La decisione del Consiglio dei ministri di contestare la proposta della Regione Veneto di indire un referendum sulla cosiddetta devolution si presta al commento da molti punti di vista. Ci sarà tempo di meditare sulla fondatezza delle ragioni giuridiche degli uni e degli altri. Ora, a caldo, la prima cosa che viene da osservare è che questa vicenda si inscrive in un contesto di integrale rovesciamento dello spirito con il quale, all'inizio della legislatura, il tema delle riforme era stato affrontato.
Allora, la questione delle riforme venne posta come il punto di necessaria convergenza di maggioranza e opposizione, che avrebbero dovuto dimostrare la capacità di lavorare sul tavolo della progettazione costituzionale al riparo dai veleni dello scontro contingente sui temi della politica quotidiana. L'istituzione della bicamerale fu il segnale più chiaro in quella direzione. Oggi, di una comunanza di intenti fra maggioranza e opposizione si parla molto meno: la maggioranza dice d'essere disposta a condurre in porto da sola la riforma elettorale; l'opposizione sfida la maggioranza sul terreno dell'autonomismo nonostante che in Parlamento sia in discussione la revisione delle norme costituzionali sulle Regioni.
C'è da chiedersi quale potrebbe essere il futuro di riforme adottate
in questo clima, e c'è da chiedersi, soprattutto, se lo scontro
sulle riforme non sia altro, in realtà, che un aspetto della campagna
elettorale che già si è aperta. Visto che è probabile
che sia proprio così, non ci aspettiamo che i prossimi mesi ci regalino
un dibattito riformatore pacifico e razionale.
La Repubblica
- 04/11/2000
Giovanni Valentini
E' uno strappo destinato verosimilmente a lasciare il segno, quello
che s'è consumato ieri sul federalismo tra il governo centrale e
la regione Veneto.
Ma è uno strappo che da una parte e dall'altra bisogna cercare
di ricucire al più presto, magari con il concorso responsabile di
entrambi i poli, per evitare che si allarghi e diventi alla fine insanabile.
Troppo importante è il principio in gioco e troppo importante è
una regione come il Veneto, una delle aree certamente più avanzate
del paese, per sottovalutare il pericolo e ridurre tutto a una disputa
pre-elettorale.
SUL piano del diritto, non c'è dubbio che la decisione del governo
di respingere il progetto regionale di referendum consultivo è fondata
e legittima. La sua duplice incostituzionalità riguarda infatti
sia il merito sia il metodo, secondo quanto ha già stabilito la
suprema Corte in precedenti analoghe circostanze. Il merito, perché
non corrisponde all'iter di garanzia democratica previsto dalla Carta costituzionale
per la sua stessa revisione. Il metodo, perché l'iniziativa spetta
semmai al Consiglio regionale, cioè al "parlamentino" e non al governo
del Veneto, a cui il provvedimento è stato opportunamente rinviato
da Roma.
E' sul piano politico invece che la questione appare senz'altro più
delicata e complessa. E non solo per il fatto che investe direttamente
il Nord-Est, con la sua vocazione storica di autonomia, con le sue antiche
rivendicazioni di "patria" e di "lingua". Ma soprattutto perché
tocca un nervo scoperto nei rapporti tra Stato e Regioni, in quell'ansia
diffusa di federalismo che esprime una domanda reale di efficienza, di
flessibilità, di modernità.
Non è esclusivamente un problema del Veneto e neppure soltanto
del Nord. E' un problema di tutta l'Italia, a cui il Parlamento nazionale
deve dare finalmente una risposta chiara e risolutiva. S' è parlato
troppo di federalismo negli ultimi anni, e bisogna riconoscerne il merito
innanzitutto alla Lega, per non passare ora dalle parole ai fatti, per
indugiare oltre nella ricerca della mediazione e del compromesso. Anzi,
più tempo si lascia passare, più aumentano le resistenze
e le difficoltà, più difficile diventa individuare una soluzione
equa e funzionale.
Ma la storia insegna che il federalismo è fatto per unire, non
per dividere. Serve appunto per "federare", per aggregare, per mettere
insieme le realtà locali, all'interno di un quadro organico e omogeneo.
Ed è proprio questo il modello che oggi occorre applicare all' Italia,
per valorizzare l'autonomia delle regioni e rafforzare nello stesso tempo
l'identità nazionale, cioè la storia, la tradizione e la
cultura di un popolo. Il federalismo come base e presupposto di una nuova
solidarietà, insomma, non come grimaldello per scardinare l'assetto
statale e far prevalere gli interessi o gli egoismi particolari.
E' orientato in questa direzione il progetto della regione Veneto?
A giudicare dalla bozza di statuto presentata nei giorni scorsi dal presidente
Galan, si deve dire onestamente di no. Senza evocare qui il fantasma della
secessione, senza riaccendere polemiche e strumentalizzazioni di parte
alimentate dal clima della lunga vigilia elettorale, quel testo non coincide
con l'ispirazione di un federalismo responsabile e solidale. C'è
piuttosto la ricerca più o meno consapevole di una scorciatoia,
di un'accelerazione, di una fuga in avanti, per tagliare di netto tutti
i "lacci e lacciuoli" che imbrigliano lo sviluppo di una regione d'avanguardia.
I giornali e più in generale i mass media avranno anche contribuito
ad alzare il polverone, come ha lamentato con insistenza Galan, ma la verità
è che la sua bozza di statuto contrasta con quello che Giuliano
Amato ha definito "l'interesse nazionale". E se è vero che il capo
del governo è stato l'unico a capire veramente di che cosa si tratta,
per ammissione dello stesso presidente del Veneto, allora prendiamo per
buono il suo giudizio e a questo rimettiamoci. D'altra parte, le perplessità
e le riserve suscitate a caldo anche all'interno del Polo, da Fini a Casini,
non dovrebbero lasciare margini di dubbio sulla portata del progetto. Può
darsi pure che molti critici e oppositori non l'abbiano nemmeno letto,
secondo la tesi difensiva di Galan. E' certo comunque che il presidente
della Regione Veneto non s'è preso la briga di discuterlo con i
membri del Consiglio, di confrontarsi con la sua maggioranza e con l'opposizione.
E già questo è un "vulnus" che pregiudica la legittimità
democratica del documento, il suo significato e il suo valore. Non risulta
al momento che ciò sia accaduto in altre regioni.
Chi invece conosce quel testo e lo voglia valutare senza pregiudizi,
non può ignorare alcuni aspetti ambigui o addirittura inquietanti,
rilevati peraltro anche da diversi esponenti del centrodestra. Nonostante
le clausole d'uso suggerite dal galateo istituzionale, le relazioni internazionali
con altri Stati non rientrano infatti nelle prerogative delle singole Regioni,
a meno di voler concepire la politica estera come somma di atti e iniziative
unilaterali. Così il richiamo formale al "rispetto dei principi
costituzionali" non basta a giustificare una rivendicazione di autonomia
finanziaria, con "la facoltà di istituire tributi propri". Né
la cosiddetta "contrattazione finanziaria" offre una base sufficiente per
poter ripartire la "potestà" tra regione e Stato in materia.
Di tutto ha bisogno l'Italia in questo momento, fuorché di dividersi,
di scavare ulteriormente il fosso tra regioni ricche e regioni povere,
di aumentare le distanze tra Nord e Sud. All'interno dell'Unione europea,
il nostro paese ha la possibilità di crescere e d'integrarsi a condizione
di restare unito, di valorizzare le potenzialità economiche e produttive
delle regioni settentrionali, ma anche di recuperare le risorse umane e
intellettuali delle popolazioni meridionali. Se il federalismo va in questa
direzione, ben venga: sarà un'opportunità e uno strumento
di sviluppo. Altrimenti, diventerà un fattore di rischio, un'incognita
o un'insidia per tutti.
Di fronte a questa sfida, vorremmo tanto auspicare che i due poli deponessero
temporaneamente le armi per una tregua istituzionale, in modo da favorire
un confronto costruttivo e civile. Il federalismo, cioè il futuro
assetto dello Stato, non è argomento da campagna elettorale, da
comizi, da tribune politiche. Non può essere affrontato a colpi
di slogan, di spot, di accuse e recriminazioni reciproche. Si tratta piuttosto
di varare una riforma strutturale che attiene per sua natura allo spirito
costituente, al senso di appartenenza e d'identità; una riforma
per rifondare il diritto di cittadinanza, per rilanciare il sentimento
nazionale.
Non possiamo continuare a professare il nostro patriottismo solo in
occasione dei grandi eventi artistici o sportivi, quando il maestro Muti
si rifiuta di suonare l'inno di Mameli alla Scala davanti al Capo dello
Stato; quando gli Azzurri non cantano "Fratelli d'Italia" o quando Schumacher
fa il saltimbanco sul podio della Formula Uno. Questa è un' occasione
per metterlo in pratica. E lo è per la destra e per la sinistra,
per il Polo e per l'Ulivo, per Berlusconi e per Rutelli.
La Repubblica - 04/11/2000
ROMA - Ha visto, ministro Loiero? Gasparri ha coniato una nuova espressione:
il "loierismo", "una logica di arroganza e di punizione nei confronti delle
regioni di centrodestra". Che gliene sembra?
"Forse vuol dire che stavolta ho proprio colpito nel segno".
Agazio Loiero, è bersagliato dagli attacchi di Polo e Lega.
"Come se ci fosse un mio accanimento personale" sorride a sera, chiuso
nel suo studio; "la verità è che io ho formulato una proposta,
poi il Consiglio dei ministri all'unanimità, l'ha approvata".
Perché quella legge non è costituzionale?
"Un referendum consultivo sulle stesse materie oggetto delle votazioni
del Consiglio regionale e del Parlamento è totalmente atipico nel
procedimento di formazione delle leggi. Il dettato della Costituzione non
è un optional".
Galan la accusa di avere paura di una pronuncia popolare.
"Il voto popolare ci potrà essere, ma solo dopo che le proposte
di legge costituzionale del Consiglio regionale del Veneto saranno state
regolarmente approvate dal Parlamento".
In questa stessa materia c'è già un precedente bocciato
dalla Corte costituzionale, giusto?
"È così e non potevamo non tenerne conto. Con la sentenza
numero 470 del 10 novembre 1992, la Consulta ha dichiarato l'incostituzionalità
di un'analoga proposta di legge, sempre della Regione Veneto, sempre per
violazione dell'articolo 138 della Costituzione".
Ma perché ministro non è successo lo stesso anche con
le proposte di referendum di Lombardia e Piemonte?
"Perché quelle sono delibere amministrative".
Il Veneto ha già annunciato che ripresenterà la legge
un'altra volta. Come andrà a finire?
"È sempre più evidente che dietro questa storia c'è
una strategia ben precisa. Sapevano della bocciatura di otto anni fa, sapevano
l'orientamento del governo. Sono andati dritti a cercare lo scontro con
Roma. Quando Formigoni parla di Europa delle regioni e allo stesso tempo
spinge tanto avanti il processo autonomistico della sua Lombardia, non
si rende conto che una regione forte se dietro non ha uno Stato unitario,
non conta niente. Guardi il modello dei laender tedeschi: la Baviera conta
proprio in quanto ha dietro di sé un paese di 80 milioni di abitanti
e una tradizione statuale ben salda. Lo dico proprio ai settentrionali".
Invece Galan accusa il governo di "scelta ignobile".
"È la dimostrazione che il vero temperamento è difficile
nasconderlo o modificarlo... Il linguaggio è il prodotto di cultura,
di conoscenza delle istituzioni, si acquisisce col tempo... Nessun elemento
è tanto rivelatore quanto il linguaggio".
La Repubblica - 04/11/2000
MILANO - "Sono allibito, sconcertato, scandalizzato", il presidente
della Regione Lombardia Roberto Formigoni, il primo ad aver schiacciato
l'acceleratore sui referendum federalisti, è appena sceso all'aereo
a Fiumicino. Durante il volo Milano-Roma ha avuto un'oretta di tempo per
ragionare al di là del comunicato ufficiale di metà pomeriggio.
"La prima considerazione è che questi signori sono rimasti fermi
al '92. Il governo si appella a una sentenza della Corte Costituzionale
del '92 come se nulla fosse successo nel Paese, come se questi anni di
dibattito vivacissimo fossero passati invano. Usano una sentenza contorta
in un modo contorto per poter dire di no a un referendum regionale. Sono
sconcertato, mi pare che non ci sia la percezione di quello che è
successo in Italia, nelle regioni del Nord. Mi chiedo cosa c'è di
illegale nel celebrare un referendum consultivo regionale sul federalismo".
Perché questa presa di posizione?
"Il governo scende in campo e usa la clava di un potere barbaro, barbaro
perché è tale un potere per cui le leggi regionali devono
avere l'ok del rappresentante del governo".
Secondo lei la decisione del governo avrà effetti anche sui
referendum delle altre regioni del Nord?
"Sarà interessante vedere il loro comportamento. Se vogliono
bocciarli in blocco sarà scontro. Sono curioso di vedere dove vogliono
arrivare".
Lei pensa che ci saranno problemi per la Lombardia?
"Vedremo. Il nostro referendum è già previsto dallo statuto
regionale e sarebbe arduo bocciare questa iniziativa. Noto solo che noi
abbiamo votato il 15 settembre e non sappiamo ancora nulla".
Lei pensa che, come dice Roberto Maroni, ci sia un disegno per bloccare
i referendum regionali e sostituirli con referendum confermativi?
"Il segno c'è ed è fortissimo. La cosa è chiarissima.
Ma se il Veneto ripropone la sua legge, voglio proprio vedere che succede.
Da parte nostra c'è un sostegno totale. Insomma, quello del Veneto
non è stato un colpo di maggioranza, c'è stato un lungo dibattito.
Solo un riflesso condizionato antiregionalista e antifederalista può
aver portato a una scelta che non fa che esasperare e rendere incandescente
un confronto, quello sul federalismo, che sarebbe meglio risolto se i cittadini
potessero esprimersi liberamente".
Lei parla di riflesso condizionato del governo.
" Meglio sarebbe definirlo un autogol. Li voglio vedere di fronte all'opinione
pubblica del Nord: li aspetto di fronte alla gente del Nord. Il centrosinistra
non ha la percezione della voglia di nuovo che sale dalla società.
Loro non sanno neppure cosa sia la voglia di autonomia".
Corriere della sera - 04/11/2000
Devolution, il governo ferma il Veneto
No al referendum. Il Polo attacca: sinistra centralista. Rutelli: rischio Jugoslavia
«BRAVO AMATO» - Toni bassi dalle parti della Quercia. Walter Veltroni si è limitato a ricordare che «c’era già una sentenza della Corte costituzionale» e il ministro Salvi ha parlato di «atto dovuto». L’obiettivo dei Ds, d’altra parte, è quello di approvare in Parlamento la miniriforma federale per poi sottoporla in primavera a un referendum confermativo. Più accesi gli alleati. Il cossuttiano Oliviero Diliberto ha accusato Galan di volere «un federalismo alla croata» e il popolare Pierluigi Castagnetti ha denunciato «rischi d’anarchia».
«ABBASSO AMATO» - «Lo slogan di questo esecutivo è federalismo centralistico» ha ironizzato l’azzurro Franco Frattini. E il leghista Roberto Maroni: «Galan vada avanti». Persino Rocco Buttiglione, che certo non aveva gradito la bozza dello Statuto veneto, si è trovato costretto a «solidarizzare» con il vulcanico Galan.
Galan: li credevo meno ottusi, mi fanno un piacere
di Francesco Alberti
Presidente Galan: se l’aspettava questa bocciatura? «No, non me l’aspettavo... Credevo che questo governo fosse meno ottuso. Accettasse il confronto. E invece si è fatto prendere da bassi istinti di rivalsa».
Quale?
«Dopo le polemiche sullo Statuto veneto,
dove solo per aver presentato una proposta mi sono preso del pagliaccio
e del guerrafondaio, e dopo il rifiuto del centrosinistra ad accogliere
le proposte della Casa delle Libertà sulla mini-riformucola all’esame
del Parlamento, ora arriva la bocciatura del governo al nostro referendum
consultivo. Direi che è la conferma di quanto questa maggioranza,
al di là delle parole, sia e resti statalista. E se penso che l’Ulivo
ha anche organizzato per i prossimi giorni una manifestazione di piazza
a favore del federalismo, posso fare una sola previsione: verranno seppelliti
da una risata».
E adesso che farà il Veneto: lascia
o raddoppia?
«Andiamo avanti, ci mancherebbe. Rispediremo
al governo la legge sul nostro referendum. Così com’è. Senza
cambiare una virgola».
E finirete, per l’ennesima volta, davanti alla
Corte Costituzionale...
«Proprio così».
Ma con quali speranze? La Consulta ha già
bocciato nel ’92 una vostra proposta di legge analoga.
«Lo so bene, ma sono passati otto anni
e da allora, mi pare, è successo qualcosa in tema di federalismo
e di istanze regionali. Insomma, i tempi sono cambiati. Ma se è
per questo, la Corte si è pronunciata nell’aprile scorso su un’altra
richiesta di referendum da noi avanzata nel ’98. Sono passati sette mesi,
ma non conosciamo ancora la sentenza».
Quindi?
«Quindi ci riproviamo. Insistiamo. Se c’è
una cosa sulla quale anche certi pasdaran pseudo-federalisti della sinistra
sono d’accordo, è che il federalismo va costruito dal basso, con
il più ampio consenso possibile. E io sfido chiunque a indicare
uno strumento più appropriato del referendum, espressione per antonomasia
della democrazia».
Il governo sostiene che il vostro referendum
consultivo è «atipico» e costituirebbe «un’indebita
pressione sulle scelte del Parlamento».
«Atipico? Ma per favore... La verità
è che questo esecutivo, e la maggioranza che lo sostiene, hanno
paura della gente. La decisione del Consiglio dei ministri è un
insulto...».
A chi? A lei?
«No, a una volontà espressa ufficialmente
e con ampia maggioranza dal consiglio regionale del Veneto, massima espressione
rappresentativa dei cittadini».
Lombardia e Piemonte hanno promosso referendum
consultivi analoghi al vostro, servendosi però di norme amministrative
e quindi aggirando di fatto il governo. Il Veneto non poteva scegliere
la stessa strada?
«No, abbiamo optato per la proposta di
legge per dare più valore alla nostra iniziativa. E poi volevamo
il confronto con il governo. Volevamo impegnarlo politicamente. Non dimentichiamo
infatti che, nel lanciare la nostra proposta di legge, ci eravamo impegnati
a celebrare il referendum solo dopo aver approvato una legge d’attuazione
che definisse i contenuti della consultazione, che riguardavano sanità
e scuola. E su questo c’era stata anche la disponibilità del centrosinistra
in consiglio regionale».
Ora però c’è il rischio concreto
che i suoi colleghi Formigoni (Lombardia) e Ghigo (Piemonte) in primavera
celebrino i referendum, mentre lei resta al palo.
«Noi vogliamo assolutamente farla questa
consultazione. Valuterò con gli esperti se c’è la possibilità
di indirla ugualmente, magari per via amministrativa».
Rutelli boccia come «retorici»
i referendum nordisti e si dice preoccupato per alcune «esasperazioni
jugoslave». Che risponde?
«Dico che è semplicemente sconvolgente
che uno, come Rutelli, che in teoria potrebbe avere una - ripeto una, non
di più - possibilità di diventare presidente del Consiglio,
si cali nei panni di allievo del ministro Loiero, che ha addirittura parlato
di "rischi di secessione". Ma per fortuna tutto ciò durerà
poco».
Cosa intende dire?
«Che tra qualche mese la parola tornerà
agli elettori. E allora...».
La Repubblica - 05/11/2000
Paolo Griseri
PETTENASCO - La decisione del governo di bocciare il referendum sulla
devolution voluto da Galan in Veneto "rischia di creare tensioni e contrapposizioni
non positive per il paese e potrebbe accendere un clima di scontro che
rischia di trovare anche forme non corrette di manifestarsi". Il presidente
dei governatori delle regioni italiane, Enzo Ghigo, sceglie una bella mattinata
di sole sul lago d'Orta per lanciare il suo allarme. Che non è solo
rivolto al governo ma a tutti i protagonisti dell'ultimo braccio di ferro
sul federalismo, compresi i governatori del Polo.
All'hotel "L'approdo" di Pettenasco Ghigo si trova di fronte Antonio
Bassolino, Massimo Cacciari, il sottosegretario alla presidenza del consiglio
Dario Franceschini e l'intero stato maggiore dell'Ulivo del nord.
Ma nella sala ulivista dell'"Approdo", la mossa governativa trova pochi
difensori. Massimo Cacciari, che pure da Galan è stato sconfitto
alle regionali, definisce la decisione di Loiero "il più classico,
tipico e assurdo degli autogol".
Antonio Bassolino sostiene che "il governo avrebbe dovuto agire con
maggiore saggezza, tenendo conto delle differenze tra la situazione attuale
e quella del '92", quando la Corte costituzionale emise le sentenze alla
base della bocciatura del referendum sulla devolution veneta.
L'unico che tenta una difesa delle scelte di Palazzo Chigi è
Franceschini. Polemizzando con Cacciari, il sottosegretario alla presidenza
del consiglio afferma che la bocciatura "non è un autogol né
una scelta dettata da rigidità. Ci sono due sentenze della Corte
costituzionale che la giustificano. E quelle sentenze non possono essere
definite cavilli".
In questo clima Enzo Ghigo, il polista dal volto moderato, il più
conciliante tra i governatori del nord, lancia il suo allarme e invita
a "svelenire il clima". Il governatore del Piemonte teme "il muro contro
muro" perché "la tensione potrebbe notevolmente crescere". Attacca
la scelta del governo ma anche "le esasperazioni del collega Galan" che
pure "hanno un fondo di verità, considerando la situazione del Veneto".
Giudica la decisione di Loiero "una scelta lesiva dell'autonomia delle
regioni" ma fa capire che le "esasperazioni" venete nel suo Piemonte non
si verificheranno: "In Veneto - sillaba Ghigo - ci sono toni che non si
riscontrano in altre regioni dove il sentimento istituzionale è
più compreso". E proprio di questa situazione particolare il governo
avrebbe dovuto tenere conto "riflettendo meglio anziché decidere
a pezzetti". Ghigo apprezza il testo sul federalismo messo a punto a Palazzo
Madama perché "raccoglie gli emendamenti presentati dal sistema
dei governi locali e può rappresentare un'opportunità soprattutto
per le regioni del Sud".
Da Roma interviene nel dibattito il presidente di An Gianfranco Fini:
"Il governo non ha capito che l'esigenza di una forte autonomia è
sentita in Veneto più che in ogni altra regione d'Italia. Peggio
per loro. In Veneto non prenderanno un voto". Il centrosinistra invece
difende la scelta del Consiglio dei ministri, contraddicendo la linea soft
dei Cacciari e dei Bassolino. Per Pietro Folena infatti Galan lancia "proclami
al vento, in modo irresponsabile e confuso". Anche il responsabile enti
locali dei Ds, Walter Vitali, accusa Galan di fare solo propaganda. "Ha
voluto la legge, anziché fare delibere amministrative come è
accaduto in Lombardia e Piemonte, perché sapeva bene della precedente
sentenza della Corte Costituzionale", dichiara, "e voleva provocatoriamente
sfidare il governo. Bisogna ora impedire che il conflitto politico sull'uso
di quei referendum, e la nostra netta contrarietà rispetto alla
posizione della Casa delle Libertà, si trasformi in un contenzioso
giuridico tra Governo e Regione Veneto dal quale non può uscire
nulla di buono".
La Repubblica - 05/11/2000
Di Giorgio Lago
VENEZIA - "Grande è il disordine sotto il cielo federalista",
scuote la testa il professor Ilvo Diamanti, entomologo del federalismo
possibile. Almeno, questo sì, è finalmente un bellissimo
e solare cielo d'autunno, ripulito dal vento che fa sventolare senza pausa
le bandiere del IV novembre sulle piazze.
È il Veneto del giorno dopo. In Regione, la maggioranza di centrodestra
intendeva chiedere con un referendum consultivo: vuoi tu, cittadino veneto,
che lo Stato ci consegni per sempre i poteri su scuola, sanità,
e un po' di ordine pubblico? Il governo, senza pensarci su troppo, o abbastanza,
ha risposto che non se ne fa nulla e ha rispedito il referendum al mittente,
ma sbaglia di grosso chi banalizza il no riducendolo a un ping pong tutto
tra sinistra (Roma) e destra (Venezia) o, ancor peggio, a una baruffa goldoniana
tra Galan e Loiero. La seconda in pochi giorni.
No, non è così, la faccenda si dimostra molto più
trasversale, come spesso accade in Veneto da qualche anno a questa parte.
Leader dell'opposizione a Galan, Massimo Cacciari non era contrario al
referendum ma a quel referendum a suo dire mal posto e dunque bocciabile:
in aula, lui ne aveva proposto anzi uno dal testo più radicale,
più federalista semmai.
L'esempio può essere anche divertente. Con un emendamento il
centrosinistra aveva provato a sostituire la formula canonica ("nell'ambito
dell'unità nazionale") con una assai più costituente ("nel
quadro della Repubblica federale")! Paradossalmente, proprio il centrodestra
ha rifiutato, ma soltanto per non toccare nemmeno una sillaba del testo
preparato in fotocopia per tutte le regioni del nord dopo la pace di Arcore
tra l'onorevole Berlusconi e l'onorevole Bossi. Pura e semplice disciplina
padana.
Insomma, a dispetto degli equivoci romani, qui è la politica
a dividere sul serio, non il referendum né tanto meno il federalismo,
come dimostra Carlo Alberto Tesserin, 62 anni, abile presidente della prima
Commissione del Consiglio regionale del Veneto. Ex Dc, oggi del Polo, considera
il no del governo "una presa in giro" e, esattamente come Galan, preannuncia
già il bis dell'iniziativa, a costo di arrivare fino alla Corte
costituzionale, ma non ha la minima difficoltà a riconoscere: "Cacciari
è molto più federalista di Galan! Basta ascoltare in aula
le sue posizioni sulla riforma oggi in Parlamento: la considera del tutto
insufficiente".
Soltanto se si abbandona la palude dei luoghi comuni, diventa possibile
cogliere il senso della partita in gioco. Per questo il no del governo
al referendum del centrodestra viene duramente criticato anche dal centrosinistra.
Qui la cosa non sorprende nessuno, altrove sì, pare.
Lo scrittore Gianfranco Bettin, pro-sindaco di Mestre prima con Cacciari
ora con Costa, alla "Nuova Venezia" ha dichiarato testualmente: "Un errore
politico del governo, pesantissimo. Un eccesso di zelo costituzionale".
E Flavio Zanonato, ex sindaco di Padova, attuale capogruppo dei Ds in Regione,
avversario frontale di Galan, mi aggiunge: "Noi chiedevamo anche il federalismo
fiscale, che nel loro referendum non c'era, per sapere con quali soldi
si fanno 'ste cose".
Il fatto è che, dietro la facciata del referendum, imperversa
la campagna elettorale, quella che il professor Diamanti definisce l'insopportabile
"babele" che dura in pratica da due anni e che durerà fino alla
primavera del 2001. "La cosa appare così - sintetizza il sociologo
- le Regioni che vogliono i referendum contro il governo e il governo che
farà un referendum contro le Regioni. Ma siamo matti? D' altra parte,
la sconfittta clamorosa della sinistra consiste nell' aver fatto apparire
nell'immaginario popolare che il federalismo è di destra".
La sensazione, nel Veneto "laboratorio", è da anni suppergiù
sempre la stessa: a Roma non capiscono nulla di riforme. Sembrerebbe un
problema di comunicazione, anche di linguaggio, basti pensare alle bozze
di Statuto in circolazione a destra e sinistra. Galan parla di "contrattazione"
con lo Stato, Cacciari di "negoziato" mentre lo stesso documento degli
industriali veneti consiglia la "trattativa": su questi temi, le differenze
sono risibili. Ha ragione da vendere Diamanti: le differenze le fa la campagna
elettorale permanente, con il mondo produttivo che tenta disperatamente
di riportare la politica ai problemi.
Neo vicepresidente di Confindustria, Nicola Tognana, trevigiano, sostiene
che serve uno "choc" e che lo "choc" virtuoso è possibile. "In Veneto
- spiega - la domanda di federalismo è totalmente unanime, ma da
solo il federalismo non riequilibrerà Nord e Sud". E qui ribadisce
ciò che ha detto di persona al ministro del Lavoro Salvi, venerdì
a Venezia: "La formula - continua Tognana - è questa: federalismo,
riduzione dell'Irpeg ed emersione del sommerso. Questo lo choc buono per
il Sud, e non occorre certo togliere soldi ai pensionati! I quattrini verranno,
come dice anche l'Istat, dall'emersione".
L'impresa diffusa è sempre stata in prima linea per l'autonomia:
ne sa qualcosa Mario Carraro, ex presidente degli industriali veneti, che
assieme a Cacciari animò per un anno ("un anno sabbatico", ricorda)
il movimento del Nordest. Oggi si dichiara pessimista e definisce il no
del governo al referendum "puro masochismo". E avverte: "Dovrebbero ricordare
tutti Livio Paladin, ex presidente della Corte costituzionale, che invitava
ad aspettare il federalismo non dallo Stato, mai!, ma proprio dalle Regioni".
L'aria che tira è questa: con Galan sta il centrodestra, con
il governo quasi nessuno. Il no ha imbarazzato il centrosinistra e servito
un assist propagandistico al centrodestra.
Chi ringrazia sentitamente è la Lega Nord. L'onorevole Giuseppe
Covre, imprenditore del mobile, cinquantenne sindaco di Oderzo, noto per
la sua indipendenza da Bossi, considera il no governativo un "autogol"
e consiglia una pausa natalizia di almeno due mesi nel teatrino pre-elettorale.
"A Pordenone - ironizza Covre in tutte le direzioni - è appena
arrivato Rutelli a promettere computer a tutti i disabili. Mi aspetto l'arrivo
di Berlusconi, che prometterà computer, stampante e cellulare! Faremo
fare la stessa fine al federalismo?". Su questo interrogativo, il Veneto
del giorno dopo non sa rispondere.
A forza di no, di strappi e di incomunicabilità, si rischia
di perdere di vista anche l'ordine del giorno. Di che cosa stavamo parlando?
Corriere della
sera - 05/11/2000
Ghigo teme tensioni sociali dopo la bocciatura
del referendum per dare più poteri alla regione Veneto, Cacciari
e Bassolino criticano il governo