14 maggio 2003
Le furenti dichiarazioni contro la magistratura da parte del Presidente
del Consiglio Berlusconi, hanno di fatto costretto i parlamentari del centro-destra
a riaprire la discussione riguardo l'opportunità di ristabilire
le vecchie norme sull'immunità parlamentare.
Nonostante alcuni distinguo, per lo più provenienti da AN, responsabile,
per altro, insieme alla Lega, secondo il giudizio storico dato da Berlusconi,
di aver "stravolto la Costituzione", trovandosi a suo tempo in prima fila
per chiedere la gogna per i parlamentari coinvolti nella corruzione di
tangentopoli e per avere con forza voluto la revisione dell'istituto dell'immunità
parlamentare, il centro-destra appare più che mai compatto per giungere
in tempi utili al varo di un provvedimento che, in qualche modo, sospenda
i processi che vedono coinvolti il Presidente del Consiglio ed i suoi più
stretti collaboratori.
Non potendo quindi ignorare la forza dei numeri parlamentari, è
arrivato il momento di esaminare la questione, partendo dal presupposto
che, prima o poi, l'immunità parlamentare verrà ripristinata,
e con la speranza di riuscire ad intervenire per cercare di limitare i
danni.
La prima questione che sarebbe bene porre al centro del dibattito politico,
è che si eviti di tornare al vecchio sistema di irresponsabilità
in vigore sino al 1993.
La caratteristica principale della precedente immunità parlamentare,
infatti, era che nessuno alla fine veniva chiamato a rispondere delle proprie
azioni: né i parlamentari che assolvevano i propri colleghi; né
i magistrati che si vedevano rifiutare l'autorizzazione a procedere.
Come coniugare, allora, l'esigenza di tutelare i parlamentari dall'uso
strumentale e politico della giustizia, con quella, altrettanto rilevante,
d'impedire che i politici possano commettere reati e rimanere impuniti
perché non processabili, e che il tutto non finisca a "tarallucci
e vino"?
Scrivendo in Costituzione, a chiare lettere, che le Camere possono
negare l'autorizzazione a procedere nei soli casi di "fumus persecutionis"
nei confronti dei propri appartenenti.
Ma non basta.
Anche scrivendo a chiare lettere i limiti che le Camere dovrebbero
osservare per decidere se concedere o no l'autorizzazione a procedere,
come garantire l'osservanza di detti limiti?
A fondamento dell'istituto dell'autorizzazione a procedere non può
che esservi l'insindacabilità delle decisioni del Parlamento. In
altre parole, se oggi si decidesse di tornare al vecchio art. 68 della
Costituzione, con anche scritto nero su bianco i limiti che il Parlamento
dovrebbe osservare, a garanzia della corretta applicazione dell'istituto
dell'autorizzazione a procedere vi sarebbe soltanto una mera responsabilità
di tipo politico, per altro indefinita perché indimostrabile in
assenza di ulteriori atti.
Prudenza e onestà intellettuale, a questo punto, consiglierebbero
di lasciar perdere.
Ma visti i numeri parlamentari di cui sopra, non può esservi
altra scelta che rilanciare con una provocazione: vada per la reintroduzione
di un istituto che oggi arriverebbe in soccorso dei guai giudiziari di
alcuni esponenti di "spicco" dell'attuale maggioranza parlamentare di governo,
ma in un contesto di responsabilità chiare.
Se deve infatti valere il principio che i procedimenti penali a carico
dei parlamentari possono essere sospesi, a giudizio della Camera di appartenenza,
per l'evidente intento persecutorio dell'azione giudiziaria che li riguarda,
deve valere anche il principio della corrispondente responsabilità
dei magistrati.
Non avrebbe infatti alcun senso un Istituto di immunità parlamentare
per questioni di illiceità del comportamento dei magistrati che
rimanga senza conseguenze per chi, in ipotesi, potrebbe essersi macchiato
del grave reato di lesione dell'autonomia e dell'indipendenza del Parlamento:
vuoi perché il principio "la legge è
uguale per tutti" deve valere anche per i magistrati che, nell'ipotesi
della mancata autorizzazione, si sarebbero macchiati di gravi reati nei
confronti dei parlamentari "immotivatamente" perseguiti;
e vuoi perché a nessuno può essere negato
il diritto alla difesa e all'onorabilità, neanche a quei magistrati
eventualmente incappati nel giudizio negativo del Parlamento.
Si preveda, quindi, sempre a chiare lettere, quali procedimenti di accertamento
delle responsabilità dei magistrati dovranno aver luogo a seguito
delle negate autorizzazioni a procedere; e quali gli organi competenti
chiamati a giudicare.
Certo, anche così non si potrebbe evitare l'assoluzione per
tutti, politici prima e magistrati dopo. Ma quanto meno, anche senza conseguenze
penali, questo meccanismo avrebbe il merito di costringere il Parlamento
e la Magistratura ad avere un comportamento quanto più corretto,
e questo perché non sarebbe possibile in alcun modo evitare di dimostrare,
pur senza conseguenze per i parlamentari, in una sede neutrale, che il
magistrato abbia agito con chiari intenti persecutori.
Entrare nel merito del procedimento per accertare le eventuali responsabilità
penali dei magistrati o, nel caso ciò non avvenga, per mettere allo
scoperto le responsabilità politiche di chi, facendo ricorso alle
giuste prerogative a tutela dell'indipendenza del Parlamento, abbia invece
agito per garantire a sé stesso e a pochi altri l'impunità
Franco Ragusa