Era una sera d'estate. Calda e avvolgente, come solo le serate di Napoli sanno essere. Le nostre ragazze erano in vacanza e noi amici, finalmente indipendenti ma resi indolenti dall'afa, decidemmo di andare al chiostro a vedere "Il marito della parrucchiera" con Anna Galiena. Entrammo con cuore libero e sereno, e ci ritrovammo bambini a desiderare che una parrucchiera (quella!) sfiorasse con dolce sensualità le nostre teste e ci carezzasse. La pellicola scorreva e noi, languidi languidi, ci lasciammo ammaliare dalle sapienti arti della parrucchiera e ci innamorammo perdutamente di Anna Galiena.

Ma il destino cinico e baro era in agguato, e ci strappò con crudele violenza dal sogno e dal languore; quella parrucchiera troppo bella e dolce e sensuale e pudica, quella parrucchiera che ci aveva condotti per mano in un torpido sogno dal quale non avremmo mai voluto svegliarci, quella parrucchiera doveva morire.

E noi rimanemmo vedovi.