Riforme Istituzionali
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 Sulle inquietanti tesi sostenute da Piero Ostellino in questo articolo, si veda l'editoriale: Dalle elezioni iraniane una lezione per l'Italia


 
Corriere della sera  21-02-2004
 
Una democrazia «pasticciata» e l’equivoco della Costituzione
 
   di Piero Ostellino

Nei Paesi di democrazia maggioritaria «normale», la verifica la fanno gli elettori quando sono chiamati a pronunciarsi. Da noi, che siamo una democrazia maggioritaria «pasticciata», la fanno i partiti nel corso della stessa legislatura. La differenza, che non è da poco, la fa un equivoco. Nei Paesi di democrazia «normale», soggetti di diritto pubblico sono i cittadini; in quelli di democrazia «pasticciata» sono, surrettiziamente, i partiti. Così, in Italia, la totalità della politica si concentra nel «totalitarismo dei partiti», mentre in democrazia si articola, innanzi tutto, nella sovranità dei cittadini-elettori e, successivamente, nel principio di rappresentanza. Revocabile. Nella passata legislatura, il centrosinistra ha cambiato tre capi di governo, e persino maggioranza, senza che né il leader della coalizione che aveva vinto le elezioni (Prodi), né il capo dello Stato (Scalfaro), che ne aveva il dovere morale e politico, avvertissero l’esigenza di chiedere agli elettori cosa ne pensassero. In questa legislatura, si è andati avanti per mesi con una sorta di «verifica virtuale», che è stata un tentativo di suicidio politico collettivo, da parte della maggioranza di governo, e un abominio di diritto pubblico. Entrambi tollerati da un Berlusconi troppo «liberale», in questa circostanza, con i propri alleati. Il capo del governo mi consenta, allora, un consiglio: qualora la manfrina dovesse ripetersi, verifichi se ha ancora la maggioranza in Parlamento. E, qualora non l’avesse più, vada da quello della Repubblica a dirglielo. A questo punto, la verifica la farebbero nuovamente gli elettori. L’equivoco, però, nasce dalla stessa Costituzione: «Tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale» (art. 49). La Costituzione sembra, infatti, adombrare (ambiguamente) che i partiti - che sono associazioni private - siano soggetti di diritto pubblico. L’ambiguità costituzionale scaturisce, a sua volta, dalla preoccupazione, da parte dei costituenti, di chiudere con il passato totalitario - che concentrava nel partito unico (fascista) la rappresentanza dell’intera comunità politica - e di trasferire lo stesso principio di rappresentanza politica alla pluralità dei partiti. Ora, che, uscendo dal Ventennio, tale preoccupazione fosse legittima e lodevole, nonché, tenuto conto del clima compromissorio in cui è nata la Costituzione, anche umanamente comprensibile, è un fatto. Ma è anche un fatto che il risultato non è stata la chiusura, ma una sorta di paradossale saldatura col passato.
La Costituzione non sanziona, infatti, la sovranità (democratica) del cittadino-elettore sul processo di elezione dei propri rappresentanti e sulla loro revocabilità, ma continua a codificare la supremazia dei rappresentanti, una volta eletti, sul cittadino-elettore, cioè registra semplicemente il passaggio dalla dittatura del partito al singolare alla dittatura dei partiti al plurale. Dal duro totalitarismo formalizzato a un soffice totalitarismo di fatto. Che piaccia o no, sia che ci si riferisca alla Costituzione formale, sia che si faccia appello a quella materiale, continuiamo, cioè, a vivere, almeno sotto questo profilo, nel passato. Che si è tradotto in un sistema costituzionale formalmente ambiguo e materialmente poco democratico, a cavallo fra la teoria della sovranità popolare e la prassi della sovranità dei partiti. Come non bastasse, chi invoca la riforma della Costituzione in una «Repubblica dei cittadini» è accusato, magari da quegli stessi che dei regimi totalitari sono stati fino a ieri gli esegeti e della «Repubblica dei partiti» sono oggi i beneficiari, di tentativo di eversione. In nome della democrazia!
 


Indice "Rassegna Stampa e Opinioni" - 2004
 
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