Mare senza fine

Verso l'una di una giornata assolata di giugno entrò nel ristorante "I do rusteghi" di Murano un signore distinto, vestito alla perfezione, evidentemente ricco. Nella sala rumorosa scelse un piccolo tavolino e aspettò dietro la tovaglia bianca l'arrivo del cameriere.

"Vorrei gli spaghetti con le varesie -disse senza aspettare il consueto racconto. Il cameriere lo guardò.
-Con cossa?
-Con le varesie. Mi hanno detto che qui...
-Me scusa, no gavemo. 'ste "verasie" mi non so nianca cossa che e s'ee. Roba de mar?
-Mi scusi allora".
Il signore si alzò e andò via lasciando interdetto l'oste, che aveva assistito alla scena. Più tardi in cucina ne parlò alla moglie chiamando a testimone Ciano, il grosso cameriere.
"Varasie, verasie, seravie, ripeteva l'oste, frugandosi con due dita la folta barba come se ne potesse uscire la soluzione.
-Mi no saver�a dir cossa ghe x� 'sti pesci, disse la moglie, dubbiosa. Poi, con tono definitivo: Varesie? Doman vedo al mercato".
Fu così che la mattina seguente, alle sei e un quarto, la signora Ballarin si mise a interpellare i venditori di pesce.


-Varesie?
-Tonni, capitoni, anguille, aragoste, sgombri, merluzzi!- cantavano i pescivendoli,
-Baccalà, stoccafisso! -chiamavano i droghieri,
-Varesie? chiedeva la moglie del'oste nelle sue londinesi (così chiamava le sue soprascarpe trasparenti di gomma) sguazzando fra i getti d'acqua e i banchi d'alluminio
-Branzini, orate, dentici, canestréi, razze, salmone, sogliole!
- Varesie, Tonia? E i piccioni agitavano ancora intontiti dal sonno le piccole teste. Nell'azzurro del cielo, sopra il mercato, la tramontana mescolava l'odore delle steppe d'oriente con quelli di vita marina e di genti povere che non conoscono il mare.
-Varesie, Giuàn? disse ancora una volta la Ballarin.


-Palombi, polpi, code di rospo, rombi, varesie! frecciò un grosso pescivendolo smuovendo con gli avambracci l'argento non più vivo di un barile di acciughe. La signora era arrivata a tiro di voce del furbo.

-Feme vedar 'ste varesie, Gigio, disse con l'aria di chi di varesie ne aveva viste da quando era nata.

Gigio era un omone che riusciva a dire il peso di un pescespada tenendolo sugli avambracci. Poi le bilancie non segnavano -come se avessero paura di lui (era veramente enorme)- mai più di qualche etto di differenza dal peso annunciato. Gigio riscuoteva così un tributo generale d'ammirazione al quale teneva molto e che ricercava ogni volta che arrivava qualche pescespada su uno dei banchi. Nessuno poi voleva rinunciare alla scena e ogni tanto si facevano delle scommesse. Gigio squadrò la donna con l'aria di chi sta pensando "Ora ti aggiusto io" ed è capace di non far capire nulla a chi lo guarda. La sera prima aveva fatto un giro di ombre con Ciano, che gli aveva raccontato il fatto del signore "pien de sghei".

"'Speta che te le togo".

Ed entrò nei gelidi recessi del negozio, almanaccando su quale bestia avrebbe potuto rifilare alla Ballarin, che notoriamente non capiva nulla di pesci. Trovò dei granchiolini verdi che erano destinati a un ristorante raffinato andato fallito il giorno innanzi. Prima di quell'ordine lui non aveva mai visto bestie simili.

-Eco. Freschisime. Se move ancora.
-Quanti sghei?
-Te faso par ti ventisinque. Sarìa ventioto.
-Do chili par quarantasinque?
-No, boia can, va' via, quarantanove parché to marito vansa un'ombra da mi. E stemo pari.
-Bon. Do chili.

Il giorno dopo campeggiava nel menù dei "Do rusteghi" uno "spaghetti con le varesie 9.000". Buonissimi.