Tarmerlano

Tamerlano, principe dell'Asia, un giorno pastore errante. Uso alle durezze della natura e alla sopraffazione dell'uomo sull' altro uomo, si fece condottiero di altri pastori per conquistare le cittá e possederne il segreto. Conquistó Roma, la forte, e non vi trovó altro che codardía e lenocinio. Conquistó Istanbul dai mille minareti, e vi cercó invano l'estasi dei danzatori musulmani. Conquistó Aleppo, celebre per la bellezza delle sue donne, ed ebbe invece la noia.

Al suo arrivo, l'accampamento era bianco: le miti insegne dell'amicizia in cambio della resa incondizionata, e molte cittá si arrendevano. Ma ai primi impegni comparivano le tende rosse: i difensori sarebbero stati tutti uccisi, se la cittá cadeva in quel tempo. Gli altri avrebbero avuto salva la vita. Ma se durava la resistenza, allora le tende diventavano nere, annunciando la distruzione totale.

Una sola città restava, Atene: la libertá. Si diceva che fosse lei la patria di questa parola, incomprensibile alla sua rude esperienza di vita, perché cosa puó farsene della libertá un pastore? Egli è nato libero. Forse libertá dalla dura legge del fato, neanche lui lo sapeva. Ma non c'erano altri oggetti degni, e ricordava quanto fosse infelice la sua vita di pastore di un tempo, e poi quella di principe... Libertá e Atene, gli ultimi fini supremi.

Ora Tamerlano era sotto le mura di quest'ultima cittá sconosciuta. Per due anni le sue tende furono bianche. Ma le porte restarono chiuse. Correva il grido di massacri orrendi legati al suo nome. Comparvero le tende rosse, e le mura vennero armate. Ma l'esercito di Tamerlano non attaccava. Per due anni durarono le tende rosse, poi vennero le nere. Gli ateniesi guardavano tremando il loro orizzonte listato a lutto, in attesa dell'attacco distruttore. Poco prima dello scadere dei due anni, cominciarono ad arrivare strane notizie nella cittá. Fumi si levavano dall'accampamento dell'antico pastore. Tamerlano uccideva i suoi. Uso al sangue, non conosceva altra via per compiere i suoi disegni. I segreti delle altre cittá gli erano sfuggiti, col bianco del potere pacifico, col rosso delle armi, col nero della distruzione. Poteva lasciarsi sfuggire quest'ultimo segreto, per il quale non si era preoccupato degli altri? Cosí, sotto le mura di Atene, l'antico pastore consumava il sangue del suo esercito, come offrendolo in sacrificio a quell'ultima dea. Lasciandosi dietro un'immensa ecatombe si avvió solo, nero e senz'armi alla porta della cittá. Rimase tre giorni e tre notti, e gli ateniesi stavano dentro, come schiacciati dalla fama di quest'uomo terribile. Il quarto giorno volse le spalle e se ne andó. Lo videro in lontananza, aveva raccolto qualche pecora rimasta del suo esercito. Scomparve. Un mese dopo gli ateniesi uscirono a seppellire i morti e a purificare la terra.