, tanto più che, prassi istituzionale vuole, si verrà chiamati dal Presidente per esprimerle.
Quali, quindi, le soluzioni che il PD intende proporre all'Italia che vuole cambiare?
Un dato è apparso chiaro sin dall'inizio: nel breve periodo non c'è alcuna intenzione di andare a nuove elezioni.
Ne consegue l'oggettiva necessità di riuscire ad inglobare, con l'attuale opposizione di centrosinistra, FLI e UDC, ma anche parte della maggioranza ancora fedele a Berlusconi (altrimenti al Senato non si passa), per appunto realizzare un Governo di transizione.
Con quali obiettivi?
Di breve o di lungo periodo?
Limitato alla sola stesura di una nuova legge elettorale o che si occuperà, anche, di economia, chiusura della partita "federalismo" (in fondo, la Lega lo sostiene da sempre: per il federalismo farebbe qualsiasi cosa), nonché una riforma costituzionale di ampio respiro?
E' con questo carico di incertezze e di probabili alleanze che, quindi, l'Italia che vuole cambiare dovrebbe oggi gioire della cacciata di Berlusconi, senza però poter coltivare la pur minima speranza di riuscire ad intravedere l'unico cambiamento che conti veramente, e cioè la fine di una stagione politica, il berlusconismo, che ha inquinato l'intero panorama politico.
Il leaderismo ha ormai ampiamente sconfinato anche alla sinistra del PD, e non c'è nessun ripensamento circa la scelta maggioritaria alla base del Parlamento dei nominati e dello sconquasso istituzionale rispetto al quale il "Berlusconi persona" è soltanto un effetto e non la causa.
All'Italia che vuole cambiare, quindi, all'Italia che per una buona parte non conterà nulla nelle decisioni da prendere nel dopo crisi, in quanto espulsa dal Parlamento con il bene placido di Berlusconi come di Veltroni, è a questa Italia che si vorrebbe far credere che,  spostando due figurine, sarà possibile realizzare un cambiamento in grado di far divenire tutti i cittadini, nessuno escluso e con pari dignità, padroni del loro destino.

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