Di corsa

-Vieni su, piccolino. Ti porto a casa.

Il cavallo è enorme, l'uomo lassù, alto quasi quanto il cielo azzurro. Si piega e stende un braccio fino al bambino arrivato, chissà come, tanto lontano da casa.. Lo prende sotto l'ascella, e lo solleva, con delicata sicurezza, a quella enorme altezza. Lo accomoda sulla sella, con l'alto braccio scuote le redini e con la bocca fà uno strano suono al quale il cavallo risponde muovendosi. Tutto è straordinario da lassù. Il bambino scopre quel che sapeva: si vede tutto, si può fare tutto quello che si vuole: deve essere questa la vita adulta. A lui ancora manca la forza che abita nelle braccia di quest' uomo grande, nel corpo lucido del cavallo, che ubbidisce a quella forza... Quando il cavallo si muove il bambino ha un attimo di paura, ma passa subito. Il grande petto dell'uomo lo protegge, il braccio lo cinge con ferma delicatezza, l'odore dell'uomo e quello del cavallo lo rassicurano. Il sole benedice l'uomo, il bambino e la gran testa del cavallo sotto il cielo azzurro della Sardegna.

***

12 fratelli e una madre. Tuorlo d'uovo e zucchero per i più piccoli. Caffè e latte per tutti. E' la mattina del primo giorno di scuola. Il padre con i fratelli più grandi è già sceso nella vigna, giù, verso la val d'Orcia. Pigolio di bambini, occhi eccitati.

La famiglia è arrivata da un paio di mesi. Per i bambini tutto è nuovo e bello, nella grande casa colonica che il padre, mezzadro, ha preparato per loro. La Sardegna della nascita pare lontanissima e pure nell'aria, nelle parole, nei sapori del cibo che prepara la madre, negli sguardi. Il podere è bellissimo, la campagna intorno curata come un disegno. Le stalle grandissime. Gli animali ancora non ci sono, ma si sa che arriveranno, e che sarà una gioia.

Arriva, mezzo vestito, il più piccolo, 5 anni e mezzo. E' anche il più gracile, ma lui non lo sa. La mamma lo guarda e sa che non diventerà grande come i fratelli. Non dice nulla ma per lui ha una cura speciale, una carezza in più. Mentre beve il suo caffè e latte dalla grande tazza azzurra senza manici, dopo aver mangiato tutto il pane inzuppato dentro, risponde con un occhio, grande in quella piccola faccia, allo sguardo della madre, cercando il suo assenso. Lei lo sa, e quando i loro sguardi si incrociano non manca mai di sorridere. Ma non mostrerà mai apertamente, davanti agli altri fratelli, alcun segno di predilezione. Lui lo sente e la corrisponde al loro modo segreto.

Quando ha finito, la madre gli abbottona la camicia, gli infila il maglione, gli ravvia i capelli neri, duri e folti con la mano. Avverte col tatto l'eccitazione della creatura e sa infondere sicurezza con le sue mani esperte. Per lui è il primo giorno di scuola.

-Vado a salutare papà.

-No, piccolino. Adesso arriva la corriera della scuola. Hai preparato tutto?

-Tutto pronto, tutto pronto, vedi (e indica la cartella nuova sulla panca vicino alla porta della cucina)? Mamma, ci vado di corsa. Voglio salutare papà.

-Va bene, vai. Ma digli solo ciao e torna subito, la corriera non ti aspetta.

Il bambino esce e comincia a correre. Lui corre sempre, quando può. Gli piace l'aria in faccia, gli piace sentirsi leggero e ancora di più dell'aria di sempre l'aria di questa mattina tersa e fredda, che gli fa uscire dagli occhi lacrime che se ne vanno per gli angoli esterni, ma non c'è propio nulla da piangere oggi, in questa mattina importante, che non può cominciare senza il bacio del padre. Corre, corre sul sentiero in discesa, in fondo al quale le figure del padre e dei due fratelli maggiori appaiono e scompaiono fra i filari della vigna, nelle colline verde chiaro punteggiate di cipressi, di creta gialla e di macchie più scure. Corre in discesa a balzi sempre più lunghi, gli sembra di volare e i piedi quasi non toccano terra, quando il sentiero si avvalla e un piede falca l'aria senza toccare nulla, ora vola davvero. L'altro si protende in avanti e tocca terra quanto basta per spiccare un altro balzo lunghissimo, troppo lungo, è rotto il ritmo, il sentiero sfugge di sotto, il cielo si avvicina con le sue nuvole, i rovi ai lati quasi non si vedono più. Il terreno lo incontra con le gambe fuori di posto, e il bambino rotola giù. La corsa diventa un capitombolo che finisce contro una grossa pietra piatta in mezzo al viottolo, ci urta in pieno col petto. L'urto è durissimo, gli toglie il fiato. Forse si rompe una costola, ma non sa nemmeno che significa, rimane lì fermo. La pressione del sangue gli arriva agli occhi e gli accende nelle retine un bagliore insensato. Non riesce più a respirare, è per terra, smarrito, gli occhi possono vedere la mamma lassù, che non si è accorta di nulla, ma lui non la può chiamare, la voce sembra scomparsa. Sviene. Riprende i sensi dopo pochi secondi. Appoggia per terra una mano e poi l'altra, cerca di sollevarsi, ma proprio non resce a riprendere fiato. Volge la testa dalla parte opposta e vede lontana la sagoma del padre e dei fratelli, che anche loro non si sono accorti di nulla. Ricade a terra, non ce la fa.

-Io non posso morire proprio oggi. Per favore, Signore Iddio , oggi no. Io oggi devo andare a scuola.

Ci riprova e riesce, con uno sforzo doloroso, a riallargare un po' i polmoni, e nel dolore mai provato si ripete quelle parole. Si rimette in piedi, riprende di nuovo fiato, va un po' meglio. Si guarda le ginocchia graffiate, i palmi delle mani intatti, un gomito fa male, fa male il petto, "Guarda tutta questa polvere, mamma mi sgrida. Ma tanto non mi sgrida. Niente è successo, ora mi rimetto a correre". Si rialza in piedi, riprende la corsa, vuole salutare il babbo, dirgli che è caduto ma che non si è fatto niente, ma questa è una cosa che forse al babbo non c'è bisogno di dire, "Ciao" invece si può dire, e ritornare in tempo per la corriera. La corsa del bambino è di nuovo veloce, volante, l'aria fredda e frizzante gli riempie di nuovo i polmoni, tutto è passato. Il babbo è a portata della sua piccola voce, prova a chiamarlo:

-Papà, papà! Sono...

Ma in Sardegna non si usa legare i filari delle viti col filo di ferro. Appena entrato nella vigna urta con la testa uno dei fili toscani e finisce di nuovo a terra, questa volta in un modo completamente diverso, a pancia all'aria, finisce con la chiena contro il terreno morbido, le nuvole bianche e il cielo azzurro sembrano quasi il bagliore di prima. Accidenti. Il papà non è ancora a portata di abbraccio, sarà sette otto metri più giù. Lui rimane interdetto, si rialza, vorrebbe dire della caduta, dei ginocchi e dell'urto con il filo di ferro, ma è frastornato. Si passa una mano sulla testa, sulla fronte, non si è fatto niente, nemmeno questa volta, la folta zazzera lo ha protetto. Ora cammina, le figure degli adulti sono sempre più vicine.

-Papà! Sono caduto...

L'uomo si volge, gli sorride, apre le braccia. Poi alza gli occhi alla casa e fa un gesto con la mano. Il bambino si ferma.

-Allora vai, guarda mamma che ti chiama.

E da quattro o cinque metri il padre lancia un bacio con la mano, e fa un segno di commiato, affettuoso ma perentorio.

-Papà, io...

-Vai, vai!

Il bambino ha ancora un attimo di indecisione, poi dice:

-Ciao, papà.

-Ciao, piccolino.

La voce e un altro gesto del padre gli fanno girare la testa verso la casa, sù verso la collina, dove la madre si è affacciata e lo chiama con le braccia. Il bambino è incerto, ma in fondo non si è fatto niente, ha avuto il saluto del padre, non il bacio, ma l'ordine di tornare indietro. Riprende la via in salita, sempre di corsa, ma in salita e dopo tutto quello che è successo, più piano, ma piano è troppo piano, non mi sono fatto niente, ora corro, tanto in salita non si cade. Adesso si deve andre a scuola. Ma è successa una cosa che sanno solo lui e, forse, il Signore Iddio. Nessun altro lo sa, e lui non saprebbe raccontare com'è un incontro con la morte. Non sa nemmeno se arriverà in tempo per farsi ripulire le ginocchia, forse riceverà un rimprovero, ma sa che non sarà un rimprovero duro, comunque poi arriva la corriera, e non è successo niente. Arriva con il fiatone ma in tempo per rimettersi in ordine, ha perfino qualche minuto per riposarsi sulla panca della cucina, quando la corriera gialla sbuca dalla curva in salita è il primo a scattare, afferra la cartella, corre via. La mamma rimane sulla porta e guarda la corriera che si allontana.

***

Il cranio dell'animale par salutare le due ali di folla urlante, la cavalla è una cosa sola con l'uomo piccolo e leggero, il respiro va al ritmo della vittoria, gli zoccoli stampano sordi la rena gialla, l'andatura è velocissima e tra loro c'è una segreta intesa, gli altri sono tutti staccati di parecchio, lo dicono le facce dei contradaioli, vai tesoro, ora tutti gli occhi specchiano il mio trionfo, non mi volto più, vai volando Violetta, quanto sei stata brava, è nostra la giornata.

***

L' uomo scende il pendìo, fino alla mangiatoia di latta. Chiama i cavalli per nome, due splendidi animali di sangue arabo e inglese, che vivono liberi nella vallata e arrivano galoppando. Ha portato delle mele, che gli animali mangiano con voracità. Un animale è domato, l'altro no, i grandi corpi fremono e appena consumato il pasto l'uomo sale senza sella sulla cavalla più vecchia, madre di campioni. Fa in modo che l'altro animale faccia attenzione, e gli fa qualche passo intorno, vedi, si fa così. Poi scende e gli animali, il giovane e l'adulto, scattano insieme di nuovo di corsa giù per la valle.