Riforme Istituzionali
Osservatorio sulla devolution
 
Rassegna stampa
 
www.riforme.net


La Stampa - 04/11/2000
 
Massimo Luciani

La decisione del Consiglio dei ministri di contestare la proposta della Regione Veneto di indire un referendum sulla cosiddetta devolution si presta al commento da molti punti di vista. Ci sarà tempo di meditare sulla fondatezza delle ragioni giuridiche degli uni e degli altri. Ora, a caldo, la prima cosa che viene da osservare è che questa vicenda si inscrive in un contesto di integrale rovesciamento dello spirito con il quale, all'inizio della legislatura, il tema delle riforme era stato affrontato.

Allora, la questione delle riforme venne posta come il punto di necessaria convergenza di maggioranza e opposizione, che avrebbero dovuto dimostrare la capacità di lavorare sul tavolo della progettazione costituzionale al riparo dai veleni dello scontro contingente sui temi della politica quotidiana. L'istituzione della bicamerale fu il segnale più chiaro in quella direzione. Oggi, di una comunanza di intenti fra maggioranza e opposizione si parla molto meno: la maggioranza dice d'essere disposta a condurre in porto da sola la riforma elettorale; l'opposizione sfida la maggioranza sul terreno dell'autonomismo nonostante che in Parlamento sia in discussione la revisione delle norme costituzionali sulle Regioni.

C'è da chiedersi quale potrebbe essere il futuro di riforme adottate in questo clima, e c'è da chiedersi, soprattutto, se lo scontro sulle riforme non sia altro, in realtà, che un aspetto della campagna elettorale che già si è aperta. Visto che è probabile che sia proprio così, non ci aspettiamo che i prossimi mesi ci regalino un dibattito riformatore pacifico e razionale.


La Repubblica - 04/11/2000
 

LO STRAPPO STATO-REGIONI

Giovanni Valentini

E' uno strappo destinato verosimilmente a lasciare il segno, quello che s'è consumato ieri sul federalismo tra il governo centrale e la regione Veneto.
Ma è uno strappo che da una parte e dall'altra bisogna cercare di ricucire al più presto, magari con il concorso responsabile di entrambi i poli, per evitare che si allarghi e diventi alla fine insanabile. Troppo importante è il principio in gioco e troppo importante è una regione come il Veneto, una delle aree certamente più avanzate del paese, per sottovalutare il pericolo e ridurre tutto a una disputa pre-elettorale.

SUL piano del diritto, non c'è dubbio che la decisione del governo di respingere il progetto regionale di referendum consultivo è fondata e legittima. La sua duplice incostituzionalità riguarda infatti sia il merito sia il metodo, secondo quanto ha già stabilito la suprema Corte in precedenti analoghe circostanze. Il merito, perché non corrisponde all'iter di garanzia democratica previsto dalla Carta costituzionale per la sua stessa revisione. Il metodo, perché l'iniziativa spetta semmai al Consiglio regionale, cioè al "parlamentino" e non al governo del Veneto, a cui il provvedimento è stato opportunamente rinviato da Roma.
E' sul piano politico invece che la questione appare senz'altro più delicata e complessa. E non solo per il fatto che investe direttamente il Nord-Est, con la sua vocazione storica di autonomia, con le sue antiche rivendicazioni di "patria" e di "lingua". Ma soprattutto perché tocca un nervo scoperto nei rapporti tra Stato e Regioni, in quell'ansia diffusa di federalismo che esprime una domanda reale di efficienza, di flessibilità, di modernità.
Non è esclusivamente un problema del Veneto e neppure soltanto del Nord. E' un problema di tutta l'Italia, a cui il Parlamento nazionale deve dare finalmente una risposta chiara e risolutiva. S' è parlato troppo di federalismo negli ultimi anni, e bisogna riconoscerne il merito innanzitutto alla Lega, per non passare ora dalle parole ai fatti, per indugiare oltre nella ricerca della mediazione e del compromesso. Anzi, più tempo si lascia passare, più aumentano le resistenze e le difficoltà, più difficile diventa individuare una soluzione equa e funzionale.
Ma la storia insegna che il federalismo è fatto per unire, non per dividere. Serve appunto per "federare", per aggregare, per mettere insieme le realtà locali, all'interno di un quadro organico e omogeneo. Ed è proprio questo il modello che oggi occorre applicare all' Italia, per valorizzare l'autonomia delle regioni e rafforzare nello stesso tempo l'identità nazionale, cioè la storia, la tradizione e la cultura di un popolo. Il federalismo come base e presupposto di una nuova solidarietà, insomma, non come grimaldello per scardinare l'assetto statale e far prevalere gli interessi o gli egoismi particolari.
E' orientato in questa direzione il progetto della regione Veneto? A giudicare dalla bozza di statuto presentata nei giorni scorsi dal presidente Galan, si deve dire onestamente di no. Senza evocare qui il fantasma della secessione, senza riaccendere polemiche e strumentalizzazioni di parte alimentate dal clima della lunga vigilia elettorale, quel testo non coincide con l'ispirazione di un federalismo responsabile e solidale. C'è piuttosto la ricerca più o meno consapevole di una scorciatoia, di un'accelerazione, di una fuga in avanti, per tagliare di netto tutti i "lacci e lacciuoli" che imbrigliano lo sviluppo di una regione d'avanguardia.
I giornali e più in generale i mass media avranno anche contribuito ad alzare il polverone, come ha lamentato con insistenza Galan, ma la verità è che la sua bozza di statuto contrasta con quello che Giuliano Amato ha definito "l'interesse nazionale". E se è vero che il capo del governo è stato l'unico a capire veramente di che cosa si tratta, per ammissione dello stesso presidente del Veneto, allora prendiamo per buono il suo giudizio e a questo rimettiamoci. D'altra parte, le perplessità e le riserve suscitate a caldo anche all'interno del Polo, da Fini a Casini, non dovrebbero lasciare margini di dubbio sulla portata del progetto. Può darsi pure che molti critici e oppositori non l'abbiano nemmeno letto, secondo la tesi difensiva di Galan. E' certo comunque che il presidente della Regione Veneto non s'è preso la briga di discuterlo con i membri del Consiglio, di confrontarsi con la sua maggioranza e con l'opposizione. E già questo è un "vulnus" che pregiudica la legittimità democratica del documento, il suo significato e il suo valore. Non risulta al momento che ciò sia accaduto in altre regioni.
Chi invece conosce quel testo e lo voglia valutare senza pregiudizi, non può ignorare alcuni aspetti ambigui o addirittura inquietanti, rilevati peraltro anche da diversi esponenti del centrodestra. Nonostante le clausole d'uso suggerite dal galateo istituzionale, le relazioni internazionali con altri Stati non rientrano infatti nelle prerogative delle singole Regioni, a meno di voler concepire la politica estera come somma di atti e iniziative unilaterali. Così il richiamo formale al "rispetto dei principi costituzionali" non basta a giustificare una rivendicazione di autonomia finanziaria, con "la facoltà di istituire tributi propri". Né la cosiddetta "contrattazione finanziaria" offre una base sufficiente per poter ripartire la "potestà" tra regione e Stato in materia.
Di tutto ha bisogno l'Italia in questo momento, fuorché di dividersi, di scavare ulteriormente il fosso tra regioni ricche e regioni povere, di aumentare le distanze tra Nord e Sud. All'interno dell'Unione europea, il nostro paese ha la possibilità di crescere e d'integrarsi a condizione di restare unito, di valorizzare le potenzialità economiche e produttive delle regioni settentrionali, ma anche di recuperare le risorse umane e intellettuali delle popolazioni meridionali. Se il federalismo va in questa direzione, ben venga: sarà un'opportunità e uno strumento di sviluppo. Altrimenti, diventerà un fattore di rischio, un'incognita o un'insidia per tutti.
Di fronte a questa sfida, vorremmo tanto auspicare che i due poli deponessero temporaneamente le armi per una tregua istituzionale, in modo da favorire un confronto costruttivo e civile. Il federalismo, cioè il futuro assetto dello Stato, non è argomento da campagna elettorale, da comizi, da tribune politiche. Non può essere affrontato a colpi di slogan, di spot, di accuse e recriminazioni reciproche. Si tratta piuttosto di varare una riforma strutturale che attiene per sua natura allo spirito costituente, al senso di appartenenza e d'identità; una riforma per rifondare il diritto di cittadinanza, per rilanciare il sentimento nazionale.
Non possiamo continuare a professare il nostro patriottismo solo in occasione dei grandi eventi artistici o sportivi, quando il maestro Muti si rifiuta di suonare l'inno di Mameli alla Scala davanti al Capo dello Stato; quando gli Azzurri non cantano "Fratelli d'Italia" o quando Schumacher fa il saltimbanco sul podio della Formula Uno. Questa è un' occasione per metterlo in pratica. E lo è per la destra e per la sinistra, per il Polo e per l'Ulivo, per Berlusconi e per Rutelli.


La Repubblica - 04/11/2000

 
"La Costituzione non è un optional"
Il ministro degli Affari regionali respinge le accuse
di Barbara Jerkov

ROMA - Ha visto, ministro Loiero? Gasparri ha coniato una nuova espressione: il "loierismo", "una logica di arroganza e di punizione nei confronti delle regioni di centrodestra". Che gliene sembra?
"Forse vuol dire che stavolta ho proprio colpito nel segno".
Agazio Loiero, è bersagliato dagli attacchi di Polo e Lega. "Come se ci fosse un mio accanimento personale" sorride a sera, chiuso nel suo studio; "la verità è che io ho formulato una proposta, poi il Consiglio dei ministri all'unanimità, l'ha approvata".
Perché quella legge non è costituzionale?
"Un referendum consultivo sulle stesse materie oggetto delle votazioni del Consiglio regionale e del Parlamento è totalmente atipico nel procedimento di formazione delle leggi. Il dettato della Costituzione non è un optional".
Galan la accusa di avere paura di una pronuncia popolare.
"Il voto popolare ci potrà essere, ma solo dopo che le proposte di legge costituzionale del Consiglio regionale del Veneto saranno state regolarmente approvate dal Parlamento".
In questa stessa materia c'è già un precedente bocciato dalla Corte costituzionale, giusto?
"È così e non potevamo non tenerne conto. Con la sentenza numero 470 del 10 novembre 1992, la Consulta ha dichiarato l'incostituzionalità di un'analoga proposta di legge, sempre della Regione Veneto, sempre per violazione dell'articolo 138 della Costituzione".
Ma perché ministro non è successo lo stesso anche con le proposte di referendum di Lombardia e Piemonte?
"Perché quelle sono delibere amministrative".
Il Veneto ha già annunciato che ripresenterà la legge un'altra volta. Come andrà a finire?
"È sempre più evidente che dietro questa storia c'è una strategia ben precisa. Sapevano della bocciatura di otto anni fa, sapevano l'orientamento del governo. Sono andati dritti a cercare lo scontro con Roma. Quando Formigoni parla di Europa delle regioni e allo stesso tempo spinge tanto avanti il processo autonomistico della sua Lombardia, non si rende conto che una regione forte se dietro non ha uno Stato unitario, non conta niente. Guardi il modello dei laender tedeschi: la Baviera conta proprio in quanto ha dietro di sé un paese di 80 milioni di abitanti e una tradizione statuale ben salda. Lo dico proprio ai settentrionali".
Invece Galan accusa il governo di "scelta ignobile".
"È la dimostrazione che il vero temperamento è difficile nasconderlo o modificarlo... Il linguaggio è il prodotto di cultura, di conoscenza delle istituzioni, si acquisisce col tempo... Nessun elemento è tanto rivelatore quanto il linguaggio".


La Repubblica - 04/11/2000

"E' un autogol il Nord li punirà"
Il presidente della Lombardia: sono allibito
Di Guido Passalacqua

MILANO - "Sono allibito, sconcertato, scandalizzato", il presidente della Regione Lombardia Roberto Formigoni, il primo ad aver schiacciato l'acceleratore sui referendum federalisti, è appena sceso all'aereo a Fiumicino. Durante il volo Milano-Roma ha avuto un'oretta di tempo per ragionare al di là del comunicato ufficiale di metà pomeriggio.
"La prima considerazione è che questi signori sono rimasti fermi al '92. Il governo si appella a una sentenza della Corte Costituzionale del '92 come se nulla fosse successo nel Paese, come se questi anni di dibattito vivacissimo fossero passati invano. Usano una sentenza contorta in un modo contorto per poter dire di no a un referendum regionale. Sono sconcertato, mi pare che non ci sia la percezione di quello che è successo in Italia, nelle regioni del Nord. Mi chiedo cosa c'è di illegale nel celebrare un referendum consultivo regionale sul federalismo".
Perché questa presa di posizione?
"Il governo scende in campo e usa la clava di un potere barbaro, barbaro perché è tale un potere per cui le leggi regionali devono avere l'ok del rappresentante del governo".
Secondo lei la decisione del governo avrà effetti anche sui referendum delle altre regioni del Nord?
"Sarà interessante vedere il loro comportamento. Se vogliono bocciarli in blocco sarà scontro. Sono curioso di vedere dove vogliono arrivare".
Lei pensa che ci saranno problemi per la Lombardia?
"Vedremo. Il nostro referendum è già previsto dallo statuto regionale e sarebbe arduo bocciare questa iniziativa. Noto solo che noi abbiamo votato il 15 settembre e non sappiamo ancora nulla".
Lei pensa che, come dice Roberto Maroni, ci sia un disegno per bloccare i referendum regionali e sostituirli con referendum confermativi?
"Il segno c'è ed è fortissimo. La cosa è chiarissima. Ma se il Veneto ripropone la sua legge, voglio proprio vedere che succede. Da parte nostra c'è un sostegno totale. Insomma, quello del Veneto non è stato un colpo di maggioranza, c'è stato un lungo dibattito. Solo un riflesso condizionato antiregionalista e antifederalista può aver portato a una scelta che non fa che esasperare e rendere incandescente un confronto, quello sul federalismo, che sarebbe meglio risolto se i cittadini potessero esprimersi liberamente".
Lei parla di riflesso condizionato del governo.
" Meglio sarebbe definirlo un autogol. Li voglio vedere di fronte all'opinione pubblica del Nord: li aspetto di fronte alla gente del Nord. Il centrosinistra non ha la percezione della voglia di nuovo che sale dalla società. Loro non sanno neppure cosa sia la voglia di autonomia".


Corriere della sera - 04/11/2000

Devolution, il governo ferma il Veneto

No al referendum. Il Polo attacca: sinistra centralista. Rutelli: rischio Jugoslavia

di Francesco Alberti
Il governo ha detto no ai referendum sulla devolution del Veneto: «È una legge atipica, un’indebita pressione sul Parlamento». Ma il «governatore» berlusconiano, Giancarlo Galan, non ha alcuna intenzione di alzare bandiera bianca: «La ripresenteremo: uguale». Morale: il conflitto finirà - e per il Veneto non è la prima volta - davanti alla Corte costituzionale, arbitro supremo. Volano paroloni tra i due Poli. Centrodestra e Lega fanno scudo attorno a Galan e tacciano la maggioranza di «becero centralismo». Il centrosinistra applaude il governo e, con il candidato premier Rutelli, parla di «esasperazioni jugoslave». Sfida interminabile nel nome del federalismo parlato. L’esecutivo Amato, che nei giorni scorsi aveva reagito con veemenza alla bozza di Statuto regionale presentata dal «governatore» berlusconiano del Veneto, ha rispedito ieri al mittente - di fatto, quindi, bocciato - la legge con la quale Galan intendeva ottenere, tramite un referendum consultivo, un’ampia legittimità popolare per chiedere allo Stato più poteri su scuola, sanità e polizia locale. Il ministro per le Regioni Agazio Loiero, sulla cui relazione l’esecutivo si è ieri trovato d’accordo, ha ricordato che già nel ’92 la Corte costituzionale bocciò «un’analoga iniziativa del Veneto» e che comunque «un referendum ci potrà essere, ma solo dopo che le proposte della Regione saranno approvate dal Parlamento».
LA RABBIA DEL NORD - Il conflitto, formalmente, è tra l’esecutivo e il Veneto. Ma in realtà ha un impatto politico su tutte le Regioni del Nord a guida Polo-Lega. Piemonte e Lombardia (e presto anche Liguria) hanno infatti da tempo messo in campo analoghi referendum. A differenza però di Galan, che ha scelto la strada della proposta di legge, i suoi colleghi del Nord hanno aggirato il parere del governo, varando atti amministrativi. Ciò non ha comunque impedito al piemontese Enzo Ghigo e al lombardo Roberto Formigoni di prendere le difese del loro collega veneto. Il primo: «Non condivido tempi e modi del governo: così si rischia il muro contro muro». E Formigoni ha accusato l’esecutivo di «riflesso condizionato antiregionalista e antifederalista». All’opposto il «governatore» toscano, il ds Claudio Martini, che ha invitato i presidenti del Nord «a convincere il Polo ad approvare la riforma federalista in Parlamento».

«BRAVO AMATO» - Toni bassi dalle parti della Quercia. Walter Veltroni si è limitato a ricordare che «c’era già una sentenza della Corte costituzionale» e il ministro Salvi ha parlato di «atto dovuto». L’obiettivo dei Ds, d’altra parte, è quello di approvare in Parlamento la miniriforma federale per poi sottoporla in primavera a un referendum confermativo. Più accesi gli alleati. Il cossuttiano Oliviero Diliberto ha accusato Galan di volere «un federalismo alla croata» e il popolare Pierluigi Castagnetti ha denunciato «rischi d’anarchia».

«ABBASSO AMATO» - «Lo slogan di questo esecutivo è federalismo centralistico» ha ironizzato l’azzurro Franco Frattini. E il leghista Roberto Maroni: «Galan vada avanti». Persino Rocco Buttiglione, che certo non aveva gradito la bozza dello Statuto veneto, si è trovato costretto a «solidarizzare» con il vulcanico Galan.


Corriere della sera - 04/11/2000

Galan: li credevo meno ottusi, mi fanno un piacere

di Francesco Alberti

Presidente Galan: se l’aspettava questa bocciatura? «No, non me l’aspettavo... Credevo che questo governo fosse meno ottuso. Accettasse il confronto. E invece si è fatto prendere da bassi istinti di rivalsa».

Però ci sperava.
« Nemmeno. Anche se, a pensarci bene, Amato e i suoi ci hanno fatto un altro piacere...».

Quale?
«Dopo le polemiche sullo Statuto veneto, dove solo per aver presentato una proposta mi sono preso del pagliaccio e del guerrafondaio, e dopo il rifiuto del centrosinistra ad accogliere le proposte della Casa delle Libertà sulla mini-riformucola all’esame del Parlamento, ora arriva la bocciatura del governo al nostro referendum consultivo. Direi che è la conferma di quanto questa maggioranza, al di là delle parole, sia e resti statalista. E se penso che l’Ulivo ha anche organizzato per i prossimi giorni una manifestazione di piazza a favore del federalismo, posso fare una sola previsione: verranno seppelliti da una risata».

E adesso che farà il Veneto: lascia o raddoppia?
«Andiamo avanti, ci mancherebbe. Rispediremo al governo la legge sul nostro referendum. Così com’è. Senza cambiare una virgola».

E finirete, per l’ennesima volta, davanti alla Corte Costituzionale...
«Proprio così».

Ma con quali speranze? La Consulta ha già bocciato nel ’92 una vostra proposta di legge analoga.
«Lo so bene, ma sono passati otto anni e da allora, mi pare, è successo qualcosa in tema di federalismo e di istanze regionali. Insomma, i tempi sono cambiati. Ma se è per questo, la Corte si è pronunciata nell’aprile scorso su un’altra richiesta di referendum da noi avanzata nel ’98. Sono passati sette mesi, ma non conosciamo ancora la sentenza».

Quindi?
«Quindi ci riproviamo. Insistiamo. Se c’è una cosa sulla quale anche certi pasdaran pseudo-federalisti della sinistra sono d’accordo, è che il federalismo va costruito dal basso, con il più ampio consenso possibile. E io sfido chiunque a indicare uno strumento più appropriato del referendum, espressione per antonomasia della democrazia».

Il governo sostiene che il vostro referendum consultivo è «atipico» e costituirebbe «un’indebita pressione sulle scelte del Parlamento».
«Atipico? Ma per favore... La verità è che questo esecutivo, e la maggioranza che lo sostiene, hanno paura della gente. La decisione del Consiglio dei ministri è un insulto...».

A chi? A lei?
«No, a una volontà espressa ufficialmente e con ampia maggioranza dal consiglio regionale del Veneto, massima espressione rappresentativa dei cittadini».

Lombardia e Piemonte hanno promosso referendum consultivi analoghi al vostro, servendosi però di norme amministrative e quindi aggirando di fatto il governo. Il Veneto non poteva scegliere la stessa strada?
«No, abbiamo optato per la proposta di legge per dare più valore alla nostra iniziativa. E poi volevamo il confronto con il governo. Volevamo impegnarlo politicamente. Non dimentichiamo infatti che, nel lanciare la nostra proposta di legge, ci eravamo impegnati a celebrare il referendum solo dopo aver approvato una legge d’attuazione che definisse i contenuti della consultazione, che riguardavano sanità e scuola. E su questo c’era stata anche la disponibilità del centrosinistra in consiglio regionale».

Ora però c’è il rischio concreto che i suoi colleghi Formigoni (Lombardia) e Ghigo (Piemonte) in primavera celebrino i referendum, mentre lei resta al palo.
«Noi vogliamo assolutamente farla questa consultazione. Valuterò con gli esperti se c’è la possibilità di indirla ugualmente, magari per via amministrativa».

Rutelli boccia come «retorici» i referendum nordisti e si dice preoccupato per alcune «esasperazioni jugoslave». Che risponde?
«Dico che è semplicemente sconvolgente che uno, come Rutelli, che in teoria potrebbe avere una - ripeto una, non di più - possibilità di diventare presidente del Consiglio, si cali nei panni di allievo del ministro Loiero, che ha addirittura parlato di "rischi di secessione". Ma per fortuna tutto ciò durerà poco».

Cosa intende dire?
«Che tra qualche mese la parola tornerà agli elettori. E allora...».


La Repubblica - 05/11/2000

Referendum, centrosinistra diviso
Cacciari e Bassolino criticano il governo. An: non prenderanno un voto
L'ex sindaco: è stato un autogol. Il presidente della Campania: poca saggezza. Folena: da Galan proclami al vento

Paolo Griseri

PETTENASCO - La decisione del governo di bocciare il referendum sulla devolution voluto da Galan in Veneto "rischia di creare tensioni e contrapposizioni non positive per il paese e potrebbe accendere un clima di scontro che rischia di trovare anche forme non corrette di manifestarsi". Il presidente dei governatori delle regioni italiane, Enzo Ghigo, sceglie una bella mattinata di sole sul lago d'Orta per lanciare il suo allarme. Che non è solo rivolto al governo ma a tutti i protagonisti dell'ultimo braccio di ferro sul federalismo, compresi i governatori del Polo.
All'hotel "L'approdo" di Pettenasco Ghigo si trova di fronte Antonio Bassolino, Massimo Cacciari, il sottosegretario alla presidenza del consiglio Dario Franceschini e l'intero stato maggiore dell'Ulivo del nord.
Ma nella sala ulivista dell'"Approdo", la mossa governativa trova pochi difensori. Massimo Cacciari, che pure da Galan è stato sconfitto alle regionali, definisce la decisione di Loiero "il più classico, tipico e assurdo degli autogol".
Antonio Bassolino sostiene che "il governo avrebbe dovuto agire con maggiore saggezza, tenendo conto delle differenze tra la situazione attuale e quella del '92", quando la Corte costituzionale emise le sentenze alla base della bocciatura del referendum sulla devolution veneta.
L'unico che tenta una difesa delle scelte di Palazzo Chigi è Franceschini. Polemizzando con Cacciari, il sottosegretario alla presidenza del consiglio afferma che la bocciatura "non è un autogol né una scelta dettata da rigidità. Ci sono due sentenze della Corte costituzionale che la giustificano. E quelle sentenze non possono essere definite cavilli".
In questo clima Enzo Ghigo, il polista dal volto moderato, il più conciliante tra i governatori del nord, lancia il suo allarme e invita a "svelenire il clima". Il governatore del Piemonte teme "il muro contro muro" perché "la tensione potrebbe notevolmente crescere". Attacca la scelta del governo ma anche "le esasperazioni del collega Galan" che pure "hanno un fondo di verità, considerando la situazione del Veneto". Giudica la decisione di Loiero "una scelta lesiva dell'autonomia delle regioni" ma fa capire che le "esasperazioni" venete nel suo Piemonte non si verificheranno: "In Veneto - sillaba Ghigo - ci sono toni che non si riscontrano in altre regioni dove il sentimento istituzionale è più compreso". E proprio di questa situazione particolare il governo avrebbe dovuto tenere conto "riflettendo meglio anziché decidere a pezzetti". Ghigo apprezza il testo sul federalismo messo a punto a Palazzo Madama perché "raccoglie gli emendamenti presentati dal sistema dei governi locali e può rappresentare un'opportunità soprattutto per le regioni del Sud".
Da Roma interviene nel dibattito il presidente di An Gianfranco Fini: "Il governo non ha capito che l'esigenza di una forte autonomia è sentita in Veneto più che in ogni altra regione d'Italia. Peggio per loro. In Veneto non prenderanno un voto". Il centrosinistra invece difende la scelta del Consiglio dei ministri, contraddicendo la linea soft dei Cacciari e dei Bassolino. Per Pietro Folena infatti Galan lancia "proclami al vento, in modo irresponsabile e confuso". Anche il responsabile enti locali dei Ds, Walter Vitali, accusa Galan di fare solo propaganda. "Ha voluto la legge, anziché fare delibere amministrative come è accaduto in Lombardia e Piemonte, perché sapeva bene della precedente sentenza della Corte Costituzionale", dichiara, "e voleva provocatoriamente sfidare il governo. Bisogna ora impedire che il conflitto politico sull'uso di quei referendum, e la nostra netta contrarietà rispetto alla posizione della Casa delle Libertà, si trasformi in un contenzioso giuridico tra Governo e Regione Veneto dal quale non può uscire nulla di buono".


La Repubblica - 05/11/2000

E il gran rifiuto di Roma delude il laboratorio Veneto
Sul federalismo uno schieramento trasversale da destra a sinistra. Gli imprenditori chiedono "uno choc virtuoso"

Di Giorgio Lago

VENEZIA - "Grande è il disordine sotto il cielo federalista", scuote la testa il professor Ilvo Diamanti, entomologo del federalismo possibile. Almeno, questo sì, è finalmente un bellissimo e solare cielo d'autunno, ripulito dal vento che fa sventolare senza pausa le bandiere del IV novembre sulle piazze.
È il Veneto del giorno dopo. In Regione, la maggioranza di centrodestra intendeva chiedere con un referendum consultivo: vuoi tu, cittadino veneto, che lo Stato ci consegni per sempre i poteri su scuola, sanità, e un po' di ordine pubblico? Il governo, senza pensarci su troppo, o abbastanza, ha risposto che non se ne fa nulla e ha rispedito il referendum al mittente, ma sbaglia di grosso chi banalizza il no riducendolo a un ping pong tutto tra sinistra (Roma) e destra (Venezia) o, ancor peggio, a una baruffa goldoniana tra Galan e Loiero. La seconda in pochi giorni.
No, non è così, la faccenda si dimostra molto più trasversale, come spesso accade in Veneto da qualche anno a questa parte. Leader dell'opposizione a Galan, Massimo Cacciari non era contrario al referendum ma a quel referendum a suo dire mal posto e dunque bocciabile: in aula, lui ne aveva proposto anzi uno dal testo più radicale, più federalista semmai.
L'esempio può essere anche divertente. Con un emendamento il centrosinistra aveva provato a sostituire la formula canonica ("nell'ambito dell'unità nazionale") con una assai più costituente ("nel quadro della Repubblica federale")! Paradossalmente, proprio il centrodestra ha rifiutato, ma soltanto per non toccare nemmeno una sillaba del testo preparato in fotocopia per tutte le regioni del nord dopo la pace di Arcore tra l'onorevole Berlusconi e l'onorevole Bossi. Pura e semplice disciplina padana.
Insomma, a dispetto degli equivoci romani, qui è la politica a dividere sul serio, non il referendum né tanto meno il federalismo, come dimostra Carlo Alberto Tesserin, 62 anni, abile presidente della prima Commissione del Consiglio regionale del Veneto. Ex Dc, oggi del Polo, considera il no del governo "una presa in giro" e, esattamente come Galan, preannuncia già il bis dell'iniziativa, a costo di arrivare fino alla Corte costituzionale, ma non ha la minima difficoltà a riconoscere: "Cacciari è molto più federalista di Galan! Basta ascoltare in aula le sue posizioni sulla riforma oggi in Parlamento: la considera del tutto insufficiente".
Soltanto se si abbandona la palude dei luoghi comuni, diventa possibile cogliere il senso della partita in gioco. Per questo il no del governo al referendum del centrodestra viene duramente criticato anche dal centrosinistra. Qui la cosa non sorprende nessuno, altrove sì, pare.
Lo scrittore Gianfranco Bettin, pro-sindaco di Mestre prima con Cacciari ora con Costa, alla "Nuova Venezia" ha dichiarato testualmente: "Un errore politico del governo, pesantissimo. Un eccesso di zelo costituzionale". E Flavio Zanonato, ex sindaco di Padova, attuale capogruppo dei Ds in Regione, avversario frontale di Galan, mi aggiunge: "Noi chiedevamo anche il federalismo fiscale, che nel loro referendum non c'era, per sapere con quali soldi si fanno 'ste cose".
Il fatto è che, dietro la facciata del referendum, imperversa la campagna elettorale, quella che il professor Diamanti definisce l'insopportabile "babele" che dura in pratica da due anni e che durerà fino alla primavera del 2001. "La cosa appare così - sintetizza il sociologo - le Regioni che vogliono i referendum contro il governo e il governo che farà un referendum contro le Regioni. Ma siamo matti? D' altra parte, la sconfittta clamorosa della sinistra consiste nell' aver fatto apparire nell'immaginario popolare che il federalismo è di destra".
La sensazione, nel Veneto "laboratorio", è da anni suppergiù sempre la stessa: a Roma non capiscono nulla di riforme. Sembrerebbe un problema di comunicazione, anche di linguaggio, basti pensare alle bozze di Statuto in circolazione a destra e sinistra. Galan parla di "contrattazione" con lo Stato, Cacciari di "negoziato" mentre lo stesso documento degli industriali veneti consiglia la "trattativa": su questi temi, le differenze sono risibili. Ha ragione da vendere Diamanti: le differenze le fa la campagna elettorale permanente, con il mondo produttivo che tenta disperatamente di riportare la politica ai problemi.
Neo vicepresidente di Confindustria, Nicola Tognana, trevigiano, sostiene che serve uno "choc" e che lo "choc" virtuoso è possibile. "In Veneto - spiega - la domanda di federalismo è totalmente unanime, ma da solo il federalismo non riequilibrerà Nord e Sud". E qui ribadisce ciò che ha detto di persona al ministro del Lavoro Salvi, venerdì a Venezia: "La formula - continua Tognana - è questa: federalismo, riduzione dell'Irpeg ed emersione del sommerso. Questo lo choc buono per il Sud, e non occorre certo togliere soldi ai pensionati! I quattrini verranno, come dice anche l'Istat, dall'emersione".
L'impresa diffusa è sempre stata in prima linea per l'autonomia: ne sa qualcosa Mario Carraro, ex presidente degli industriali veneti, che assieme a Cacciari animò per un anno ("un anno sabbatico", ricorda) il movimento del Nordest. Oggi si dichiara pessimista e definisce il no del governo al referendum "puro masochismo". E avverte: "Dovrebbero ricordare tutti Livio Paladin, ex presidente della Corte costituzionale, che invitava ad aspettare il federalismo non dallo Stato, mai!, ma proprio dalle Regioni".
L'aria che tira è questa: con Galan sta il centrodestra, con il governo quasi nessuno. Il no ha imbarazzato il centrosinistra e servito un assist propagandistico al centrodestra.
Chi ringrazia sentitamente è la Lega Nord. L'onorevole Giuseppe Covre, imprenditore del mobile, cinquantenne sindaco di Oderzo, noto per la sua indipendenza da Bossi, considera il no governativo un "autogol" e consiglia una pausa natalizia di almeno due mesi nel teatrino pre-elettorale.
"A Pordenone - ironizza Covre in tutte le direzioni - è appena arrivato Rutelli a promettere computer a tutti i disabili. Mi aspetto l'arrivo di Berlusconi, che prometterà computer, stampante e cellulare! Faremo fare la stessa fine al federalismo?". Su questo interrogativo, il Veneto del giorno dopo non sa rispondere.
A forza di no, di strappi e di incomunicabilità, si rischia di perdere di vista anche l'ordine del giorno. Di che cosa stavamo parlando?


Corriere della sera - 05/11/2000
 
Ghigo teme tensioni sociali dopo la bocciatura del referendum per dare più poteri alla regione Veneto, Cacciari e Bassolino criticano il governo

di Francesco Alberti

PETTENASCO (Novara) - «Il clima sta assumendo toni preoccupanti. La bocciatura del referendum veneto da parte dell’esecutivo ha infiammato ancor più l’atmosfera. Ho paura che in Veneto possano scatenarsi tensioni sociali, fatti negativi...». Il berlusconiano Enzo Ghigo, presidente del Piemonte e di tutti i «governatori» italiani, parla davanti agli Stati generali dell’Ulivo piemontese in riva al lago d’Orta. In sala non vola una mosca. Non difende a priori gli ardori iperfederalisti del collega veneto Giancarlo Galan: «A volte forza le cose...». Però, dice, è figlio della sua terra: «Magari a noi piemontesi certi toni esasperati possono dare l’idea di un senso barricadero diffuso. Ma in Veneto hanno una testa diversa, pardon, una cultura diversa... Il governo ha dimostrato scarsa responsabilità». Per questo, «ora temo che potrebbero crearsi situazioni non positive per il nostro Paese». Massimo Cacciari lo rassicura bruscamente: «No, non credo a scontri di piazza». Per poi aggiungere, però: «Certo il clima politico in Veneto è molto, molto negativo».
Antonio Bassolino, uscendo dal coro unanime del centrosinistra, non nasconde irritazione per il modo in cui il governo ha rispedito al mittente la legge del Veneto sul referendum per la devolution: «Galan ha alzato volutamente il tiro, ma l’esecutivo ha dato una risposta troppo rigida». E nemmeno convince il «governatore» della Campania il fatto che già nel ’92 la Consulta avesse bocciato un’analoga legge del Veneto: «Sono passati otto anni e tanti sono stati i cambiamenti». In scia con lui Cacciari, sfidante (sconfitto) di Galan alle ultime regionali: «Diciamo la verità, è stato un autogol assurdo, si fa il gioco del presidente veneto». E così spetta al sottosegretario Dario Franceschini, pure lui invitato agli Stati generali piemontesi, fare l’avvocato d’ufficio di Amato: «Il governo non poteva far altro che attenersi ai precedenti della Corte».

 
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